Archeologia. Sardegna, il segreto etimologico delle Domus De Janas.
Etimologia degli appellativi Janas, Bajanas.
Articolo di Zoltán Ludwig Kruse
Com’è noto, le tombe ipogee della Sardegna, scolpite tutte quante nella pietra/roccia, vengono denominate in lingua sarda con il termine Domus de Janas/Gianas che in italiano è stato tradotto in “Case delle Fate”. In tempi passati queste “fate” janas/gianas venivano chiamate ancora bajanas. (“sventatella, cazzona”). Il glottologo Salvatore Dedola ritiene che: «la base etimologica di giàna è il sum. di ‘to shine, to be bright’ + an ‘sky, Dio del cielo’, col significato di ‘Dio del cielo brillante, splendente’. Penso che ai tempi sumerici questa miriade di esserini splendenti non fossero altro che le ‘stelle del firmamento’» (v. su linguasarda.com / Termini più conosciuti / Is Domus de Janas). S. Dedola ha preso la giusta strada della ricerca etimologica di questo termine e con di5 “risplendere” e an “dio, divinità, cielo” (Labat s. no. 86 e no. 13) è arrivato anche molto vicino alla fonte d’origine. A mio avviso però l’appellativo Jana/Giana risale in maniera primaria a šum. di6; in maniera secondaria anche a di5 (Lab. s. no. 86), indicata da S. Dedola. Il segno di6 (Labat, s. no. 206) comprende in
dettaglio le parole-seme arcaiche: DU, GIN “andare, muoversi, andarsene”, DU-DU “via”, “andare qua e là”, MÈN “sorta di tamburo” (presumibilmente uno tubolare, utilizzato durante i “cortei”) e TÚM “(ap)portare, importare”. A šum. DU, GIN, MÈN e TÙM corrispondono le parole-seme magyar/(h)ungheresi djő/győ/jő (f. dialettale), djön/gyön/jön “viene”, mén “va; stallone”, di cui menet “corteo” e menetel “marcia(re)”, rispettivamente töm “riempie, imbottisce, tappa(re), ficca(re)”, di cui tömés “imbottitura, riempimento”, temet “sotterra(re), seppellisce”, temetés “sepoltura”, temető “cimitero”, tömény “denso”, töményes “condensato” (cfr. šum. TEMEN, akk. temennu, Labat, s. no. 376, “terrazza, terrapieno, fondazioni”, di cui gr. temenos), tömör “compatto”, tömeg “massa” (cfr. gr. demos), tömjén “incenso” (profumo “denso”), tömb “blocco”, domb “colle, collina”, sír-domb “tumulo tombale” ecc..Teniamo a mente, quindi, che in perfetta corrispondenza a
šum. DU, GIN – MÈN, con djő/győ/jő, djön/gyön/jön – mén in
ungherese si esprime il concetto archetipale di “viene-va” / “venire-andare”.
Per quanto riguarda la parola-seme arcaica TÚM / töm, essa è la base
etimologica sia dei vocaboli lat. tumba, gr. tŷmba / tŷmbos (=
rialzo di terra sopra un tumulo sepolcrale), it. tomba – risultato dell’atto
di “importazione / tumulazione” TÚM / töm della salma nella
grotta-tomba – sia di lat. templum, it. tempio,
ted. Tempel, ingl. fr. temple, rum. templu, finn. temppeli,
alb. tempull, lett. templis ecc., il santuario edificato su di
un solido “terrapieno/terrazza” TEMEN.
Convalidante la forma retrograda di šum. TÚM
| mut > mūtu che in akkadico rende, a ragione, il
significato “(la) morte” (cfr. lat. mūtus, it. muto ovvero
l’individuo che non è in grado di esprimersi con la voce).
Riguardo alla voce “venire” (in fr. venir,
rum. veni, alb. vjen, finn. juna “treno”) nel Dizionario
Etimologico Rusconi si legge:
«Venire dal lat.
venire, da una radice *gwen- (con il senso generale di muoversi, poi
differenziandosi in andare o venire) ampiamente attestata in area indoeuropea;
cfr. sanscr. gam, os. kumbened, gr. baino (= io vado),
ascan. koma, aated. queman, ted. kommen, ingl. to
come (= venire). Dal v. ventare, f. frequentativa di venire, i
v. adventare, deventare e inventare; tra i composti
ricordiamo advenio, da cui avvenire, e avvento, convenio,
da
cui convenire e convento, devenio (= divengo), evenio,
da cui evento ed eventuale, exvenio, da cui svenire, invenio da
cui invenzione, intervenio (= intervengo), praevenio (= prevengo),
da cui anche prevenzione e preventivo, subvenio da
cui sovvezione; dal part. fut. venturus,
l’italiano ventura (dal plurale neutro ventura) e ventura,
da cui anche le voci avventura, sventura ecc. Significato:
recarsi da un luogo all’altro, arrivare; comparire; in senso fig. provenire,
succedere; (volgare:) raggiungere l’orgasmo.»
