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domenica 4 marzo 2018

Archeologia. Il pastorello Aci e la lancia dei Siculi Riflessioni di Cecilia Marchese


Archeologia. Il pastorello Aci e la lancia dei Siculi
Riflessioni di Cecilia Marchese


Le immagini più antiche dei Siculi oggi a nostra disposizione compaiono negli splendidi bassorilievi presso il tempio egizio di Medinet Habu, i quali celebrano la campagna militare vittoriosa del faraone Ramses III contro un tentativo d'invasione dell'Egitto da parte dei Popoli del Mare: tra cui, difatti, vengono menzionati gli Sheklesh o Shakalasa.
I due bassorilievi in questione ritraggono guerrieri presi come prigionieri dalle milizie egizie e, tra i diversi guerrieri rappresentati, spiccano le raffigurazioni di guerrieri siculi.
Non è mia intenzione, in questo breve articolo, soffermarmi sulla questione dell'identità tra Siculi e Sheklesh/Shakalasa, né sulle vicissitudini storiche affrontate da questo popolo (sull'argomento ho già scritto altrove) - bensì cogliere alcuni elementi che ne riconducono l'essenza al contesto mediterraneo del Medio e Tardo Bronzo, fino ad alcune testimonianze della presenza sicula nella Nostra Beddissima Isola di Sicilia.
Dunque. In entrambi i casi il guerriero siculo prigioniero si distingue per un copricapo di tessuto (forse lana ?) molto simile a quello indossato dai beduini del Negev - gli Shasu, fissato al capo con
una benda frontale.
Egli porta la barba un po' appuntita alla foggia semitica, un'"oscilla" (il grande medaglione circolare al petto, posto all'altezza del cuore, chiaro rimando alla protezione di una divinità solare), e una tunica o gonna a fasce colorate che arriva a toccare i polpacci, nonché diversi ornamenti come bracciali.
Tuttavia oggi il mio intento è quello di prendere in considerazione una delle armi preferite dai Siculi e ad essi associate: ossia la lancia definita "akes" in lingua copta.*
Prepariamoci per un salto nello spaziotempo e torniamo alla nostra isola.
Osserviamone certa toponomastica, in particolare l'idronimia - alcuni nomi di fiumi.
Nella Sicilia Orientale sono presenti idronimi quali Akesines (l'antico nome dell'Alcantara, ove la traduzione araba "Al-Qantarah" ossia "bacino idrico" sostituisce l'idronimo precedente), Assinos, Ombola Acesine, Asine, Acate, Aci.
Se il suffisso in -in- o -te- rafforza il primo termine del composto idronomastico, quest'ultimo indubbiamente è identico per tutti e deriva da un radicale in *ak-, *ak(i)-, *ak(e)-.
Radicale che possiamo agevolmente rintracciare nel lessico protoindoeuropeo col significato di "piegare", "piegato" e generalmente applicato all'acqua: giacché l'acqua si piega, assume la forma del contenitore che essa riempie.
Pure l'italiano "acqua" deriva etimologicamente dallo stesso radicale protoindoeuropeo.
Scopriamo quindi che questo strato idronomastico, nella Sicilia Orientale, è associato con grande semplicità all'acqua - in questo caso quella che scorre, l'acqua fluviale.
Affrontiamo un altro grande balzo spazio-temporale e spostiamoci fino all'(apparentemente) lontanissima ed esotica India.
Osserviamo l'immagine di un Dio molto amato dalle popolazioni hindu: Kartikeya, noto come Muruga presso i Tamil.
Kartikeya/Muruga compare in molti miti, dei quali il più antico viene riportato nei testi vedici, dove attributi del Dio sono "Skanda", ossia "lo Zampillante", e "Kumara", cioè "il Ragazzo".
In questa versione il Dio viene generato dal seme che il padre, Rudra/Shiva, infuoca e getta nel fiume Gange.
Se esaminiamo l'iconografia di Kartikeya/Muruga, noteremo che egli impugna una lancia con la caratteristica punta dalla forma piatta e allargata.
