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domenica 19 gennaio 2020

Si parla tanto di lingua sarda e di lingua latina. Che legame c'era tra loro? E' possibile che il grande letterato latino Quinto Ennio, probabilmente nato a Cagliari, ci possa svelare l'arcano? Articolo di Rolando Berretta

Si parla tanto di lingua sarda e di lingua latina. Che legame c'era tra loro? E' possibile che il grande letterato latino Quinto Ennio, probabilmente nato a Cagliari, ci possa svelare l'arcano?
Articolo di Rolando Berretta


Quando Catone portò Ennio, a Roma, si cominciò a diffondere una certa opinione tra i Letterati: Catone, invece di riportare il solito trionfo sui Sardi, permise alla Sardegna di trionfare su Roma con l’arrivo di Ennio. Questa opinione, circolante all’epoca, avrebbe dovuto far riflettere certi storiografi. Notoriamente Ennio sarebbe nativo della città di Rudiae e i suoi natali sono contesi da Pugliesi, Lucani e Calabresi: troppi. Tutto merito di Cicerone. Un suo frammento, riguardante Ennio, ci informa che:”adesso siamo Romani come, prima, eravamo Rudini” (plurale maestatis).
NOS SUMUS ROMANI QUI ANTE FUIMUS RUDINI
Quindi esisteva una città che si chiamava Rudiae ai tempi di Ennio. E tutti a cercare la città di Rudiae. Da Pausania a Strabone, da Tolomeo a Ovidio: sarebbe sufficiente vocabolario di Latino per capire il significato di Rudini e della frase. Per essere Cittadini Romani, per avere tutti i diritti, bisogna avere fatto il militare. Rudis-rudis significa bastone e congedo. Il Rudino è il cittadino che ha assolto il suo dovere e, quindi, può reclamare i suoi diritti. Il Rudino è colui che è vissuto tra i PALI (palizzata) dell’accampamento. E’ quello che lascia il bastone, la stecca, alle reclute; quei pali occorrenti allo steccato. La resa, in
Italiano, va intuita.
Una sola voce si è levata per reclamare la Sardità di Ennio: quella dell’Abate Madao che ha accusato gli storici di essere andati dietro alla frase di Cicerone senza capirla; quella frase andava interpretata, e non presa alla lettera.
Dissertazioni storiche apologetiche delle sarde antichità.
Scritte dall’abate Matteo Madao, Cagliari 1742
(Si riporta qualcosa che riguarderebbe i natali, Sardi, di Ennio….da pag 282)
…Questa lingua non era che la greca, trattata generalmente in tutte le isole, e in tutte le terre marittime e centrali d'Italia da'più remoti tempi dell'antichità, sino a che nel Lazio incominciò a formarsi la lingua latina. Tanto Ennio accennò, come dissi di sopra, quel prisco latino poeta, che, nato nel cinquecento quattordici della fondazione di Roma, e dugento trent'otto avanti la venuta di Gesù Cristo, dopo aver insegnata la lingua greca al vecchio Porzio Catone, il censore, come notano Emilio Probo, e 1'autore degli Uomini illustri, in Sardegna, in cui esso Catone fu questore e pretore nel 555 di Roma, e nel 197 avanti la cristiana epoca, divenne, secondo l’espressione di Cornelio Nipote, il più nobile, e il più pregevol trionfo, che della Sardegna e de' Sardi abbiano mai riportato i Romani conquistatori coll' ispoglìar la nostra patria d'un ornamento, che Porzio seco trasportò per ornarne il capo della romana repubblica :
