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mercoledì 8 gennaio 2020

Archeologia. Recensione di Felice di Maro del libro: «Popoli del Mare - Minoici, Micenei, Shardana» Origine, materie prime, traffici marittimi preistorici. Autore: Pierluigi Montalbano, 2019 Capone Editore.


Archeologia. Recensione di Felice di Maro del libro: «Popoli del Mare - Minoici, Micenei, Shardana» Origine, materie prime, traffici marittimi preistorici.
Autore: Pierluigi Montalbano, 2019 Capone Editore.


L’alba della globalizzazione delle merci e delle idee è nata nel Mediterraneo ma fino a qualche decennio fa non era un dato storico acquisito. Oggi c’è larga convergenza perché per la fase nota come Età del Bronzo, caratterizzata dalla nascita di nuove tecniche per la lavorazione dei metalli, sono documentati nuovi traffici, con scambi di merci rispetto alla preistoria e protostoria che investirono tutto il Mediterraneo. inoltre, è attestato l'utilizzo di nuove tipologie di navi.
Questo libro di Pierluigi Montalbano offre il quadro degli itinerari marittimi e terrestri, e un elenco delle merci e dei relativi scambi che evidenziano il ruolo che i “Popoli del Mare” hanno avuto nelle guerre e nei commerci. Come è noto, i “Popoli del Mare” sono documentati dalle
fonti egizie della XIX dinastia egizia. Fra loro, sono menzionati gli Shardana, un popolo della Sardegna oppure proveniente dall’oriente (Siria) e poi insediatosi in Sardegna. Il capitolo V, pp. 123-148 è dedicato ai rapporti internazionali, al reclutamento dei guerrieri, alle rappresentazioni artistiche e alle relazioni con alcune città. Nello stesso capitolo si presentano anche la decadenza e le iscrizioni, quest’ultime alle pp.136-138. Il capitolo VI illustra le guerre, pp.141-147, alle quali hanno partecipato queste genti belligeranti. Il capitolo II presenta i grandi imperi del passato, pp.63-91. L'autore presta molta attenzione al ruolo strategico svolto nei traffici commerciali da una serie di città portuali del Vicino Oriente, da Ugarit, attuale Ras Shamra a pochi chilometri da Latakia (Siria), dai regni di Arzawa, nell'Anatolia Occidentale, e da Biblo, una città cananea sulla costa del Libano a 37 chilometri da Beirut).     

Varie sono le ricostruzioni storiche che il libro suggerisce, da quelle legate alle fonti scritte a quelle documentate dalla cultura materiale, ossia dai reperti. Si, caro lettore, proprio così, cultura materiale, perché gli scavi archeologici in Sardegna hanno documentato la presenza, nei santuari nuragici e nei ripostigli, di statuette votive che raffigurano guerrieri armati di pugnali, arco, frecce, spade, elmi con due corna e scudi circolari. Si voglia o no, questo è l’abbigliamento tipico dei guerrieri sardi (foto a p.108) ed è identico a quello dei mercenari assoldati dai faraoni e rappresentati nei monumenti egizi. Da tener conto anche delle numerose barchette votive in bronzo che suggeriscono forti relazioni con il mare. 

