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venerdì 14 ottobre 2011

I TUMULI NELLA SARDEGNA PREISTORICA E PROTOSTORICA - 3° e ultima parte


Tumuli e Tombe Megalitiche in Gallura
di Angela Antona

Concludiamo la panoramica sulle sepolture, dopo gli articoli pubblicati i giorni scorsi 1° parte e 2° parte, con la zona gallurese.
Nell’articolato panorama dei fenomeni culturali preistorici e protostorici della Gallura si annovera una serie di monumenti funerari, nei quali il tumulo costituisce una componente determinante. Va precisato che la carenza dei dati di scavo non consente di valutare né la qualità, né l’entità del qualificante
elemento in alcuni dei monumenti presi in esame. Metodologie proprie del tempo a cui risale lo scavo, infatti, spesso non hanno consentito di tramandare fino a noi situazioni chiare o notizie sufficienti a
riconoscere la presenza funzionale o cultuale del tumulo, né le sue caratteristiche. Nel ristretto ambito geografico del quale si parla, il termine »tumulo« va inteso, perciò, nei due significati conferitigli dall’uso: da un lato finalizzato a ragioni di statica delle strutture del sepolcro vero e proprio; dall’altro,
come elemento legato a credenze e rituali, dove finalità pratiche e cultuali risultano strettamente connesse.
I circoli funerari
La comparsa del tumulo appartiene, in Gallura, ad una delle più antiche manifestazioni di architettura
funeraria megalitica presenti nell’isola. Si tratta della necropoli neolitica di Li Muri (Arzachena, SS), scavata da Puglisi e Soldati tra il 1939 e il 1940 33. Essa si compone, come è noto, di una serie di tombe a cista litica, ciascuna originariamente ricoperta da un tumulo del quale resta solo la base di pietre, contenute all’interno di una delimitazione circolare a lastre infisse verticalmente. Piccole ciste per offerte, insieme ai menhir, uno per ogni tomba, inseriti nel cerchio perimetrale del tumulo o esterni ad esso, costituiscono gli elementi del culto. In particolare, nello spazio delimitato fra i punti di tangenza di quattro tumuli, due menhir aniconici ed una cista devono aver assolto la loro specifica funzione
cultuale fino alla costruzione della tomba n. 2 che li ha resi inaccessibili. Cassette per offerte presenti anche in altri punti della necropoli, sempre in posizione esterna ai circoli, fanno pensare che esse, insieme ai menhir, dovessero essere predisposte in funzione dei rituali di sepoltura piuttosto che di successive offerte periodiche. L’ipotesi è suggerita dalla condizione di impraticabilità nella quale dovevano trovarsi i suddetti elementi se, come suggerito da E. Castaldi, la necropoli si doveva resentare, nel suo complesso originario, composta da una serie di collinette l’una all’altra tangenti.
Oltre che riuniti in necropoli, si riscontrano in Gallura anche sepolcri isolati riconducibili al tipo in questione. Un esempio di particolare monumentalità è quello di La Macciunitta, sempre in agro di Arzachena. Anche qui, alcune lastre frammentarie presenti all’esterno del tumulo parrebbero pertinenti ad una cassetta per offerte, mentre sembra da interpretare come menhir un monolito oblungo, ora rovesciato, compreso fra le pietre della base del tumulo. Come si può osservare dalla pianta dei sepolcri galluresi, la loro forma conchiusa implica la non praticabilità del vano sepolcrale una volta deposto il defunto. In considerazione della qualità e quantità dei resti scheletrici rinvenuti e delle dimensioni delle ciste, è stato osservato che dovessero essere destinati ad una, massimo a due inumazioni in deposizione primaria. Il giornale dei lavori del ‘39, redatto da Soldati, descrive con dovizia di particolari lo scavo della tomba n. 4, nella quale fu possibile distinguere due livelli di deposizione,
separati l’uno dall’altro da »sottili lastroni granitici posati orizzontalmente«.