Cato ... Praetor provinciam Sardiniam ottinuit, ex qua Quaestorì superiore tempore ex Africa decedens, Q. Ennium poétam deduxerat. quod non minerii aestimamus, quam quemlibet amplissimum Sardiniensem triumphum:
elogio, che di poi Eusebio, Emilio Probo, e Girolamo Colona, i tutt'e tre scrittori della vita d' Ennio, e di Catone, assai più amplificarono ad eterna lode de' Sardi con queste parole :
Venit Ennius Romam primum , Marco Porcio Catone Quaestore ... Praetor Cato provinciam obùnuit Sardiniam, ex qua Quaestor, superiore tempore ex Africa decedens, Q. Ennium poetam adduxerat ; quod non minoris aestimamus, quam quemiìbet amplissimum Sardiniensem triumphum : in qua provincia, ut ab auctore de viris illustribus accepimus, fiat Cato Graecis litteris ab Ennio eruditus, quas, ut ipsemet testatur apud Tullium in libro, quem ipsius nomine Catonem inscripsit, jam senex didicit.
Dimodoché noi Sardi siamo molto tenuti al gran Catone, il quale, se per un verso trionfò della Sardegna col levarci il nostro Ennio, per un altro però fece ch'essa nostra nazione di lui stesso trionfasse e de’ Romani: mentre questo sardo allievo si fu l'uno de’ primi e più venerabili maestri, che gl’insegnò nella nostra patria e poi pubblicamente nella loro, dove fu il primo, che componesse versi eroici e che introducesse le bellezze della lingua greca nella latina; comecché Marco Tullio Cicerone, quel giurato nemico della Sardegna e de' Sardi a cagione dell' odio e dell' invidia, che portava a Famea, ed a Tigellio, solito però attribuire loro ogni maggiore viltà e ribalderia, e negare del pari ogni più giusta lode, abbia voluto a capriccio accordar Ennio alla Calabria, piuttosto che concederlo alla vera sua patria e naturale madre, la Sardegna: sul cui esempio molt' altri, che posteriormente ne scrissero, dal suo detto sedotti, or dissero ch'Ennio poeta nacque a Taranto, ed ora che nacque a Ruia nella Calabria. Ma noi ripigliamo ciò, che dicemmo altrove, con Quintiliano parlando di M. Tullio:
Quis nesciat, hanc famae esse naturam, ut sìt unius hominis audacia ? Adjicite, quod haec omnia dixit inimicus.
Dove dunque sarebbe quel magnifico trionfo, che Catone il grande, nel condurre Ennio a Roma, riportò de' Sardi, secondo Cornelio Nipote e li citati autori, s' ess' Ennio, giusta Tullio ed i suoi seguaci, non era sardo, ma calabrese di Ruia, o di Taranto? Forse che può mai stimarsi magnifico e superbo trionfo, ne anche trionfo assolutamente il condurre in una città un uomo straniero o passeggiere da un'altra città, o provincia, a cui esso per diritto di nascita, d'educazione, o di cittadinanza punto non s'appartenga? Per altro che il celebrato Ennio s'appartenesse alla Sardegna, anziché ad altra