Diretto da Pierluigi Montalbano

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Associazione Culturale Honebu

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giovedì 25 febbraio 2021

Archeologia della Sardegna, Civiltà Nuragica. Pozzo Sacro Is Pirois di Villaputzu e Pozzo Sacro Funtana Coberta di Ballao.

 Archeologia della Sardegna, Civiltà Nuragica. Pozzo Sacro Is Pirois di Villaputzu e Pozzo Sacro Funtana Coberta di Ballao.

Is Pirois - Villaputzu

Da Cagliari, si percorre la s.s.125 verso Tertenia e al km. 88,4 dopo aver superato il rio S. Giorgio si trova il cartello del Pozzo Sacro. Seguendo le indicazioni si prende una strada sterrata sulla destra e dopo 750 m si supera il fiume e si continua per altri 300 m fino ad arrivare al parcheggio che dista circa 150 m. Il pozzo sacro, ralizzato in scisto, fu edificato intorno al 1200 a.C. nel Sarrabus, al confine tra Villaputzu e Tertenia. Fu scoperto alla fine degli anni Settanta e furono realizzate due campagne di

martedì 23 febbraio 2021

Archeologia della Sardegna. La clessidra nuragica. Articolo di Gustavo Bernardino

 Archeologia della Sardegna. La clessidra nuragica.

Articolo di Gustavo Bernardino



Tra le diverse tipologie di manufatti lasciati in eredità dai nostri antenati nuragici, troviamo le così dette “Capanne delle riunioni” di cui esistono molteplici esemplari sparsi sul territorio isolano.

 Di tali numerosi monumenti archeologici, gli studiosi e gli addetti ai lavori hanno scritto e detto molto, sulle origini e sulle funzioni, come ad esempio ha fatto il fondatore e direttore di questa rivista, Pierluigi Montalbano, con un articolo del 18 maggio 2012 dal titolo “Capanne delle riunioni: architettura dei

lunedì 22 febbraio 2021

Est unu becu e non unu boe s'iscultura de Sant'Andria Priu . È un caprone e non un bue la scultura di Sant'Andra Priu. Articolo di Bartolomeo Porcheddu

Est unu becu e non unu boe s'iscultura de Sant'Andria Priu.  

È un caprone e non un bue la scultura di Sant'Andra Priu.

Articolo di Bartolomeo Porcheddu

(Testo in italiano dopo quello in sardo)

 


Su campu suta Bonorva de Santa Lughia, chi sa festa che ru[gh]et su 13 de Nadale/Idas, die de idillos de luna prena ispigrados in sa terra cando bortat in su chircu de s’annu, est unu de sos logos prus ispantosos de sa Sardigna. In custos terrinos, surcados dae deghinas de ri[v]os chi falant a totu coddu dae su cùcuru de Campeda ispinghende su Riu Mannu deretu a su Coghinas, sos Sardos de su Brunzu ant fra[b]igadu sa règia nuràgica de Santu Antine e, sèculos innantis, in sos montigros de trachite ruja de su matessi colore de sa pedde bestida dae su prìntzipe, ant iscavadu sa tumba de su Re, oje mutida de Sant’Andria Priu, posta a pagu tretu dae sa bena de abba gasada naturale, cussiderada “meraculosa” in

sabato 20 febbraio 2021

Archeologia della Sardegna: Nuraghe Orolo di Bortigali

Archeologia della Sardegna: Nuraghe Orolo di Bortigali

Una delle meraviglie architettoniche dell’età nuragica, molto ben conservata, posto sul bordo di un promontorio del Marghine, a  800 metri d’altezza, sul monte Cuguruttu, domina e controlla la valle del Tirso e tutto il Marghine. Dalla sua sommità lo sguardo abbraccia una vasta porzione di Sardegna centrale, dalla piana di Macomer all’altopiano di Abbasanta, sino al Gennargentu. Il monumento, restaurato nel 1998, è in ottimo stato, realizzato con grandi blocchi di trachite ben squadrati e disposti su filari regolari. Il trilobato presenta una torre centrale a due piani, dal profilo slanciato, alla quale, in epoca successiva, è stato aggiunto, sulla fronte, un corpo bastionato che

giovedì 18 febbraio 2021

Archeologia della Sardegna. Nuraghe Lugherras, Paulilatino.

Archeologia della Sardegna. Nuraghe Lugherras, Paulilatino.