I materiali descritti nel giornale di scavo di Soldati consistono in: teste di mazza in steatite (3 nello strato 1°, 3 nello strato 2°, coltellini in selce ed ossidiana, accettine e piccozze amuleto (rispettivamente 145 e 283), vaghi di collana di varia forma (rispettivamente 90 e 83) e dischetti di lavagna (rispettivamente 36 e 175). Dal 1° strato proviene anche »un lisciatoio in pietra verdognola« con tracce di ocra rossa, la stessa della quale recavano tracce gli »oggettini amuleto«. Dallo strato 2°, un »vasetto in terracotta nerastra lucida, non presenta tracce di decorazione«. I materiali sono conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, in parte esposti.
L’omogeneità dei materiali rinvenuti nei due livelli non consente di stabilire se le due inumazioni possano essere avvenute in un unico momento o distanziate nel tempo. Nell’una o nell’altra ipotesi, sarebbe stato interessante conoscere il tipo di copertura delle ciste funerarie, trovate sempre prive dell’eventuale lastrone superiore38. Per le ragioni esposte in premessa, non è dato neppure sapere se il tumulo potesse essere composto di sola terra o se comprendesse pietrame di una certa entità e se ricoprisse per intero o meno la cista litica. E’ meritevole di attenzione la distribuzione dei cinque circoli che compongono la necropoli: quattro di essi, infatti, risultano in un unico raggruppamento, mentre il quinto è dislocato in posizione isolata rispetto ai precedenti. Una nuova osservazione della tomba 5 ha peraltro evidenziato caratteristiche diverse nell’ambito della stessa necropoli, sia dal punto di vista strutturale che concettuale. Non si tratta, infatti, di una cista litica, bensì di una tomba che per le sue caratteristiche potrebbe essere assimilata alle allèes, ma per le sue ridotte dimensioni sembra più appropriato definire genericamente »a camera«.
) Lunghezza m 2,10; larghezza m 0,80; profondità m 0,60.
Il vano di sepoltura risulta ad una quota inferiore di una sessantina di centimetri dal piano di calpestìo; è scavato, cioè, nel terreno e foderato all’interno con una serie di blocchi appena sbozzati, posti di taglio a formare una pianta rettangolare leggermente ad U. Solo la parete di fondo è chiusa da un unico blocco, mentre una pietra appoggiata superficialmente, e pertanto mobile, segna la chiusura del lato E. Marca, poi, la differenza rispetto alle restanti ciste l’orientamento E-O della tomba.
Insieme a queste caratteristiche, si evidenzia un particolare di fondamentale importanza: la conformazione del tumulo che, sviluppato soltanto su tre lati, lascia libero quello orientale, fatto che potrebbe trovare motivazione nella più agevole possibilità di riapertura della tomba. Fra le pietre del tumulo risultano inoltre ampie porzioni di lastre analoghe a quelle che costituiscono le ciste dei restanti circoli. Questo particolare induce a pensare che il sepolcro a camera possa essere stato costruito in luogo di una cista preesistente. L’ipotesi è rafforzata dal rinvenimento di numerosi vaghi di collana in steatite, della tipica forma ad olivella, disseminati all’esterno della tomba. Non si dispone, purtroppo, di elementi che consentano di identificare il momento di costruzione della seconda tomba, mentre una piccola ciotola in ceramica d’impasto con fondo piano e pareti rientranti, rinvenuta all’esterno, accostata a sinistra dell’ingresso, documenta una frequentazione nell’età del Bronzo medio. Pur in assenza di elementi sufficienti a determinare le differenze di carattere cronologico, l’innovazione della sepoltura multipla, se non collettiva, della tomba a camera rispetto a quella singola delle ciste sottende un cambiamento culturale sostanziale ed avvicina la tomba 5 alle consuetudini funerarie proprie dei dolmen e delle successive allées couvertes. Numerosi motivi di affinità legano l’architettura funeraria gallurese a quella della Corsica, dove un rilevante numero di tombe »en coffre« e di dolmen – sia coperti da un tumulo di cui resta soltanto, come in Gallura, la base di pietre, sia contornati da peristaliti – testimoniano lo stretto legame fra le due isole. Come è noto, infatti, la Gallura occupa l’estremo nord della Sardegna, affacciata sulle Bocche di Bonifacio che la separano dalla Corsica con un tratto di mare di appena otto miglia. Tale distanza, in condizioni meteorologiche favorevoli, si copre facilmente in breve tempo, trasformando il braccio di mare in un trait d’union più che in un motivo di divisione fra le due isole. Non è dunque casuale se Gallura e Corsica meridionale hanno spesso condiviso manifestazioni culturali fra le quali, appunto, il fenomeno megalitico.
