martedì 14 maggio 2019
Tradizioni di Sardegna. Sa Ramadura: una cerimonia molto più antica di Efisio, praticata per l'apertura dell'anno nautico.. Articolo di Gustavo Bernardino
Tradizioni di Sardegna. Sa
Ramadura: una cerimonia molto più antica di Efisio, praticata per l'apertura dell'anno nautico.
Articolo di Gustavo
Bernardino
Sono appena terminati i
festeggiamenti in onore di “Efis gloriosu” il santo forse più amato nel
Sud-Sardegna. Su questa figura ormai mitica del panorama celebrativo-liturgico
della nostra isola, è stato detto e scritto di tutto. Io mi limito a proporre
un chiarimento per quanto attiene la datazione di un particolare del rituale
che viene sempre più valorizzato ed evidenziato. E' una componente assurta a
posizioni di primaria importanza nello svolgimento della celebrazione e mi
riferisco a “Sa Ramadura” .
Intorno a questo elemento
rituale, diventato una icona della Sagra, in tanti hanno voluto dare un apporto
di conoscenza contribuendo così ad arricchire il suo valore iconografico.
Salvatore Dedola nel suo “NOU FAEDDARZU ETIMOLÒGICU DESSA LIMBA SARDA” Edizioni Grafica del Parteolla 2018, ritiene
che
“Arramadura”(ramadura) equivalga a “gettito di fiori e rami fatto prima
e durante una processione religiosa. L'uso è semitico e lo ricordano anche i
Vangeli a proposito dell'episodio della Domenica delle Palme, allorché il
popolo di Gerusalemme ricoperse di rami di palma il percorso di Gesù. La base
etimologica è l'akkadico “radûm ””.
Io condivido la base
etimologica suggerita dal Dedola ma per quanto riguarda il riferimento storico
credo sia più adatto, al contesto cerimoniale di S. Efisio, il racconto fatto
da Apuleio in merito ad una festa in onore di Isi (Metamorfosi libro XI) di cui
ci parla Sergio Donadoni in “Testi religiosi egizi” Garzanti Editore s.p.a.
1997 pag. 399 e segg. ”...Ed ecco un po' alla volta avanzano i preludi della
processione solenne, magnificamente addobbati, secondo il gusto di ciascuno.
Questi con cinturone alla vita, rappresentava un soldato; quello, in clamide
succinta figurava un cacciatore per gli stivaletti e gli spiedi; un altro, con
sandali dorati, con veste serica, con monili preziosi e pelli finti in testa e con incesso ondeggiante fingeva di
essere donna. Un altro che metteva in mostra schinieri, scudo, elmo e spada lo
avresti potuto credere uscito dalla scuola dei gladiatori. E non mancava quello
che per gioco faceva il magistrato con i fasci e la porpora, né quello con il pallio, il bastone, i sandali e la
barbetta da capra rifaceva il filosofo,
né
quelli con due diverse canne imitavano l'uno l'uccellatore col vischio, l'altro
il pescatore con l'amo.
Vidi anche un'orsa addomesticata che,
abbigliata come una matrona, era portata in portantina e una scimmia che con un
berretto tessuto con una tunica gialla di Frigia portava un bicchiere d'oro
come fosse il pastore Ganimede, e un asino con ali attaccate che seguiva da
presso un vecchio male in gambe: e nell'uno potevi riconoscere Bellerofonte,
nell'altro Pegaso, e dei due c'era da ridere.
Mentre
qua e là vagavano questi buffi divertimenti popolari, già si metteva in moto la
vera e propria processione della dea liberatrice. Donne, splendenti nei loro
abiti bianchi, liete di portare vari attributi, fiorenti di corone primaverili,
coprivano di fiori che estraevano dal grembo la via per la quale avanzava la
santa compagnia. Altre, con lucidi specchi alle spalle, mostravano
davanti alla dea, man mano che essa avanzava, gli atti di ossequio. Altre,
portando pettini d'avorio, col gesto delle braccia e il movimento delle dita
fingevano di ornare e pettinare le chiome regali; altre spargevano la piazza di
unguenti e di un balsamo divino che lasciavan cadere goccia a goccia. Veniva
quindi un gran numero di uomini e di donne con lucerne, con fiaccole, con
candele e altri lumi artificiali, per propiziare Colei che è all'origine degli
astri celesti . Quindi seguivano vari concerti, e flauti e tibie risonavano in
dolcissime melodie. A questo seguiva un piacevole coro, formato da sceltissimi
giovani in veste nivea e scintillanti negli abiti festivi. Facevano ritornello
con elegante poesia che un abile poeta aveva composto e musicato col favore
delle Camene e che preludeva col suo contenuto ai voti più solenni. Venivano
anche i flautisti sacri al grande Sarapi, che su un flauto traverso, volto
verso l'orecchio destro, andavano suonando il motivo consueto del tempio del
dio; e numerose persone che avanzavano gridando che si desse via libera alla
processione.
Allora
giunse la folla degli iniziati ai mestieri divini, uomini e donne di ogni grado
e di ogni età, luminosi nel candore delle loro vesti di lino, le une coperte i
capelli roridi di veli trasparenti, gli altri col capo lucido per i capelli
rasati fino alla radice: astri terreni di questa grande religione. Levavano un
suono tintinnante ed acuto coi loro sistri di bronzo, d'argento e perfino
d'oro. I soprastanti al culto, personaggi illustri, avvolti strettamente in
candidi abiti di lino che li fasciavano scendendo dal petto giù fino ai piedi,
portavano gli attributi caratteristici degli dei potentissimi. Il primo di
costoro protendeva una lucerna che splendeva vivamente di chiara luce, non
simile a quelle nostre che illuminano a sera le mense, ma in forma di barca
d'oro che lasciava uscire da un foro nel suo centro una fiamma piuttosto larga.
