Come in cielo...così in terra, l'architettura sacra.
Articolo di Pierluigi Montalbano
In tutte le architetture antiche esisteva una sub struttura del progetto, ed era basata su geometria e matematica, e queste erano il fondamento delle due culture più importanti del passato: quella sumerica e quella mesopotamica, sorgenti originarie di altre culture come quella egizia. Quegli ingegneri erano portatori di civiltà, menti eccelse cui si devono i più importanti sistemi di regimazione delle acque. Leonardo da Vinci, nel suo Trattato della Pittura, scrisse che per questi architetti la città e il territorio erano uno spazio mentale, e ricercavano il progetto della forma nella sua struttura matematica. Erano mondi ricchissimi di geometria e di
numeri, come testimoniano le descrizioni di monumenti come, ad esempio, il Tempio di Salomone a Gerusalemme. Esprimevano pensieri precisi sugli Dei, sulla Creazione, sulla Natura e su cosa è la Terra in relazione al Cielo e al Cosmo. Tutto questo pensiero era tenuto insieme dalla visione matematica della struttura dell’Universo che doveva essere replicata sulla Terra: come in Cielo, così in Terra. Tutti gli architetti antichi esprimevano un linguaggio per simboli con numeri e figure geometriche, formando l’Architettura dell’uomo, ricercandone l’armonia. Questo progetto fatto di numeri era il metodo corretto per entrare nella Natura, per capirne i misteri e i segreti. Platone parla di geometria come di unico elemento dell’Universo che è riprodotto fedelmente sulla Terra, e ciò che resta nel territorio è la geometria, e la chiave di lettura è il rapporto 5 su 3, misura che troviamo nelle architetture egizie e mesopotamiche, il rettangolo perfetto che troviamo anche nella descrizione che Vitruvio fa del Tempio Etrusco, una doppia simmetria longitudinale e latitudinale che descrive in due parti il Tempio: casa di Dio in Terra e casa di Dio in Cielo. L’immagine più rappresentativa di questa ideologia sacra è il Giudizio di Osiride: il momento della fine della vita terrena e il passaggio alla morte, alle soglie dell’ingresso nell’Aldilà, messo in scena dalla pesatura delle anime. Tutto ciò viene espresso da forme geometriche che si traducono in numeri sacri che rendono la visione del passaggio continuo di una forma nell’altra, con il quadrato che diventa cerchio o il cerchio che diventa quadrato. Il quadrato è la prima espressione del modulo universale dell’architettura che descrive il mondo terreno. Il cerchio è, invece, rappresentazione del Cielo, del mondo delle divinità. Questi due moduli, il quadrato e il cerchio, si ritrovano in tanti monumenti, dal mondo egizio a quello miceneo, dalla Sardegna fino all’Etruria, e consentono che l’architettura esprima il passaggio dell’anima dalla Terra al Cielo. Le due figure geometriche sono la macchina per fare andare l’anima in cielo e si materializzano nella cupola circolare impostata sulla camera, luogo di arrivo del dromos, il corridoio sacro dove l’anima si purifica, posto a conclusione del percorso della vita. In Sardegna c’è una fase più antica di questa ideologia geometrica, quella delle domus de janas, luoghi in cui a volte si trovano dei “falsi pilastri”, spogliati di ogni funzione statica, che si sollevano dal pavimento e rappresentano l’Asse della Terra attraverso cui scorre il fluido che viene dal Cielo verso la Terra, e l’anima dei defunti può percorrere questo fluido per risalire in cielo.
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