Stranamente in questa nota l’evidente origine kingir/šumera
(Labat, s. no. 206) della «radice *gwen ampiamente attestata in area
indoeuropea» viene tralasciata, anzi, completamente ignorata. Presumibilmente
ha a che fare con la classificazione della lingua kingir (nat.) / šumera
(akk.): «Il sumero è la lingua del popolo dei Sumeri; non ne è ancora stata
dimostrata alcuna parentela con altre lingue note, ed è considerata una lingua
isolata» (Wikipedia). Tale considerazione veramente assurda di “lingua isolata”
formulata da accademici costituisce praticamente un divieto di accesso,
d’utilizzo. Di conseguenza coloro che osano oltrepassare questo perfido divieto
mettendo in luce delle evidenti e verificabili coincidenze morfo-semantiche,
che come in questo caso parlano da sé, da parte degli linguisti accademici
vengono considerati superficiali e di solito rifiutati.
Osserviamo che la parola-seme sanscr. gam, indicata
nella nota, è una variazione con nasale alternata di šum. GIN (GIN
> gam); inoltre che nella cosiddetta
«radice *gwen indoeuropea» sono insieme g e w. Si può
dire allora che gwen risulta una fusione contratta di šum. GIN
“muoversi, andare ecc.” con BAN “Venus/Venere”: gin-ban > gin-van >
g(in)van > gwen. Mentre in lingua magyar/ungherese si è mantenuta la
parola-seme originaria GIN nelle sue forme palatalizzate gyön/djön/jön, f.
dial. djő/győ/jő, nelle lingue anglosassone prevalgono i vocaboli derivati
da sanscr. gam: ascan. koma, aated. queman, ted. kommen,
ingl. to come; in greco e nelle lingue romanze invece quelli derivati
dalla parola-seme originaria šum. BAN (> van > ven): gr. baino,
it. venire, fr. venir, rum. veni, alb. vjen ecc.;
interessante il vocabolo osco kumbened che rivela la doppia
provenienza: GIN/gam/kum – BAN/ben > kum-ben-ed.
Ma ora ritorniamo alla nostra indagine. Il senso generale di
“venire” è, quindi, “muoversi” che in seguito si differenzia in “venire” e
“andare”, quindi “entrare / (ri)tornare” – “uscire / allontanarsi”. Questa
circostanza ci conduce direttamente a Giano/Janus. Le due facce della
testa di Giano/Janus, in origine protettore della casa, delle vie, poi dio
dell’inizio e di ogni principio il cui mese sacro è januarius/gennaio,
stanno a guardare e a rappresentare simbolicamente: ciò che “viene” GIN
/ djön/gyön/jön/djő/győ/jő e ciò che se ne “va” MÈN / mén, cioè
l’avvenire e il passato, e lo fanno dal continuo centrale presente. Sicché i
nomi Giano/Janus, Jana ma, come vedremo, anche Djinn/Jinn,
lat., it. Juno/Giunone di cui Junonis “sacro a
Giunone”, Junius, ingl. June (“mese del Sole”, cioè del
solstizio d’estate), e sanscr. jana, lat. iānua “porta” –
significato strettamente connesso all’atto di “venire-andare” – risultano dei
veritieri nomi parlanti secondo la locuzione latina nomen omen “il
destino nel nome” (cfr. mag. jön
/ jő “viene”, jövő/jövendő “avvenire,
futuro”, be-jövő “entrante, (il luogo di) entrata”, be-jövés “(l’atto
di) entrata”).
L’antichissimo tema guida, dunque, è “venire” – “andare” /
“entrare – uscire”; l’aspetto di “attraversare” (la “porta”) è ovviamente
intimamente connesso ad esso. Ne «Il Libro dei Morti degli antichi Egizi»
(Boris de Rachewiltz) ricorrono spesso indicazioni come per esempio: Formula
per entrare e per uscire dalla Porta degli Occidentali
(cap. CVII); Formula per entrare dai divini Giudici di Osiride (cap.