Il secondo era vestito in modo
simile, ma con tutte e due le mani portava quegli altari detti “ausilii”, ai
quali il giusto nome è stato dato dalla provvidenza ausiliatrice della dea
suprema. Il terzo veniva alzando una palma sottilmente lavorata in foglia
d'oro, nonché il caduceo di Mercurio. Il quarto mostrava l'emblema della
giustizia, e cioè una mano sinistra raffigurata a palma aperta: questa, con la
sua naturale pigrizia, priva di abilità e di capacità, pareva più adatta alla
giustizia che non la destra. Egli portava inoltre un vasetto d'oro arrotondato
a forma di mammella, dal quale libava latte. Il quinto portava un vanno d'oro
coperto di rami d'oro, il sesto portava un'anfora.
Ecco avanzano gli dei,
degnando di servirsi di piedi umani per avanzare. Ecco lo spaventoso che fa da
messo fra i superi e gli inferi, dall'alta faccia parte nera parte dorata, che
porta alta la testa canina, Anubi. Egli ha nella sinistra il caduceo, con la
destra scuote una palma verdeggiante. Subito dietro di lui veniva una giovenca
in piedi, fecondo simulacro della dea genitrice universale. Questa immagine era
portata sulle spalle da uno dei beati ministri, che avanzava dignitosamente. Un
altro portava la cista che conteneva coperti nel suo interno i segreti della
magnifica religione. Un altro portava nel suo felice grembo la veneranda
immagine del sommo nume, non simile ad animale domestico, né ad uccello né a fiera e neanche ad uomo; ma, con ingegnosa invenzione e
degna di reverenza per la sua stessa stranezza, argomento ineffabile di una
religione più alta e che deve essere protetta da profondo silenzio, è
raffigurato in splendente oro sotto la forma di una piccola urna
abilissimamente vuotata, dal fondo ben rotondo, coperta da mirabili rilievi in
stile egiziano. Il suo orificio, non molto alto, sporgeva in un becco, e dalla
parte opposta era fissata un'ansa il cui contorno si allargava descrivendo
un'ampia curva, su cui era collocato un aspide dalle spire contorte, che alzava
il capo gonfio e striato.
…Avanzando pian piano fra
queste cose e il tumulto della festa giungemmo presso la riva del mare... Là,
furono disposti secondo il rito i simulacri degli dei. C'era una nave
magnificamente costruita e mirabilmente dipinta con pitture in stile egiziano.
Il sommo sacerdote la purificò purissimamente con una fiaccola splendente, con
un uovo e con zolfo, e dopo aver profferito solennissime preghiere con la sua
casta bocca, e la mise sotto il nome della dea e gliela dedicò. La vela di
questa felice nave portava lettere ricamate in oro: quelle lettere esprimevano
il voto per la felice ripresa della navigazione. Già si alza l'albero, di
rotondo pino, sublime per splendore, e ben visibile per una coffa che attira
gli sguardi. La poppa portava scolpito un cigno, e risplendeva per le lamine
d'oro che la coprivano, e tutta la carena, di chiaro cedro, splendeva lucida.
Allora tutti, tanto gli
iniziati che i profani, ammucchiavano vanni carichi di aromi e di altre offerte
dello stesso genere e fan libazioni di latte sulle onde. Alla fine la nave è riempita di larghi doni e
di fauste offerte, è sciolta dalle gomene dell'ancora, ed è restituita al mare
da un particolare e sereno vento. Quando essa si è tanto allontanata che la si
vede a mala pena, tutti coloro che portavano gli oggetti sacri li ripresero, e
con entusiasmo si misero sulla via del ritorno al tempio, avendo ricostituita
la processione.
Ma quando arrivammo al
tempio stesso, il sommo sacerdote e quelli che portavano innanzi a lui le immagini
sacre e quelli che eran stati iniziati già da prima nel venerabile sacrario,
entrati nella camera della dea dispongono secondo il rito le vive immagini.
A questo punto uno, che
tutti chiamavano lo Scriba, in piedi davanti alla porta, chiamato come per una
assemblea il gruppo dei pastofori (è questo il nome del sacrosanto collegio),
da un alto palco comincia a leggere da un libro voti augurali per il principe,
il senato, i cavalieri e tutto il popolo romano; per i naviganti e perle navi
che sono sotto la legge del nostro impero; e quindi annunzia in lingua e con
rito greco la ploiaphesia (apertura della navigazione). Un immediato clamore
del popolo confermò il voto che questa parola augurale si effettuasse
felicemente. Fuori di sé dalla gioia, la gente porta virgulti, verbene, corone, e
bacia i piedi della dea, la cui statua d'argento era sulla scalinata; e se ne
torna a casa.
Ho
voluto riproporre integralmente il racconto della festa dell'apertura dell'anno
nautico a Corinto dedicata a Iside, perché, secondo la mia opinione, offre
diversi spunti di riflessione in ordine a possibili e significativi riferimenti
alla complessa cerimonia che riguarda il culto del santo venerato dai sardi. Ci
sono dei personaggi descritti da Apuleio che potrebbero trovare una
similitudine con altre figure (Guardiania) che compongono il ricco mosaico
della festa in onore di Efisio martire glorioso. Non di meno il racconto ci fa
capire come il rito della “Ramadura” risulta essere praticato secoli prima
della nascita del santo.
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