sabato 9 febbraio 2013
L'uomo di Piltdown è vivo? Il metodo scientifico smaschera i falsi.
L'uomo di Piltdown è vivo? Il metodo scientifico smaschera i falsi.
di Maurizio Feo
Esistono argomenti nei quali le certezze sono veramente poche. E perciò, in alcuni casi, sono aperti a dispute, anche molto accese, specialmente quando il tema è caro a molti (cioé: conflittuale).
Un esempio non conflittuale è rappresentato dai dinosauri, che sono abbastanza lontani da tutti e dal presente, tanto da essere del tutto impersonali e astratti.
Dei dinosauri si sa con certezza che sono esistiti e che hanno fortemente improntato di sé l’ambiente circostante coevo. La loro esistenza è dimostrata dalle tracce che ci sono giunte: principalmente i loro scheletri, in numero impressionante. Nel caso dei dinosauri abbiamo anche zanne, squame, impronte e addirittura penne (colorate!)[1]. Se la loro esistenza non è in dubbio, nondimeno ancora molte incertezze lasciano aperta la porta a differenti teorie. Talvolta queste teorie sono fantasiose e affascinanti, alcune sono state dimostrate scientificamente.
Ad esempio: le penne hanno portato ad ipotizzare (ed in seguito dimostrare[2]) che gli attuali uccelli derivino da alcuni di quei dinosauri. Sarebbe errato concludere che tutti gli antichi dinosauri avessero sangue caldo e penne o piume.
Sarebbe, però, addirittura anti-scientifico ipotizzare l’esistenza di grandi rettili volanti che sputano fuoco: in realtà questa sarebbe, piuttosto, una favola.
Naturalmente, non c’è nulla di sbagliato nelle favole, specialmente in quelle didattiche, che preparano i bimbi al mondo adulto che dovranno affrontare, rappresentandoglielo sotto forma di simboli edulcorati. L’errore (e l’orrore) sta invece in quelle favole create ad arte da adulti furbi (venditori) per altri adulti creduloni (compratori) e proposte con grande insistenza e insopportabile arroganza come assolute verità dimostrate...
Chiudendo l’esempio dei dinosauri, dobbiamo ammettere che ancora non conosciamo completamente e in dettaglio la loro forma esteriore, i colori, la loro spanna di vita, gli usi, i modi della loro prima comparsa e della loro scomparsa, le interrelazioni tra loro e con l’ambiente. Abbiamo solamente ipotesi. E questo è il nocciolo del problema. Ma non è poi così grave, se l’argomento è a bassa conflittualità, perché poco sentito da tutti… Si provi, però, a sostituire alla parola “dinosauri” una parola qualunque, relativa ad un problema conflittuale, sensibile ed attuale della Sardegna: si rilegga quanto scritto fin qui sostituendola con “nuraghe” (o Nuragici, Fenici, Shardana, Atlantide, LSC, etc: altri ancora non riguardano solo la Sardegna). Si vede subito che ci si trova in un ambito più accanitamente dibattuto, in quanto si ha a che fare con il sentimento d’identità nazionale, con l’autostima di un intero gruppo etnico, con meccanismi di rivalsa ormai inveterati di una popolazione che – per il solo fatto d’essere isolana – è per sua natura ostinata e conservatrice, chiusa e tradizionalista, orgogliosa e territoriale e possiede, purtroppo, un molto travagliato passato comune...
Abbiamo anche qui principalmente o quasi solamente le ipotesi: come riconoscere quelle giuste da quelle infondate, se non si è del mestiere? Come riconoscere un falso se non si è archeologi, né storici, né esperti in alcuna materia?
Un metodo c’è, in fondo, anche per i non addetti ai lavori: basta utilizzare un poco di buon senso. Non si deve dimenticare che, nel formulare le proprie ipotesi, ognuno autodefinisce e legittima anche la propria posizione: uno scienziato offrirà sempre subito le proprie buone credenziali ed un ciarlatano eviterà costantemente di farlo. Ecco come, in otto semplici passi. Partiamo dalla formulazione di un’ipotesi.
Un’ipotesi può essere formulata a seguito d’alcune osservazioni attente, meglio se numerose, tanto da costituire già un esempio significativo (campione) comprendente tutte le possibili variabilità di presentazione di un fenomeno. Talvolta si ha la fortuna che tutte le osservazioni iniziali puntino in una sola direzione, indicando già, quasi naturalmente, l’ipotesi da formulare.
Questa è la prima discriminante tra vero e falso: il ricercatore offrirà al lettore queste osservazioni iniziali per motivare solo il fatto di avere iniziato la propria ricerca, mentre il millantatore la considererà non come punto di sola partenza, bensì come punto d’arrivo definitivo e finale del proprio “lavoro”. In altre parole: l’ipotesi è solo l’inizio del lavoro scientifico, non il lavoro intero, come alcuni credono. Viene da chiedersi il perché nascano lavori “apocrifi”, infondati e non scientifici. I motivi sono molteplici: l’auto-celebrazione, la promozione di sé (e di un gruppo, spesso un cosiddetto “movimento di pensiero”, che appoggia le idee dell’autore), motivi economici e di potere politico, ma anche, più semplicemente e più spesso, la semplice necessità di evasione da una cronica e stagnante posizione di insoddisfazione nei confronti della realtà isolana presente e passata. Ne consegue la funzionale creazione, talvolta o almeno inizialmente innocente, di una “realtà secondaria”, che soddisfi la necessità, i desideri, le ambizioni di un singolo o di una comunità intera, di riconoscersi in caratteristiche idealizzate e distintive di se stessi. Ciascuna favola, poi, camminerà con le proprie gambe quanto più lontano possibile, in proporzione al gradimento che incontrerà. Questo è proprio ciò che sta accadendo in Sardegna, di questi tempi. I motivi d’insoddisfazione e di rivalsa insulare sono numerosi, vari, e di vecchia data. Su quelli storici, si sono ultimamente affastellate anche nuove e urgenti istanze locali, regionali e nazionali, anche drammatiche. E hanno risvolti politici evidenti[3].
Ecco quindi il secondo punto utile, per distinguere falso da vero: Il lavoro falso racconterà sempre al proprio possibile pubblico soltanto cose gradite, che questo desidera sentirsi raccontare. Va da sé che, sardi o no, ci piaccia di più sapere che discendiamo da gente gloriosa e forte, d’intelligenze superiore, invincibile, con tecnologia avanzata per i propri tempi, piuttosto che semplicemente da gente laboriosa e volenterosa, ma in fondo del tutto normale. E’ questo il vecchio e noto meccanismo della genesi del mito, che ha saputo trasformare efficacemente i resti fossili di un elefantino nel terribile Ciclope, trovando anche splendidi cantori, come Omero, che ne hanno certificato e perpetuato l’esistenza fino a noi. E così, oggi, abbiamo miti grandi e piccoli, effimeri e immortali, per alcuni dei quali nutriamo tanta irrazionale affezione che siamo quasi anche tentati, talvolta, di cercarne e trovarne i fondati motivi scientifici.
Un terzo punto è dato dal tono di trionfale rivelazione messianica dell’autore del falso: egli si pone molto spesso come colui che, primo e unico, ha finalmente risolto un enigma che era lì, da sempre sotto gli occhi di ognuno,ma costantemente e inspiegabilmente ignorato da tutti (specialmente e colpevolmente dai cattedratici, notoriamente svogliati ed incapaci e tutti ovviamente raccomandati). Ciò che egli solo ha scoperto, che per propria alta missione offre generosamente al Mondo, rivoluzionerà per sempre il Sapere umano e cambierà la Storia come noi l’abbiamo conosciuta fino a oggi, avrà conseguenze epocali. Egli infila con irrisoria facilità, una dopo l’altra, come perle di una collana meravigliosa, tutti i presunti “fatti” che conducono alla dimostrazione della sua tesi, incurante di tutto: cronologia, chimica, fisica, geografia, gravità e logica. Per ingannare meglio il compratore, egli correderà la propria paccottiglia con abbondanti fotografie, mappe, grafici e disegni accattivanti e multicolori, di grande effetto, ma di poco significato, spesso inutili e ripetitivi e non correlati al testo: “se gli specchietti funzionano con le allodole, perché non dovrebbero funzionare con i “polli”? Talvolta, l’italiano stesso è approssimativo, se non addirittura dialettale. Di solito, non conosce il lavoro d’equipe e firma da solo i propri lavori. Questo non avviene quasi mai in una pubblicazione scientifica, che deve incontrare una serie di filtri di controllo, di requisiti e d’approvazioni da parte d’esperti non sempre benevoli, prima di passare alle stampe, oltre che limitare le spese di pubblicazione[4].