CXXIV); Formula per uscire dal Ro-stau (cap. CXXV); Testo per entrare nella
Sala della Verità e Giustizia; Formula per attraversare l’Amenti e
per passare attraverso la tomba ecc. Le espressioni rese da me in
corsivo corrispondono alle voci mag. be-jön / be-mén – ki-jön / ki-mén,
“indentro viene / indentro va” – “infuori viene / infuori
va”; ki-mén è affine a el-mén “via-va / va via”. “L’andar
via” costituisce in fondo l’essenza del “viaggio” út (út “via,
strada; viaggio”, át-út “di là – via / via –
attraverso”, úti “di viaggio”, utas “viaggiatore,
viandante”, utazó “viaggiante” (cfr.
gr. Odysseus), utazás “viaggio, corsa, tragitto” (cfr.
gr. Odyssea), úti-idő “tempo di
viaggio”, idő-út “viaggio di tempo”). Quindi questi significati – in
specie be-jön, ki-mén/el-mén e át-mén – risultano di
importanza rivelante già ne «Il Libro dei Morti degli antichi Egizi».
Djinn/Jinn
Veniamo adesso all’espressione assonante e semanticamente
affine djinn/jinn. Il djinn/jinn è una creatura spesso tradotto,
a ragione, come genio e indica un’entità soprannaturale, intermedia
fra mondo angelico e umanità. Il djinn/jinn può avere carattere sia
maligno che benevolo e protettivo. Il genio djinn/jinn è ben
accostabile alla “fata” jana/giana, sia per l’assonanza sia per
l’affinità semantica che ne dimostra.
Un tipico esempio di djinn/jinn è l’essere che
Aladino, protagonista di una delle fiabe di «Mille e una notte», libera da una
lampada al cui interno è rimasto prigioniero, in cambio dell’esaudimento di
ogni suo desiderio. Ogni volta che Aladino lo chiama,
il djinn/jinn appare, cioè “in fuori/avanti viene”. Orbene il
significato “in fuori/avanti viene” in magyar/ungherese si dice, guarda
caso, elő-jön/gyön/djön; espressione, questa, che rivela una chiara
assonanza ed equivalenza semantica alle voci ori-gin(e) e, in ordine
di sequenza inverso, gen-era.
E, nota bene, quando due espressioni risultano sia assonanti
sia semanticamente coincidenti o affini non si tratta di una somiglianza
casuale bensì di coincidenza morfo-semantica. L’affinità semantica verifica,
nel vero senso della parola, l’assonanza dei vocaboli. Cioè nell’assonanza dei
vocaboli si manifesta la loro coincidenza o affinità semantica.
Ugualmente ai genii djinn/jinn anche le
fate jana/giana appaiono e svaniscono, ovvero “vengono” e “vanno”.
Riguardo alla pronuncia dei nomi Jana/Giana – Diana/Djana può esser
utile sapere che in ungherese la gutturale sonora g e la dentale
sonora d nelle loro forme
palatalizzate gy/gj e dj vengono pronunciate pressoché
uguali; l’endoetnonimo magyar, per esempio, può essere resa anche
con madjar; la pronuncia risulta uguale.
Le palatalizzate gy/gj e dj sono quindi
intercambiabili. Ciò chiarisce anche la pronuncia pressoché uguale dei
nomi Diana/Djana e Jana/Giana/Gyana.
Bajana
Riguardo alla parte
iniziale ba- di bajana il lessico kingir/šumero offre le
seguenti fonti d’origine: BA / BA-A (f. breve di BAN / BAN f. ampliata di BA)
“donare, dispensare, offrire” / ted. “zuteilen, schenken”; d ZI-BA-AN-NA
“divina dispensatrice di vita del cielo”; giš BÁN “misura volumetrica”, mul BAN
(Labat, s. no. 439) “costellazione”, “Venere”, akk. banû “formare
armoniosamente”, “creare, procreare”, “brillante”, BA-AN-DU8-DU8 “botte” cioè
contenitore (Lab. s. no. 5 e 74; cfr. mag. bendő “pancia”, ted.
“Wanst, Pansen”, ass. a benti “interno/a”, ted. “binnen-”); [BAN |
NAB] NAB (Lab. s. no. 129) “stella”, “brillare”; BA-BA6, d BA-U (Deimel s. no.
