martedì 8 maggio 2018
Archeologia. Studi sul Tofet. Articolo di Piero Bartoloni
Archeologia. Studi sul Tofet
Articolo di Piero Bartoloni
Consiglio Nazionale delle
Ricerche
Istituto di Studi sul
Mediterraneo Antico
Rivista di Studi Fenici,
fondata da Sabatino Moscati.
XLIII-2015
Scorrendo le
pagine scritte nel ’700 e nel secolo successivo dagli studiosi di antichità,
sorge spontaneo un senso di tenerezza nel leggere ipotesi che,
se sostenute oggi, sfiorerebbero il ridicolo e per noi sono ovviamente
da rigettare, ma che all’epoca erano parte integrante della diatriba
scientifica. tralasciando il puro candore delle antiche statue marmoree,
celebrato da Johann Winckelmann, che in realtà erano policrome, come non
ricordare ad esempio che Heinrich Schliemann riteneva di aver trovato i gioielli
della mitica Elena, mentre aveva rinvenuto quelli di una dama che l’aveva
preceduta di alcuni secoli, o che il Canonico Giovanni Spano
sosteneva di poter evidenziare la presenza degli Egiziani in
Sardegna, sulla base degli amuleti punici di tipo egittizzante? Tutto ciò
dimostra che lo scorrere del tempo e il continuum della ricerca
scientifica “fanno giu-stizia” di quelle che un tempo erano ritenute realtà
d’importanza capitale e che oggi fanno sorgere un sorriso per la labilità del problema
ormai risolto, che oggi ci appare come una ovvietà. tutto ciò
grazie al progresso inarrestabile della Storia, degli studi e dell’analisi
positiva, che vagliano inesorabilmente in modo critico ogni problema e lo fanno
proprio o lo accantonano a seconda del
risultato ottenuto. Nel 1949 Kurt
Wilhelm Marek, giornalista e divulgatore, meglio noto con lo pseudonimo di
C.W.Ceram, pubblicò Götter, Gräber und Gelehrte. Roman der Archäologie, che in
Italia vide la luce nel 1952 con il titolo Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia,
ottenendo un successo strepitoso. Sull’onda di questa affermazione, nel 1955, Werner Keller, anch’esso
giornalista, pubblicò The Bible As History. Il volume costituì un vero e
proprio evento editoriale e, in conseguenza di questa popolarità, fu tradotto
in oltre venti lingue. In Italia fu pubblicato nell’anno successivo con il
titolo La Bibbia aveva ragione. La finalità del volume consisteva nel
tentare di dimostrare che gli eventi narrati nella Bibbia nell’area della
Palestina, cioè tra il promontorio del Carmelo e la città di Gaza, erano
realmente accaduti ed erano storicamente e archeologicamente documentabili. Il
Dr. Keller aveva scritto il suo libro, rivisto poi nel 1978, sulla base delle
conoscenze storiche e archeologiche del tempo, che, in seguito, nella
maggioranza dei casi non hanno retto ad un’attenta disamina storica e
archeologica. Tra i lavori che hanno contribuito a quest’analisi, si possono
segnalare alcune opere,tra le quali quelle di Mario Liverani e di Giovanni
Garbini. Lo stesso problema in questi ultimi anni si pone per quanto riguarda
il supposto sacrificio dei fanciulli, che,secondo alcuni passi biblici,
veniva perpetrato dai Fenici residenti a Gerusalemme in un’area periferica
della città. Il tema attualmente può vantare una letteratura quasi sterminata,
a riprova di quanto l’argomento interessi un’area del mondo
scientifico contemporaneo, soprattutto per le implicazioni che lo
accompagnano. Il tema ha talmente colpito l’opinione pubblica internazionale,
da essere divenuto parte fondamentale della trama di un famosissimo romanzo,
dedicato da Gustave Flaubert a Salammbô, presunta sorella del condottiero
cartaginese Annibale. Per quanto riguarda il mondo scientifico, nel
trentennio tra gli anni ’60 e gli anni’90 del secolo scorso Sabatino
Moscati ha dedicato all’argomento alcune pagine memorabili, alle quali si
rimanda anche per l’ulteriore bibliografia pregressa sul tema specifico. Chi professa la ricerca scientifica di norma non
parte da presupposti che in seguito tenta di di-mostrare, ma esamina quanto
emerge dai lacerti del mondo antico per tentare di ricostruire almeno una
piccola porzione del passato. In definitiva, lo studioso esamina tutte le
fonti nel loro complesso e solo inseguito trae le conseguenze, accetta e
fa proprio quanto ha individuato. L’argomento biblico del tofet è molto caro alla letteratura scientifica e sembra aver percorso un
itinerario analogo, poiché alcuni studiosi tentano di dimostrare la veridicità
di quanto tramandato dalla narrazione biblica, cioè che i popoli stranieri
abitanti a Gerusalemme praticassero i loro riti nel santuario di tofet.