nazione, oltr'alla ragion, che si trae dalle citate autorità per convincere Tullio, che il nega; il provano altresì contro di lui, e contro chiunque il contrasti, e le mute testimonianze d'alcune antichissime inscrizioni, una delle quali tutt'ora si legge in una vetusta sepulcrale lapide a Cagliari, denotante la famiglia d' Ennio colla seguente epigrafe : M. Symphorus Ennius e molto più le vive usanze, da'Sardi custodite fino al presente della lingua, ch'essi trattavano nell’età del prelodato Ennio, in cui gli antichi soltanto, come bene notarono Verrio Flacco, e Festo, da noi altrove citati, usavano su, sa, e sos, sas in vece del pronome is, ea, eos eas: usanza, ch'Ennio singolarmente succhiò col latte dalla madre, trattò in questa sua patria, ed adoprò senz'esempio nel comporre i suoi libri a preferenza di Livio Andronico, di Catone, di Lucilio, d'Azzio, Nevio, Cettego, Cecilio, e d'altri scrittori o contemporanei, o alquanto posteriori a lui, secondo che alla distesa noi osservato …..
A Matteo Madao rispose Giuseppe Manno: (Storia della Sardegna, Tomo primo, 1835 pag. 61)
Ben dunque a ragione può credersi che i Sardi, usati quali erano a veder scendere nei loro lidi i romani pretori traentisi dietro codazzo di schiavi di donne e di garzoncelli , stupito abbiamo all'aspetto d' un uomo che null'altro avea d'autorevole apparenza fuorché la severa sua fronte: ad allo stupore la più gran venerazione sarà succeduta allorquando non più leggi scambiate coll'arbitrio, diritti soffocati dal favore, comandari iniqui, onesti provinciali supplicanti al pie d'un liberto o d'una schiava, ma entro le mura del pretorio videro stoica rigidezza e scuola patente del giusto e dell' onesto. Gli ozj di Catone in Sardegna non meno onorati furono delle sue pubbliche fatiche. Coltivava egli la lingua greca con Ennio, il quale dopo la campagna di T. Manlio Torquato continuato avea per più anni il suo soggiorno nell'isola, o perché a'suoi studi convenisse quel luogo; o perché maggiore del suo ingegno fosse la sua modestia. Benché dunque molto arrischiata sia l'opinione di un sardo scrittore il quale una parte della gloria d'Ennio riferir vorrebbe alla Sardegna giudicandolo non ospite ma nativo, pure è sempre una memoria onorevole per noi che egli per lungo tempo e nell’ età alla maturità degli studj più acconcia abbia fatto spontanea scelta di quel soggiorno , ove non dovette mancargli il ritiro campestre e l'ozio senza sollecitudini e la pubblica onoranza; come non mancògli alla fine lo sguardo propizio del potere , appena il potere e la virtù trovaronsi associati nella persona di Catone. Egli infatti lo trasportò con seco in Roma, ove maggior gloria da ciò tornògli, al dire di Cornelio Nepote, che da qualunque trionfo, e con ragione, che gloria vera è quella di proteggere l'ingegno , mentre lo splendore delle belliche imprese splendore è le tante volte d'accatto che fioco luccica al cospetto della severa ragione....

