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mercoledì 1 novembre 2017

Teti, la terra degli uomini lupo. Articolo di Agostino De Santi Abati

Teti, la terra degli uomini lupo.
Articolo di Agostino De Santi Abati
(per ingrandire le immagini cliccarci sopra)


«Homo homini aut deus, aut lupus»; 
l'uomo per il suo simile può essere simile a un dio o simile a un lupo.
(Erasmo da Rotterdam).

Così è nata la leggenda dei LUPI MANNARI
Un reperto molto discusso per via del mistero sul suo ritrovamento, ma soprattutto per la presenza di glifi su di essa e in particolar modo, del simbolo del pugnale ad elsa gammata, un arcano pittogramma con valore simbolico e fonetico e una serie di glifi che compongono la parola LUPO, che ci porteranno in un viaggio tra miti e leggende in luoghi lontani.
Teti, città al centro della Sardegna, distante 15 km da quella che è considerata l’ombelico, Sorgono, territori con una natura ancora incontaminata e ricchi di storia antichissima. Il territorio di Teti, è il più ricco di tutta la Sardegna per quanto riguarda i ritrovamenti nuragici, qui sono stati trovati la maggior parte dei bronzetti e altri manufatti, tra questi, la navicella fittile di cui parleremo, un mistero ancora da decifrare per la comunità scientifica internazionale. In questo articolo, proporremo una nuova versione del significato dei glifi impressi sul reperto nuragico, la barchetta fittile ci condurrà così, in un viaggio con una meta inaspettata. La scoperta del significato fonetico del pugnale ad elsa gammata e della conseguente frase di cui fa parte, ci permetterà di dare nuovi significati ad antichi reperti, di scoprire il significato della città di Teti, e i segreti dei suoi abitanti guerrieri, delle
loro pratiche sciamaniche, portandoci infine ad approdare prima in sud’America e poi nei mari del Nord. Come detto, il reperto ha fatto molto discutere al momento della sua comparsa, ma non mi soffermerò su questo aspetto, passeremo invece subito alla nuova interpretazione del glifo, secondo le mie ricerche. La Lucerna a barchetta è un manufatto, in ceramica d’impasto (chiara) e rappresenta un unicum nel panorama dei ritrovamenti nuragici, con funzione votiva ascrivibile chiaramente, per la sua conformazione, alla tipologia delle ‘barchette nuragiche’ di bronzo. Sulle parti rimanenti delle fiancate e della zona piatta dello scafo, vi sono due scritte: una composta da otto glifi e una da quattro ( più grandi degli altri), per un totale di 12 pittogrammi. Per poter datare il reperto sono state fatte analisi con termoluminescenza, che l’hanno datata tra il IX-VIII sec. a.C. 

Secondo gli esperti che l’hanno analizzata, i pittogrammi sono stati incisi a crudo, quindi coevi alla manifattura, ma da comparazioni effettuate risultano essere di due epoche differenti, suddivisi tra Proto-cananeo ca. XVII-X sec. a.C. e Proto-sinaitico ca. XVIII-XIV sec. a.C. Questa discrepanza fra i simboli presenti ha messo in crisi gli studiosi non considerando, che l’uso di tale manufatto era prettamente misterico e quindi usato solo dalla casta sacerdotale, che era a conoscenza di linguaggi e scritture, che differivano da quelli di uso quotidiano ed erano utilizzati per scrivere  invocazioni o formule inerenti alle loro pratiche sciamaniche e ciò è ulteriormente confermato dalla presenza all’interno della frase di un simbolo, nel caso specifico un pugnale ad elsa gammata, che oltre ad avere un valore simbolico ne aveva uno fonetico il cui significato era conosciuto da una ristretta cerchia di persone e quindi inserito in contesti grafici, serviva per criptarne ulteriormente il significato. A riguardo si leggano gli articoli “L'ORDINE TEUTONICO E IL MISTERO DELL'ISCRIZIONE DI GOLETO” pubblicato su “ARCHEO Misteri magazine” diretto da Roberto Pinotti di aprile 2015 e "I CAVALIERI TEUTONICI E LA FONTE PLINIANO" pubblicato su “Misteri d’Italia” diretto da Dario Gulli a giugno 2016 in entrambi sa fa riferimento a particolari simboli, che