E’ poi sufficiente applicare, come quarto punto, la sana e abituale prudenza, meglio se diffidenza, che ogni compratore deve usare di fronte al venditore: si noterà, leggendo la bibliografia del lavoro infondato, che essa è spesso inesistente, oppure rappresentata solo da testi antichi classici (Platone, Erodoto e simili, che notoriamente non sono scientificamente affidabili), oppure consta di pochissimi e ormai datati lavori scientifici, interpretandoli liberamente. Contrariamente, ogni ricercatore tiene sempre molto a dimostrare, già nella bibliografia, quanto le proprie conoscenze siano, oltre che profonde, anche aggiornate fino alle più recenti pubblicazioni (magari delle ultime settimane, o ancora in via di pubblicazione, ma già annunciate da una comunicazione orale: ogni categoria ha in fondo le proprie piccole vanità).
Un quinto consiglio è insito nel verificare la presenza o assenza di un Metodo d’esposizione.
La Pubblicazione seria è ordinata, organica e consequenziale, quasi salendo progressivamente un’ideale scala, gradino per gradino e senza salti, per potere superare senza affanni l’ostacolo della trasformazione dell’ipotesi iniziale nella tesi finale dimostrata. Oltre a non fare salti pindarici sul vuoto, non mescola alla rinfusa fatti non dimostrati e quantità disomogenee tra loro.
Il Metodo Scientifico prevede innanzitutto un’introduzione, contenente l’esposizione dei motivi che hanno portato alla formulazione di un’ipotesi iniziale da dimostrare (detta ipotesi di lavoro), con la quale il ricercatore giustifica la ricerca (ogni ricerca ha un costo, in termini di tempo ed impegno del ricercatore e di denaro pubblico e privato). Seguono l’esposizione chiara e completa (Materiali e Metodi) dell’elenco integrale delle osservazioni effettuate, dell’oggetto o degli oggetti delle osservazioni, del metodo (spesso standardizzato ed accettato dal consenso comune) di trattamento di tali oggetti e delle interrelazioni rilevate o messe in atto, in quali condizioni naturali o artificiali: il tutto allo scopo di rendere quanto più possibile ripetibile l’esperimento effettuato, perché esso possa essere ripetuto precisamente anche da altri e sempre producendo risultati identici. Un esperimento scientificamente valido deve essere sempre ripetibile[5]. Ad esempio, nell’analisi della composizione dei bronzetti sardi, il risultato è noto, è stato descritto ed è ripetibile[6]. Questo è talvolta meno vero per lavori quali le stratigrafie e per gli studi genetici di popolazione[7], ma regge per la maggior parte degli studi scientifici. È chiaro, però, che i falsari possono talvolta ingannare anche i veri esperti[8].
I Risultati della ricerca scientifica devono essere elencati in modo chiaro e comprensibile, quanto più schematico ma completo, usando misure ed unità e concetti internazionalmente accettati, in modo da essere comparabili con altri lavori simili. Il ricercatore esporrà infine chiaramente le proprie Conclusioni, correlandole e motivandole logicamente con i risultati ottenuti dal trattamento del proprio materiale e dalle sue osservazioni. Questo spessissimo non accade nei falsi: talvolta si sostengono alcune tesi con ragionamenti circolari che partono dalla loro già implicita accettazione a priori, per non parlare dell’approssimazione nel riferire datazioni ignote all’autore, o procedimenti che egli non ha evidentemente affatto compreso. Il falso s’insinua proprio in mezzo alle incertezze, ai fatti in ombra, di cui tutto può essere detto, perché poco o nulla è conosciuto o può essere provato[9]. Ma, soprattutto, nel falso manca il Metodo Scientifico, perché troppo spesso è costruito da autori autodidatti, che al Metodo non sono stati educati.
Un sesto punto importante è che l’autore di un falso riesce sempre e costantemente a dimostrare la propria tesi, per quanto assurda essa sia. Nel lavoro scientifico questo, invece, non accade invariabilmente ogni volta: esistono lavori seri che ammettono di offrire risultati solamente parziali o provvisori, da migliorare o espandere in future ricerche. Esistono addirittura lavori con conclusioni negative: in questi lavori i ricercatori mettono in guardia gli altri scienziati dal percorrere inutilmente la loro stessa particolare strada, dimostrata concettualmente erronea e quindi da evitare, proprio grazie al loro lavoro. Questi lavori, se eseguiti in modo ineccepibile, sono altrettanto utili alla Scienza quanto gli altri: la ricerca procede infatti per tentativo ed errore, allo scopo di trovare la strada giusta da seguire. Essi sono una dimostrazione di vera onestà intellettuale.
Non è pensabile, invece, che il millantatore faccia una simile ammissione: per definizione, egli conosce e riferisce sempre il Vero.
Nell’esposizione scientifica seria, si esegue una “Discussione”, nella quale l’autore veste i panni di un critico o detrattore del proprio lavoro (quasi un “avvocato del Diavolo”), allo scopo di trovarne i possibili punti deboli, gli aspetti discutibili, gli eventuali errori e le controversie, controbattendo punto per punto ogni singola obiezione circa ogni scelta effettuata nel proprio lavoro: se questo procedimento è assolto con cura e onestà, il lavoro sarà, alla fine, inoppugnabile (e scientificamente molto apprezzato).
Ma, così, si vede bene come un lavoro scientifico sia sempre e comunque un po’ prolisso e noioso, per il lettore comune, anche quando l’autore cerchi di esprimersi in modo discorsivo e divulgativo (il che non avviene molto spesso, per la verità: purtroppo si cade spesso in tecnicismi e riferimenti che risultano piuttosto oscuri ai profani). Inoltre, in genere, il lavoro scientifico non offre mirabolanti novità o conclusioni reboanti, che possano facilmente catturare la fantasia del lettore.
Ecco quindi il settimo punto: il lavoro scientifico non è, in genere, uno scoppiettante rendiconto di novità meravigliose, d’avvenimenti brillanti o d’affascinanti episodi d’avventura. Indiana Jones appartiene alla fantasia. Il lavoro scientifico formula ipotesi prudenti e ponderate (talvolta un po’ troppo, è vero: ma chi non è criticabile?), giungendo a conclusioni finali che siano, quanto più possibile, verosimilmente correlate ai dati obiettivi disponibili al momento. Senza fuochi d’artificio, né razze superiori, né squilli di tromba, né epopee “Salgariane” di Popoli del Mare o simili.
Un ottavo consiglio utile può essere quello di considerare quale sia l’editore che ha prodotto il lavoro. Normalmente, l’editore non tiene molto conto della reale scientificità del lavoro che pubblica, ma ha ben presente invece la vendibilità – quindi gli introiti possibili – che gli garantisce l’autore. Il che significa che un affermato autore di favole troverà facilmente un editore, proprio come qualsiasi altro romanziere[10]. Chi desideri essere sicuro d’acquistare un lavoro scientifico, invece che una storiella, farà quindi meglio ad affidarsi a Case Editrici Universitarie e alle riviste scientifiche specializzate. Potrà forse restare deluso ed anche annoiarsi, ma almeno avrà molte più probabilità di non essere preso in giro[11].
Perché si devono combattere i falsi?
Un buon esempio del motivo è dato dal cosiddetto “Uomo di Piltdown”. Nel 1912 l’archeologo dilettante Charles Dawson riferì alla Geological Society di avere trovato parecchi frammenti cranici molto spessi e una mandibola incompleta in uno strato che conteneva ossa d’animali estinti, presso Piltdown Commons, nel Sussex. Il Curatore del reparto di Storia Naturale del British Museum (l’anatomista Smith Woodward) lo appoggiò: secondo lui si trattava dell’anello mancante, come si diceva allora, cioè di un uomo estremamente antico e primitivo (anzi, il più antico), con un cranio voluminoso simile in tutto all’uomo moderno[12], e con una mandibola ancora scimmiesca i cui canini (mancanti nel reperto) avrebbero dovuto essere a forma di zanne sporgenti ed acute (secondo un’errata teoria in voga allora e derivata da Darwin) e propose il nome di Eoanthropus Dawsoni (uomo primitivo di Dawson)[13]. Un sacerdote cattolico francese (Teilhard de Chardin) appassionato d’archeologia, trovò proprio quei canini nel sito: erano perfettamente uguali a quelli di una scimmia. Niente di strano: qualcuno, rimasto ancora oggi ignoto, aveva costruito un abile falso. Si era procurato un cranio moderno insolitamente spesso, lo aveva spezzato in frammenti, aveva dipinto le ossa di marrone con materiale terroso fossile, aveva aggiunto una mandibola d’orango spezzata all’estremità articolare (altrimenti si sarebbe capito che non apparteneva al cranio umano), e ne aveva limato i molari per simulare il consumo dato dalla masticazione umana. Completò il tutto mettendo nel sito (solo in un secondo tempo, in un posto dove sarebbero state trovate dal sacerdote) zanne di scimpanzè, anch’esse limate e trattate ad arte per renderle “fossili”.
L’uomo di Piltdown fu chiuso sotto chiave, in una bacheca del Museo di Storia Naturale, gioiello della corona britannica. Gli studiosi non avevano accesso altro che a calchi di gesso: ecco perché il falso durò così tanto. Solo nel 1953, nel corso di un programma di verifica generale, si esaminò il reperto con l’allora nuovo metodo di datazione al fluoro, che denunciò il falso. Poi bastò il microscopio per riconoscere i segni della lima (J.S. Weiner, antropologo, Oxford). Infine si trapanò l’osso e si scoprì che l’interno era chiaro e moderno. Una beffa umiliante!
