Sardegna antica. Riflessioni sull'etimologia del termine nuraghe
Articolo di Zoltan Ludwig Kruse
Nell'immagine il nuraghe Ponte di Dualchi.
La meravigliosa terra di Sardegna che ebbi occasione
di conoscere, ammirare e amare è ricchissima di monumenti megalitici: tombe di
giganti, nuraghi, pozzi sacri, dolmen, menhir e, come unicum nell’Europa
occidentale, una torre a gradoni assai similare alla famosa ziqqurratu mesopotamica. Tra tutti questi
prevalgono in maniera netta i nuraghi. Dopo aver
presentato i messaggi che i nomi parlanti “Domus de Janas/Bajanas” e “Monte
d’Accodi” rivelano, in questo studio intendo indagare sull’etimologia del
termine archeologico nuraghe.
Il nuraghe è una imponente costruzione in pietra, evidentemente megalitica, realizzata in muratura a secco di forma tronco conica della civiltà nuraghica del II mill. a.C. Il nuraghe costituisce effettivamente l’emblema della Sardegna. Secondo il parere della maggioranza degli studiosi il termine sardo nuraghe/nuraghes con le varianti dialettali nuràke, nuràxi, nuràcci, nuràgi, naràcu deriverebbe dalla
voce akkadica nūru significante “luce, lampada”, ricorrente anche in ebraico nur “fuoco”, nura “lampadina, incandescenza”.Altri studiosi sostengono ultimamente, invece, una
derivazione iberica del termine nuraghe dalla
voce spagnola nurra significante “cavità”,
“mucchio di pietre”.
Il linguista Massimo Pittau da canto suo
sostiene che: «nurache, nuracche, nuracu, nurahe, nuraqe, nuraghe, nuraxi,
nuratzu, muraghe, runache, runaghe “nuraghe, edificio polifunzionale e
cerimoniale, di carattere e valore religioso e civica” (entro e attorno al
quale si svolgevano, in un clima di piena religiosità, tutte le funzioni
sociali della tribù: nascite, pubertà, matrimoni, malattie, morti, morti per
fulmini, paci o guerre, carestie, siccità, pestilenze degli uomini e del
bestiame, sogni, aspettative future, in maniera particolare il rito della “incubazione”
e quello connesso del’“oracolo”; in pratica il nuraghe era la “chiesa
parrocchiale” e insieme la “casa comunale” della tribù.)» […] «Rispetto alla
base nura/mura “catasta, mucchio di pietre, muriccia,
muro” e pure “nuraghe” l’appellativo nurache/muraghe risulta
essere un aggettivo sostantivato e il suo significato originale sarà stato
“(edificio) murario” oppure “(torre) in muratura”.» […] «Contrariamente a
quanto avevo sostenuto altre volte, dubito che nurache sia da connettere con
nurra “mucchio” e “cavità”, dato che il primo appellativo ricorre sempre con
la -r- debole, mentre il secondo sempre con la -rr- forte.»
Sono certamente delle informazioni preziose queste.
Eppure esse hanno la debolezza di limitarsi alla prima parte nuru/nurra del termine nuraghe e tralasciare la seconda -ghe, che però non è affatto meno importante della
prima.
Il glottologo Salvatore Dedola da parte sua prende in
considerazione anche la seconda parte -ghe, spiegando
l’etimologia del termine nel modo seguente: «nuráki sd. “nuraghe” < sum. nu
“creatore”, “sperma (divino)”, “fulgido”, “splendente” (v. eg. Ra “Sole che
splende”) + ki “place, earth” = “sito di Ra Creatore”. Questo vocabolo è
autoctono della Sardegna, al pari di log. nuraghe dove si sostituisce -ki con
ghe, evidenziando così il radicale sum. ĝa “house”, ge “shape” (ghe; “an
architectural term”); quindi nel caso del Logudoro il significato fu “forma,
edificio di Ra Creatore”. Insomma, i nuraghes erano dei monumenti al Dio Sole,
epifania di Ra (egizio), di Eli (semitico) che rappresentavano il dio Sommo.»