Le aree di concentrazione dei monumenti in questione fanno supporre l’esistenza di relazioni strette a tal punto da lasciare intuire una presumibile unità culturale corso-gallurese. Le necropoli di Tivolaggio e Vascolaggio, nella regione di Porto Vecchio e, nei pressi di Figari, i complessi funerari di Poghjaredda – Monte Rotondu (Sotta) (fig. 3) e di Capu di Logu ((Belvedere – Campomoru) presentano infatti caratteristiche strutturali assimilabili a quelle delle tombe di Li Muri. Con queste ultime, quelle di Porto Vecchio condividono anche il tipo di oggetto che caratterizza i corredi funebri: il pomo sferoide in steatite, che insieme alla coppetta dello stesso materiale e ai vaghi di collana ad olivella, su basi
di cronologia relativa portano all’ambito del Neolitico Medio e comunque precedente la cultura di Ozieri.
Pomi sferoidi in pietra verde provengono anche da Su Cungiau de Marcu (cfr. Ferrarese Ceruti 1974, 268; Atzeni 1975, 6).
Questa classe di oggetti fu spesso indicata come elemento comprovante la matrice egea del fenomeno culturale dei circoli (cfr. Puglisi 1942, 135; Atzeni 1975, 49; 1981, XL; 1987, 393; Lilliu 1988, 68). In realtà, la loro presenza è documentata
in contesti del Neolitico cretese, mentre sono del tutto assenti nelle Cicladi (Usai A. 1986, 369). Stringenti confronti sono invece riscontrabili nell’area occidentale (vedi nota precedente) ed in Corsica (Grosjean 1964, 26). Sono inoltre documentati in
contesti della cultura di Ripoli (Radmilli 1974, 360).
E’ nota l’annosa discussione relativa al rapporto fra quest’ultima e la cultura gallurese, particolarmente dopo che la scoperta della necropoli e degli allineamenti di menhir protoantropomorfi di Pranu Muttedu (Goni, CA), riferiti a momenti maturi della cultura di Ozieri, indussero a ricondurre a quest’ultima anche la cultura gallurese.