Il nome della lancia è tradizionalmente noto come "vel", ma anche come "sakta".
Ricordo che, presso tutte le scuole hindu, "Shakti" è l'espressione del Principio Cosmico Femminile. Shakti è la Grande Dea Universale, il Potere della Femmina.
Adesso esaminiamo proprio la punta di questa lancia, e confrontiamola con uno dei soggetti maggiormente rappresentati sulle ceramiche provenienti dall'antichissima e splendida Civiltà della Valle dell'Indo, quella di Mohenjo Daro e Harappa (dal IV millennio a.C. ca. alla metà del II millennio a.C. ca.).
Ecco: l'avete vista anche voi.
La foglia del "pipal" (variante indiana dell'albero di fico), dipinta ovunque su questi meravigliosi manufatti, ha esattamente la forma della punta di questa lancia "vel" o, appunto, "sakta".
Ma, se consideriamo che la logica nel mondo del mito sia quella formale - cioè l'analogia - qual è dunque l'analogia che si coglie più facilmente confrontando la foglia del pipal raffigurata sulle antiche ceramiche, la punta del vel di Kartikeya/Muruga... e il suo nome "sakta", ossia il Potere della Femmina ?
Ebbene: l'analogia più immediata ed evidente è quella con l'aspetto dei genitali femminili.
La Vulva ben aperta, fonte della Shakti, ossia dell'Energia Femminile, è equiparata alla foglia del pipal (non per niente albero sacro presso gli Hindu) e quindi, di conseguenza, alla "sakta", alla punta della lancia del Dio Kartikeya/Muruga.
Ora possiamo tornare ai nostri Siculi e alla loro lancia "akes", rammentando brevemente che, se il racconto vedico della nascita di Kartikeya/Muruga vorrebbe rimuovere il legame profondo tra il Dio "zampillante" e sua Madre - ossia il fiume Gange - potente deità femminile in India ed eccelsa incarnazione della Shakti, in realtà il processo di "patriarcalizzazione" del racconto non riesce appieno: intuiamo subito che il Dio con la "sakta" è un'emanazione della Grande Dea fluviale.
Lance col nome legato alle acque, Dee e Dei fluviali.
Ecco finalmente i Siculi.
Le lance "akes" (ossia "acqua" !) di questi nostri antenati, evidentemente usufruivano di un potere particolare elargito proprio dalla potente Signora delle Acque, come quello donato da Ganga, Signora del Gange, al giovane figlio, il "ragazzo" Kartikeya/Muruga.
Probabilmente, prima di essere utilizzate in guerra, queste lance venivano consacrate in un rito battesimale praticato tra le acque di un fiume.
Non è escluso nemmeno che queste, perlomeno in origine, fossero appannaggio di una classe circoscritta di guerrieri, di una casta dall'alto lignaggio, e/o da coloro i quali venivano reputati Re o Eroi o Semidei... assumendo proprio il titolo di "Akis" o "Aci" !
Conosciamo tutti la storia del pastorello Aci che s'innamora della bella Galatea, e sappiamo come a questa tarda leggenda ellenistica sia legata buona parte della toponomastica presente sulla costa ionica etnea: Acitrezza, Acireale, Aci Catena, Aci Bonaccorsi, Aci Sant'Antonio, Aci San Filippo, Aci Platani...
Di fatto siamo convinti che questo strato toponomastico sia pervenuto alle falde dell'Etna attraverso la grande ondata migratoria iniziata nei secc. VIII-VII a.C., la quale portò nella nostra terra migliaia di affamati provenienti dalla penisola ellenica e dall'Egeo: i cosiddetti "Greci".
Ma addentriamoci nella leggenda con un po' più d'attenzione.
Il protagonista è, appunto, il "pastorello" Aci. "Akis" in Greco.
Andiamo a rispolverare la Bibbia.
Vi leggeremo di un certo re Akis, potente e temuto, che largisce in dono al re David una città situata presso la fascia costiera compresa tra gli attuali Libano e Palestina.