5/51) “dea del parto” / ted. “Geburtsgöttin” / BA-U-DUG, bâbu ted.
“weibliche Scham” / lat. “pudenda muliebris” (cfr.
mag. bába “levatrice”, baba “bebé, neonato”); combinazione,
quest’ultima, in cui DUG (Lab., D. s. no. 309) significa “pentola, vaso,
barattolo”; la stessa parola-seme dug, sin. di töm, in mag. significa
“infila(re), introduce, ficca(re), tappa(re)”, di
cui dugó “tappo”, be-dug “inficca(re), infila(re)” (lett.
“indentro-ficca”), assonante e semanticamente affine a boldog /
dial. bódog “felice”, boldogság/ bódogság “felicità”.
Il tema di fondo “venire” – “andare” –
“attraversare” si arricchisce, quindi, con il cerchio di temi “dispensare” –
“contenitore” – “essere contenuto dentro” – “stella, Sole, brillare” – “Venere”
– “vagina, partorire, rinascere” – “felicità” (v. Juno/Giunone = “dea
del parto”).
Il vocabolario magyar/(h)ungherese ha mantenuto queste
parole-seme arcaiche e offre ampie e convalidanti coincidenze lessicali: be “indentro”
(penetrare), bő “larga/o,
generosa/o”, bű “incanto”; báj “grazia,
leggiadria”, bű-báj “incantesimo, fascino”; di cui
derivano benn/bent/bẽt “dentro”, benti “interna/o”, banda “banda”, a
benti “l’interno / l’appartenente / il contenuto”, ingl. “the insider”
(cfr. bant., afr. Ubuntu), benne “dentro di essa/o” (cfr.
it. pene), pina “vagina”, pince “cantina,
scantinato”, bánya “miniera”, bendő “pancia, ventre”. In
questa sfera appartiene la sacra pietra chiamata betilo,
lat. baetylus, gr. baitylos, che di solito viene spiegata come
derivante dall’ebraico Beith-El, composta dalle
parole beth “casa”, “santuario”, “sede” ed el “divinità”,
che significa “Casa di Dio”. Tuttavia ebr. beth risale ad
akk. bītu “casa,
dimora”, bītānu “interiore”, bīt (ili) “tempio” che a sua
volta corrisponde a šum. É (-DINGIR), Labat, s. no. 324. Ovvia la coincidenza
con mag. bent él “dentro vive”. E chi è che vive dentro alla pietra?
È l’entità “Vivente”, è “Dio/Dea” ovvero l’informazione vibrazionale, che vive
dentro: Élő bẽt él “Vivente dentro vive”.
A kő
él “La pietra vive” “Der Stein lebt” “The stone lives”.
A kő
élő “La petra è vivente” “Der Stein ist lebendig” “The stone is living”.
Élő bent
él “Vivente dentro vive” “Lebendige/r/s drinnen lebt” “The Living inside
lives”.
Bent él a kőben “Vive dentro alla pietra” “Lebt drinnen
im Stein” “Lives inside the stone”.
Le parola-seme šum. giš BÁN “misura volumetrica” e mul BAN
(Labat, s. no. 439) “costellazione”, “Venere”, hanno la loro continuazione nei
vocaboli: mag. benn/bent “dentro” (cfr. ingl., ol. pan,
ted. Pfanne “padella”, it pentola, ingl. pint “pinta”,
ted. Pinte), van “esiste, persiste, c’è” – coincide con
aeg. wen, cin. wàn, giapp. man = sanscr. “svastika” 卐 o 卍 – vén “stravecchia/o”, fény “luce”, nap “Sole,
giorno”, [NAB | BAN = nap | pan > fény]), fenn/fent “in alto”
ecc.;
Dalla parola-seme šum. GIN, alla quale corrisponde
mag. jön/gyön/djön dial. jő [jøn/djøn/jø] “viene”, derivano
tra l’altro le voci: sanscr. yoni “vagina”, jana “porta,”
gr. gynaíka “donna”, Juno / Giunone (l’antica divinità del
matrimonio e del parto, spesso rappresentata nell’atto di allattamento; cfr
mag. jó nő, jó anya “buona donna, buona madre”, jön ő, jön
anya “viene lei, viene madre”), e una moltitudine di vocaboli italiani
come: gene, genia, genesi, giungere, genetica, genere, generare,
generatore, generatrice, generativo/a, generazione, genealogia, genitore,
genitrice, gente, gineceo, ginecologa/o, ginecologia, ginecocrazia ecc.