Consultando il “Manuel d’Épigraphie Akkadienne” di R.
Labat a proposito della voce akk. nūru si
rinviene che essa risale a sua volta alle voci: NU11 (Labat, Deimel s. no. 71),
akk. nūru, “luce”, PIRIG3 (L., D., s. no. 130), akk. nēšu, “leone”, IZI-GAR, IZI (L., D. s. no. 172),
akk. išātu, “fuoco, infiammazione” (cfr. mag. izzik “arde, essere incandescente”, izzít “rende incandescente”, izzó “incandescente, ardente”), IZI-GAR,
akk. dipāru, “fiaccola, torcia”, IZI-AN-BIR8, akk. anqullu, “fenomeno luminoso”, ZALAG2 (L., D. s. no.
393), akk. namāru, “brillare”, namru “brillante/ splendente”, nummuru “illuminare”, nūru “luce, chiarezza”, d UTU dio Šamaš, il “Sole”, contenute nel lessico kingir/šumero.
È ovvio, quindi, che akk. nūru “luce, lampada”, insieme alla rosa di valori
semantici affini išātu “fuoco,
infiammazione”, anqullu “fenomeno
luminoso”, namāru “brillare”, namru brillante/ splendente, nummuru “illuminare”, nūru “luce, chiarezza”, d UTU dio Šamaš il “Sole” c’entri nell’ etimologia del
termine nuraghe. Tuttavia ciò rappresenta solo una parte,
quella più appariscente, immediata del complesso semantico proprio al termine.
Per rinvenire gli altri suoi aspetti occorre approfondire l’indagine
etimologica. Il soggetto chiave che permette tale approfondimento è l’ovvia
coincidenza dei nomi nuraghe e Nergal che presentano in maniera evidente la
stessa struttura consonantica: nrg(l) – nrgl. Il
termine sardo nuraghe costituisce
praticamente una forma lievemente variata del nome del dio Nergal/Nirgal. Ner varia
in nur, quindi e > u, che viene allargata con la vocale a con cui viene sciolta la successione
consonantica rg; mentre gal varia in ghe, cioè a > e con caduta
della l finale. Per comprendere meglio il senso del
termine nuraghe sarà utile svelare il mondo e le qualità
del dio Nergal, “ardito” sovrano degli Inferi del pantheon
kingir/šumero e patrono delle anime-ombra degli “eroi” defunti per la difesa
delle proprie cerchie famigliari e della propria terra. Il culto di Nergal/Nirgal in antichità era largamente diffuso
e praticato.
Nirgal/Nergal
Sappiamo bene che la vasta cultura dei Kingir/Šumeri,
inclusa la scrittura cuneiforme, ha irradiato pressoché tutto il mondo antico.
Dobbiamo tener conto del fatto che per quasi due millenni il kingir/šumero fu
la lingua generale del culto, dell’educazione e dell’amministrazione; ruolo che
più tardi nel Impero Romano ebbe il latino. In origine Nergal fu un dio celeste che per una serie di
vicende, di cui narra il poema Nergal e Ereškigal,
finì per sposare Ereškigal (lett. “Signora
della grande Terra”), potente Sovrana degli Inferi, assumendo così il ruolo di
Sovrano degli Inferi. In riferimento al culto del dio Nergal è assai informativa l’informazione offerta
dal Wikipedia tedesco: «Nel periodo persiano la venerazione di Nergal è documentata tra l’altro in Cilicia [Asia
minore, di fronte alla costa settentrionale dell’isola di Cipro]. Una moneta
del 420 da Tarsus porta l’iscrizione aramaica: nrgl trz “Nergal
di Tarsus”. Essa mostra il dio con uno scettro in una mano e un arco nell’altra sul dorso di un leone. Una moneta di
una età più tarda mostra Nergal in
costume persiano con un’ascia bipenne. In relazione ellenistica Nergal fu equiparato sia con Herakles/Eracle che con Hades/Ade. Il culto di Nergal-Herakles è
documentato a Hatra e Palmyra. A Hatra l’animale simbolo assegnato a Nergal- Herakles sembra
essere il “cane” [mag. kutya]. Come in
tempi precedenti, Nergal fu anche il guardiano/protettore
delle porte della città.»