Ma questo era stato considerato per 41 anni l’uomo più antico del Mondo intero. Aveva distolto ogni attenzione accademico-scientifica dagli studi faticosi e seri che da anni erano condotti in Sudafrica sull’Australopithecus Africanus (scimmia meridionale dell’Africa) da Raymond Dart dell’Università di Witwatersrand. Nel 1950 Robert Broom aveva rinvenuto, oltre ad altri esemplari d’Africanus, anche un’altra australopitecina che chiamò, per le sue caratteristiche Australopitecus Robustus. Con la dimostrazione del falso di Piltdown, gli studi s’incentrarono finalmente sull’Africa: oggi sappiamo con certezza che la Rift Valley fu abitata da almeno due tipi di scimmie antropomorfe, in un periodo compreso tra 3 milioni e un milione e trecentomila anni fa[14]. Nel 1973 D. Johanson scoprì, nel Triangolo di Afar, un’australopitecina ancora più antica, (Australopitecus Afarensis, 3.250.000 anni fa), che divenne più nota con il nome di Lucy, essendo di sesso femminile[15]. Da allora, una vasta messe di nuove ricerche (Mary Leakey, Steven Ward e Andrew Hill) dimostrarono che l’età degli ominidi era ancora più antica: fino a 5 milioni di anni fa.
E rivelarono che questi ominidi lasciarono per 25 metri le impronte solamente dei piedi, su uno strato di cenere proveniente dal vulcano Sadiman, che ci è stato gentilmente conservato dalla natura: camminavano come noi. Altre, numerose e più recenti scoperte ci parlano dell’antichità dell’Ardipithecus Ramidus (e dell’Ard. Kadabba, suo predecessore, risalente a epoche anche precedenti), scoperto nel 1993 e pubblicato nel 2009.
Tutte queste rigorose e affascinanti ricerche sull’origine vera dell’Uomo sono state terribilmente ritardate ed ostacolate da un falso, che adesso, forse, ci può far sorridere, ma che ha indubbiamente prodotto danni gravi alla scienza e mietuto numerose vittime innocenti tra i ricercatori seri. La sola considerazione finale dei danni creati dal falsario e dalla sua opera è sufficiente per convincersi che questo fenomeno va combattuto in ogni modo, sempre.
In fondo si tratta solamente di seguire un semplice percorso di qualità, con lo stesso buon senso con il quale le massaie scelgono con amorevole saggezza ogni giorno il cibo con cui alimentare la propria famiglia. Sono ben consce dei problemi che la produzione industriale, la distribuzione globalizzata e le filiere troppo lunghe possono produrre: diffidano di quei pomodori troppo rossi e clonati tutti uguali, di quelle mele troppo lucide e belle, quasi finte, tutte senza sapore... Quando sono fortunate, si rivolgono direttamente al piccolo produttore, di cui conoscono orti e frutteti, allevamenti e metodi affidabili, anche quando i loro prodotti possiedono un aspetto ben più dimesso e meno accattivante degli altri prodotti in massa. Ecco il consiglio finale, quindi: anche nel nutrimento della mente, seguire la qualità e l’affidabilità.
A meno che davvero non si desideri proprio scoprire, addentando con avidità una merendina sintetica, colore e aromi artificiali, in quali e quanti modi bellissimi i Sardi attuali discendano eroicamente da Atlantide e dal folletto delle sette berrette, e come essi dettero gloriosamente origine alla Civiltà Occidentale con le formule trigonometriche annotate per comodità nei propri bronzetti, scrivendo ed operando nel nome di Yahvé, già duemila anni prima di Cristo.
Note:
[1] Gli eumelanosomi e feomelanosomi fossili rinvenuti fanno pensare alla possibile gamma tra nero e grigio, e a una gamma da giallo a marrone rossiccio.
[2] Che gli uccelli attuali e i dinosauri abbiano un antenato in comune non è in discussione: ma esiste una teoria che vede derivare gli antichi rettili piumati (Archeopteryx e Sinosauropteryx) da antichi uccelli che perdettero la capacità di volare partendo dal suolo, conservando però quella di planare.
[3] Non è questa la sede adatta per dibattere a fondo indipendentismo, separatismo, sardocentrismo, né i sentimenti che li sottendono; né per criticare l’eventuale inefficienza della classe politica sarda.
[4] Il che non rende automaticamente inconfutabili tutti i lavori scientifici e non rende incorruttibili ed onesti tutti gli accademici. Certi falsi “d’autore” sono molto benfatti e non facilmente riconoscibili.
[5] Fu proprio la non ripetitibilità che determinò la bocciatura scientifica della “fusione nucleare fredda” riportata nel 1989 dai ricercatori dell’Università di Salt Lake City (Utah - USA), Martin Fleischmann e Stanley Pons.
[6] L'argento è raramente presente in grandi quantità ed un elevato tasso d'argento fa sempre pensare ad un falso, oppure ad un'opera voluta deliberatamente così, per la sua importanza e per motivi religiosi e votivi (che però devono almeno essere ipotizzabili nella specifica forma stessa del particolare bronzetto in esame). Il silicio è soltanto d'introduzione recente, per sostituire lo stagno nella lega del bronzo moderno. Era assente nei bronzetti antichi. Il rame costituisce in genere 80% - 90%, non solamente il 65% come in bronzi recenti. Lo stagno è in genere presente in ragione del 5% - 10% (ma può giungere persino al 13% talvolta), invece in manufatti moderni è presente nel 1,1%. Lo zinco è presente solo in tracce accidentali (0,3%), mentre è al 1,8% nei bronzi più recenti. Il piombo è presente in tracce nei bronzi antichi. Infine esistono tracce di nichel, cobalto, e soprattutto arsenico. Le altre misurazioni più sofisticate, che misurano la firma radioattiva del materiale, aggiungono ulteriori informazioni di provenienza e non sono indagini alla portata dei comuni falsari.
[7] Quando si agisce distruttivamente sull’oggetto dello studio (strati geologici o materiale genetico): ma si tratta di lavori basati su metodi rigorosamente ottenuti ed approvati universalmente.
[8] I geoglifi di Nazca sono un falso, come ha dimostrato nel 2001 l’archeologo bresciano Giuseppe Orefici. E’ falso che i giganteschi monoliti inglesi di Stonehenge risalgano al 3000 a.C. e che, misteriosamente, siano sempre rimasti intatti e in equilibrio magico per cinque millenni. Il falso fu smascherato da Brian Edwards, alle prese con una tesi di storia, che rinvenne le foto del 1901, con un gruppo d’operai al lavoro con tanto di cazzuola. Erano solo le prime di una serie: per tutto il ‘900 Stonehenge ospitò un cantiere che ha continuato a rimaneggiarne il volto almeno fino al 1964. Scavatrici, corde, cemento e gru hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti, che milioni di turisti ignari hanno ritenuto fossero sempre rimasti immutati nella loro magica geometria, astronomicamente precisa e mirabilmente allineata. Le teste di Modigliani, i “diari di Hitler”, Il Papiro Artemidoro, le tavolette di Tzricotu e il busto di Nefertiti sono altri esempi, più recenti e più o meno noti, che hanno messo in imbarazzo anche gli esperti.
[9] E’ ovvio che il falso s’interessa molto spesso d’argomenti che la Scienza trascura, perché non è possibile trattarli. Gli scienziati sono prudenti e responsabili: non esserlo significa perdere la faccia ed i finanziamenti. Da questo partì la molto ingenerosa critica agli archeologi sardi, accusati addirittura di nascondere la verità, per oscuri motivi. Un esempio? Le statue di Monte Prama non sono mai state nascoste, pur non essendo ancora esposte: Sardegna Antica ne dette un esauriente resoconto anni fa, proprio quando – per alcuni – esse erano tenute malvagiamente segrete.
[10] Spesso, però, è disposto a pubblicare a proprie spese, correndo l’alea di non avere un riscontro economico. In seguito, proporrà la propria opera in ogni festa, congresso politico, riunione culturale e ricorrenza alla quale riuscirà a intervenire, dopo avere contattato gli organizzatori locali. Diverrà un agente pubblicitario di se stesso ed utilizzerà tutti i contatti possibili per promuoversi.
[11] Potrà – ad esempio – trovarsi di fronte ad un’appropriazione indebita di un’idea o di una scoperta, il cui valore scientifico resterà immutato, malgrado la miseria intellettuale del sedicente autore.
[12] Esisteva il preconcetto che l’anello mancante dovesse avere un cervello molto sviluppato. Pertanto, il Pitecanthropus Erectus trovato a Giava da Eugene Dubois nel 1890 fu considerato insignificante, come progenitore dell’uomo (in seguito, fu riqualificato come Homo Erectus, ma Dubois morì convinto di avere trovato ‘solo una specie estinta di gibbone’, come ammise egli stesso).
[13] Darwin, in realtà, pensava ad un antico progenitore comune alle scimmie e all’uomo, non ancora umano.