Secondo la narrazione biblica, tali pratiche religiose consistevano
nell’uccisione rituale di infanti, che venivano dedicati alle divinità. Questa
affermazione ancora oggi è oggetto di diatriba
scientifica, che talvolta assume caratteri talmente accesi,da non sembrare
consoni a un argomento scientifico. Si tratta dell’annoso problema
costituito dal tofet e dalla sua natura. In realtà, la narrazione biblica,
tentando di dimostrare che gli dèi stranieri erano falsi e bugiardi, è
possibile ricorresse a una narrazione che potremmo definire colorita, inserendo
particolari che tendevano a favorire il rigetto di tali divinità.
Un’ultima considerazione da fare è che Gerusalemme, come tutte le grandi
città dell’epoca e in ogni tempo, è stata sede di residenti stranieri,
che, a vario titolo – dagli ambasciatori agli artigiani – risiedevano
stabilmente nell’agglomerato urbano. È anche ovvio che questi stranieri
residenti avessero importato i propri usi e costumi e, dunque, professassero le
loro religioni e i loro culti. Da qui gli ammonimenti biblici ai cittadini
d’Israele affinché non abbracciassero
le religioni straniere. Quindi, affinché non si accostassero
alle nuove ideologie, le dipingevano a fosche tinte e, nel caso particolare
della religione fenicia, introducevano particolari raccapriccianti, non
necessariamente corrispondenti alla realtà. Resta un’ultima considerazione che
riguarda l’atteggiamento nei confronti della ricerca: questa infatti è formata
da un consesso di studiosi che dovrebbero essere volti alla
ricerca della “verità”, mentre,spesso, taluno interpreta la ricerca come una
tenzone, dalla quale dipendano anche il proprio status e il proprio
futuro. Alcuni titoli recenti, tra i quali: Phoenician bones of
contention sembrano sottendere che vi sia una qualche tenzone in atto. Ma,
in realtà, non vi è nessuna gara e, soprattutto, non sono previsti vincitori,
poiché, almeno per quanto mi riguarda non vi sono né ossi, né, tanto
meno, contese. Negli ultimi cinque lustri, attorno allo specifico argomento sono
stati versati, come si suol dire, fiumi d’inchiostro, ma,almeno per il
momento e allo stato attuale dei mezzi a nostra disposizione, il
problema sembra insolubile e, purtroppo per qualcuno, nessuno dei due
contendenti dell’osso sembra poter prevalere sull’altro. A titolo puramente
esemplificativo, al fine di illustrare la diatriba, si citano alcuni tra i più
significativi contributi relativi all’ultimo decennio. Il problema più
attuale consiste dunque nell’accettazione di questa realtà ed è del tutto
inutile sciorinare per l’ennesima volta i dati derivanti dalle indagini
archeologiche,dalle analisi osteologiche, che attualmente nulla sono in grado
di aggiungere, o riproporre l’esegesi dei passi biblici secondo le differenti versioni o delle
iscrizioni puniche e neopuniche rinvenute nei diversi santuari del Mediterraneo
centrale. Il problema è
stato sceverato sotto ogni possibile aspetto, dallo storico sensu stricto,
allo storico-religioso, dall’archeologico all’antropologico. In campo
archeologico sono state avanzate le più differenti ipotesi,tra le quali, ad esempio, quella che
ogni archeologo che abbia avuto contatti con le aree sacre rigetta, cioè