Veramente questo scrisse Plutarco a proposito della venuto in Sardegna del Pretore Catone:
“Quando gli toccò il governo della Sardegna dove i suoi predecessori erano abituati ad avere padiglioni letti e toghe a spese pubbliche. Erano abituati a tenere una grande quantità di amici e di servi. Erano abituati ai banchetti. Catone andava in giro a piedi ad amministrare la giustizia”.

Diciamo che Plutarco andrebbe riletto con attenzione. Un Pretore non riceveva nessun compenso. Si portava dietro altri funzionari come aiutanti, si portava dietro qualche schiavo e qualche familiare. Erano alloggiati presso qualche alleato. Stessa cosa succedeva a Roma quando arrivavano delegazioni o funzionari stranieri. Erano mantenuti a spese dello Stato.
Arrivare a scrivere: -non più leggi scambiate coll' arbitrio, diritti soffocati dal favore, comandari iniqui, onesti provinciali supplicanti al pie d'un liberto o d'una schiava, …. mi sembra esagerato!
Una cosa è sicura: non ci sono Legioni che viaggiano con il Pretore.
Questo è il fatto che mi ha fatto nascere diversi interrogativi: siamo nel 201 a.C. con questa situazione in Sardegna: pretore Marco Fabio Buteone con una sola Legione.
Passiamo al 200; a 551 anni dalla fondazione di Roma. Consoli: Publio Sulpicio Galba e Gaio Aurelio Cotta. Il Senato, dovendo dichiarare guerra a Filippo di Macedonia, stabilì che si dovesse operare con sei sole Legioni. Il resto degli eserciti doveva essere congedato (n.d.a. costavano soldini all’Erario). Si dovevano costituire le sei legioni con i volontari dei vecchi eserciti o facendo restare in servizio quelli che avevano minore anzianità di servizio. Detto in parole povere non ci furono nuovi reclutamenti ma si selezionarono gli uomini prelevandoli dai vecchi eserciti.
I Consoli ebbero due legioni a testa. Il pretore Lucio Furio Purpurione ebbe una Legione per operare in Gallia mentre il collega Quinto Minucio Rufo, per operare nel Bruzio, ebbe l’ultima. Chiaro? E in Sardegna?
In Sardegna arrivò, come proPretore, Marco Valerio Faltone con l’incarico di scegliere 5000 alleati di DIRITTO LATINO tra quanti avevano minore anzianità di servizio, da inserire nelle sei legioni che dovevano operare come da disposizione del Senato.
Se in Sardegna c’era una sola Legione da dove potevano tirare fuori 5000 uomini?
Ritorniamo al Rudino Quinto Ennio.
Rudis era il bastone usato per gli esercizi della scherma dai gladiatori e dai soldati.
Una Rudis veniva consegnata ai gladiatori al momento del congedo.
In senso traslato... recita il vocabolario:
Dalla liberazione di certi doveri o incombenze, ossia il caso di Ennio. Da Rudis si è passati a Rudimentum.
I primi rudimenti; rudimentale; cosa grezza da rifinire etc. etc. sono i nostri derivati.
Il sarcasmo di Cicerone, nel chiamare Ennio il RUDINO, è lampante.
Se nessuno coglierà questa sottile ironia... non è colpa mia.
Desta meraviglia il numero delle città che si contendono i natali di Ennio. Tutti si sono messi a localizzarla, solo, dopo che i versi di Cicerone furono noti. Basta andare su wikipedia alla voce Rudiae. Inoltre: quale città poteva appellarsi Rudiae? rudimentale, grezza, abbozzo di città; e chi più ne ha…più ne metta. Solo l’accampamento militare ha questi requisiti.
Siamo nel 168 aC. Così parlava alle truppe il Console Paolo Lucio Emilio, accampato di fronte a Perseo, prima della battaglia di Pidna…(trad. di G.D.Mazzocato)
Livio XLIV 39…Gli antenati pensavano al campo fortificato come a un porto per tutte le evenienze che possono accadere ad un esercito, dal quale uscire per andare in battaglia, nel quale trovare rifugio dopo essere stati sballottati dalla tempesta del combattimento. E dunque, dopo aver costruito fortificazioni tutto intorno, lo rafforzavano anche con un solido presidio perché un comandante era considerato alla stregua di uno sconfitto anche se aveva riportato la vittoria sul terreno ma poi era stato privato del suo accampamento. L'accampamento accoglie il vincitore, ma è anche un rifugio per lo sconfitto. Quante volte si è sentito di un esercito cui la battaglia non aveva recato un successo ed era stato anzi ricacciato all'interno del suo vallo e che al momento opportuno, talora anche subito dopo, aveva organizzato una sortita e respinto il nemico già convinto della vittoria! Questo luogo è una seconda patria, il vallo è il muro, la tenda è, per ciascun soldato, la casa che ospita i suoi penati …
Questa è la descrizione della mitica città di Rudiae. Città che si trovava dove i Legionari piantavano lo steccato dell’accampamento. Ogni legionario portava nel suo bagaglio i mitici pali per formare lo steccato ogni qualvolta si spostava l’esercito. La simbologia è chiarissima.
I RUDINI, si capisce, erano quelli che vivevano nell’accampamento; quelli che svolgevano il servizio militare. Prima Rudini , poi, Romani.
Arrivava per tutti, però, il giorno della fine del servizio militare e…si lasciava la STECCA (il bastone) ai nuovi arrivati.
Ritorniamo a Quinto Ennio: era Calabrese o Calarese?

1 commento:

  1. Articolo molto fine che merita approfondimenti. Forse ha davvero ragione padre Madao.

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