[14] Datazione con decadimento del potassio radioattivo in argon radioattivo ed inversione del campo magnetico terrestre.
[15] Dalla canzone allora notissima e di moda: “Lucy in the Sky With Diamonds”, dei Beatles.
Immagini di www.csdphumor.com
di Maurizio Feo
Esistono argomenti nei quali le certezze sono veramente poche. E perciò, in alcuni casi, sono aperti a dispute, anche molto accese, specialmente quando il tema è caro a molti (cioé: conflittuale).
Un esempio non conflittuale è rappresentato dai dinosauri, che sono abbastanza lontani da tutti e dal presente, tanto da essere del tutto impersonali e astratti.
Dei dinosauri si sa con certezza che sono esistiti e che hanno fortemente improntato di sé l’ambiente circostante coevo. La loro esistenza è dimostrata dalle tracce che ci sono giunte: principalmente i loro scheletri, in numero impressionante. Nel caso dei dinosauri abbiamo anche zanne, squame, impronte e addirittura penne (colorate!)[1]. Se la loro esistenza non è in dubbio, nondimeno ancora molte incertezze lasciano aperta la porta a differenti teorie. Talvolta queste teorie sono fantasiose e affascinanti, alcune sono state dimostrate scientificamente.
Ad esempio: le penne hanno portato ad ipotizzare (ed in seguito dimostrare[2]) che gli attuali uccelli derivino da alcuni di quei dinosauri. Sarebbe errato concludere che tutti gli antichi dinosauri avessero sangue caldo e penne o piume.
Sarebbe, però, addirittura anti-scientifico ipotizzare l’esistenza di grandi rettili volanti che sputano fuoco: in realtà questa sarebbe, piuttosto, una favola.
Naturalmente, non c’è nulla di sbagliato nelle favole, specialmente in quelle didattiche, che preparano i bimbi al mondo adulto che dovranno affrontare, rappresentandoglielo sotto forma di simboli edulcorati. L’errore (e l’orrore) sta invece in quelle favole create ad arte da adulti furbi (venditori) per altri adulti creduloni (compratori) e proposte con grande insistenza e insopportabile arroganza come assolute verità dimostrate...
Chiudendo l’esempio dei dinosauri, dobbiamo ammettere che ancora non conosciamo completamente e in dettaglio la loro forma esteriore, i colori, la loro spanna di vita, gli usi, i modi della loro prima comparsa e della loro scomparsa, le interrelazioni tra loro e con l’ambiente. Abbiamo solamente ipotesi. E questo è il nocciolo del problema. Ma non è poi così grave, se l’argomento è a bassa conflittualità, perché poco sentito da tutti… Si provi, però, a sostituire alla parola “dinosauri” una parola qualunque, relativa ad un problema conflittuale, sensibile ed attuale della Sardegna: si rilegga quanto scritto fin qui sostituendola con “nuraghe” (o Nuragici, Fenici, Shardana, Atlantide, LSC, etc: altri ancora non riguardano solo la Sardegna). Si vede subito che ci si trova in un ambito più accanitamente dibattuto, in quanto si ha a che fare con il sentimento d’identità nazionale, con l’autostima di un intero gruppo etnico, con meccanismi di rivalsa ormai inveterati di una popolazione che – per il solo fatto d’essere isolana – è per sua natura ostinata e conservatrice, chiusa e tradizionalista, orgogliosa e territoriale e possiede, purtroppo, un molto travagliato passato comune...
Abbiamo anche qui principalmente o quasi solamente le ipotesi: come riconoscere quelle giuste da quelle infondate, se non si è del mestiere? Come riconoscere un falso se non si è archeologi, né storici, né esperti in alcuna materia?
Un metodo c’è, in fondo, anche per i non addetti ai lavori: basta utilizzare un poco di buon senso. Non si deve dimenticare che, nel formulare le proprie ipotesi, ognuno autodefinisce e legittima anche la propria posizione: uno scienziato offrirà sempre subito le proprie buone credenziali ed un ciarlatano eviterà costantemente di farlo. Ecco come, in otto semplici passi. Partiamo dalla formulazione di un’ipotesi.
Un’ipotesi può essere formulata a seguito d’alcune osservazioni attente, meglio se numerose, tanto da costituire già un esempio significativo (campione) comprendente tutte le possibili variabilità di presentazione di un fenomeno. Talvolta si ha la fortuna che tutte le osservazioni iniziali puntino in una sola direzione, indicando già, quasi naturalmente, l’ipotesi da formulare.
Questa è la prima discriminante tra vero e falso: il ricercatore offrirà al lettore queste osservazioni iniziali per motivare solo il fatto di avere iniziato la propria ricerca, mentre il millantatore la considererà non come punto di sola partenza, bensì come punto d’arrivo definitivo e finale del proprio “lavoro”. In altre parole: l’ipotesi è solo l’inizio del lavoro scientifico, non il lavoro intero, come alcuni credono. Viene da chiedersi il perché nascano lavori “apocrifi”, infondati e non scientifici. I motivi sono molteplici: l’auto-celebrazione, la promozione di sé (e di un gruppo, spesso un cosiddetto “movimento di pensiero”, che appoggia le idee dell’autore), motivi economici e di potere politico, ma anche, più semplicemente e più spesso, la semplice necessità di evasione da una cronica e stagnante posizione di insoddisfazione nei confronti della realtà isolana presente e passata. Ne consegue la funzionale creazione, talvolta o almeno inizialmente innocente, di una “realtà secondaria”, che soddisfi la necessità, i desideri, le ambizioni di un singolo o di una comunità intera, di riconoscersi in caratteristiche idealizzate e distintive di se stessi. Ciascuna favola, poi, camminerà con le proprie gambe quanto più lontano possibile, in proporzione al gradimento che incontrerà. Questo è proprio ciò che sta accadendo in Sardegna, di questi tempi. I motivi d’insoddisfazione e di rivalsa insulare sono numerosi, vari, e di vecchia data. Su quelli storici, si sono ultimamente affastellate anche nuove e urgenti istanze locali, regionali e nazionali, anche drammatiche. E hanno risvolti politici evidenti[3].
Ecco quindi il secondo punto utile, per distinguere falso da vero: Il lavoro falso racconterà sempre al proprio possibile pubblico soltanto cose gradite, che questo desidera sentirsi raccontare. Va da sé che, sardi o no, ci piaccia di più sapere che discendiamo da gente gloriosa e forte, d’intelligenze superiore, invincibile, con tecnologia avanzata per i propri tempi, piuttosto che semplicemente da gente laboriosa e volenterosa, ma in fondo del tutto normale. E’ questo il vecchio e noto meccanismo della genesi del mito, che ha saputo trasformare efficacemente i resti fossili di un elefantino nel terribile Ciclope, trovando anche splendidi cantori, come Omero, che ne hanno certificato e perpetuato l’esistenza fino a noi. E così, oggi, abbiamo miti grandi e piccoli, effimeri e immortali, per alcuni dei quali nutriamo tanta irrazionale affezione che siamo quasi anche tentati, talvolta, di cercarne e trovarne i fondati motivi scientifici.
Un terzo punto è dato dal tono di trionfale rivelazione messianica dell’autore del falso: egli si pone molto spesso come colui che, primo e unico, ha finalmente risolto un enigma che era lì, da sempre sotto gli occhi di ognuno,ma costantemente e inspiegabilmente ignorato da tutti (specialmente e colpevolmente dai cattedratici, notoriamente svogliati ed incapaci e tutti ovviamente raccomandati). Ciò che egli solo ha scoperto, che per propria alta missione offre generosamente al Mondo, rivoluzionerà per sempre il Sapere umano e cambierà la Storia come noi l’abbiamo conosciuta fino a oggi, avrà conseguenze epocali. Egli infila con irrisoria facilità, una dopo l’altra, come perle di una collana meravigliosa, tutti i presunti “fatti” che conducono alla dimostrazione della sua tesi, incurante di tutto: cronologia, chimica, fisica, geografia, gravità e logica. Per ingannare meglio il compratore, egli correderà la propria paccottiglia con abbondanti fotografie, mappe, grafici e disegni accattivanti e multicolori, di grande effetto, ma di poco significato, spesso inutili e ripetitivi e non correlati al testo: “se gli specchietti funzionano con le allodole, perché non dovrebbero funzionare con i “polli”? Talvolta, l’italiano stesso è approssimativo, se non addirittura dialettale. Di solito, non conosce il lavoro d’equipe e firma da solo i propri lavori. Questo non avviene quasi mai in una pubblicazione scientifica, che deve incontrare una serie di filtri di controllo, di requisiti e d’approvazioni da parte d’esperti non sempre benevoli, prima di passare alle stampe, oltre che limitare le spese di pubblicazione[4].
