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venerdì 3 gennaio 2020

Uccelli urlatori, gli Angeli della Preistoria scolpiti nella pietra. Articolo di Salvatore Craba

Uccelli urlatori, gli Angeli della Preistoria scolpiti nella pietra. Un caso di sincretismo religioso.
Articolo di Salvatore Craba

Sono innumerevoli pietre intagliate, modellate a figura di uccello, che si trovano in tutti i territori della Sardegna, scolpite dal Neolitico e utilizzate fino ai primi secoli dell’era cristiana. Si tratta di forme che rivelano appassionanti riti arcaici creati dai preistorici per trovare un contatto trascendentale con i loro dei. Le pietre hanno forme che ben rappresentano la mansione di traghettatori, di postini che trasportano le invocazioni terrene. Un orientamento religioso insomma, con simboli considerati determinanti per relazionarsi con gli dei. Queste pietre modellate, che ho chiamato uccelli urlatori, hanno sempre il becco spalancato al fine di trasmettere un messaggio: urlare agli dei invocazioni e desideri. Bocca e occhi, che io evidenzio con il colore, caratterizzano l’unicità di ciascun modello. Gli antichi sardi cercavano di intuire le indicazioni degli dei attraverso l’analisi del volo e delle posture degli uccelli. Essi scrutavano il cielo alla ricerca di segnali trasmessi dagli
amici messaggeri, decifrando dalle loro direzioni e canti le indicazioni che gli dei decidevano di inviare, un usanza non esclusiva della nostra isola ma accertata anche in altri popoli delle sponde del Mediterraneo.

Per capire meglio occorre proiettarsi nel passato col pensiero, e ragionare come se si stesse vivendo al tempo dei primi elementari apprendimenti vitali e conoscitivi, un periodo insicuro, nel quale gli antichi si misuravano alla pari con la natura e i suoi eventi, attribuendo spiegazioni divine a tutte le circostanze sconosciute. Forse immaginavano che gli alati pennuti non avessero volontà propria, e fossero mossi dalle indicazioni impartite dagli dei, pertanto li consideravano a servizio delle entità divine superiori, un tramite tra la terra e il cielo. Consideravano gli uccelli i messaggeri degli dei, e li
rappresentavano per effettuare una richiesta: un uccello di pietra al quale affidare l’invocazione. Gli uccelli, unico tramite tra il cielo e la terra, traghettavano la supplica scomparendo come per incanto nel cielo infinito, regno celeste e sconosciuto.
Oggi, le preghiere recitate vanno in cielo da sole, ma anticamente bisognava associarle a un mezzo di trasporto. Basandomi sui ritrovamenti delle pietre scolpite, vado convincendomi che i nostri avi celebravano i rituali di invocazione proprio nei boschi, ricchi di quei messaggeri divini. Forse gli uccelli urlatori erano testimoni di una staffetta nella trasmissione del messaggio: dall’uomo al simbolo in pietra, e da questo metafisicamente agli uccelli veri per finire alle divinità.  
Sono realizzati con tutti i tipi di pietra locale, dalle più morbide alle più dure, privilegiando quelle somiglianti all’uccello che volevano rappresentare. Fra le caratteristiche più ricercate c’erano la lucentezza e il colore, perché suggerivano lo splendore del mantello piumoso. Esistono anche uccelli urlatori realizzati sui due lati della pietra, forse per esprimere la continuazione di un movimento in due fotogrammi. Sfumature cromatiche diverse evidenziano un tono maggioritario del corpo dell’uccello in cui si incastrava un filo di roccia di colore diverso. Un altro filo di roccia bianco veniva modellato per evidenziare il becco. Gli antichi scultori fissavano indelebilmente nella pietra la fisionomia e i colori dei pennuti. Verosimilmente, dopo l’invocazione venivano abbandonate: erano monouso, dedicate a una sola preghiera. Per ogni invocazione bisognava costruirne sempre una nuova. Ne esistono di tutte le grandezze e di tutte le consistenze, fino a schegge piccole come un’unghia.