avevano anche un valore fonetico utilizzato in ambito misterico per criptare il significato di una frase. I grafemi presenti sul manufatto e identificati rappresentano nella prima scritta nell’ordine a partire dalla sinistra, un’aleph’, una gimel’, una ‘hē’, uno ‘zayin’, il suddetto ‘pugnaletto gammato’, una ‘nun’, una ‘resh’, una seconda ‘hē’. Il sesto segno, il probabile ‘nun’ a serpentello è tracciato al di sopra della resh’. Nella seconda scritta invece, a partire dalla sinistra, abbiamo una ‘zayin, un’aleph’, una ‘beth’ ed una lettera non molto leggibile, ma che tuttavia gli esperti ipotizzano essere  un ulteriore lettera ‘hē’. A questo punto ritenendo esatta tale identificazione dei grafemi passiamo ad interpretare la frase, avremo così la seguente sequenza
אגהז ]  [ נרה זא בה AGHEZ – NERHE – ZA – BHE
Dove le parentesi quadre racchiuderanno il significato fonetico del pugnale ad elsa gammata. Che permetterà di leggere una nuova frase. Ribadendo, che non mi interessa confutare precedenti interpretazioni ma soltanto proporre una nuova lettura sia della frase che del grafema, procediamo col dare un significato alla prima delle tante frasi che si ottengono con quei grafemi mediante comparazione con l’alfabeto ebraico [periodo biblico].
אגהז]  [ נרה זא בה  AGHEZ – NERHE – ZA – BHE
Il termine AGHEZ [אגהז] molto probabilmente è riconducibile al termine arcaico AGOZ [ אגוזי ] che significa NOCE, si tenga presente inoltre che il vocabolo PHAGAZ [פגז] indicava il GUSCIO, quindi possiamo asserire con una buona dose di certezza che il termine AGHEZ sia il nome che veniva dato a quel manufatto, che noi oggi data la forma, chiamiamo appunto, con un sillogismo navicella o barchetta. Tralasciamo momentaneamente il simbolo del pugnale e passiamo alla seconda parola NERHE [נרה], anche in questo caso una probabile forma arcaica del termine NER [נֵר], con il significato di LUCE, LAMPADA, BRILLARE. A questo punto per completare la frase capovolgiamo la navicella e interpretiamo i simboli presenti sulla parte piatta, che insieme formano la parola ZABHE [ זאבה]. Anche in questo caso siamo di fronte ad un probabile termine arcaico. La radice זאב (z'b) non esiste come verbo, ma in arabo vuol dire disprezzare, spaventare e scacciare. Il sostantivo associato זאב (Zeeb) in ebraico significa LUPO. Ora considerando il resto della frase il termine LUPO sembra e ripeto sembra, non centrare nulla e quindi provo a dividere i 4 simboli in due parole distinte, così da ottenere [ זא] ZA termine arcaico riconducibile forse alla forma [ זה] ZHE con il significato di quindi, qui, in sé, ora, quello, questo qui. Riconducibile forse all’arabo زعم • (za'ama) dalla radice ز ع م (z-'-m) con il significato di 1.  a richiesta 2.  a dire, fingere, asserire 3.  ad essere del parere 4.  a parlare sopra, dare la propria opinione su (un soggetto) 5.  per impartire la propria opinione ad un altro (interpretato con due oggetti diretti).  Per conoscere invece il significato del bilittero [בה] BHE dobbiamo rivolgere la nostra attenzione all’Egitto e alla credenza religiosa secondo cui l’anima umana era suddivisa in più parti dove il BHE o BA indicava la parte divina, totalmente spirituale, paragonabile alla nostra anima. il quale dava la facoltà al morto di "uscire alla luce del giorno". Esso poteva moltiplicarsi in relazione alla potenza del suo detentore. Il Ba usciva dal corpo del defunto e vi ritornava a mummificazione avvenuta Aveva aspetto di uccello con testa umana e spesso venne raffigurato mentre visitava il defunto nella tomba portandogli il soffio vitale". Quindi abbiamo che il bilittero BHE assume il significato di VENIRE ed è quindi un termine arcaico riconducibile al trilittero [בּוֹא] BO con il significato di entrare, andare, venire, raggiungere, portare, sostituire, procedere, inserire, prevista, impostare. Interpretati quindi i diversi vocaboli, ottenuti mediante una giusta divisione dei simboli incisi, proviamo a dare un senso alla frase ottenuta.
