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martedì 11 ottobre 2011

I TUMULI NELLA SARDEGNA PREISTORICA E PROTOSTORICA - 1° parte di 3


Atti del convegno internazionale
Celano, 21-24 settembre 2000

VISIBILITÀ E MONUMENTALITÀ DEL SEPOLCRO NELLA SARDEGNA PREISTORICA E PROTOSTORICA
di Fulvia Lo Schiavo, Mauro Perra e Angela Antona,


La Sardegna, inserita con la Sicilia nel quadro dell’Italia insulare e dell’Europa continentale, si è avvantaggiata delle animate discussioni seguite alle prime due giornate dei lavori. In premessa va precisato che se la prima definizione, che rispetta la natura di grande isola, si attaglia ad ambedue le realtà perfettamente, molto più di quella amministrativa di »Italia meridionale«, i riferimenti archeologici vanno istituiti con il mondo mediterraneo, più che con quello centreuropeo, con il quale in realtà è difficile trovare, per l’antichità, dei punti di contatto non casuali, soprattutto se dall’ambito centreuropeo si differenzia la penisola iberica, che del mondo mediterraneo costituisce il caposaldo occidentale e che con la Sardegna ha molteplici e consolidati legami.
Collocata come si trova al centro del Mediterraneo centro-occidentale, la Sardegna è ormai stata riconosciuta come una pietra miliare per tutte le rotte dall’E e dall’O, e per una sua compiuta ed approfondita valutazione non è possibile fare a meno dei riscontri in ambedue le direzioni: infatti, in ogni circostanza emerge con chiarezza che l’assoluta originalità delle soluzioni che si ritrovano nella Sardegna antica, sono frutto di scelte che dimostrano la conoscenza dei fatti transmarini, e la non adozione, o adozione parziale in minimo o in massimo grado, avviene sempre attraverso il filtro della specificità isolana, dove »isola«, naturalmente, non significa »isolamento«, ma, al contrario, stretta connessione.
Tumuli in Sardegna
di Fulvia Lo Schiavo