E’ poi sufficiente applicare, come quarto punto, la sana e abituale prudenza, meglio se diffidenza, che ogni compratore deve usare di fronte al venditore: si noterà, leggendo la bibliografia del lavoro infondato, che essa è spesso inesistente, oppure rappresentata solo da testi antichi classici (Platone, Erodoto e simili, che notoriamente non sono scientificamente affidabili), oppure consta di pochissimi e ormai datati lavori scientifici, interpretandoli liberamente. Contrariamente, ogni ricercatore tiene sempre molto a dimostrare, già nella bibliografia, quanto le proprie conoscenze siano, oltre che profonde, anche aggiornate fino alle più recenti pubblicazioni (magari delle ultime settimane, o ancora in via di pubblicazione, ma già annunciate da una comunicazione orale: ogni categoria ha in fondo le proprie piccole vanità).
Un quinto consiglio è insito nel verificare la presenza o assenza di un Metodo d’esposizione.
La Pubblicazione seria è ordinata, organica e consequenziale, quasi salendo progressivamente un’ideale scala, gradino per gradino e senza salti, per potere superare senza affanni l’ostacolo della trasformazione dell’ipotesi iniziale nella tesi finale dimostrata. Oltre a non fare salti pindarici sul vuoto, non mescola alla rinfusa fatti non dimostrati e quantità disomogenee tra loro.
Il Metodo Scientifico prevede innanzitutto un’introduzione, contenente l’esposizione dei motivi che hanno portato alla formulazione di un’ipotesi iniziale da dimostrare (detta ipotesi di lavoro), con la quale il ricercatore giustifica la ricerca (ogni ricerca ha un costo, in termini di tempo ed impegno del ricercatore e di denaro pubblico e privato). Seguono l’esposizione chiara e completa (Materiali e Metodi) dell’elenco integrale delle osservazioni effettuate, dell’oggetto o degli oggetti delle osservazioni, del metodo (spesso standardizzato ed accettato dal consenso comune) di trattamento di tali oggetti e delle interrelazioni rilevate o messe in atto, in quali condizioni naturali o artificiali: il tutto allo scopo di rendere quanto più possibile ripetibile l’esperimento effettuato, perché esso possa essere ripetuto precisamente anche da altri e sempre producendo risultati identici. Un esperimento scientificamente valido deve essere sempre ripetibile[5]. Ad esempio, nell’analisi della composizione dei bronzetti sardi, il risultato è noto, è stato descritto ed è ripetibile[6]. Questo è talvolta meno vero per lavori quali le stratigrafie e per gli studi genetici di popolazione[7], ma regge per la maggior parte degli studi scientifici. È chiaro, però, che i falsari possono talvolta ingannare anche i veri esperti[8].
I Risultati della ricerca scientifica devono essere elencati in modo chiaro e comprensibile, quanto più schematico ma completo, usando misure ed unità e concetti internazionalmente accettati, in modo da essere comparabili con altri lavori simili. Il ricercatore esporrà infine chiaramente le proprie Conclusioni, correlandole e motivandole logicamente con i risultati ottenuti dal trattamento del proprio materiale e dalle sue osservazioni. Questo spessissimo non accade nei falsi: talvolta si sostengono alcune tesi con ragionamenti circolari che partono dalla loro già implicita accettazione a priori, per non parlare dell’approssimazione nel riferire datazioni ignote all’autore, o procedimenti che egli non ha evidentemente affatto compreso. Il falso s’insinua proprio in mezzo alle incertezze, ai fatti in ombra, di cui tutto può essere detto, perché poco o nulla è conosciuto o può essere provato[9]. Ma, soprattutto, nel falso manca il Metodo Scientifico, perché troppo spesso è costruito da autori autodidatti, che al Metodo non sono stati educati.
Un sesto punto importante è che l’autore di un falso riesce sempre e costantemente a dimostrare la propria tesi, per quanto assurda essa sia. Nel lavoro scientifico questo, invece, non accade invariabilmente ogni volta: esistono lavori seri che ammettono di offrire risultati solamente parziali o provvisori, da migliorare o espandere in future ricerche. Esistono addirittura lavori con conclusioni negative: in questi lavori i ricercatori mettono in guardia gli altri scienziati dal percorrere inutilmente la loro stessa particolare strada, dimostrata concettualmente erronea e quindi da evitare, proprio grazie al loro lavoro. Questi lavori, se eseguiti in modo ineccepibile, sono altrettanto utili alla Scienza quanto gli altri: la ricerca procede infatti per tentativo ed errore, allo scopo di trovare la strada giusta da seguire. Essi sono una dimostrazione di vera onestà intellettuale.
Non è pensabile, invece, che il millantatore faccia una simile ammissione: per definizione, egli conosce e riferisce sempre il Vero.
Nell’esposizione scientifica seria, si esegue una “Discussione”, nella quale l’autore veste i panni di un critico o detrattore del proprio lavoro (quasi un “avvocato del Diavolo”), allo scopo di trovarne i possibili punti deboli, gli aspetti discutibili, gli eventuali errori e le controversie, controbattendo punto per punto ogni singola obiezione circa ogni scelta effettuata nel proprio lavoro: se questo procedimento è assolto con cura e onestà, il lavoro sarà, alla fine, inoppugnabile (e scientificamente molto apprezzato).
Ma, così, si vede bene come un lavoro scientifico sia sempre e comunque un po’ prolisso e noioso, per il lettore comune, anche quando l’autore cerchi di esprimersi in modo discorsivo e divulgativo (il che non avviene molto spesso, per la verità: purtroppo si cade spesso in tecnicismi e riferimenti che risultano piuttosto oscuri ai profani). Inoltre, in genere, il lavoro scientifico non offre mirabolanti novità o conclusioni reboanti, che possano facilmente catturare la fantasia del lettore.
Ecco quindi il settimo punto: il lavoro scientifico non è, in genere, uno scoppiettante rendiconto di novità meravigliose, d’avvenimenti brillanti o d’affascinanti episodi d’avventura. Indiana Jones appartiene alla fantasia. Il lavoro scientifico formula ipotesi prudenti e ponderate (talvolta un po’ troppo, è vero: ma chi non è criticabile?), giungendo a conclusioni finali che siano, quanto più possibile, verosimilmente correlate ai dati obiettivi disponibili al momento. Senza fuochi d’artificio, né razze superiori, né squilli di tromba, né epopee “Salgariane” di Popoli del Mare o simili.
Un ottavo consiglio utile può essere quello di considerare quale sia l’editore che ha prodotto il lavoro. Normalmente, l’editore non tiene molto conto della reale scientificità del lavoro che pubblica, ma ha ben presente invece la vendibilità – quindi gli introiti possibili – che gli garantisce l’autore. Il che significa che un affermato autore di favole troverà facilmente un editore, proprio come qualsiasi altro romanziere[10]. Chi desideri essere sicuro d’acquistare un lavoro scientifico, invece che una storiella, farà quindi meglio ad affidarsi a Case Editrici Universitarie e alle riviste scientifiche specializzate. Potrà forse restare deluso ed anche annoiarsi, ma almeno avrà molte più probabilità di non essere preso in giro[11].
Perché si devono combattere i falsi?
Un buon esempio del motivo è dato dal cosiddetto “Uomo di Piltdown”. Nel 1912 l’archeologo dilettante Charles Dawson riferì alla Geological Society di avere trovato parecchi frammenti cranici molto spessi e una mandibola incompleta in uno strato che conteneva ossa d’animali estinti, presso Piltdown Commons, nel Sussex. Il Curatore del reparto di Storia Naturale del British Museum (l’anatomista Smith Woodward) lo appoggiò: secondo lui si trattava dell’anello mancante, come si diceva allora, cioè di un uomo estremamente antico e primitivo (anzi, il più antico), con un cranio voluminoso simile in tutto all’uomo moderno[12], e con una mandibola ancora scimmiesca i cui canini (mancanti nel reperto) avrebbero dovuto essere a forma di zanne sporgenti ed acute (secondo un’errata teoria in voga allora e derivata da Darwin) e propose il nome di Eoanthropus Dawsoni (uomo primitivo di Dawson)[13]. Un sacerdote cattolico francese (Teilhard de Chardin) appassionato d’archeologia, trovò proprio quei canini nel sito: erano perfettamente uguali a quelli di una scimmia. Niente di strano: qualcuno, rimasto ancora oggi ignoto, aveva costruito un abile falso. Si era procurato un cranio moderno insolitamente spesso, lo aveva spezzato in frammenti, aveva dipinto le ossa di marrone con materiale terroso fossile, aveva aggiunto una mandibola d’orango spezzata all’estremità articolare (altrimenti si sarebbe capito che non apparteneva al cranio umano), e ne aveva limato i molari per simulare il consumo dato dalla masticazione umana. Completò il tutto mettendo nel sito (solo in un secondo tempo, in un posto dove sarebbero state trovate dal sacerdote) zanne di scimpanzè, anch’esse limate e trattate ad arte per renderle “fossili”.
L’uomo di Piltdown fu chiuso sotto chiave, in una bacheca del Museo di Storia Naturale, gioiello della corona britannica. Gli studiosi non avevano accesso altro che a calchi di gesso: ecco perché il falso durò così tanto. Solo nel 1953, nel corso di un programma di verifica generale, si esaminò il reperto con l’allora nuovo metodo di datazione al fluoro, che denunciò il falso. Poi bastò il microscopio per riconoscere i segni della lima (J.S. Weiner, antropologo, Oxford). Infine si trapanò l’osso e si scoprì che l’interno era chiaro e moderno. Una beffa umiliante!
