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lunedì 6 maggio 2019

Archeologia. Neith di Sais illuminata dall'Accademia. Articolo di Gustavo Bernardino


Archeologia. Neith di Sais illuminata dall'Accademia.
Articolo di Gustavo Bernardino


Per me che sono un fanatico sostenitore della presenza di Neith in Sardegna, leggere le considerazioni e le lucide argomentazioni di uno dei massimi esponenti del mondo accademico rappresentato da Giovanni Ugas, provoca un sentimento di grande soddisfazione e ne spiego le ragioni. Innanzi tutto chi è Neith e cosa rappresenta. E' una divinità nilotica che nasce a Sais, importante città del delta del Nilo, molto frequentata dai commercianti provenienti da oriente per rifornire il mercato egizio del lapislazzuli, il minerale molto amato dai faraoni. In Sardegna e precisamente nel Sulcis, a Benatzu (Grotta Pirosu), nell'altare ipogeico, si celebrava la
sua grandezza, dimostrata dall’enorme quantità di materiale liturgico rinvenuto. Tra gli studiosi che hanno analizzato la figura di questa dea, c'è chi sostiene che sia stata importata e che in realtà sia entrata nel Pantheon egizio attraverso un processo sincretistico sovrapponendosi alla babilonese tar (sumerica Inanna).
Nel “Dizionario delle divinità dell'antico Egitto” di Mario Tosi leggiamo che Neith era considerata “la Madre che ha donato la vita al Sole”. Ogni anno veniva celebrato a Sais il 13 di Epiphi (luglio) una festa in suo onore come si legge nel libro di Sergio Donadoni “Testi religiosi egizi”Garzanti Editore s.p.a. 1997, a pag. 341: ” ...quando essa (Neith) arrivò a Sais, la sera del 13 di Epiphi ci fu una bella e grande festa in cielo, in terra e in tutti i paesi. Essa prese allora la forma della dea Useret, prese il suo arco in mano, la sua freccia in pugno e si fermò nel castello di Neith, con suo figlio Ra.
Ra disse allora agli dèi che erano con lui: ”Accogliete Neith in questo giorno, venite a rallegrarvi per lei in questo bel giorno, poiché essa mi ha condotto fin qui sano e salvo. Date fuoco a torce davanti a lei. Fate festa in suo cospetto fino all'alba!”.
Nel suo libro “Shardana e Sardegna” Edizioni Della Torre 2016 Giovanni Ugas ci spiega cosa avveniva a partire dal Bronzo Medio per quanto riguarda la religiosità nuragica. Nel paragrafo 2 del capitolo XVIII a pag. 641 troviamo scritto che:”...dal Bronzo Medio furono frequentate varie grotte per finalità di culto in particolare quelle di Filiestru, Su Mannau, Grotta Pirosu o di Su Benatzu di Santadi, Domu' e s'Orcu di Urzulei, Grutta de is Caombus di Morgongiori. Nella grotta Pirosu è attestato un sistema di offerte con l'impiego di tazze e coppe. Nella grotta di Urzulei, il gruppo scultoreo bronzeo di madre col figlio morto ripropone nel I Ferro l'antico dramma del Dio (figlio della Dea) che muore, legato originariamente al ciclo esistenziale. Col culto di una divinità che muore può essere correlato anche il rito dell'accensione delle lampade, attestato nei nuraghi adattati a templi di Su Mulinu di Villanovafranca, Nuraxi di Pauli Arbarei e in altri nuraghi che derivano il nome dal ritrovamento delle lucerne (Lugherras di Paulilatino, Candelas di Sanluri etc.). Si tratta di un rito noto a partire almeno dal secolo X, che può essere giunto in Sardegna dall'Egitto dove, soprattutto a Sais, la processione con le lucerne accese rimembrava e rinnovava la ricerca, da parte di Iside, dei resti sparsi del corpo di Osiride...