Come punto di partenza, scegliamo la definizione di »tumulo« data nel corso dell’intervento di G. Leopardi e M. Cupitò:
»... Per »tumulo« si deve intendere una struttura funeraria costituita da un notevole apporto artificiale di materiali sedimentari, come pietre, ghiaia, terra, accumulati a formare un grande cono, una collinetta, di forma circolare o subcircolare, a volte arricchito da strutture perimetrali, tipo la crepidine, e che ha come caratteristica la monumentalità e la visibilità a distanza. In breve, intendiamo per »tumulo« una struttura monumentale funeraria atta a coprire, quindi contemporaneamente a occultare e a evidenziare, una deposizione sepolcrale, indipendentemente dal fatto che si tratti di una tomba a camera, o di una o più tombe a fossa, a cassetta, ecc.«.
Se dunque si conviene su questo significato, allora in Sardegna dei »tumuli« sono esistiti – forse – solo nel Neolitico della Gallura, e si veda al riguardo il contributo di A. Antona. A questo proposito sarebbe stato fondamentale un inquadramento del fenomeno nell’intera isola, basato su dati di scavo ed osservazioni recenti ed approfondite: il contenuto di questo breve contributo avrebbe dovuto essere quello di creare una sorta di tessuto connettivo fra le esperienze galluresi (A. Antona) e quelle
della costa orientale (M. Perra), in un arco cronologico dal Neolitico all’Età del Bronzo. Il fatto è, però, che per i monumenti scavati e pubblicati – sempre parzialmente – in passato, i dati dei quali disponiamo sono lacunosi e la presenza di un tumulo, anche quando ipotizzabile, non è più in nessun modo dimostrabile. Per gli scavi recenti – e il fatto è ancor più deplorevole – l’inedito fa premio sull’edito. Si tenterà comunque di esporre alcune considerazioni generali, in base alle quali ricercare e valutare i dati archeologici in nostro possesso.
La preistoria
Il concetto di sepolture monumentali e di »visibilità« del sepolcro è ovunque legato a quello di visibilità della morte e del morto, da vivo: in Sardegna, in particolare, l’importanza, l’enfatizzazione del ruolo sociale del defunto si traduce sempre – per quanto conosciamo finora senza eccezioni, salvo forse il »caso Gallura« – in quello del ruolo del gruppo sociale di riferimento. Infatti non esistono sepolture individuali se non in tombe collettive nel più pieno senso del termine, cioè non con una deposizione più importante, circondata da altre in posizione subordinata. Si ha un unico sepolcro, più o meno articolato nel suo interno ma eminente ed emergente nel suo insieme, dove i defunti, appartenenti ad un gruppo parentelare o sociale, vengono deposti senza distinzioni di sesso o di età e soprattutto – per quanto possiamo giudicare dai dati di scavo – rimossi ed accumulati a far luogo alle deposizioni successive. Dunque la visibilità del sepolcro, che è la prima delle funzionalità identificate nel concetto di tumulo, vale non per il singolo ma per il gruppo, e questo talvolta per secoli.
Le »domus de janas« (ovvero grotticelle artificiali) che costituiscono la forma più caratteristica di sepolcri della Sardegna, a partire dal Neolitico Medio avanzato di S. Ciriaco a Cuccuru Arrìus di Cabras (Oristano), fino alla Prima Età del Bronzo di Bonnanaro, ma con prosecuzione di uso talvolta fino all’età nuragica, sono tombe collettive ipogeiche, raggruppate in necropoli spesso in gran numero, delle quali sempre più spesso – per lo più in scavi recenti – si sta scoprendo l’esistenza di una serie di apprestamenti esterni. Particolare attenzione, nei suoi studi sulle domus de janas, G. M. Demartis l’ha dedicata agli esterni: nella Nurra ha puntualmente rintracciato elementi funzionali, come ad esempio canali di scolo, tacche e »pedarole «, eccetera, ed elementi legati alla sfera religiosa, sia incavati nella roccia di base, come fossette o cuppelle, sia monumenti eretti, come pietre fitte, recinti, lastre disposte a trilite. In taluni casi, la commistione di funzioni pratiche e rituali è evidente, così come la fusione di ideologie religiose di matrice ipogeica e megalitica: si pensi, fra gli altri, agli esempi della tomba dell’Architettura Dipinta o di S’Incantu a Monte Siseri, Putifigari, alla tomba I di Santa Ittoria, Ittiri, alla sistemazione complessiva della intera necropoli di Puttu Còdinu, Villanova Monteleone. A maggior ragione il discorso vale per i veri e propri corridoi dolmenici, già in passato osservati e studiati a partire dal territorio di Dorgali e per tutta la Sardegna.
Anche i dolmen risultano impiegati collettivamente, talvolta per un lungo periodo di tempo. Le ultime ricerche confermano non di rado il raggruppamento di più di un sepolcro in un ristretto ambito territoriale. La presenza del tumulo, mai conservato in modo soddisfacente, può essere indiziata dalla presenza di un peristalite, o da tracce residue di pietrame, o dalla stessa organizzazione del terreno9. B. D’Arragon, che ha analizzato sistematicamente gli elementi cultuali: coppelle, vaschette, canalette, fori passanti e nicchie, e gli elementi architettonici secondari: recinti megalitici, peristaliti, tumuli, corridoi e suddivisioni spaziali interne, osserva che molti dolmen presentano un peristalite, mentre pochissimi hanno conservato traccia del tumulo, per cui è possibile che il peristalite avesse una funzione ambivalente, tecnica quando conteneva il tumulo, e religiosa quando fungeva semplicemente da delimitazione sacra fra l’ambito dei vivi e quello dei defunti.