Un esame puntuale dei due complessi monumentali fa emergere, invece, differenze sostanziali che, pur ricorrendo le caratteristiche del circolo e del presunto tumulo, sottendono diversità marcate anche nei rituali. La semplicità dei tumuli con cista quadrangolare a lastroni ortostatici di Li Muri, compresi entro circoli conchiusi, assolutamente privi di accessi o di suddivisioni spaziali, appare lontana dalle articolate elaborazioni delle tombe di Pranu Muttedu. Queste contengono, all’interno della struttura circolare, domus de janas, celle con portello d’ingresso e fondo absidato, ampie ciste quadrangolari in muratura e camere subtrapezoidali precedute da un’anticella ellittica e da un corridoio d’accesso a lastroni ortostatici. Sostanziale appare l’estraneità, nella necropoli gallurese, del concetto della costruzione ipogeica a domus de janas, che caratterizza invece quella di Goni. Schemi e piante canoniche dell’architettura di Ozieri sono espresse, infatti, negli articolati esempi di domus monolitiche accuratamente scavate e meticolosamente rifinite a martellina. Alle differenze che si rilevano fra le due necropoli in questione fanno riscontro le divergenze nei materiali culturali; ceramiche decorate e manufatti litici restituiti dalle tombe di Pranu Muttedu hanno infatti dimostrato la loro appartenenza alla cultura di Ozieri, ma non trovano confronti con quelli di Li Muri, fatta eccezione per alcuni pomi sferoidi in steatite verde. Del tutto assenti, ad esempio, i vasi in pietra, la cui presenza nei circoli di Arzachena offre indicazioni cronologiche e culturali precedenti la cultura di Ozieri. L’autonomia del fenomeno dei tumuli galluresi rispetto a quest’ultima sembra indicata anche dalle nuove acquisizioni in merito. In particolare, materiali decorati nelle sintassi tipiche di Ozieri, sia da siti abitativi che funerari, hanno ormai dimostrato la diffusione di questa cultura anche in Gallura. L’assenza nei circoli di Li Muri di materiali appartenenti ad essa non sembra perciò trovare valide giustificazioni se non dell’appartenenza di questi ultimi ad un diverso ambito culturale.
L’ipotesi è rafforzata soprattutto dalla recente attribuzione alla cultura di Ozieri dei dolmen e dell’allèe di Luras. Il dato potrebbe confermare l’impressione che l’assenza, in quasi tutta la Gallura, delle domus de janas possa essere motivata dalla maggiore propensione della regione all’adozione del modello megalitico,perché consono al suo substrato culturale; ma soprattutto, perché inserita, insieme alla Corsica, nel circuito europeo del megalitismo occidentale. La presenza del tipo tombale ipogeico, peculiare della cultura suddetta, è infatti limitata alla fascia di territorio gallurese confinante con l’Anglona, dove l’ipogeismo funerario di Ozieri è diffuso nella varietà di forme che lo caratterizzano. Potrebbe non essere esclusa una reciprocità degli scambi ed influssi culturali fra le due regioni confinanti, come può essere suggerito dalla presenza, nel territorio di Perfugas, di strutture a circolo ancora di funzione incerta, di dolmen e di domus de janas con corridoio dolmenico, risultato, queste ultime, della mediazione fra ipogeismo e megalitismo del Neolitico recente55. Non vi sono elementi sufficienti per chiarire la funzione dell’accumulo di pietrame di piccole dimensioni del quale si sono notati i resti attorno ai dolmen di Billella e Alzoledda (Luras, SS). Potrebbe trattarsi, probabilmente, di una sorta di drenaggio delle acque piovane, vista l’impermeabilità del terreno, ma non si può neanche escludere che si tratti dei resti di un tumulo, la cui presenza è attestata nell’isola anche in altri dolmen.
Fanno peraltro supporre la presenza di un peristalite alcuni elementi individuati attorno al dolmen di Alzoledda58. Anche quello di Ciuledda (Luras), interamente appoggiato sul piano di roccia e privo di fondazione, conserva tracce di un accumulo di pietrame. In questo caso, la funzione pratica di rinforzo statico, soprattutto alla base del lastrone di chiusura della parte posteriore, sembrerebbe prevalere su quella prettamente cultuale.