אגהז]  [ נרה זא בה  AGHEZ – NERHE – ZA – BHE
IL GUSCIO LUCENTE QUI IMPOSTATO considerando, che aghez nerhe altri non è che il probabile nome con cui il manufatto era chiamato, la frase sarà
L’AGHEZ NERHE QUI VIENE ACCESO
Trovata la frase, scopriamo però che il termine AGHEZ [אגהז] a sua volta, può dar vita a due bivocalici con il seguente significato [אג] AG o [אגה] AGHE termine arcaico che ritroviamo nell’arabo آغا (AGA) con il significato di  1.  Signore, padrone 2.  maggiore fratello 3.  maggiore paterna zio 4.  capofamiglia 5.  testa maschio servo 6.  Agha, un titolo onorifico titolo di indirizzo, Signor. Aghe lo ritroviamo in ebraico con la lettera aleph finale ad indicare il termine età ma anche il nome proprio AGA [אגא] del padre di un guerriero di David, riconducibile inoltre al termine AGAG [אגג], nome del re di Amalek, risparmiato da Saul, ma ucciso da Samuel. [הז] o [זה] ZHE con il significato di: quindi, qui, in sé, ora, quello, questo qui. Riconducibile forse all’arabo زعم • (za'ama) dalla radice ز ع م (z-'-m) con il significato di: a richiesta, a dire, fingere, asserire, ad essere del parere, a parlare sopra, dare la propria opinione su (un soggetto), per impartire la propria opinione ad un altro (interpretato con due oggetti diretti).
NERHE [נרה], anche in questo caso una probabile forma arcaica del termine NER [נֵר], con il significato di LUCE, LAMPADA, BRILLARE Si ripetono nuovamente di nuovo i bilitteri visti in precedenza [ זא ] ZA termine arcaico riconducibile forse alla forma [ זה ] ZHE e[בה] BHE
Interpretando, come espletato in precedenza i diversi vocaboli, ottenuti mediante una giusta divisione dei simboli incisi, proviamo a dare un senso alla frase ottenuta.
אג הז]  [ נרה זא בה   AGHA ZHE NERHE ZHE BHE con il significato di
IL SIGNORE ORDINA QUI IMPOSTA LA LUCE
L’analisi delle due locuzioni ricavate, ci permette di congetturare su dove il manufatto venisse utilizzato e da chi. Il termine QUI grammaticalmente è un avverbio di luogo, che serve a specificare il luogo di un’azione, la collocazione di una persona o di un oggetto nello spazio e la distanza di una persona o di un oggetto rispetto a chi parla o ascolta. Qui e i suoi composti si usano quindi per indicare un luogo ben definito e questo ci permette di comprendere che tale manufatto era posizionato probabilmente all’interno di un luogo adibito a culto e veniva “impostato” nella sua funzione, quindi “preparato per essere acceso” solo in momenti particolari e unicamente dal sacerdote che officiava il culto. Ma di quale culto si trattava? Lo scopriremo  molto probabilmente nel momento in cui renderemo note, le frasi misteriche che si ottengono mediante l’inserimento del valore fonetico del logogramma rappresentato dal pugnale a elsa gammata, il suo utilizzo cambierà come vedremo il senso delle frasi, consegnando così il messaggio misterico. 