Il nome di questa città è Siklag.
Se a ciò aggiungiamo che la moneta ebraica tradizionale è il siclo, lo "shekel" - dovremmo cominciare a riflettere seriamente...
Ora invece scomodiamo un altro mito, tramandato in lingua greca.
Quello del "pastore" noto come Anchise, il quale si congiunge in amore con la Grande Dea Afrodite in un tripudio di primavera.
Anchise è più famoso come padre troiano del pio Enea, generato proprio con la Grande Dea Venere.
Anchise, in greco "Ankises".
Aci, in greco "Akis".
Il re biblico Akis.
Il "pastore" Anchise si unisce con la Grande Dea Afrodite o Venere.
Il "pastorello" Aci ama la bella Galatea.
Chi altri potrebbe essere tale bella "Gala-thea", se non "la Dea del Mare": ossia la Signora Afrodite/Venere ?
E potrebbe poi un semplice pastore unirsi alla Signora Universale nella sua epifania acquorea ?
Non sarebbe proprio possibile, a meno che... il pastore non fosse un semplice pastore ma un Re Pastore.
Vale a dire un Iniziato proveniente da una società di allevatori che, secondo le usanze mediterranee dell'Età del Bronzo, ottiene la sovranità su un certo territorio celebrando le nozze mistiche ("Hieros Gamos") con la Grande Dea di quel territorio, verisimilmente incarnata da una Regina e/o Grande Sacerdotessa.
A questo punto il pastorello Aci non è più un semplice "pastorello" ma un re !
Il pastore Anchise, com'è evidente nell'Iliade e soprattutto nell'Eneide, ha un'aria regale e, infatti, è un re. Enea viene descritto come "principe" troiano.
Il re biblico Akis re lo è già, del prestigioso territorio di Ghat, e come tale viene presentato.
Evidentemente la regalità, come nel caso della maggior parte dei popoli mediterranei, in origine era legata ad un rito ierogamico attraverso cui il futuro re avrebbe acquisito il titolo di "Akis", dal nome delle Sacre Femminee Acque nelle quali veniva lustralmente immerso.
Dunque Aci, Anchise, Akis non sono nomi propri bensì titoli: epiteti come "Faraone" o "Minosse" ("quello della Luna").
Appannaggio della regalità conseguita per i nostri Siculi doveva essere proprio la lancia "akes", anch'essa consacrata nelle afroditiche-veneree-galatee acque onde garantire al sovrano la magnifica virtù dell'acquatica Shakti, cioè del Potere Femminile !
Se, dal punto di vista linguistico, la nasalizzazione della -a- iniziale porta un Akis a diventare un An-kis-es (forse una variante fonetica anatolica, con raddoppiamento del suffisso), adesso abbiamo svelato pure un labirinto idrico di connessioni tra la Nostra Beddissima Isola, il mondo egeo-anatolico e la costa siro-palestinese, ove sorgevano "emporia" costieri presso cui i nostri avi Siculi, di stirpe indoeuropea e quindi dalle abitudini perlopiù nomadi che sedentarie, svolgevano la loro professione di marinai, commercianti, all'occasione pirati e guerrieri.
Il Mare Mediterraneo ci fa tutti parenti !
Sempre sotto il segno delle sue potenti femminee acque, a cui tendono tutti i fiumi Aci innamorati del bel mare Galatea.
Retrodatiamo di molti secoli certa toponomastica e idronomastica della Sicilia Orientale: non è "greca", bensì sicula.
Che poi Dori, Siculi ed Elimi (-non- i Sicani) fossero... solo gruppi differenti ma appartenenti alla stessa stirpe, forse lo racconterò in un'altra di queste storie mediterranee di mare, di Dei, d'amore e a volte di guerra.

*Le informazioni sulle oscille sicule, rinvenute presso Francavilla (ME), e sul nome copto della lancia mi sono state cortesemente fornite da Giuseppe E Roberta Tizzone, che colgo l'occasione di ringraziare.


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