Al dio ctonio Nergal/Nirgal erano
attribuiti gli effetti negativi del “Sole” UTU, akk. Šamaš, come “calore ardente” (cfr. šum. IZI /
mag. izzó), i “giorni della canicola”, il fuoco degli
incendi ecc.
Il termine kingir/šumero KUR.NU.GI4 significa “Terra
senza ritorno” o “Terra del non ritorno” e designa quindi il regno dei defunti.
Qui è da notare che la parola-seme iniziale KUR (L., D. s. no. 366) è
polisemica; i suoi significati principali sono: “montagna”, “ematite”, “paese”,
“inferi”, “brillare, apparire”, “fiammeggiata, levata di un astro”. Il
mondo infero Kurnugi è circondato dal
fiume Ḫubur e ha sette porte. La prima è
denominata Ganṣir o anche IGI.KUR.RA
“occhio del mondo infero/sotterraneo”. Secondo il mito “La discesa di Nergal
nel mondo infero” (ted. “Nergals Gang in die Unterwelt”) le altre “porte” (cfr.
šum lú KAD, L. s. no. 90, “portiere”; mag. gát “diga”, kút “pozzo”, köt “collega,
connette”, kötő “connettore”,
ingl. gate “porta, valico” – Kodi/Akkoddi) sono
chiamate: Nedu, Enkišar, Endašurimma, Enuralla,
Endukuga, Endušuba e Ennugigi.
A questo punto della nostra indagine accogliamo i vari
nomi che indicano il dio Nirgal/Nergal, sovrano degli “Inferi” – in šum. Irkalla rispettivamente Kurnugia “Terra del non ritorno” – e sposo della
dea Ereškigal, “Signora della grande Terra”, contenuti nel
lessico kingir/šumero:
NIR, NIR-GÁL (L., D. s. no. 325), akk. etellu, “fiero, orgoglioso”, “eroe”, akk. mal(i)ku, “principe”, akk. tukultu, “aiuto”; NIR-GÁL, akk. takalu, “(af)fidare, (con)fidare, (af)fidarsi”;
GIR4 (L., D. s. no. 430) “focolare, forno”, d GIR4-KÙ
dio Nergal;
MAŠ (L., D. s. no. 74) “croce”, “metà”, d MAŠ
dio Ninurta/Niburta, d MAŠ-MAŠ dio Nergal;
NÈ (L., D. s. no. 444) “forza”, fiancheggiata da ÙG,
akk. labbu, “leone”, akk. aggu, “furioso”,
d NÈ-IRI11-GAL dio Nergal;
U-GUR (L., D. s. no. 417), akk. namṣāru, “spada”, d U-GUR dio Nergal;
URU3 (L., D. s. no. 331), akk. naṣāru, “sorvegliare, proteggere” (cfr. aeg. iri “guardiano”, iri-aa “portiere/protettore
della porta”, mag. őr “guardiano”, néző-őr “guardiano vigilante / che guarda”),
lú URI3-GAL, akk. urigallu “tesoriere” (lett.
“guardiano-grande”), d URI3-GAL dio Nergal, gi URI3-GAL,
akk. urigallu, “capanna” (per purificazioni rituali),
“emblema, stendardo”.