chela deposizione delle stele nei tofet fosse contestuale all’interramento
delle urne. Se ciò fosse reale, ridurrebbe il monumento a un mero segnacolo e,
di conseguenza, permetterebbe di supporre che nella realizzazione del ben noto
muro T2 del tofet di Mozia, edificato utilizzando una parte delle
stele deposte nel santuario, sia stato perpetrato un sacrilegio, compiuto
sottraendo una testimonianza importante del sacrificio. Anche per quel
che riguarda i contenitori fittili, in base a un calcolo
molto approssimativo del numero delle urne presenti nelle aree sacre,
si è proposto che le offerte,
cruente o meno, fossero state circa quattro all’anno, ma questo calcolo è per
l’appunto fortemente approssimativo, poiché non tiene conto della
cronologia delle urne, del loro numero relativo e, tanto meno, della loro
sparizione nel corso dei secoli. Ad esempio, nel tofet di Sulky si è
potuto constatare che la maggiore concentrazione di urne si è avuta tra il VI e
il V sec. a.C., mentre, apparentemente, un numero minore è presente nei tre
secoli successivi. Ciò, per quanto riguarda l’aspetto demografico, risulta in
palese contrasto con quanto desumibile dall’impianto funerario, poiché il
maggiore utilizzo della necropoli si è avuto tra la fine del V e la prima
parte del III sec. a.C. Quindi, questo calcolo, almeno per quanto riguarda
l’area sacra sulcitana, è totalmente privo di significato poiché gran parte
delle urne appartenenti ai livelli superiori, appunto tra il IV e il II sec.
a.C., è sparita nel corso dei secoli ed è stata distrutta. Significativo a
questo proposito è il toponimo attuale dell’area del tofet di Sulky, denominato
Sa Guardia de is Pingiadas
cioè “La
vedetta delle pignatte”, che lascia intuire come l’area fosse nota da
lungo tempo e che le urne più superficiali siano emerse fortuitamente nel corso
degli anni e, di conseguenza, siano state sottratte ai fini di una loro
valutazione. Una prima sistemazione dell’argomento è dovuta a Hélène
Benichou-Safar, autrice di uno studio rigoroso ed esaustivo, che raccoglie
e sistematizza i dati archeologici emersi nel corso del tempo. Questo
eccellente lavoro, che ho avuto modo di recensire a suo
tempo, fornisce in modo asettico tutti i dati archeologici emersi da
quest’area dal 1881 fino alle ultime ricerche, dovute a Lawrence Stager e a
Samuel Wolff. In
questo quadro, sono apparse recentemente due importanti opere che trattano il
problema sotto di-versi aspetti. La prima, resa di pubblico dominio nel
2010, è il risultato che Valentina Melchiorri ha ottenuto durante la
frequenza del XXII ciclo presso la Scuola di Dottorato dell’Università di
Sassari, tutor Sandro Filippo Bondì e Co-tutor Paolo Bernardini. Il lavoro,
presentato nel febbraio del 2010 con il titolo
Il tofet di Sulci
nel Mediterraneo centrale fenicio: lettura incrociata dei materiali
archeologici e analisi integrata delle componenti, è stato posto
on-line con il sotto indicato indirizzo. La ricerca, anticipata da una
presentazione, trae origine dall’analisi di alcuni contenitori di ossa
rinvenuti tra il 1995 e il 1998 da Paolo Bernardini. In particolare, nel 1998,
sono state effettuate
indagini lungo il versante orientale del pinnacolo del tofet, che hanno