Dunque un alto esponente dell' Accademia propone una tesi che collima con quella formulata da un “Archeoinvestigatore” (articoli del 28/03/2018 e 15/03/2019 in questa rivista) che però ha, con molta probabilità, individuato oltre al rito, anche il nome della  divinità che veniva  venerata nel tempio di su Benatzu ovvero Neith regina di Sais. E' inconfutabile che, in presenza di un documento così preciso come quello riprodotto da Sergio Donadoni, proveniente dai “Testi delle Piramidi”, si possa dubitare che il rito delle lucerne non appartenga al culto di Neith di cui inoltre, a mio parere, esistono delle immagini nitide e sublimi racchiuse nelle “Stele di Sulcis” (foto inizio testo) citate da Sabatino Moscati nel documento “Dall'Egitto alla SardegnA: Il  Personaggio con Ankh “ del 1981. La presenza di Neith in Sardegna è sostenibile anche per un'altra ragione, sempre attinente la sfera religiosa, infatti, questa dea in epoca punico/fenicia assume, per sincretismo, la connotazione di  Tanit. Quest'ultima a sua volta, probabilmente nel Ferro Medio, diventa Astarte. Di entrambe le divinità esiste ampia documentazione.
L'ipotesi di Ugas quindi avvalora la tesi del compianto Nicola Porcu che nel suo libro “Hic Nu Ra” Carlo Delfino editore 2013, sosteneva che il nome Nuraghe discendesse dal trinomio Nun (acqua) Ra (sole) Gheb (terra) che io condivido parzialmente nel senso che ritengo più appropriato pensare che il trinomio sia composto da Nut (luce) Ra (sole) Gheb (terra) ricordando appunto che Nut e Gheb sono i figli di Ra. Come afferma il prof. Ugas, il rito dell'accensione delle lucerne è stato attestato in diversi nuraghi come per esempio in quello di Su Mulinu di Villanovafranca, di Su Nuraxi di Pauli Arbarei ed in altri megaliti che derivano il nome dal ritrovamento al loro interno delle lucerne. Questo elemento è molto importante perché consente di dare una risposta all'interrogativo che si pone nel dover interpretare il manufatto (altare lacustre) posizionato all'interno di Su Mulinu definito, secondo la mia opinione erroneamente, “modello di nuraghe”. Viceversa, se si tiene presente il rito delle lucerne, che a detta di Ugas doveva aver luogo nel nuraghe, è possibile collegare lo stesso rito alla divinità di Benatzu, Neith. Sappiamo che essa è figlia di Khnum (vedi articoli del 8/08/2018 e 18/10/2018 in questa rivista) e che per gli egizi dell'Isola Elefantina assumeva il nome di Anuqet protettrice del Nilo. In questa veste veniva raffigurata con il capo coperto da una corona simile al manufatto che si trova all'interno di Su Mulinu. Tutto il discorso fila perfettamente e ogni cosa trova la sua giusta collocazione in un ambito religioso egizio.
Riepilogando, abbiamo Khnum, dio generatore di vita in forma duplice, individuato attraverso il bronzetto votivo di Teti; Neith di Sais sua figlia, che si presenta anche come Anuqet (la cui corona è riscontrabile negli altari lacustri di Su Mulinu e di Su Monte di Sorradile) è la madre di Ra. Il dio del sole genera due figli Nut (luce) e Gheb (terra). Quindi, anche se tale concetto può apparire inaccettabile per molti accademici, è assai probabile che il nome NU RA GHE discenda proprio dal dio Sole e dai suoi figli con i quali costituisce una triade sacra. A questo punto, non si può escludere che le immancabili tre nicchie presenti nei nuraghi, servissero per ospitare i tre personaggi della triade sacra, NUT, RA e GHEB. Il padre con i due figli per sincretismo diventano il Padre, il figlio e lo spirito santo dei cristiani. Verrebbe confermata in questo modo, la tesi secondo cui i nuraghi erano le antiche “Chiese” dei nostri antenati con le loro tre nicchie (le cappelle) per ospitare le statue degli dei e illuminate dalla luce del sole che penetrava attraverso le apposite feritoie presenti nel nuraghe (che non hanno nessuna valenza difensiva/militare). Potremmo sostenere in conclusione che in Sardegna è possibile seguire l'evoluzione delle religioni mediterranee grazie al via vai di nuragici, egizi e mesopotamici i quali andavano e venivano portando merci, culti, divinità e conoscenze. Un laboratorio in cui nascevano nuovi dei e nuovi riti, una fucina di sacralità ovvero l'Isola Sacra dei testi antichi.






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