In 10 anni ne ho raccolti oltre 20.000, e ho verificato che si tratta sempre di uccelli diurni. Mancano quelli che volano nel buio della notte perché erano riconosciuti come uccelli delle tenebre, pertanto accostati all’irrazionalità del male. Non potevano certo essere assunti a messaggeri positivi degli dei. Nelle tenebre si sviluppano le paure e le angosce, è la parte della giornata che sino a pochi secoli fa condizionava negativamente l’esistenza. Rinchiusi in diverse superstizioni dei popoli, gli uccelli delle tenebre sono, ancora oggi, equiparati al male e al malaugurio.
Curiosamente, gli uccelli urlatori rivestono il segreto più conosciuto perché tutti li vedono e li toccano, ma non li distinguono, benché siano chiare le linee di rottura e modellazione. Cosi è per altri simboli di pietra che sono stati sagomati con simbologie a noi sconosciute. Gli esperti della soprintendenza archeologica, ai quali mi sono rivolto per discutere questa interpretazione,  escludono la scientificità, forse perché non esistono riscontri negli insegnamenti didattici appresi nella loro formazione. Le ricerche archeologiche si fanno, quando è possibile, su siti ben definiti come nuraghi, tombe, grotte e simili. Anche la chiesa, nella sua eterna ortodossia conservativa, accetta che santi e madonna siano avvistati da umili contadini e pastori. Nell’era della comunicazione di massa, le scoperte storico culturali sono appannaggio degli accademici, a volte anche di fronte a prove inconfutabili. La soprintendenza ha stabilito che non si riscontrava in quelle forme nessun intervento da parte dell’uomo poiché non si notavano segni o punti d’appoggio realizzati artificialmente, risultando casuali tutte le migliaia di pietre modellate a forma di uccello. Ma se così fosse, dovremmo trovare pietre a forma di cammello, di maiale, di bue o capra. E’ evidente che questo non avviene. Forse gli studiosi pensano che solo strumenti con base d’appoggio come i vasi possono essere di fattura umana. La storia si ripete, Edison inventò la lampadina ma i suoi colleghi, screditandolo, dissero che non si sarebbe mai accesa. Poco dopo illuminò il mondo.

Per ciò che riguarda il riferimento degli uccelli urlatori con istrocos de mutos, mi limiterò a una spiegazione superficiale. Gli antichi si collegavano spiritualmente con gli dei intonando dei canti invocativi o di ringraziamento. Il cantante solista si rivolgeva agli dei accoppiando intonazioni canore di riferimento e richiesta, ma gli dei non potevano sentirli perché il cielo è lontano. Si adottava allora il trasferimento delle umani voci ad intercessori, affidandosi a portantini, a traghettatori, agli uccelli messaggeri. Il solista invocatore veniva tradotto in versi per gli uccelli dai cori o tenori d’appoggio. L’evoluzione del canto a tenore forse è dovuta ai nuovi ordinamenti del cristianesimo che hanno diversificato le invocazioni pagane, sconsacrandole e variandole con nuovi suoni, forme e simboli.
Per quanto riguarda l’attinenza fra uccelli urlatori e angeli, cambiano i tempi e si adattano nuove dottrine con la creazione di nuovi simboli. Ciò è successo anche ai nostri uccelli urlatori che, dopo essere stati in contatto con gli dei per vari millenni, furono poi soppiantati dagli angeli con l’avvento del cristianesimo. Si affermò un nuovo culto e non si potevano tenere vecchi emblemi. Gli angeli riproducono e mantengono la funzione di uccello, conservano le ali e collegano ancora il cielo e la terra. Angeli che restano messaggeri e annunciatori come i loro predecessori uccelli urlatori. L’unica variazione necessaria per la trasformazione dal vecchio simbolo è stata quella di far assumere all’angelo una sembianza umana. Probabilmente in Sardegna la questione degli uccelli urlatori iniziò nel neolitico e attraversò tutto il periodo nuragico resistendo sino al medioevo. Una testimonianza si trova nell’artigianato espressivo delle nostre tradizioni, in cui sono prevalentemente raffigurati uccelli. E’ un relitto del passato che ha conservato nei millenni una forza profana nella nuova sacralità cristiana, che non è riuscita ad annullarla.


Una parte significativa della rassegna degli uccelli urlatori è esposta nel museo dei castelli di Burgos. Chi la voglia visitare può contattare il personale ai numeri 3479018930 e  079793705 oppure al sito www.sareggia.it

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