Analizzando il simbolo così come è impresso sul manufatto in questione e su altri ci si accorge che è composto di due parti una comparazione con vari alfabeti del periodo che va dall’ XI all’ VIII  A.C. dell’aria semitica ci permette di asserire con notevole certezza che il valore fonetico del pugnale è composto dalle lettere ZAJIN e GHIMEL guardando ai significati che hanno portato alla nascita grafica dei due fonemi si scopre che la lettera GHIMEL nella sua forma protocananea potrebbe essere stata chiamata così in base alla raffigurazione di un'arma come la frombola o la lancia, con derivazione dal glifo protosinaitico [per questo si veda Brian E. Colless, "The proto-alphabetic inscriptions of Sinai", Abr-Nahrain / Ancient Near Eastern Studies 28 (1990) pp. 1-52.]. Stesso discorso per la lettera ZAJIN il cui significato come per la ghimel è ARMA e la sua forma appunto ricorda simbolicamente una spada o un pugnale. Un confronto con vari alfabeti dell’area semitica attestati tra l’VIII e l’XI sec. a.c. ci permette di notare le similitudini grafiche. Foneticamente il simbolo del pugnale può essere letto sia [ גז ] GEZ che al contrario [ זג] ZAG con i significati rispettivamente di TAGLIARE, portare, tagliato fuori, passare sopra (per GEZ) e PROTEGGERE, racchiudere (per ZAG), entrambe appunto qualità di un’arma bianca. A questo punto, ricapitoliamo le frasi ottenute e otteniamone delle altre, inserendo il simbolo fonetico del pugnale
1 AGHEZ  NERHE  ZHE  BHE
אגהז ] [ נרה זא בה
a L’AGHEZ NERHE (il guscio lucente) QUI VIENE ACCESO
2 AGHA ZHE NERHE ZHE BHE
אג הז ] [ נרה זא בה
b IL SIGNORE ORDINA LUCE QUI VIENE ACCESA
Inserendo nei due costrutti alternativamente il simbolo fonetico nelle due letture otterremo altre quattro frasi
3 AGHEZ ZAG NERHE ZHE BHE
אגהז זג נרה זא בה
c IL GUSCIO LUCENTE PROTEGGE QUI VIENE ACCESO
4 AGHEZ GEZ NERHE ZHE BHE
אגהז גז נרה זא בה
d IL GUSCIO PORTA LUCE QUI VIENE ACCESA
5 AGHA ZHE ZAG NERHE ZHE BHE
אג הז זג נרה זא בה
e IL SIGNORE ORDINA PROTEGGE LUCE QUI VIENE ACCESA
6 AGHA ZHE GEZ NERHE ZHE BHE
אג הז גז נרה זא בה
f IL SIGNORE ORDINA PORTA LUCE QUI VIENE ACCESA
L’interpretazione delle successive locuzioni ci ha confermato quanto scoperto con le prime due e cioè che la “LUCERNA FITTILE” era custodita probabilmente all’interno di un tempio e veniva accesa e utilizzata durante i riti, solo ed esclusivamente dallo sciamano, che ordinava, portava e proteggeva la fiamma con cui officiava gli stessi. La decriptazione fonetica del simbolo del pugnale ci permette di comprendere l’importanza, che veniva attribuita a tale arma. Presente in molti bronzetti (specialmente nei cosiddetti "capi tribù") veniva indossato mediante una bandoliera sul petto, ed era un oggetto come si deduce dal simbolo che lo raffigura, dalla doppia valenza, di morte ma anche di vita, di forza e debolezza, di difesa e di offesa, strumento e arma quindi a cui era attribuita una funzione importante, che avveniva [riscontrabile in molti popoli antichi] con rituali di iniziazione e/o prove che sancivano quindi il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, chi lo possedeva dimostrava le proprie capacità di indipendenza e di poter affrontare la vita e ovviamente anche… la morte. Strumento perciò di trapasso ma anche di protezione [come il bronzetto della maternità in cui il figlio posto in grembo ha impresso sul petto il simbolo del pugnale] e quindi di salvezza attributi questi, che ritroviamo consegnati millenni dopo a quel simbolo della croce [portata appunto sul petto come lo era il pugnale], che verrà legata al sacrificio di un uomo e su cui venne creata una religione… il Cristianesimo. 