Costruito nella Sardegna centro-occidentale, ha mole imponente e riuso come tempio in epoca punica e romana. Il nome deriva dalle migliaia di lucerne votive ritrovate nella sua torre principale, che in epoca punico-romana fu adattata a santuario di Demetra e Kore, dee della fecondità. E’ uno dei ben 110 censiti nel territorio di Paulilatino, sorge sul ciglio di un pianoro, tra bagolari e querce, a circa sei chilometri dal paese, raggiungibile dalla provinciale 11 in direzione Bonarcado. Un tempo fu edificio strategico a otto torri. Nel 1906 fu scavato dal Taramelli. E’ un nuraghe polilobato, con tre sezioni erette in periodi diversi. In origine era un monotorre realizzato nel Bronzo recente (XIV-XII secolo a.C.); attorno al mastio, tra Bronzo finale e inizio età del Ferro (XII-IX a.C.), fu costruito un bastione con tre torri angolari, raccordate da sinuose cortine murarie, che racchiudono un cortile; una quarta torretta fu aggiunta come rinforzo, modificando lo planimetria, detta ‘a tancato’. In una terza fase, in piena età del

sabato 13 febbraio 2021

Associazione Culturale Honebu. L'archeologo Momo Zucca illustra l'argomento: "Centauri Bronzei della Sardegna", un approfondimento su alcuni bronzetti sardi che appartengono alla sfera mitologica della civiltà nuragica

Associazione Culturale Honebu.

L'archeologo Momo Zucca illustra l'argomento: "Centauri Bronzei della Sardegna", un approfondimento su alcuni bronzetti sardi che appartengono alla sfera mitologica della civiltà nuragica.

Video su youtube al link https://youtu.be/pBk9LThlxy8



Nella bronzistica sarda di epoca tardo nuragica sono rappresentati guerrieri, sacerdoti, animali, offerenti e altri personaggi. Fra questi bronzetti, alcuni spiccano per la particolarità di appartenere alla mitologia. In diretta, l'archeologo Momo Zucca racconta del Minotauro di Nule e di altri straordinari bronzetti che sono a metà strada fra umani e divinità. Imperdibile serata organizzata da Honebu e dedicata a tutti gli appassionati dell'antica storia sarda.


Video su facebook al link: https://www.facebook.com/pierluigi.montalbano/videos/3861817710550400

martedì 9 febbraio 2021

Un saluto ad Alessandro Bedini dalla Sardegna. (Nota di Giovanni Ugas)

Lutto nel mondo dell'archeologia.
E' mancato lo studioso Alessandro Bedini, già funzionario della soprintendenza archeologica di Cagliari, e poi delle soprintendenze di Firenze, di Roma e di Ostia.
Nel 1975 fu incaricato dello scavo di Monte Prama.

Un saluto ad Alessandro Bedini dalla Sardegna.

(Nota di Giovanni Ugas).


È con grande dolore che scrivo questa nota perché a Roma, il 5 febbraio 2021, dopo un  grave malattia, un tumore incurabile, ci  ha lasciato Alessandro Bedini che i Sardi conoscono per essere l’autore dei primi scavi scientifici nell’importantissima necropoli di Monte Prama di Cabras. Alessando è stato uno studioso formidabile, un funzionario integerrimo e per me un amico fraterno.

                È nato a Kossa in Etiopia l’8 Febbraio 1941 e la sua vita è una piccola odissea.  Rientrato con i genitori, ancora bimbo, a Carrara, dove si trovavano i parenti di origine valdese, all’età di due anni perde la mamma ed è allevato da una zia, la stimatissima zia Vally, poi trasferitasi a Roma. Qui abitavano inizialmente nel quartiere di Monte Sacro, in via Abetone, e poi avendo ereditato un appartamento dalla nonna, si trasferì insieme alla zia in via Della Consulta, una traversa di Via Nazionale a qualche decina di metri dal Quirinale, il palazzo del Presidente della Repubblica.  

Gli studi universitari a Pisa, la Scuola Archeologica d’Atene e le prime ricerche

Alessandro, Sandro per gli amici, ha compiuto gli studi universitari di Lettere Classiche a Pisa dove si è laureato con una tesi in Archeologia e Storia dell'Arte greco-romana. Si è formato alla scuola del prof. Paolo Emilio Arias, docente alla Normale di Pisa, fondatore della Scuola speciale per archeologi e socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei.