Questa ricca fonte semantica che contrassegna il dio “ardito” Nirgal/Nergal offre delle indicazioni relative alle valutazioni espresse da Giovanni Lilliu riguardanti l’etimologia del termine nuraghe. Vediamo e ascoltiamo in che modo: «Questo termine, specie nel secolo XIX, fu messo in relazione con la radice fenicia di nur, che vuol dire fuoco, e fu spiegato come fuoco nel senso di dimora o di tempio del fuoco, [cfr. GIR4, L., D. s. no. 430, “focolare, forno”, d GIR4-KÙ dio Nergal] con riferimento a culti solari [cfr. ZALAG2, L. no. 393, akk. namāru, “brillare”, namru brillante/ splendente, nummuru “illuminare”, nūru “luce, chiarezza”, d UTU dio Šamaš, il “Sole”] che si sarebbero praticati sulla terrazza delle torri nuragiche. Oggi, invece, i filologi propendono a considerare il vocabolo nuraghe come un reliquato della parlata primitiva paleomediterranea, da ricollegarsi col radicale nur e con le varianti nor, nul, nol, nar etc.: radicale largamente diffuso nei paesi del Mediterraneo, dall’Anatolia all’Africa, alle Baleari, alla Penisola iberica, alla Francia, col duplice significato, opposto ma unitario, di mucchio e di cavità. Il vocabolo stesso poi indicherebbe non la destinazione ma la speciale forma costruttiva del nuraghe, il quale vorrebbe dire appunto mucchio cavo, costruzione cava, torre cava, [cfr. gi URI3-GAL, akk. urigallu, “capanna” (per purificazioni rituali)] a causa della figura turrita del suo esterno, fatta per accumulo di grossi massi, e per la cavità cupoliforme dell’interno.»
Anche la spiegazione offerta al pubblico nell’articolo
“Nei castelli dei re pastori” (Bell’Italia no. 7 – Sardegna, 1996) ottiene il
suo necessario appoggio semantico: «C’è ormai chiarezza, invece, sul ruolo e
sulle prerogative di queste torri a forma di secchio rovesciato. Sono state la
reggia di signori [cfr. NIR, NIR-GÁL, L., D. s. no. 325, akk. etellu, “eroe”, akk. mal(i)ku “principe”]
che dominavano piccole tribù, luoghi dove il culto religioso e le esigenze
militari sapevano coesistere, posti di “vedetta” [cfr. URU3, L., D. s. no. 331,
akk. naṣāru, “sorvegliare, proteggere”; aeg. iri “guardiano”, iri-aa “portiere/protettore
della porta”, mag. őr “guardiano”, néző-őr “guardiano vigilante/che guarda”] e
risorsa difensiva. Erano il baluardo che proteggeva dagli attacchi i membri più
deboli della comunità, trasferiti al riparo delle mura di pietra quando era
minacciato il villaggio in cui abitavano. Una costellazione di capanne [cfr. gi
URI3-GAL, akk. urigallu, “capanna” (per
purificazioni rituali)], infatti, trovava nel nuraghe il suo
centro di gravità.»
Un considerevole e valido appoggio arriva da una ampia
sfera di vocaboli del lessico magyar/ hungherese, che si rivelano assonanti e
semanticamente affini alla parola-seme arcaica NIR “fiero”, “eroe”, “principe”,
“aiuto” e quindi anche al nome Nergal rispettivamente Nuraghe.