La conoscenza fonologica della trasposizione del pugnale, permette e permetterà di dare un significato a molti manufatti ritrovati, come per la lucerna di Teti, appunto o come il famoso candelabro in bronzo, alto 22 cm, esposto al Museo di Cagliari, che l'archeologo Giovanni Lilliu battezzava “doppiere”, che così descriveva: vi sono 2 faccine, una davanti e l'altra dietro; 2 braccia/corna che definisce – erroneamente – simmetriche; 4 ghiere alla base delle due coppette terminali, 8 incisioni triangolari su ogni coppetta; 8 segni ideografici a punteggiatura, disposti in rigida alternanza sotto le faccine. Quasi sono caduto dalla sedia: 8 segni ideografici è come dire 8 ideogrammi! Ed “a punteggiatura”; è come dire che i segni son fatti come quelli sulle barchette di Sextus Nipius!  [tratto da gianfrancopintoreblogspot.it] Sul doppiere vi sono due segni ripetuti per 4 volte, il pugnaletto gammato e una sorta di bastone lunato, abbiamo scoperto il valore fonetico del simbolo del pugnale, che è un bilittero che può essere letto in entrambi i versi con due significati diversi [ גז ] GEZ cioè TAGLIARE, portare, tagliato fuori, per sollevare, innalzare, l'orgoglio, beneficio, passare sopra  [ זג] ZAG PROTEGGERE, racchiudere. Una ricerca tra i vari alfabeti, di area semitica ci porterà ad individuare il valore fonetico del simbolo lunato, ripetuto tra l’altro dallo stesso candelabro, trovando corrispondenza, nell’antico alfabeto yemeno dove il simbolo lunato corrisponde ad una figura umana con le braccia alzate denominata HILLUL con il significato di GIUBILO appartenente al Sudarabico antico - XI/X a.C. - VI d.C.  [vedere foto nella pagina] corrispondente nell’alfabeto ebraico alla lettera HE [ה ] si otterranno così due  trilitteri dal seguente significato
[ הגז ] hegez,  INNALZARE L’ESULTANZA
[ הזג ] hezag  INNALZARE [richiedere] PROTEZIONE
Ciò, ci permette di mettere in relazione tra loro i due simboli, che sembrano essere origine [e quindi artefici] di quella che in epoche successive probabilmente diventerà la dea TANIT [vedi foto nella pagina] la cui simbologia stilizzata, richiama  indubbiamente il simbolo HILLUL di GIUBILO, che a sua volta si trasformerà nel dio ILU o ILLIL, con il significato sumero di SORGERE [da mettere in relazione con il simbolo  HEGEZ הגז con il significato di  innalzare] da confrontare con l’ebraico Eli (identificato come il dio della Luce), che in ambito egizio si trasformerà nella dea Hathor che incarnava: l'amore, la gioia, la bellezza e aveva epiteti quali Signora della casa del Giubilo e Colei Che riempie il Santuario di Gioia. A conforto della relazione esistente tra ILU e TANIT si faccia riferimento al titolo di un testo ILU TANI presente su una stele di Tofet un santuario vicino Cartagine . “…Poiché il ferro tagliente guiderà in quel momento sopra le teste delle donne e, nel suo collo e il prezioso capelli di donne sono tagliati fuori al pavimento un po 'ovunque; i servi delle tenebre operano le azioni vergognose…” Estratto del testo in cui si parla di lama tagliente. [http://thuletempel.org]. Tornando, nuovamente ai nostri pittogrammi incisi sulla navicella, scopriamo questa volta, il significato delle ultime due frasi, utilizzando a completamento l’intera sequenza di 4 simboli incisi sulla base.
7 AGHEZ ZAG NERHE ZHEBHE
אגהז זג נרה זאבה
g IL LUPO PROTEGGE IL GUSCIO LUCENTE
8 AGHEZ GEZ NERHE ZHEBHE
אגהז גז נרה זאבה
h IL LUPO PORTA IL GUSCIO LUCENTE
Ciò, ci permette di comprendere, che tale manufatto era utilizzato molto verosimilmente per riti di iniziazione, dove il giovane, con delle prove iniziatiche doveva dimostrare di poter passare nel mondo degli adulti…dei LUPI. Non avete letto male, non è un errore di stampa, parliamo di lupi in Sardegna e non è neanche un errore di traduzione, quella sequenza di pittogrammi si legge LUPO, a questo punto sorgono domande del tipo ma come è possibile se la Sardegna è priva di questi stupendi animali? E perché viene nominata proprio questa belva? Iniziamo col dire che il lupo è l'unico Canis presente sia nel vecchio che nel nuovo mondo, apparve per la prima volta nell'Eurasia nel Pleistocene [periodo compreso tra 2,58 milioni e 11.700 anni fa], giungendo poi in Nordamerica. Nel pleistocene, Sardegna e penisola italica erano collegate [vedi foto] per cui una forma di animale autoctono è molto probabile che esistesse e che poi si sia successivamente estinto, [il fatto che non si trovino resti in Sardegna non vuol dire che non c’erano] stessa sorte capitata in epoche più recenti ai lupi, che vivevano in Corsica e in Sicilia.  