                Dopo la laurea, ha frequentato la Scuola archeologica italiana in Atene e ha intrapreso le sue prime ricerche sul campo tra le quali figurano quelle condotte insieme a Piero Guzzo alla fine degli anni ’60 in Calabria, a Sibari, sui resti della famosa città della Magna Grecia. Da queste indagini nascono nel

lunedì 8 febbraio 2021

Archeologia. Notiziario sugli scavi e restauri delle aree archeologiche delle città distrutte dall’eruzione vesuviana del 79 d.C., gestite dal Parco Archeologico di Pompei. Recensione di Felice Di Maro

Archeologia. Notiziario sugli scavi e restauri delle aree archeologiche delle città distrutte dall’eruzione vesuviana del 79 d.C., gestite dal Parco Archeologico di Pompei.

Recensione di Felice Di Maro


L’Associazione Internazionale Amici di Pompei, oltre che la casa degli studiosi, è un riferimento scientifico imprescindibile per chi vuole approfondire e studiare la città antica di Pompei, il suo suburbio e tutte le altre città vesuviane. Era il 13 luglio del 1955 quando Amedeo Maiuri, Soprintendente archeologo della Campania, con un atto presso il notaio Romolo Scivicco registrato a Napoli il 16 luglio 1955 (n.1555) fondò quest’associazione. I soci fondatori, oltre ad Amedeo Maiuri, furono Francesco Sbordone, Olga Elia, Domenico Mustilli, Mario Napoli, Giovanni Oscar Onorato e Attilio Stazio. L’art. 2 dello statuto ha sempre imposto che lo scopo dell’Associazione sia sempre quello di promuovere:

 "la migliore conoscenza di Pompei, l’incremento degli studi e degli scavi pompeiani, nonché la conservazione dei monumenti dell’antica città".

La Rivista pubblica contributi di archeologi e studiosi di storia e arte, molto importante è la sezione del Notiziario che, di anno in anno, dà conto degli scavi e/o delle attività scientifiche svolte dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, oggi Parco Archeologico di Pompei, attraverso i propri uffici periferici, o da Istituti Universitari o di Cultura italiani e stranieri. L’Associazione non ha

sabato 6 febbraio 2021

lunedì 1 febbraio 2021

Archeologia della Sardegna. “Su corpu' e conca”, l'arma segreta degli Shardana? Articolo di Gustavo Bernardino

 Archeologia della Sardegna. “Su corpu' e conca”, l'arma segreta degli Shardana?

Articolo di Gustavo Bernardino

 


 A guardare le immagini dei bronzetti raffiguranti guerrieri Shardana, viene naturale porsi delle domande su come poteva essere davvero vissuta la vita di un militare di allora. Prendiamo ad esempio un arciere con l'elmo cornuto e proviamo a capire che ruolo poteva avere in ambito militare. Se possedeva un arco ovviamente era un arciere, ma l'elmo cornuto che funzione aveva, posto che non tutti gli arcieri dei bronzetti hanno l'elmo cornuto? Una prima considerazione può portarci a pensare che esistessero diverse etnie e conseguentemente differenti abbigliamenti, ma il caso preso in esame richiede comunque delle risposte.

Forse è necessario entrare in uno specifico ambiente militare e cercare in questo ambito di trovare la soluzione. Come abbiamo visto il personaggio in esame ha un'arma di offesa (l'arco) e uno strumento di protezione (l'elmo). E' difficile pensare che l'elmo servisse per proteggere dalle frecce lanciate dagli avversari, è più probabile ritenere che l'elmo servisse per parare eventuali colpi di spada e in questo caso però si deve prendere in considerazione l'ipotesi di un possibile coinvolgimento nel corpo a corpo. Se fosse giusta questa osservazione ne deriverebbe una prima interessante immagine dello svolgimento di una battaglia. Infatti si possono intravedere due precise azioni militari: la prima nell'utilizzo dell'arco che aveva il compito di eliminare un gran numero di nemici tenendosi a distanza da essi. La seconda in cui le parti contendenti entravano a contatto diretto che richiedeva, perciò, l'uso della spada. In questa fase, del corpo a corpo, giocavano un ruolo fondamentale diverse componenti: la fisicità (altezza, robustezza, forza, agilità, ecc.)la velocità di pensiero e decisione, l'esperienza e soprattutto la preparazione. Ma esistono documenti da cui si può ricavare la giustezza di tali ragionamenti? Per fortuna si.