Ma questo era stato considerato per 41 anni l’uomo più antico del Mondo intero. Aveva distolto ogni attenzione accademico-scientifica dagli studi faticosi e seri che da anni erano condotti in Sudafrica sull’Australopithecus Africanus (scimmia meridionale dell’Africa) da Raymond Dart dell’Università di Witwatersrand. Nel 1950 Robert Broom aveva rinvenuto, oltre ad altri esemplari d’Africanus, anche un’altra australopitecina che chiamò, per le sue caratteristiche Australopitecus Robustus. Con la dimostrazione del falso di Piltdown, gli studi s’incentrarono finalmente sull’Africa: oggi sappiamo con certezza che la Rift Valley fu abitata da almeno due tipi di scimmie antropomorfe, in un periodo compreso tra 3 milioni e un milione e trecentomila anni fa[14]. Nel 1973 D. Johanson scoprì, nel Triangolo di Afar, un’australopitecina ancora più antica, (Australopitecus Afarensis, 3.250.000 anni fa), che divenne più nota con il nome di Lucy, essendo di sesso femminile[15]. Da allora, una vasta messe di nuove ricerche (Mary Leakey, Steven Ward e Andrew Hill) dimostrarono che l’età degli ominidi era ancora più antica: fino a 5 milioni di anni fa.
E rivelarono che questi ominidi lasciarono per 25 metri le impronte solamente dei piedi, su uno strato di cenere proveniente dal vulcano Sadiman, che ci è stato gentilmente conservato dalla natura: camminavano come noi. Altre, numerose e più recenti scoperte ci parlano dell’antichità dell’Ardipithecus Ramidus (e dell’Ard. Kadabba, suo predecessore, risalente a epoche anche precedenti), scoperto nel 1993 e pubblicato nel 2009.
Tutte queste rigorose e affascinanti ricerche sull’origine vera dell’Uomo sono state terribilmente ritardate ed ostacolate da un falso, che adesso, forse, ci può far sorridere, ma che ha indubbiamente prodotto danni gravi alla scienza e mietuto numerose vittime innocenti tra i ricercatori seri. La sola considerazione finale dei danni creati dal falsario e dalla sua opera è sufficiente per convincersi che questo fenomeno va combattuto in ogni modo, sempre.
In fondo si tratta solamente di seguire un semplice percorso di qualità, con lo stesso buon senso con il quale le massaie scelgono con amorevole saggezza ogni giorno il cibo con cui alimentare la propria famiglia. Sono ben consce dei problemi che la produzione industriale, la distribuzione globalizzata e le filiere troppo lunghe possono produrre: diffidano di quei pomodori troppo rossi e clonati tutti uguali, di quelle mele troppo lucide e belle, quasi finte, tutte senza sapore... Quando sono fortunate, si rivolgono direttamente al piccolo produttore, di cui conoscono orti e frutteti, allevamenti e metodi affidabili, anche quando i loro prodotti possiedono un aspetto ben più dimesso e meno accattivante degli altri prodotti in massa. Ecco il consiglio finale, quindi: anche nel nutrimento della mente, seguire la qualità e l’affidabilità.
A meno che davvero non si desideri proprio scoprire, addentando con avidità una merendina sintetica, colore e aromi artificiali, in quali e quanti modi bellissimi i Sardi attuali discendano eroicamente da Atlantide e dal folletto delle sette berrette, e come essi dettero gloriosamente origine alla Civiltà Occidentale con le formule trigonometriche annotate per comodità nei propri bronzetti, scrivendo ed operando nel nome di Yahvé, già duemila anni prima di Cristo.
Note:
[1] Gli eumelanosomi e feomelanosomi fossili rinvenuti fanno pensare alla possibile gamma tra nero e grigio, e a una gamma da giallo a marrone rossiccio.
[2] Che gli uccelli attuali e i dinosauri abbiano un antenato in comune non è in discussione: ma esiste una teoria che vede derivare gli antichi rettili piumati (Archeopteryx e Sinosauropteryx) da antichi uccelli che perdettero la capacità di volare partendo dal suolo, conservando però quella di planare.
[3] Non è questa la sede adatta per dibattere a fondo indipendentismo, separatismo, sardocentrismo, né i sentimenti che li sottendono; né per criticare l’eventuale inefficienza della classe politica sarda.
[4] Il che non rende automaticamente inconfutabili tutti i lavori scientifici e non rende incorruttibili ed onesti tutti gli accademici. Certi falsi “d’autore” sono molto benfatti e non facilmente riconoscibili.
[5] Fu proprio la non ripetitibilità che determinò la bocciatura scientifica della “fusione nucleare fredda” riportata nel 1989 dai ricercatori dell’Università di Salt Lake City (Utah - USA), Martin Fleischmann e Stanley Pons.
[6] L'argento è raramente presente in grandi quantità ed un elevato tasso d'argento fa sempre pensare ad un falso, oppure ad un'opera voluta deliberatamente così, per la sua importanza e per motivi religiosi e votivi (che però devono almeno essere ipotizzabili nella specifica forma stessa del particolare bronzetto in esame). Il silicio è soltanto d'introduzione recente, per sostituire lo stagno nella lega del bronzo moderno. Era assente nei bronzetti antichi. Il rame costituisce in genere 80% - 90%, non solamente il 65% come in bronzi recenti. Lo stagno è in genere presente in ragione del 5% - 10% (ma può giungere persino al 13% talvolta), invece in manufatti moderni è presente nel 1,1%. Lo zinco è presente solo in tracce accidentali (0,3%), mentre è al 1,8% nei bronzi più recenti. Il piombo è presente in tracce nei bronzi antichi. Infine esistono tracce di nichel, cobalto, e soprattutto arsenico. Le altre misurazioni più sofisticate, che misurano la firma radioattiva del materiale, aggiungono ulteriori informazioni di provenienza e non sono indagini alla portata dei comuni falsari.
[7] Quando si agisce distruttivamente sull’oggetto dello studio (strati geologici o materiale genetico): ma si tratta di lavori basati su metodi rigorosamente ottenuti ed approvati universalmente.
[8] I geoglifi di Nazca sono un falso, come ha dimostrato nel 2001 l’archeologo bresciano Giuseppe Orefici. E’ falso che i giganteschi monoliti inglesi di Stonehenge risalgano al 3000 a.C. e che, misteriosamente, siano sempre rimasti intatti e in equilibrio magico per cinque millenni. Il falso fu smascherato da Brian Edwards, alle prese con una tesi di storia, che rinvenne le foto del 1901, con un gruppo d’operai al lavoro con tanto di cazzuola. Erano solo le prime di una serie: per tutto il ‘900 Stonehenge ospitò un cantiere che ha continuato a rimaneggiarne il volto almeno fino al 1964. Scavatrici, corde, cemento e gru hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti, che milioni di turisti ignari hanno ritenuto fossero sempre rimasti immutati nella loro magica geometria, astronomicamente precisa e mirabilmente allineata. Le teste di Modigliani, i “diari di Hitler”, Il Papiro Artemidoro, le tavolette di Tzricotu e il busto di Nefertiti sono altri esempi, più recenti e più o meno noti, che hanno messo in imbarazzo anche gli esperti.
[9] E’ ovvio che il falso s’interessa molto spesso d’argomenti che la Scienza trascura, perché non è possibile trattarli. Gli scienziati sono prudenti e responsabili: non esserlo significa perdere la faccia ed i finanziamenti. Da questo partì la molto ingenerosa critica agli archeologi sardi, accusati addirittura di nascondere la verità, per oscuri motivi. Un esempio? Le statue di Monte Prama non sono mai state nascoste, pur non essendo ancora esposte: Sardegna Antica ne dette un esauriente resoconto anni fa, proprio quando – per alcuni – esse erano tenute malvagiamente segrete.
[10] Spesso, però, è disposto a pubblicare a proprie spese, correndo l’alea di non avere un riscontro economico. In seguito, proporrà la propria opera in ogni festa, congresso politico, riunione culturale e ricorrenza alla quale riuscirà a intervenire, dopo avere contattato gli organizzatori locali. Diverrà un agente pubblicitario di se stesso ed utilizzerà tutti i contatti possibili per promuoversi.
[11] Potrà – ad esempio – trovarsi di fronte ad un’appropriazione indebita di un’idea o di una scoperta, il cui valore scientifico resterà immutato, malgrado la miseria intellettuale del sedicente autore.
[12] Esisteva il preconcetto che l’anello mancante dovesse avere un cervello molto sviluppato. Pertanto, il Pitecanthropus Erectus trovato a Giava da Eugene Dubois nel 1890 fu considerato insignificante, come progenitore dell’uomo (in seguito, fu riqualificato come Homo Erectus, ma Dubois morì convinto di avere trovato ‘solo una specie estinta di gibbone’, come ammise egli stesso).