Si tratta di: nyer [ŋɛr]
“vince” con i derivati nyers [ŋɛrʃ]
“rozzo, grezzo, crudo”, nyert [ŋɛrt]
“vinto”, nyertes “vincitore, vincente, vittorioso”, nyerés [ŋɛre:ʃ] “estrazione (vincente)”, nyereség [ŋɛrɛ:ʃe:g] “rendita, rendimento”, nyeremény [ŋɛrɛme:ŋ] “vincita, premio, vantaggio,
profitto, guadagno, utile, provento, ricavo”; della (sua) variante affine nyár [ŋa:r] “estate” (calura estiva di luglio,
all’Àrdia di Sedilo, e agosto, all’Àrdia di Desulo; la forza di dio “Sole” UTU
è al suo apice) e nyári nyerő erő [ŋa:ri ŋɛrø: ɛrø:]
lett. “estiva vincitrice forza” / “forza vincitrice estiva” (un particolare
assai interessante in questo esempio è che erő “forza” sia
contenuta in nyerő “vincitrice”); come
anche della (sua) altra variante affine nyír “tosa(re),
taglia(re)”, con i suoi derivati: nyírás “tosatura,
taglio”, nyírbál “tosa(re)/ taglia(re)
intorno/attorno”, ki-nyír “taglia(re)/fa(re)
fuori” ecc.; infine affine a nyer e nyír “vince” – “tosa, taglia” è la
parola-seme nyíl “freccia”, con i
derivati nyílik “si apre” (la ferita), nyílás “apertura”, nyilas “arciere”,
lett. “munito di freccia”, (astr.) “Sagittario”, nyilallás “fitta, frecciata”, nyilallik “punge(re) (il dolore lancinante)”. Un
chiaro riferimento al “cavallo” mag. ló, cavalcato dal
“vincitore arciere” nyerő nyilas,
dimostrano invece le voci: nyereg [ŋɛrɛg]
“sella”, nyerges [ŋɛrgɛʃ] “sellato”, nyergel [ŋɛrgɛl] “sella(re)”, nyergelés [ŋɛrgɛle:ʃ] “(il) sellare”, nyerít [ŋɛri:t] “nitrisce (nitrire)”, nyerítés [ŋɛri:te:ʃ] “nitrito”, e, di importanza
straordinaria, la suggestiva voce nyargal [ŋɒrgɒl]
“galoppa(re), corre(re) a cavallo (selvaggiamente)”, poiché rivela una ovvia
assonanza al nome del selvaggio e ardito dio degli Inferi Nergal che cavalca un cavallo/destriero nero.
Ecco qui seguire due esempi di applicazione
informativi:
A nyilas
ellenfeleit nyillal nyírja ki –
trad. lett. “L’arciere i suoi avversari con (la) freccia li fa
fuori / trad. riordinata: “L’arciere i suoi avversari li fa fuori con (la)
freccia” oppure: A shardana nyilas ellenfeleit nyillal nyírta
ki – trad. lett. “Il shardana arciere avversari-suoi con (la)
freccia li ha fatti fuori” / trad. riordinata: “L’arciere shardana i suoi
avversari li ha fatti fuori con (la) freccia.”
Riguardo alla pronuncia del teonimo Nergal è utile sapere che nel linguaggio
dialettale rurale magyar/hungherese prevale la consuetudine di abbandonare la
consonante finale l di una parola che comporta
l’allungamento della precedente vocale. Per comprendere meglio la situazione
sentiamo alcuni esempi: láttál > láttá’ “hai
visto”, jártál > jártá’ “hai camminato”, járkál > járká’ “cammina/gira”, nyargal > nyarga’ “galoppa(re)”, nyergel > nyerge’ “sella(re)”, Nergál > Nergá’ ecc.; constatiamo praticamente
la stessa situazione che ricorre anche in sardo Nuraghel > Nuraghe’, e anche in rumeno: norocul > norocu’ “la fortuna” (noroc “fortuna”).
Orbene, com’è ben noto, l’arco con le “frecce” fu una
delle armi preferite, non solo ma anche, dai guerrieri shardana, etnonimo, questo, di stampo akkadico: da šum.
LUGAL (L., D. s. no. 151), val. fon. šàr “uomo
forte”, akk. šarru, “re”, bēlu,“Signore”, mul LUGAL “Regulus”; KAL (L., D. s. no.
322), val. fon. tan, tana, akk. dannu “forte”, danānu “essere forte, potente”, “forte,
superiorità”. Difatti non sono pochi i suggestivi bronzetti nurag(h)ici che
raffigurano l’“eroico” guerriero shardana con in
mano l’arco, ornato di un elmetto a due corna in testa. In antichità la figura
del’“arciere” (mag. nyilas), oltre il
suo ruolo concreto combattivo, ebbe anche un ruolo simbolico assai importante
poiché veniva considerato un riflesso del’“arciere” visibile sulla volta
celeste che è la costellazione di Orione, šum.