Si può ragionevolmente ipotizzare che, quando esistente, il tumulo raggiungesse ma non coprisse il lastrone di copertura, costituendo non un monumento in sè e per sè, ma un supporto, un complemento alla monumentalità della tomba. È interessante ricordare che nei due soli casi di elementi decorativi presenti sugli oltre 100 dolmen conosciuti finora in Sardegna – Serrese di Sindìa e Crastu Coveccadu di Torralba – questi si trovino sul lastrone di copertura, dunque a maggior ragione il tumulo, qualora, nel caso del dolmen di Torralba, fosse esistito, non doveva obliterarli, anche se in tal modo la visione ne venisse consentita solo alla divinità.
Lo stesso celebre dolmen di Motorra, Dorgali, circondato da un doppio peristalite, ma con la struttura
»esterna« alquanto anomala, con un andamento »a lunetta«, non ha conservato alcuna traccia dell’eventuale tumulo, a differenza del dolmen di Monte Longu, situato sempre nel Dorgalese ma a SE del paese, dove »... tutto all’intorno il terreno è cosparso di piccole pietre di sfaldamento ...« »... probabilmente in origine questo ghiaione doveva costituire il tumulo della sepoltura, avendo come rincalzo non un peristalite ma i picchi naturali che si elevano intorno alle fiancate del monumento e che per la loro vicinanza alla costruzione, che appare compresa fra essi, potevano costituire un valido sostegno«. Ne consegue che alcuni dolmen di particolare monumentalità e raffinatezza strutturale, come il dolmen di Sa Coveccada di Mores, scoperto e senza tumulo, avessero una »vista« esterna, fossero cioè costruiti in modo che l’esterno della struttura litica della camera fosse ben visibile.
La visibilità dei dolmen, già soddisfacente nel caso delle strutture più grandi, doveva essere sottolineata
dallo svettare dei menhir lì presso o di altre strutture deperibili, esattamente come si è osservato per le
necropoli ipogeiche. Non avendo ancora stabilito un grado di riferimento sufficiente fra insediamento e
necropoli – sia essa ipogeica o megalitica – riesce ancora difficile istituire delle relazioni fra questi due tipi di seppellimento contemporanei (almeno dal Neolitico Tardo alla Prima Età del Bronzo), ambedue inumatori quanto al rito, ambedue collettivi, ambedue collegati ad un forte impegno di forza-lavoro e dunque necessariamente riflettenti l’organizzazione sociale che li costruiva e che ne determinava l’uso.
La conferma è data dall’esistenza di forme miste ipogeico/megalitiche, che dimostrano ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che la cristallizzazione di categorie come »ipogeismo« e »megalitismo« è solo dovuta alle lacunose conoscenze ed imperfette ricostruzioni attuali. Un »rotondo peristalite di base a filaretti trachitici«, ad esempio, circonda la tomba a circolo di Masone Perdu di Laconi, dove l’ingresso è segnato da un menhir. E’ dunque legittimo ipotizzare che gli elementi di visibilità che si possono rintracciare per i dolmen, ad esempio il tumulo, possano essere ricercati in buona misura anche in riferimento alle necropoli ipogeiche e, reciprocamente, apprestamenti e sistemazioni riscontrate nell’ambito di necropoli ipogeiche, nonchè strutture di segnacolo piccole e grandi, come i menhir, le pietre fitte, i menhir protoantropomorfi ed antropomorfi, le statue-menhir e le stele, vadano legittimamente ipotizzate anche nelle vicinanze di necropoli megalitiche, tanto preistoriche che, più tardi, protostoriche.
Nella generale carenza di dati, causata in tempi recenti da spietramenti e sistematici sbancamenti di larga parte del territorio isolano, vi sono però alcuni esempi che costituiscono delle conferme eccezionali di queste ipotesi. Il migliore è il santuario megalitico di Goni nella Sardegna centromeridionale, purtroppo non ancora integralmente pubblicato, anzi noto solo da relazioni preliminari. Per Goni, E. Atzeni parla di circoli tombali che rivelano la trasposizione in superfice di schemi planimetrici ipogeici che »sotto i grandi tumuli a peristaliti rotondeggianti talora a gradini di paramento a più ordini concentrici«, presentano al centro ciste o camere, scavate in un unico masso o costruite con filari di blocchi. Ancora una volta, quello che appare è un’architettura costruita ad arte, monumentale di suo ed enfatizzata dalla presenza dei grandi menhir, ma apparentemente non destinata ad essere sepolta da una ingente massa di terra e pietrame, ma al massimo – e limitatamente alle strutture esternamente più rozze – fiancheggiata e sostenuta lateralmente.
Dunque, la monumentalità del sepolcro che in altri ambienti è rappresentata dalla massa del tumulo, in Sardegna è garantita da elaborate strutture megalitiche ed ipogeiche, in un ipogeismo riccamente ornato e riproducente le architetture esterne, quasi che, ben lungi dal coprire, obliterare, seppellire, l’intento fosse quello di creare una osmosi fra l’interno e l’esterno, proiettandola all’infinito verso le divinità celesti.

Domani la 2° parte.
Immagine di brynmawr.edu

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