[13] Darwin, in realtà, pensava ad un antico progenitore comune alle scimmie e all’uomo, non ancora umano.
[14] Datazione con decadimento del potassio radioattivo in argon radioattivo ed inversione del campo magnetico terrestre.
[15] Dalla canzone allora notissima e di moda: “Lucy in the Sky With Diamonds”, dei Beatles.
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Ottima messa a punto della questione. Oggi c'è a Sassari presso la facoltà di Medicina e chirurgia (ma non è ora un dipartimento?) una giornata dedicata a simboli e segni nella Sardegna nuragica. Accattivante titolo, più relativo al dipartimento di storia ecc che a quello di medicina e chirurgia. Ci andrò per ascoltare quello che sarà detto, vagliandolo con il mio cervello aduso a cinicamente criticare tutto, come archeologo e materialista storico, seguendo i sempre attuali dettami dell'Accademia della Crusca, e cioè provando e riprovando dove riprovare sta per respingeren non provare di nuovo, ma nel caso si deve anche seguire questo significato per la ripetizione del fenomeno n volte onde accertarne la veridicità. Io sono condiscendente circa l'interpretazione data dagli antichi al cranio di un Elephas Falconerii (esempio di nanismo insulare come a Malta) che col grosso foro nasale e quelli delle zanne aveva dato spunto per supporre un mostruoso essere umano con un occhio centrale e due enormi canini, ma gli antichi siculi o sicani o elimi o magno greci (fate voi) sono scusabili, non si conoscevano in Sicilia elefanti di piccola taglia ai loro tempi, ma oggi noi abbiamo dato un senso alla storia dei ciclopi. Resta da chiedersi come mai la stessa storia non sia stata ambientata anche a Malta.
RispondiEliminaMi permetto di copiare il testo di questaa riflessione di Pierluigi Montalbano perchè la reputo interessante.
Se le ha pubblicate, ANCHE Pierluigi sarà, almeno in parte, d'accordo con le MIE considerazioni.
EliminaTutto giusto. Il problema è che non esiste un criterio sicuro per distinguere a priori il ricercatore serio, per quanto "dilettante", dal ciarlatano ingegnoso. Bisogna esaminare ogni teoria una per una, evitando di lasciarsi fuorviare da pregiudizi o da altre teorie "ufficiali" che magari si basano su presupposti tutt'altro che solidi. Talvolta i confutatori sono più millantatori delle teorie eretiche che vorrebbero confutare. Ne so qualcosa... Per quanto riguarda per esempio i ciclopi, mi permetto di consigliare questo articoletto http://ilmulinodeltempo.blogspot.it/2011/07/ulivi-abeti-ciclopi-mammut.html Cordialmente, Alberto Majrani
RispondiEliminaInsomma: ci agitiamo tutti in un mare di guano, secondo te...
EliminaHo dato un'occhiata a quell'indirizzo che tu proponi...
In questa sede (che non è di certo quella adatta) ho da dire solamente due cose.
1)Che Omero non va preso alla lettera, Alberto: per esempio, hai mai provato ad ubriacarti con succo d'uva appena spremuto?
2)L'Odissea non è un documento, è una favola e niente di più: solo che è antica. Le aggiunte apocrife di localizzazioni in paesi scandinàvi sono rivisitazioni moderne. Cioé una favola diversa, con altri autori.
Teniamo, comunque, in conto che la tradizione orale era ai tempi di Omero una sorta di memoria storica degli avvenimenti. Il grande autore greco decise di mettere nero su bianco per imperitura memoria...e sono convinto che una buona parte di ciò che scrisse ha un fondo di verità.
EliminaMaurizio ha espresso con parole taglienti come lame la situazione attuale della ricerca storica e archeologica. Condivido il suo articolo e ho sentito il dovere di amplificarlo.
RispondiEliminaL’Odissea non è semplicemente una bella favola per bambini troppo cresciuti, ma un intricatissimo labirinto ricco di continui ingegnosi riferimenti, che sfuggono inevitabilmente a chi non ha una solida preparazione scientifica sul groppone.
RispondiElimina“Quandoque bonus dormitat Homerus”, ogni tanto dorme anche il buon Omero, proclamava Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto si sia sempre creduto!tanti fenomeni naturali prima della nascita del pensiero scientifico moderno erano oggetto di spiegazioni fantasiose. Molti pensano che anche Omero abbia raccontato solo delle favole, con il loro contorno di misteri, prodigi, esseri mostruosi e soprannaturali: ma anche le favole nascono da eventi reali, e svolgono una loro funzione. Certo, oggi chi si ritiene un essere razionale è giustamente convinto che streghe, fate, incantesimi e draghi sputafuoco siano solo frutto dell’immaginazione: ma ciò non vuol dire che allo stesso modo non debbano essere mai esistiti principi, principesse, castelli, cavalieri, nani, lupi, rospi e compagnia bella. E nessuna persona sana di mente manderebbe un bambino a fare un giretto da solo in una foresta tenebrosa, come succede regolarmente in quasi tutte le favole! Ma fino all'inizio dell'Ottocento, prima delle grandi scoperte archeologiche in Egitto, Siria, Persia, Grecia eccetera, molte gesta di eroi e di re erano considerate solo dei miti senza riscontri nella realtà. Solo per i poemi omerici esiste ancor oggi questo cortocircuito: centinaia di nomi, luoghi, eventi senza nessun riscontro, se non ricorrendo a spiegazioni arzigogolate e a continue forzature. E le interpretazioni tuttora più accreditate sono state formulate più di due secoli fa, in un’epoca in cui le conoscenze mitologiche e archeologiche erano limitate quasi esclusivamente al mondo greco e romano. Non sarà magari che i critici non sanno che pesci pigliare, solo perché si ostinano a voler pescare nel mare sbagliato?
Molto bene, Alberto: ci hai informato di avere una solida preparazione scientifica sul groppone e di come inevitabilmente a noi ignoranti sfuggano invece per intero la simbologia e la dietrologia dell'Odissea. Il che ci fa molto piacere per te e ci preoccupa un po' per noi. Ma il tema, qui è un altro: i FALSI. In parole povere: ci sono sempre dei ciarlatani, ovunque e sempre, che con i loro FALSI distolgono l'attenzione dalle ricerche più appropriate. Qualche volta le loro TRUFFE riescono (come nel caso di Piltdown) a rallentare la Ricerca Scientifica anche per mezzo secolo. E questo è un valido motivo per combattere con sempre e dovunque con veemenza e decisione tutte le falsità.
RispondiEliminaRingrazio l'amico Pierluigi per avermi cortesemente dato spazio qui, in un'iniziativa che spero, anche grazie a lui, presto vedrà più numerose e consapevoli adesioni anche in Sardegna.
RispondiEliminaappunto, dire che l'Odissea è solo una favola e niente di più è falso. Ciò dimostra come è facile cadere nella rete dei falsari
RispondiEliminaGrazie a Maurizio Feo per questo articolo. Mi farà prestare più attenzione alla Storia (che ritengo spesso troppo romanzata) di noi Sardi, ed in particolare "...Senza fuochi d’artificio, né razze superiori, né squilli di tromba, né epopee “Salgariane” di Popoli del Mare o simili..." come ci suggerisce lo stesso Feo.
RispondiEliminaRingrazio inoltre Pierluigi Montalbano per la sua meritoria attività di ricerca e divulgazione.
Un cordiale saluto.
beniamino agus
Maurizio, Maurizio, sinceramente non ho capito dove vuoi andare a parare. La prima cosa che ho fatto è stata quella di capire (frettolosamente) da quale pulpito venisse la predica. Vedo che, anche tu, ti diletti con le antiche civiltà. Vulcano, si legge, era nato con i piedi girati all’indietro e che fu scaraventato dall’Olimpo e, quindi, divenne zoppo sùbito. Mi ha colpito la tua spiegazione: zoppicava perchè intossicato dall’arsenico; malattia professionale. C’è la diagnosi e il rimedio: lo stagno. Quest’altra è, sempre, una tua opinione: -Abbiamo anche qui principalmente o quasi solamente le ipotesi: come riconoscere quelle giuste da quelle infondate, se non si è del mestiere? Come riconoscere un falso se non si è archeologi, né storici, né esperti in alcuna materia? Un metodo c’è, in fondo, anche per i non addetti ai lavori: basta utilizzare un poco di buon senso. Non si deve dimenticare che, nel formulare le proprie ipotesi, ognuno autodefinisce e legittima anche la propria posizione: uno scienziato offrirà sempre subito le proprie buone credenziali ed un ciarlatano eviterà costantemente di farlo. Ecco come, in otto semplici passi-….etc etc.
RispondiEliminaAvresti dovuto leggere un articolo del prof. Cardini riguardante i Dilettanti che vogliono riscrivere la storia. Per non farla troppo lunga, ti dispiace se affrontiamo casi specifici?