permesso di portare in luce numerose urne relative al periodo compreso tra
l’VIII e il VI sec. a.C. Tra queste, ben 151 sono state prese in esame assieme
a 68 recipienti aperti di copertura da Ilaria Montis,che ne ha pubblicato un
quadro tipologico. Questi ultimi recipienti sono conservati nei locali
della sede periferica di Sant’Antioco della Soprintendenza Archeologica per le
Province di Cagliari e Oristano e, come detto, sono stati almeno in parte
oggetto di studio prima in una tesi di Laurea e poi in una tesi di
Dottorato a cura di Valentina Melchiorri. Infine, una parte delle urne è stata
riproposta da Paolo Bernardini ed è stata oggetto di una sistemazione
cronologica. La tesi di Dottorato si articola in ben 9 capitoli: il Cap. 1
riguarda Premesse generali e inquadramento storico e appartiene alla I
Sezione, denominata Il contesto archeologico: aspetti generali. Sempre alla
stessa Sezione fanno capo i Cap. 2 e Cap. 3, e mentre il Cap. 2 prende in esame
I contesti tofet, il succitato Cap.3 riguarda
gli Aspetti storico-religiosi. Nella Sezione II sono compresi i Capp.
dal 4 all’8, che concernono rispettivamente, il Cap. 4 Il sito dell’antica
Sulci, il Cap. 5 Presentazione del contesto e storia delle ricerche, il
Cap. 6 Le indagini recenti, il Cap. 7 Lo scavo 1998: i materiali archeologici –
I e il Cap. 8 Lo scavo 1998: i materiali archeologici – II. La Sezione II,
dedicata agli Appunti per una lettura congiunta del dato
archeologico comprende il Cap. 9, consacrato agli Aspetti
socio-antropologici. Seguono le Conclusioni. Chiudono il volume il Catalogo,
con i contenitori divisi per ciascun quadrato di ritrovamento, la bibliografia e
gli elenchi delle figure e delle tavole. Per quanto riguarda questo lavoro sono
stati esaminati in precedenza alcuni aspetti riguardanti soprattutto le analisi
osteologiche umane e animali inserite nelle urne, ma i contenuti riguardanti
le urne non sono stati oggetto di ulteriori analisi. In particolare, l’Autrice
ha sostenuto che tutti i recipienti contenessero resti ossei umani combusti e
che tutti i resti ossei animali rinvenuti all’interno dei contenitori potessero
essere considerati “intrusivi”, introdotti cioè dopo il seppellimento delle
urne stesse. Di parere diverso Barbara Wilkens, autrice delle
analisi osteologiche degli stessi resti animali, la quale ha
dimostrato in modo inoppugnabile che solo una minima parte dei vasi contenitori
avessero ospitato resti umani. Un’ultima considerazione riguarda la ricca
bibliografia presentata alla fine del testo che consta di circa 550
titoli. Tuttavia, purtroppo, occorre constatare che solo una parte
delle opere elencate risulta utilizzata e,in quanto tale, citata nel
testo, poiché, su circa 550 opere elencate nel capitolo dedicato alla
bibliografia, solo poco meno di 250 trovano riscontro all’interno del testo, con
almeno una citazione. Le problematiche riguardanti la natura e le finalità
dell’area sacra nota anche con il nome di tofet sono state
esaminate anche da Bruno D’Andrea, che di certo oggi possiamo annoverare tra i
maggiori specialisti della materia, in un prezioso volume dal titolo I tofet
del Nord Africa dall’età arcaica all’età romana (VIII sec.a.C. - II sec. d.C.).