L’insieme dei materiali impone però di sciogliere un interrogativo: chi erano i Popoli del Mare?
Non è certo facile proporre un quadro completo con le fonti scritte e con le documentazioni archeologiche ma leggendo questo libro alcune risposte oggi è possibile averle. Sappiamo che i Popoli del Mare erano predoni e mercenari ben noti agli egizi. Al riguardo, gli Shardana furono utilizzati proprio come "guardia scelta" dal faraone Ramesse II già al'inizio del XIII secolo avanti Cristo. Nel capitolo IV l’autore ne presenta i caratteri generali (p.109) e tra le righe leggiamo:
«Nel testo di un’iscrizione del Tempio di Medinet Habu, gli invasori si dichiarano vincitori degli Ittiti e dei Mitanni. Si legge: “Gli stranieri concepirono una cospirazione nelle loro isole, finché tutti insieme si mossero e iniziarono a combattere. Nessun paese poteva resistergli: Khatti, Qadesh, Karkemish, Arzawa, e Alashiya, finirono. Un accampamento fu stabilito in Amurru. Essi annientarono le popolazioni, e la terra fu come non era mai stata. Quindi si spinsero verso l’Egitto, preceduti da fuoco e fiamme. Misero le mani sull’intero Paese, annunciando con arroganza: Ce la faremo!” (pp.109-110)».
Gli Ittiti e i Micenei sono popoli scomparsi intorno al 1175 avanti Cristo. Chiaramente fu una svolta epocale perché l’organizzazione politica ed economica dell'epoca, conosciuta come “sistema di palazzo”, fu cancellata da questi popoli bellicosi che oltre ad avere capacità di navigazione conoscevano bene le tecniche di combattimento. L’insieme di queste distruzioni ha fatto teorizzare per decenni che fra le cause principali ci furono proprio le invasioni dei Popoli del Mare, e oggi l’archeologia presenta documenti provenienti da varie campagne di scavo a favore di questa tesi. Tuttavia, queste invasioni non erano solo delle operazioni militari, più o meno per processi bellici, ma sono documentati movimenti migratori di massa che provocarono lo spostamento di popolazioni sia per terra e sia per mare, alla continua ricerca di nuove terre nelle quali insediarsi.