Colombo avrebbe toccato il suolo americano prima di Caboto e Vespucci e lo si dimostra con una Lettera Rarissima, scritta durante il III viaggio, e data alle stampe. L’hai, mai, letta? (la trovi in questo Blog) Eratostene di Cirene è celebrato da tutto il mondo scientifico per aver calcolato, primo in assoluto, la misura esatta della lunghezza dell’Equatore.
E ti arriva un tizio che afferma: -Mi dispiace ma a Trinidad non ci sono le montagne avvistate da Colombo (e non solo) ed Eratostene non ha misurato un bel niente. Quelle misure, di Eratostene, non sono della sua epoca ma erano corrette un migliaio di anni prima; quindi le ha copiate.
Tu cosa fai a questo punto? Cerchi le credenziali ostentate dal tizio (Nessuna. Riparava telescriventi e telefoni) o, di contro, ti fidi di quelle ostentate dalla Comunità Scientifica? sono sicurissimo che tu non vai a rifarti tutti calcoli per Eratostene come non vai a leggerti la Lettera Rarissima di Colombo (tutta). Dopo due esempi eclatanti (internazionali) vengo a un fatto che ci riguarderebbe più da vicino:
Siamo nel 349. Sui litorali del Lazio c’è una flotta greca. I Galli sono accampati sui Colli Albani. I Latini sono pronti, con le loro legioni, nel bosco della dea Feronia, pronti ad assalire Roma. Roma prepara 10 legioni. Tutto raccontato da Livio. L’anno dopo, I° consolato di Marco Valerio CORVO, vediamo gli ambasciatori cartaginesi precipitarsi a Roma. (Anche Livio parla dei Trattati tra Roma e Cartagine; cosa ignorata da molti Sardi. Anche Diodoro. Anche Orosio.)
Domanda: da dove proveniva quella flotta greca e che fine fece?
Vedi, Maurizio, ero giovane quando Kolosimo scriveva sui Popoli del Mare e ci spiegava le Tombe dei Giganti e i Nuraghi; a che punto siete arrivati dopo cinquant’anni? Vi beccate, solo, tra di Voi.
Rolando Berretta
Estendere la discussione ad altri temi è un abusato trucco dialettico, di gusto discutibile, tra l'altro.
RispondiEliminaSe non ti è chiaro che il mio è un invito a combattere insieme le truffe di OGGI, perché queste hanno effetti sui finanziamenti, sulle energie, sull'attenzione e sul supporto della pubblica opinione verso la Ricerca Scientifica, il problema - davvero - è tuo, caro saggio e paternalista anonimo.
Per essere più chiari: La mia ipotesi sull'arseniosi cronica del fabbro - che tu dottamente citi - non è volta a 'cambiare la Storia', né a stornare i finanziamenti regionali sardi per un filone di ricerca vera, al fine di riassegnarlo "NurAt".
Addio, saggio e paternalista anonimo.
Maurizio perchè anonimo?
RispondiEliminaIl mio intervento era mirato a dimostrare che dietro tanti titoli accademici... spesso ho trovato il vuoto culturale.
sempre Rolando Berretta
anonimo lo scrive la macchinetta.
Ecco perché:
RispondiElimina.......
Rolando Berretta
Chissà dove stà la verità! Se questa dimora tra chi proviene dalla formazione archeologica universitaria - e quindi con un metodo scientifico come supporto - o da chi, con una formazione personale mossa da pura passione, prova a mettere in fila ciò che gli "scientifici" enunciano. Credo che tra il sig. FEO e Rolando non passi alcuna differenza: ambedue vengono da una formazione personale mossa da pura passione e ambedue provano a mettere in fila ciò che gli "scientifici" (evito volutamente il termine scienziati) enunciano. FEO scrive per Sardegna Mediterranea (che non mi pare di altissima levatura scientifica e manco media visto che i collaboratori non "collaborano appunto" per nessun istituto universitario o tantomeno per la Soprintendenza ai BB.CC. Anche Rolando non pubblica e collabora per nessuna testata scientifica (almeno che non lo faccia ultimamente e mi scuso per ciò)e pubblica le proprie ipotesi su queste pagine lasciate al pubblico vaglio (chissà quanto ci sarà di scientifico nel pubblico vaglio mah!) Qualcuno dirà che il taglio scientifico glielo dà il direttore....sorvolerei visto che conosco le convinzioni di Pierluigi sugli Shardana e sui Popoli del mare e credo che abbia pubblicato il pezzo del Sig. FEO solo per dovere di cronaca e non perchè condivida pienamente le mitizzazioni, le pulsioni indipendentiste ect ect, altrimenti passerebbe anche lui come mitizzatore.
RispondiEliminaLa differenza sostanziale tra i due autori (ampiamente colti)è il modo di porsi nei confronti del prossimo. Feo pur pubblicando nella Rivista di Giacobbe Manca e commentando nel blog di Archeologgia Nuraggica - che irriverentemente ha insultato riviste come quella per cui collabora Feo- cerca di convincere il lettore e l'interlocutore della sua buona fede come interprete dei pensieri dei ricercatori universitari e contemporaneamente si prodiga affinchè i suoi lettori non prendano per buona la sua controparte - ciò che lui chiaramente non condivide. Rolando Beretta invece pubblicando in questo portale mostra unicamente i propri lavori senza pretese senza screditare chi non condivide le sue ipotesi.
RispondiEliminaNon me ne voglia il Sig. FEO, non ce l'ho assolutamente contro di lui (ho inserito alcuni suoi pezzi all'interno dei miei lavori)ma credo che debba lasciare il libero arbitrio ai lettori, alla comunità scientifica, ai dilettanti e a chi vuole ancora credere e sognare. D'altronde sempre nella ferma convinzione che l'obbiettività assoluta non esista) credo che siano affidabili entrambi i riferimenti bibliografici: sia di chi crede che gli Shardana siano esisti sia di chi non lo crede. Credo che l'obbiettività vada a farsi benedire già dai primi ricercatori: quelli che compilano le schede dei materiali rinvenuti e aspettano che dopo anni il responsabile di scavo firmi o non firmi mai. L'obbiettività và a farsi benedire gà quando usiamo la bibliografia adattandola al nostro pensiero...siamo sicuri che rifletta pienamente l'idea dell'autore? Potrete benissimo criticarmi (io sono uno degli autori che parla degli Shardana o meglio degli Sher-danu per rifare il verso ai conoscenti del Sig. Feo e di Pierluigi)ma provengo anche io dalla formazione universitaria...conosco il metodo scientifico...ma conosco anche il detto del maiale: non si butta niente. Il tempo che si perde a screditare gli altri è solo del tempo perso che ci manca per studiare e consolidare dei principi. Nessuno ha la verità in tasca perchè nessuno ha mai potuto vedere gli episodi che cerchiamo di descrivere. Possiamo solo sperare di creare un quadro più verosimile ma credo che questo possa avvenire solo tramite dialogo e collaborazione. Per certi versi sig. FEO (non me ne volgia) lei non è migliore (nè dal punto di vista scientifico nè dal punto di vista umano)di coloro che demonizza.
RispondiEliminaCaro Cabriolu: non te ne voglio neanche un po', figurati...
RispondiEliminaSo bene che tu conosci l'università, visto che sei iscritto da circa 10 anni e ancora non ti sei dato una mossa per uscirne. Si vede che ti piace l'ambiente, mio caro.
Per il resto, le tue farneticazioni sono inesatte: io non ho mai scritto un rigo per Sardegna Mediterranea, rivista di Dolores Turchi, anche se ho sempre molto apprezzato quello che suo figlio Davide Bellodi vi scriveva (è morto prematuramente). Tu non sei degno di leccargli la suola delle scarpe.
Anche il modo in cui mi hai citato nella tua pappacotta è inesatto ed incompleto: sei un empirico e nulla di più.
Spero che anche tu non me ne voglia: e se per caso me ne vuoi, non me ne frega niente.
Chiedo scusa se ho offeso La Sig.ra Turchi accostandola al Sig. FEO...Leggo alcuni commenti su di me e sulla mia validità scientifica. Non ribatto a così tanta eleganza e comunicatività perchè non ne vale la pena perderei acqua e sapone. Mi limito a dire che l'assoluta mancanza di apprezzamento nei miei confronti da parte di persone come lei Sig. FEO non può che lusingarmi, farmi piacere e assicurarmi sul fatto di percorrere una giusta strada nella ricerca scientifica. Stia bene...eh non stizzi così ...che poi suda le viene il mal di gola.. e poi le potrebbe far male al cuore...sia più felice.
RispondiEliminaE allora ti racconto un aneddoto...
RispondiEliminaAlla Scuola Allievi Ufficiali, i Diplomati davano del 'tu' a noi Laureati, pensando di farci arrabbiare approfittando della norma militare per cui il 'lei' non esiste tra pari grado. Uno mi sfidò a scacchi ed io accettai: Risultato? Perse, senza neanche poter prendere il numero di targa. Gli dissi: "Ecco, dammi pure del tu, ma questa è la differenza tra te e me".
Ora tu, signor cabriolu, chiamami pure signore, invece che professore, oppure dottore: la differenza resta e se ne accorgono in molti, se non tutti...