Ecco alcuni esempi di applicazione spiegativi relativi a Ba-ja-na:
Benn a jó-nő-piná-ban – a baba benn-ben – van a fény; a
finom fent fény.
«Dentro alla buona-donna-vagina – all’intimo del bebé – c’è
la luce; la fina strofinata luce.»
Bejön a nap-fény. «Indentro-viene la luce solare.»
A nap-fény bejön. «La luce solare indentro-viene».
A nap-fény
jön be. «È la luce solare che viene indentro»
Come risulta dagli esempi di agglutinazione prefissale
seguenti, l’azione dei due verbi di
movimento jön/gyön/djön e mén può essere direzionata:
be-jön/gyön/djön “indentro-viene” (šum. BA.GIN di
cui vagina), be-mén “indentro-va”;
le-jön “ingiù-viene” (cfr. ted. Niederkunft “parto”
lett. “ingiù-venuta”), le-mén “ingiù-va”;
ki-jön “infuori-viene” (il
nascituro), ki-mén “infuori-va” (cfr. kémény “camino/canna
fumaria”);
át-jön “attraverso-viene”, át-mén “attraverso-va”
(cfr. sanscr. Ātman “anima”
ted. Atmen “respiro”);
rá-jön “sopra-viene; è colto da;
scopre/ritrova”, rá-mén “sopra-va”;
el-jön “via-viene”, el-mén “via-va”;
fel-jön “insù-viene”, fel-mén “insù-va”;
meg-jön “viene certamente” (meg è prefisso verbale
conclusivo frequentemente utilizzato in mag.);
elő-jön “a galla-viene, proviene, origina” (cfr.
“l’ori-gine du monde” di Gustave Courbet).
Le aperture di
accesso relativamente piccole delle Domus
de Janas/Bajanas evocano la vulva-vagina di Madre-terra. Ed è
attraverso questa “buca/finestra/fenditura” ovvero yoni/vagina (da
šum. BA.GIN) che la “alta luce del Sole” mag. fenni
nap-fény “penetra” indentro alla tomba, cioè “viene indentro” be-jön,
e il suo brillio stimola e risveglia gli “oltrepassati” nel “aldilà”
(aeg. Duat) a nuova vita. Le due combinazioni be-jön “indentro
viene” e be-mén “indentro-va” rappresentano praticamente due
formulazioni complementari del medesimo atto di penetrazione. La prima è dalla
prospettiva accogliente femminile yin; la seconda, invece, è dalla
prospettiva dinamica maschile yang. Il celebre quadro di Gustave Courbet
l’“origine du monde” mette in bella mostra l’oscura
vulva-vagina femminile, sacra fonte di vita dalla quale
“fuori-viene/appare/spunta” appunto elő-jön – ass. a ori-gina,
gen-era – la “altra/nuova” vita: Más terem / Mysterum “Simile
genera”. Orbene, se la vagina è l’origine del mondo, della
nascita di creature simili ai genitori, quindi del progresso, dell’evoluzione,
allora la tomba (da šum. TÚM) cioè il luogo
di tumulazione dei defunti, è la dimora in cui avviene il regresso,
il ritorno, l’involuzione all’origine.
Vista l’importanza
dell’aspetto át-mén significante “attraverso-va”, “oltre-va”, ecco
ancora alcuni particolari al riguardo. Da át-mén derivano tra
l’altro át-men-ő “trapassante, attraversante”
e át-men-et “attraversamento, oltre-passaggio; cadenza,
trasformazione” (át-mén-út lett. “oltre-va-via / via
dell’oltre-va”), át-meneti “transitorio, di passaggio”. Mi itt
mindannyian átmenetiek vagyunk “Noi qui siamo tutti quanti di
passaggio/transitanti”. Átmén è indentico a
sanscr. Atman “respiro, anima, anima mundi” e
ted. Atem “respiro”, Atmen “respirare”. E che cosa
“attraversa” i polmoni vivificando l’essere umano? È l’aria vivificante, il
vento ovvero l’(h)alito/anima del mondo di cui Sovrano nel pantheon kingir/šumero
è EN.LIIL, a cui corrisponde mag. Én Lehel “Io (h)alita”.