Nelle 160 pagine il lettore, sia esso cultore di storia antica o di archeologia oppure studente o anche ricercatore professionista, ha a disposizione una guida ragionata delle culture materiali con descrizioni rigorose ma facilmente comprensibili, proprio perché in assenza di note la lettura si presenta libera e scorrevole, senza dover fare verifiche delle fonti in tempo reale. L’autore, studioso di preistoria e protostoria, collabora con equipe internazionali che studiano la navigazione antica e i relitti del Bronzo e del Ferro, e organizza anche laboratori didattici sull’archeologia nonché mostre sul Mediterraneo antico. Inoltre, svolge attività finalizzate alla divulgazione delle relazioni archeologiche e geopolitiche fra i popoli, e non è cosa facile perché una cosa è illustrare quadri storici a studenti universitari che dispongono di strumenti personali avanzati di analisi, ben altra è farsi comprendere dagli appassionati alla materia che vogliono approfondire ma hanno un bagaglio di conoscenze limitato o, comunque, non riescono a disporre di strumenti d'indagine adeguati.
Il libro (17 x 24, tutto a colori) mostra in copertina il rilievo che si trova nel tempio di Medinet Habu, un edificio sacro costruito dal faraone Ramesse III nella zona occidentale di Luxor in Egitto. Raffigura la scena di una battaglia navale degli egizi contro i Popoli del Mare combattuta nel Delta del Nilo. Complessivamente presenta 7 capitoli, ai quali segue una bibliografia, pp.159-160, essenziale per approfondire l’insieme dei quadri trattati. L’autore, in generale, non presenta descrizioni analitiche dei reperti archeologici senza che vi siano nel testo foto al riguardo. Invito a leggere la premessa, pp.7-9, e l’introduzione, p.11. Nella prima, in sintesi, con immediatezza si colgono le motivazioni della pubblicazione, e nella seconda si entra proprio, come dire, nel laboratorio dell’autore e si viene coinvolti nella ricerca degli itinerari e delle rotte navali (al riguardo, foto a p.101). Grazie al testo diventa agevole ricostruire il quadro dei traffici e dei flussi commerciali dell'epoca, e nell’insieme è un buon quaderno di lavoro per il ricercatore di storia.
Nell’età del Bronzo si cercò sempre di controllare i mari, particolarmente gli approdi sugli stretti, ossia i luoghi più strategici e facilmente controllabili. Le rotte verso zone ricche di materie prime erano assai importanti e le innovazioni tecnologiche delle imbarcazioni erano altrettanto importanti. Le materie prime sono descritte nel capitolo I. Ecco come vengono presentate:
«Fin dall’alba dei tempi, il commercio fu importante per la sopravvivenza umana e per lo stabilirsi di relazioni tra culture e popoli. Tutto iniziò con l’economia del dono, un’attività che metteva in rapporto i più antichi gruppi umani. Per le epoche antiche l’esistenza di commercianti professionisti può essere documentata, ma ciò non è possibile per le società preistoriche. Lo sviluppo delle culture umane passa attraverso le attività commerciali, si pensi all’importanza della Via della Seta, che permise lo scambio di beni dalla Cina all’India, alla Persia e all’Impero Romano, e da questi paesi verso la Cina. Sappiamo che le genti preistoriche praticavano numerose relazioni di scambio, e quasi tutti i reperti di interesse archeologico sono frutto di questi traffici (p.21 2.1 Introduzione)».
Abbiamo la storia dell’ambra, avorio, bitume, gioielli, incenso, metalli, miele, oro, ossidiana, profumi, prodotti per l’imbalsamazione, e ancora sale, selce, zafferano. Si tratta di una panoramica della cultura materiale del Mediterraneo. Spero che questo libro venga adottato nei corsi universitari e che sia disponibile nelle biblioteche delle scuole perché consente, per queste fasi con fonti scritte limitate, di comprendere i movimenti commerciali delle materie prime, la loro lavorazione e il loro utilizzo come prodotti finiti.        
Una parte assai interessante è quella riservata ai relitti del periodo (pp. 103-107) per i quali gli scavi di archeologia subacquea hanno permesso la ricostruzione di una serie di aspetti tecnici delle imbarcazioni e, soprattutto, l'individuazione di alcuni itinerari grazie alla quantità e qualità delle merci trovate sul fondo del mare dopo il naufragio. Stimare a grandi linee i flussi di viaggio di alcune merci rappresenta, secondo me, il nucleo principale di questo libro. 
Le imbarcazioni affondate che hanno fornito i dati più interessanti sono tre: 
. Il relitto di Uluburun, databile alla fine del XIV secolo avanti Cristo, è stato scoperto al largo di Capo Uluburun, a circa 10 km a sud-est di Kaş, nella Turchia sud-occidentale. Fu individuato per la prima volta nell'estate del 1982 da Mehmed Çakir, un cercatore di spugne locale originario di Yalikavak, un villaggio nei pressi di Bodrum. Per il recupero sono state necessarie 11 campagne di scavo subacqueo, ognuna di alcuni mesi, dal 1984 al 1994, per un totale di 22413 immersioni;
. Il relitto di Capo Gelidonya (denominazione in lingua turca Gelidonya Burnu o Taşlık Burnu), promontorio della penisola di Teke in Anatolia, che separa la baia di Finike, a ovest, dal golfo di Antalya a est. Si tratta di una nave mercantile risalente al 1200 avanti Cristo (circa), poggiata su un fondale roccioso irregolare a circa 27 metri di profondità. Fu individuata nel 1954 e agli scavi, iniziati nel 1960, hanno partecipato Peter Throckmorton, George Fletcher Bass e Frédéric Dumas. Tra i materiali portati alla luce ci sono numerose ceramiche micenee e una serie di lingotti di rame e di stagno. 
. Il relitto di Dokos (in greco Δοκός), una piccola isola greca situata tra le isole di Idra e di Spetses, nell' arcipelago Argo-Saronico, fu scoperto da Peter Throckmorton che il 23 agosto del 1975 rinvenne sul fondale marino, limitrofo all'isola, a 20 metri di profondità, diversi vasi in ceramica e altri manufatti di un naufragio avvenuto alla fine del III Millennio avanti Cristo. In base alla datazione sarebbe il più antico relitto navale mai rinvenuto.
Importante il capitolo VII “Sardegna, la civiltà Nuragica”. Nell'isola del Mediterraneo Occidentale, dal XVII al X secolo avanti Cristo, ossia per tutta l'età del Bronzo, furono costruite migliaia di torri, distribuite capillarmente in tutto il territorio. In questo periodo si nota la presenza di armi in rame e bronzo e numerosi altri manufatti metallici. Al riguardo è da notare che la Sardegna è un’isola ricca di miniere ed è in questa fase che sono documentate le relazioni con il mondo egeo e con altri popoli del Mediterraneo. Siamo nell’epoca dei grandi edifici denominati “nuraghi a corridoio” (foto a p.151) e delle slanciate torri a più piani, edificate a secco e alte oltre venti metri. 
Il libro si conclude con un'analisi dettagliata dei celebri bronzetti nuragici e delle sculture a tutto tondo in pietra conosciute con il nome di "Giganti di Monte Prama", entrambe forme artistiche da inquadrare dopo il X secolo avanti Cristo, ossia nella Prima Età del Ferro, quando in Sardegna non si costruivano più nuraghi.

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