Le tombe di giganti
L’uso del tumulo nell’architettura funeraria appartiene anche alla Gallura nuragica, tanto da indurre a riconoscerne un richiamo ad essa nella diffusa consuetudine di sigillare, con un accumulo di pietrame, le sepolture in tafoni ed anfratti caratteristici del granito. Ma è soprattutto nelle tombe megalitiche, dalle allées couvértes alle tombe di giganti, che il tumulo costituisce un elemento ricorrente, spesso caratterizzato da connotazioni specifiche. Trattandosi di monumenti di grande evidenza, solo motivazioni di particolare significato possono giustificare l’obliterazione, mediante la creazione del tumulo, del corpo della tomba, costituito da solide murature a doppio paramento che compongono un edificio rettangolare con angoli smussati, o con fondo absidato. Il processo evolutivo dell’architettura funeraria che, prendendo le mosse dall’allèe couvérte, giunge allo sviluppo tipicamente sardo della tomba di giganti, è ben documentato, come è noto, nei monumenti di Coddu Vecchju e di Li Lolghi di Arzachena, scavate alla fine degli anni Cinquanta. Nella prima è stata riconosciuta un’allèe couvérte cui è stata aggiunta, in età nuragica, l’esedra. La tomba appare oggi con un paramento murario a vista, attualmente priva del tumulo che la ricopriva. Nella relazione di scavo, però, si legge che questo fu asportato nella misura di »quaranta metri cubi di terra e pietre «. Nell’esempio di Li Lolghi, oltre che dall’esedra monumentale, la maestosità del monumento è ulteriormente accresciuta dal grande tumulo che ingloba un’architettura complessa, frutto di riutilizzazioni ed ampliamenti di strutture precedenti. L’ allèe couvèrte presente nella parte terminale della tomba citata ha conservato anche nella nuova definizione del Bronzo Medio l’originale contorno peristalitico. Alla luce dei dati emersi dagli scavi di altre tombe negli anni successivi, è stato possibile osservare la correlazione fra la collina artificiale del tumulo e le caratteristiche dell’esedra. Nelle differenze strutturali di entrambe sembra di dover riconoscere diversi gradi di evoluzione, attraverso i quali si coglie il maturare dell’esigenza di maestosità che caratterizza l’architettura in questione e che diventa particolarmente evidente nella creazione dell’esedra, sia essa ad ortostati o a filari. In relazione a questa, il tumulo contribuisce ad accrescere il senso di grandiosità complessiva, ma la sua funzione cultuale sembra prevalere su quella inizialmente preminente dell’imponenza, quindi della visibilità. In alcuni casi nei quali è assente la monumentalità dell’area cerimoniale, si ha infatti l’impressione che le due braccia di delimitazione di quest’ultima assolvano la precipua funzione di contenimento del tumulo, evitando il suo dilavamento verso tale area. In questa ipotesi, può essere indicato un esempio nella tomba Moru (fig. 4), il sepolcro del nuraghe Albucciu di Arzachena, dove il senso di maestosità dell’esedra è ben lontano da quello delle tombe prima citate. Si nota, infatti, una certa cura nel taglio e nella disposizione verticale dei blocchi che delimitano l’ingresso e che costituiscono, peraltro, il lato di prospetto del corpo del sepolcro. Le braccia quasi orizzontali dell’esedra sono ottenute, invece, con blocchi appena sbozzati, solidamente affondati nel terreno e rincalzati, privi, però, di qualunque intento di imponenza o, ancor meno, estetico. Le caratteristiche di accumulo »ragionato« del tumulo, costituito da pietrame ben legato nella disposizione degli elementi litici che lo compongono e che lo hanno reso, fra l’altro, duraturo nel tempo, ottengono gli effetti della monumentalità. L’inscindibile connessione fra il tumulo e la struttura dell’esedra trova un esempio particolarmente significativo nelle tomba di giganti di Pascaredda (Calangianus, SS), nell’altipiano di Tempio Pausania, scavata di recente. Si tratta di un monumento ben conservato nelle sue diverse componenti: un corpo rettangolare con angoli smussati, molto simile a quello di Coddu Vecchiu. A quest’ultima tomba è assimilabile anche la tecnica muraria di tipo dolmenico nel paramento interno, a