SIPA.ZI.AN.NA, a sua volta associata al personaggio del “grande
Cacciatore davanti al Signore” in antichità conosciuto come Nimrud/Nimrod.
Il Gallo
Basta guardare un bel gallo con
la testa ornata dalla tipica cresta di colore rosso, da bargigli penduli dallo
stesso colore e dalla pelle facciale sempre rossa, con la splendida coda
costituita da un ventaglio di penne falciformi, poi, nel contempo, sentirlo
tuonare il suo canto trionfante e si capisce subito la ragione per cui esso da
sempre viene associato all’“ardore”, alla “vittoria/vincita”, alla vigilanza e
alla salute.
La voce gallo, come si
evince, deriva dal lessico kingir/šumero: GAL (L., D. s. no. 343) “grande”,
“essere grande”; GALA-MAḪ (L., D. s. no. 211) “capo dei cantori”, GÁL (L., D.
s. no. 80) “essere” (cfr. mag. kel “sorge”, kelés “il sorgere”, kör “cerchio”; ki-kel “fuori
sorge”, kel-et “levante”, ki-kel-et “primavera”);
la parola-seme GAL costituisce evidentemente il secondo componente del nome di
dio Nergal. Il trionfante “canto del gallo”, che viene
introdotto da un rumoroso batter d’ali, annuncia il sorgere del “grande”
disco “Sole” UTU (cfr. mag. út “via,
percorso”, idő “tempo”, Út-ura “Signore del percorso”, Öt-ura “Signore del cinque” del dado, base di
sviluppo della svastika). Miracolosamente esso trova conferma nell’assonante
espressione magyar/(h)ungherese ki-kerül-ki “fuori-sorge-fuori”
o “Chi-sorge-fuori”, come anche in ki-kerekül, dial. ki-kerekű “(si) arrotonda” (il disco solare
sorgente). Il gallo è un uccello solare di origini indiane, attributo di
divinità solari. Con il suo pregnante e fiero canto chicchirichi – conosciutissima espressione
onomatopeica, questa, ricorrente in molte lingue, ad esempio in: mag. kukuriku (cfr. kőkarika “anello/circolo
di pietre”), ted. Kikeriki, russ. kukareku, sve. kukeliku, spa. quiquiriquí, pol. kukuryku, fr. cocorico, rum. cucurigu ecc. –
il “gallo” annuncia e saluta il sorgere del “grande” GAL disco “Sole” (aeg.
dio Aton – mag. a tányér “il
disco”) a “levante” kelet. Il “gallo”
che è caratterizzato dall’attributo “ardito”, cioè “gagliardo”, simboleggia il
guerriero prode, la vigilanza, l’ardire, la vittoria e la salute. Nergal, Sovrano degli Inferi, talvolta viene
rappresentato come divinità alla testa di gallo. Per la sua
natura bellicosa il gallo fu associato a Marte, dio della guerra. In epoca
cristiana il gallo, connesso così intimamente al sorgere del Sole, venne
utilizzato anche come simbolo di risurrezione. Il gallo è uno degli emblemi nazionali della Francia,
lo stato moderno sul territorio dell’antica Gallia abitata
dai Galli = Celti (cfr.
mag. keleti “orientale”, “di levante”; lat. galea “elmetto” con cresta, gallus “gallo”; fr. galon dal v. galonner “ornare
il capo con una benda”). Ed è ugualmente simbolo per eccellenza della regione
sarda di Gallura ricchissima di granito, in gallurese e in
sardo chiamata Gaddùra rispettivamente Caddùra. Il significato di quest’ultimi sarebbe
“rocciosa, sassosa”, caratteristica pienamente confermata dalla natura
“rocciosa” (mag. köves, der. da kő “pietra, roccia, sasso”) del territorio
gallurese con un paesaggio in cui il granito è il segno distintivo . Lo stemma
del Giudicato di Gallura fu difatti il “gallo
nero”. Invertendo ora la sequenza di voci “gallo-nero” ecco spuntare
l’espressione “nero-gallo”, che, sorprendentemente, è assonante proprio a Nergal, il nome del Sovrano degli Inferi e, così, anche
a Nuraghe.