 
L'immagine (presa da internet) rappresenta un momento della battaglia di Qadesh, combattuta dal Faraone Ramesse II contro gli Ittiti guidati da Muwatalli II, in cui per amissione dello stesso faraone, i soldati Shardana hanno avuto un ruolo importante.

Questa immagine è preziosa perché permette di capire come fosse essenziale per (i valorosi Shardana) indossare il casco cornuto, che era ben saldo nella testa tenuto da un sottogola, come  evidenziato nella immagine scolpita nel tempio di Luxor e che probabilmente svolgeva due funzioni simultaneamente. La prima, la più intuitiva, è quella di proteggere il capo dai colpi di spada o di altri corpi contundenti, la seconda invece è meno evidente ma, a mio parere plausibile, consentiva al guerriero Shardana di colpire il nemico con il classico e tradizionale (per i sardi) “corpu' e conca”, che essendo, appunto, armata delle corna poteva essere decisiva nello scontro a due. Per dipiù, siccome le corna erano un simbolo sacro che rappresentava una divinità, come vedremo più avanti, l'elmo svolgeva oltre alla funzione protettiva tecnica già descritta, anche una protezione divina che assicurava, probabilmente, al nostro guerriero, la garanzia di un contributo celeste per eliminare l'avversario.

Sul significato delle corna, è interessante leggere quanto scrive al riguardo Salvatore Dedola nel cap. 10.3 del volume II dell'Enciclopedia della Civiltà Shardana (Grafiche del Parteolla 2018, pagg. 72/73):”Vi è continuità nella tradizione delle narrative orali tra Canaan e Israele, anche sul piano religioso: è infatti Ilu/El-Yahweh il dio che assicura eredi, benedicendo i suoi fedeli e rivelandosi in sogni oracolari; è Ilu-El-Yahweh che nel così detto “Ciclo di Giacobbe” assume il titolo di “Toro di Giacobbe”, in perfetta linea quindi col titolo di “Toro” che Ilu aveva ad Ugarit. Lui è quel “Dio dei padri” i cui luoghi di culto erano Bet'el e, in epoca pre-monarchica (XII sec.), Dan (Gdc 18, 30) in Galilea, centro di irradiazione della cultura cananea e punto di incontro delle epiche di Ugarit con le narrative patriarcali del Genesi.

La Bibbia e pure il Nuovo Testamento non risparmiano i passi dove le corna sono bellamente rappresentate. Nell'Apocalisse 5,6 l'agnello ha sette occhi e sette corna. E pure Mosè scende dal Monte Sinai (Es 34, 29 sgg) con due corna sul capo. Questo passo è talmente sconvolgente per gli Ebrei ortodossi, che la Bibbia Ebraica (es. quella del rabbino Dario Disegni) trascrive il termine come 'viso risplendente' anziché 'viso cornuto'...” Dedola continua la sua esposizione con sapiente e ampia argomentazione per spiegare il “raffinato gioco di sotterfugi intessuto da millenni dagli Ebrei, i quali non potranno mai ammettere che proprio Mosè, il rigoroso promotore del Primo Monoteismo Universale, indossasse le corna al pari di ogni sacerdote, o re, dei popoli “pagani”...”

Riguardo alla divinizzazione del Toro e al culto che lo ha venerato per oltre 2.000 anni, ho ampiamente argomentato in un articolo del 6/12/19 ( in questa rivista ) in cui, appunto, ho evidenziato come fosse rilevante questa figura celeste nella vita dei nostri antenati a partire dall'eneolitico. L'immagine del toro la troviamo riprodotta in epoca  tarda nelle dimore dei defunti. Un esempio significativo è quello delle “domus de janas” di Museddu a Cheremule.

 

L'ingresso di questa costruzione sepolcrale realizzato a forma di protome taurina, forse concepito in funzione del valore simbolico, doveva probabilmente illuminare (scaldare) il corpo del defunto per consentirgli di raggiungere l'aldilà.

Tornando agli Shardana ed all'uso dell' elmo cornuto, ritengo che fosse loro consuetudine utilizzare nel duello il “ corpu' e conca” per le ragioni innanzi esposte che trovano fondamento anche nella osservazione delle naturali abitudini dell'animale Toro. E' risaputo infatti che la bestia, affronta il nemico colpendolo con la testa.