filari in quello esterno. Nella parte terminale del corridoio di sepoltura si ripete, invece, lo schema dello spazio scompartito in due piani da una lastra disposta orizzontalmente a formare una sorta di edicola, analogamente a quanto si riscontra nella tomba di Li Lolghi. L’esedra monumentale è priva della parte superiore della stele, originariamente costituita, probabilmente, da due lastroni sovrapposti come quella di Coddu Vecchiu, benché le linee di contorno e la fascia a bassorilievo della parte residua l’avvicinino maggiormente a quella di li Lolghi. Il corpo della tomba è completamente coperto da un tumulo di terra e pietre che attualmente lascia in vista soltanto la serie di dodici lastroni di granito della copertura. Tale tumulo, dall’aspetto di una collina dai profili obliqui, si appoggia alle lastre verticali dell’esedra, degradando verso i suoi lati. Esso è composto in un innalzamento graduale di pietre ben disposte, coperte di terra che, per dare all’accumulo una maggiore consistenza, doveva essere progressivamente bagnata durante la costruzione, consentendo una maggiore compattazione della massa. Il dilavamento e le manomissioni che la tomba ha subito nel corso dei millenni non consentono di avere certezze sull’aspetto e la consistenza della parte superiore terminale del tumulo. Alcune particolarità emerse dall’osservazione della tomba portano a pensare che l’elemento in questione dovesse giungere fino alla base della copertura, lasciando libera almeno una parte di essa, oppure, che si concludesse superiormente con l’utilizzazione di sola terra per renderne più facile la sua rimozione. L’ipotesi è suggerita dal fatto che fra i dodici lastroni che compongono la copertura, si apre, a circa metà del loro corso, uno spazio nel quale sembra di dover riconoscere una precisa funzione. I due lastroni che lo delimitano, infatti, presentano l’uno la superficie esterna obliqua, sbiecata verso tale vuoto; l’altro una scanalatura trasversale per tutta la sua lunghezza, atta ad accogliere un elemento probabilmente ligneo, che doveva facilitare lo scorrimento di una sorta di botola. Il pensiero corre subito alla poca funzionalità dei minuscoli portelli presenti alla base delle stele delle tombe di giganti, una volta accertato, come è noto da diversi scavi, l’uso della deposizione primaria. Prende dunque consistenza l’ipotesi che la deposizione dei defunti dovesse avvenire dalla parte alta della camera, eventualmente con la rimozione del tumulo limitatamente alla porzione necessaria per la manovrabilità dell’elemento mobile della copertura. A questa ipotesi sembra dare sostegno anche la situazione riscontrata nella tomba Moru, dove i materiali relativi alle ultime deposizioni, riferiti al Bronzo Finale, sono stati rinvenuti nella parte terminale del corridoio di sepoltura, ad una quota sottostante i lastroni di copertura di appena una sessantina di centimetri.
Appare poco probabile, dunque, che tali deposizioni possano essere avvenute percorrendo l’intero sepolcro con i suoi inumati; sembra più plausibile supporre che uno o forse più elementi della copertura tabulare potessero essere facilmente rimossi per consentire le inumazioni. Il sistema riscontrato a Pascaredda potrebbe infatti essere esteso, come principio, anche alle altre tombe di giganti con copertura del tipo suddetto. In questa ipotesi potrebbe trovare spiegazione la frequente mancanza di una precisa sequenza nella disposizione degli inumati notata nelle tombe di giganti di Lu Brandali e di La Testa, pur nella prevalente orientazione dei corpi secondo il maggior asse del corridoio sepolcrale, col cranio verso il fondo e le estremità inferiori verso la parte frontale della tomba. In entrambi i casi citati, inoltre, soltanto nella parte terminale dei rispettivi corridoi sepolcrali, era presente un accumulo di ossa disposte a ridosso del lastrone verticale di chiusura, in evidente deposizione secondaria dovuta, con ogni probabilità, alla necessità di fare spazio alle nuove inumazioni.

L'immagine della tomba Coddu Vecchio ad Arzachena è della redazione.

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