Non per caso sono in utilizzo dei vocaboli affini
a gallo/gallus come: it., spa., ted. gala sin. di “pompa, magnificenza”, gàlla “bolla, rigonfiamento vegetale”, gagliardo (fr. gaillard) dal
lat. galleus “rigonfio” sin. di “forte, potente;
valoroso”, gagliardia, gallismo ecc. Loro utilizzo è sensato, poiché essi
sono derivati dalla parola-seme arcaica GAL “grande”, “essere grande”.
Ninurta/Nimurta/Niburta
È utile sapere che nel Pantheon kingir/šumero Nergal ha un doppio chiamato Ninurta/Nimurta/ Niburta (NIB-UR “pantera-eroe”;
NIB, Lab. s. no. 131a, e PIRIG-TUR, Lab. s. no. 444, akk. nimru, “leopardo”) la “Pantera” del mondo infero. I
loro nomi scritti iniziano col determinativo della stella a otto punte Dingir “dio/cielo”, dopo il quale, per Niburta, segue il segno della croce a bracci uguali +
MAŠ (Lab. s. no. 74, “croce”, “metà”), cioè: dingir MAŠ “dio Ninurta/Nimurta/Niburta”; mentre per Nergal dopo il determinativo seguono
due segni di croce + + che risulta: dingir MAŠ-MAŠ, cioè “dio Nergal”.
Nergal, in quanto dio dei
defunti guerrieri “eroi” e dispensatore di morte, venne associato al “Sole” UTU
invernale; Ninurta/Nimurta/Niburta invece
rappresentava il “Sole” primaverile. Egli fu il promotore della vita che nasce
dalla Terra, il regolatore delle acque, il sostenitore della vita e della
crescita delle piante. «E nonostante Nergal sia
dispensatore di morte, secondo la grande disposizione divina, Nirgal/Nergal e Ninurta/Nimurta/Niburta sono
fratelli», osserva il šumerologo Prof. J. F. Badiny.
Ninurta/Nimurta “Signore
della Terra” equivalente anche a Ningirsu “Signore
(della città) di Girsu”, nel III mill. a. C. era ritenuto il “Signore
dell’agricoltura” e, in più, il campione degli dèi ed il salvatore del paese
contro le popolazioni nemiche invasori. Questa sua seconda funzione è
appoggiata dalla versione in dialetto emesal del suo nome che è: Niburta “Pantera eroe della Terra”.
S. M. Langdon, ne “Semitic Mytology” (London, 1931)
scrive: «Il fenicio Sed è la
riproduzione orientale di questo mito del dio Sole come Cacciatore» […] «Il
Cacciatore come aspetto del dio Sole occidentale rappresenta piuttosto Ninurta del Pantheon šumero. Ninurta apparentemente letto Nimurta in dialetto šumero, è probabilmente
l’origine del nome Nimrud, il famoso
Cacciatore.»
«Nimrod, il potente
Cacciatore davanti a Yahwe, e figlio di Kush, è chiaramente
il Gilgamesh della mitologia babilonese; e Nimrod, fondatore di città in Šumer… è
sicuramente Nimurta, il dio del Sole
primaverile, figlio del dio della Terra Enlil di Nippur.»
L’Ardia sarda
Un tassello importante nella indagine etimologica del
termine nuraghe costituisce la tradizione della Ardia
sarda. Essa facilita assai la comprensione della caratteristica principale del
dio Nergal che è l’“ardimento”. Il sardo che è ardito,
“fiero” (šum. NIR, mag. nyer “vince”),
vago di avventure e ha nel sangue l’ardore bellicoso, l’irrequietezza delle
razze nomadi – proprio come i popoli cavalcatori nomadi delle vaste steppe
euroasiatiche – è in forte risonanza con questa qualità principale del
dio Nergal. In un vecchio numero della rivista Bell’Italia
/ Sardegna (no. 7 / 1996) si legge: «L’Ardia è la più spettacolare e genuina
festa equestre della Sardegna; una corsa selvaggia, senza freni, senza paura.