In Lehel, che è una parola palindromica, è contenuto Él “vive;
guida, punta, spigolo” di cui Élő “Vivente”
e élet “vita”, tele | élet “piena vita”. Da qui la coerente
equazione: Élet – Lét = Lehelet “vita” – “esistenza” =
“(h)alitare”. Ma il defunto che subisce l’“attraversamento”, la
“trasformazione” át-men-et dove “va” a finire? “Va” a finire
nell’“aldilà”, in mag. oda-át (lett. “là-oltre”), che è identico al
aeg. Duat, meta di noi tutti, esseri umani mortali.
Nonostante l’accesso alle Domus de Janas avvenga
attraverso aperture/buche relativamente basse e piccole e che non ci siano
porte di passaggio, è opportuno parlarne; poiché l’atto di attraversamento,
cioè il át-mén “attraverso/oltre-va” è relativo al passaggio tra i
mondi che avviene attraverso la “porta dell’aldilà”. L’icona sacra dell’entrata
nel regno dell’oltretomba è ben nota dalle tombe monumentali egizie e quelle
etrusche. La parola etrusca corrispondente alla “porta dell’aldilà”
è Aita.
Tanti autori equiparano Aita con il termine
greco Hades, indotti verosimilmente dalla pronuncia italiana Ade che
tralascia la h iniziale e la s finale, che etimologicamente
non torna però. È vero che nella mitologia greca Hades risulta
“Principe del Mondo infero” (Plutone), dopo anche “Mondo infero” e “Regno dei
morti”. Tuttavia la giusta e semplice equiparazione etimologica, poiché parla
da sé, è Aita = Ajtó [ɒjto:], voce, questa, che in lingua
magyar significa, appunto, “porta”. Ajtó ottiene sostegno
morfo-semantico dalle parole-seme al- “sotto, inferiore,
basso”, alj “parte inferiore”, “sotto, dietro”, “suolo, fondo,
fondiglio”, “residuo, sedimento” (cfr. l’aspetto della etrusca
“porta” Aita/Ajtó quadrangolare, con l’architrave a becco di civetta
fortemente piegato all’“ingiù”), di cui alá “sotto, al di sotto,
sottosta(re), catafascio”, alsó “basso, infero”, alant “in
basso”, alul “sottostante”, alszik “dorme”, alvó “dormiente”, alvás “sonno”, alvilág “mondo
infero” ecc.. La consueta equiparazione Aita = Ade/Hades comporta la
confusione della “porta” all’aldilà con “l’aldilà” cioè con il “Regno dei
morti”. Difatti il passaggio ovvero la “porta” Aita/Ajtó non
corrisponde con la meta dell’estremo viaggio, che è l’“aldilà” Odaát. La
“porta” costituisce semplicemente l’entrata, l’ingresso all’“aldilà” Duat.
Le dure pietre/rocce sono le ossa di Madre-terra. E le dure
ossa, a loro volta, sono le pietre del corpo umano. Le dure ossa dello
scheletro sono la rimanenza dopo la avvenuta decomposizione della salma.
Cosicché tramite la antica usanza di tumulazione dei defunti nelle Domus
de Janas, rocciose pance nel paesaggio sardo, le ossa umane si
ricongiungevano alle ossa di Madre-terra.
Chi è Zoltán Ludwig Kruse.
Studioso e ricercatore poliedrico di origine ungaro-tedesca
nato in Romania laureato in musica alla Musikhochschule di Köln/Colonia.
Vive in Toscana con la consorte dal 1987. Concluse da tempo
le esibizioni organistiche in pubblico si dedica all’architettura del
paesaggio, alla ristrutturazione di vecchi casali toscani e alla scultura.
Ascoltatore del vivo silenzio, coltiva il canto armonico e offre trattamenti di
armonizzazione col suono primordiale. Ogni tanto si diletta a suonare il
violino. Ama la natura; ama cucinare e vivere in buona compagnia.
Etimologo e studioso della cultura e
lingua kingir/šumera, nel 2000 inizia il lavoro di ricerca etimologica sul
termine Labyrinthos che lo porta a pubblicare nel 2005 il
libro Labyrinthos Wortkernschichtung (“Labyrinthos Stratificazione di
parole-seme”; ed. privata. www. laberintes.de).
La sua
attività intellettuale è controbilanciata dalla concreta vita di
campagna su un podere di montagna con i suoi lavori corporei quotidiani.
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