Studi archeologici e cultuali, apparso a Roma nel 2014 come XLV
volume nella prestigiosa collana della «Collezione di Studi Fenici» (= «CSF»,
45) che l’Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico del Consiglio Nazionale
delle Ricerche annovera tra le sue pubblicazioni, attualmente per i tipi di
Fabrizio Serra Editore. La monografia non nasce certamente ex abrupto, ma è il
frutto di ormai annose indagini nelle quali lo studioso ha esaminato le aree
sacre presenti in quella che era la chora di Cartagine, dopo la fine della
seconda guerra punica. Dell’Autore si ricordano in particolare diversi studi
riguardanti il problema nei suoiaspetti salienti nonché alcuni particolari
santuari e i materiali ivi rinvenuti. Tutti questi studi hanno preso in
esame i più differenti
aspetti legati alle problematiche dell’area sacra, che attualmente sono
sceverate nel libro trattato in questa sede. Il volume ad opera di Bruno
D’Andrea presenta un sommario estremamente articolato, nel quale vengono
indicati i singoli paragrafi. Dopo la breve Prefazione, a cura di Maria Giulia
Amadasi Guzzo, che lo ha seguito nel corso degli anni, seguono i
Ringraziamenti,
nei quali l’Autore ricorda gli studiosi che in qualche modo hanno contribuito
alla sua formazione o hanno contribuito a fornirgli dati e indicazioni perla
realizzazione del volume. Tra gli altri viene ricordato il mio intervento che
ha avuto luogo a Sassari nel dicembre del 2010, nel corso del XIX convegno di
studio su “L’Africa romana”, intervento certamente critico, ma mai distruttivo
e, soprattutto, sempre rispettoso delle prerogative dell’Autore. Il Sommario
prosegue con la pagina dedicata
alle Abbreviazioni, norme e sigle del testo.
Segue quindi l’Introduzione, nella quale vengono chiariti gli Obiettivi e
metodologia della ricerca, e successivamente sono indicati I tofet
“classici” e I tofet “tardo punici”. Vengono poi trattate Le divinità del
tofet, con particolare riguardo a Baʻal Hammon e Tinnit, nonché Le corrispondenze/sovrapposizioni di età romana:
Saturno e Caelestis. Chiude il paragrafo dedicato
a I riti del tofet e il “panorama”
sacrificale mediterraneo. Alcuni quadri sinottici e alcune illustrazioni
completano l’Introduzione. Il testo che segue è articolato in tre parti; la
prima riguarda Il territorio della Provincia Africa, con particolare
attenzione ai santuari di Cartagine e di Hadrumetum. La rassegna prosegue con
l’analisi dei santuari di El Kénissia, di Menzel Harb, di Sidi el-Hani, di El
Jem, cui fa seguito la trattazione riguardante i siti del Capo Bon, della valle
della Medjerda e della regione nord-occidentale. La seconda parte dell’opera
riguarda Il territorio dell’Africa Nova nell’odierna Tunisia e tratta in
modo capillare i santuari dei diversi insediamenti ei loro reperti mobili,
dal centro di Dougga a quello di Tala, nell’isola di Djerba. La terza
e ultima parte concerne i territori della Libia e della parte restante del
Maghreb. Il ponderoso ed esaustivo lavoro si conclude con l’analisi dei dati
esposti più sopra. Il volume termina con l’elenco delle abbreviazioni, con una
esaustiva bibliografia, con un indice dei toponimi. All’interno dei singoli
capitoli, numerate secondo la successione degli stessi, sono numerose figure. Le
76 tavole, alcune delle quali con disegni al tratto, chiudono il tomo. In
conclusione, il volume di Bruno D’Andrea rende sistematico l’argomento,
soprattutto perché raccoglie e aggiorna le testimonianze disseminate
nell’enorme territorio nord-africano e nell’altrettanto vasta bibliografia. Si
tratta dunque di un lavoro scientificamente impeccabile e decisamente meritorio,
che merita il plauso dell’intera Comunità scientifica.
Fonte:
https://www.academia.edu/36571214/Studi_sul_tofet
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