La Ardia di Desulo che si tiene in agosto, in pieno estate, è una competizione
equestre unica per l’ardimento che richiede agli uomini che vi sono impegnati.
Di loro si dice “Faene finta de gherrare”, fanno finta di fare la guerra. Così
viene spiegato lo spirito della gara, nella quale si prevede che tre
gonfalonieri si lancino al galoppo in testa alla cavalcata. Sono seguiti da tre
cavalieri che hanno il compito di impedire al resto dei concorrenti di
raggiungere e superare i gonfalonieri.»
A Sedilo vicino al lago Omodeo, invece, la Ardia viene
festeggiata, sempre in pieno “estate” (mag. nyár), dal 5 al 7
luglio. «Nella valle di San Costantino, a poco più di un chilometro da Sedilo,
i cavalieri si precipitano a testa bassa lungo le pendici rocciose di un
percorso da brividi, giù verso la chiesa, agitando gli stendardi e lanciando
urla selvagge.»
Benché s’Ardia di Santu Antinu di Sedilo sia quella
più consolidata, si corrono Ardie anche in molte altre località della Sardegna.
Così ad esempio a Noragugume si “galoppa” nyargal l’Ardia
in onore della Beata Vergine d’Itria; a Sindia si “galoppa” l’Ardia in onore
dei Santi Giorgio, Raffaele e Isidoro; a Dualchi si “galoppa” l’Ardia per i
santi Pietro e Paolo e a Pozzomaggiore si “galoppa” l’Ardia sempre in onore di
San Costantino, San Pietro e San Giorgio.
Orbene, questo spirito selvaggio della Ardia
caratterizzata dall’ardimento degli uomini impegnati che durante lo sfrenato
“galoppo” (mag. nyargalás) sembrano fare la guerra
lanciando urla selvagge corrisponde perfettamente allo spirito del dio Nergal, Sovrano degli Inferi cavalcante su un
cavallo/destriero nero, dispensatore di morte e protettore dei guerrieri “eroi”
caduti per la difesa della propria famiglia e patria.
In questo contesto è da menzionare il fatto che il
dio Nergal fu il protettore degli eroici guerrieri di
tutti i popoli cavalieri delle vaste steppe euroasiatiche come Scythi, Alani,
Sarmati, Medi, Parthi, Hunni/Hsiungnu, Avari, Magyari/Hungari, Mongoli ecc..
Tutti questi combattenti cavalcatori arcieri solevano congiungersi allo spirito
del potente dio Nergal, loro protettore, e pregare
per il suo sostegno nei combattimenti. L’ardore di lotta dei cavalieri e la
loro impavida forza di combattimento veniva nutrita dall’insieme di anime-ombra
dei loro “eroi” e “principi” defunti giunti nella “Terra del non ritorno” Kurnugia. Tutti gli altri combattenti
cavalieri nyargaló cioè “galoppanti
selvaggiamente” nel corso della storia, anche non essendone più consapevoli,
hanno ereditato per trasmissione simpatetica questa consuetudine di connettersi
alla fonte di forza nergalica costituita
dall’insieme di “anime-ombra” dei propri “eroi” defunti e trarne l’ardore di
combattimento.
In conclusione possiamo constatare che la Sardegna,
miracolosa isola rocciosa del Mediterraneo occidentale cosparsa di migliaia
di nuraghi che dimostrano fortezza e fierezza e in
cui gli arditi cavalieri sardi “galoppano” tuttora la selvaggia Ardia è pervasa
dallo spirito del dio Nergal.
© Zoltán Ludwig Kruse
Nessun commento:
Posta un commento