Ma per comprendere meglio, perché troviamo il termine LUPO inciso sulla lucerna, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al nome della città di Teti. Nella mitologia greca, Teti era una Nereide (in greco: Νηρείδες o Νηρηίδες, al singolare Νηρείς), cioè una ninfa marina, considerata creatura immortale e di natura benevola, che aveva il potere della metamorfosi. Ecco cosa racconta il mito:…Zeus decise che Peleo doveva sposare la Nereide Teti; l’avrebbe sposata volentieri egli stesso se non ne fosse stato trattenuto dalla profezia delle Moire. Esse infatti avevano detto che il figlio di Teti sarebbe divenuto più potente del padre. Zeus era inoltre irritato perché Teti aveva rifiutato le sue proposte amorose, non volendo fare un torto alla sua madrina Era, e giurò dunque che essa non avrebbe mai sposato un immortale. Chirone per le nozze donò a Peleo una lancia; Atena ne aveva levigato l’asta che era stata tagliata da un frassino sulla vetta del Pelio, ed Efesto ne aveva forgiato la punta. Peleo, che grazie all’aiuto di Chirone era tornato in possesso della sua fortuna e aveva inoltre avuto in dote da Teti ricche mandrie, mandò parecchi capi di bestiame bovi e mucche a Ftia come compenso per la morte accidentale di Eurizione; poiché questo compenso fu rifiutato dai Ftioti, lasciò che le bestie vagassero in libertà per la campagna e ciò fu un bene, perché un lupo feroce che Psamate aveva scatenato contro Peleo si satollò di carne bovina tanto da non reggersi più in piedi. Quando Peleo e Teti si trovarono a faccia a faccia con il lupo, la belva tentò di lanciarsi contro Peleo, ma Teti avvampò minacciosa sporgendo la lingua dalle labbra e il lupo si trasformò in una pietra. In seguito Peleo ritornò a Iolco, dove Zeus gli fornì un esercito di formiche trasformate in guerrieri, ed ecco perché l’eroe divenne noto come re dei Mirmidoni. Egli catturò la città senza aiuto di alcuno, uccise dapprima Acasto e poi Cretide che cercava invano scampo, e invitò i Mirmidoni a entrare in città tra i resti sanguinanti del suo corpo smembrato. Tale racconto ci permette di comprendere, come gli archetipi primordiali dati da quei simboli, che abbiamo incontrato nel decriptare i glifi presenti sulla navicella fittile, non sono altro, che le forme primitive alla base cioè all’origine, delle espressioni mitico-religiose. La metamorfosi di Teti che ci viene raccontata, altro non è, che la metafora del cambiamento, che avveniva durante un percorso iniziatico che portava il giovane ad entrare nel mondo degli adulti. Il riferimento poi a bovini e lupi, allude alle caratteristiche peculiari e caratteriali che contraddistinguevano con molta probabilità le due caste che componevano la società del popolo guerriero di Teti a cui il giovane poteva appartenere da adulto. Ulteriore conferma, la abbiamo guardando alle leggende del LUPO MANNARO, nell’immaginario collettivo era un uomo malato di Licantropia, un’affezione molto rara e di natura isterica; in cui gli individui colpiti si sentivano spinti a simulare il comportamento e l'ululato di un lupo. Secondo la tradizione popolare, il lupo mannaro era un essere umano condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: tale superstizione, cambia particolari e protagonista a seconda del luogo in cui viene raccontata, la forma più narrata dalla tradizione popolare è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il gatto selvatico o come in Sardegna il bue chiamato Erchitu o Lu Prubunaru che analizzeremo. Cerchiamo di conoscere meglio questa leggenda, partendo dall’analisi etimologica dei nomi che vengono dati al personaggio di questo mito, prima però spieghiamo perché si dice che i lupi ululino alla luna piena. La spiegazione ufficiale è che in quelle notti c’è una luce più intensa e per questo i lupi sono più attivi, ma per chi ci crede, la luna in quei giorni eserciterebbe una maggiore influenza sulla terra e quindi su tutto ciò che è su di essa umani compresi, convinzione questa che risale alla notte dei tempi, ecco perché si collega la luna alla metamorfosi [Teti] umana. Passiamo ora agli etimi, il legame, anche fonetico tra luna e lupo lo troviamo in sanscrito nel termine वृक vṛka con il significato di lupo; cane; sciacallo, corvo;  gufo, ladro, aratro, fulmine, luna, sole, (Botanica) una specie di pianta ( बक baka), la resina di Pinus longifolia, ora palustris Pinus. Il termine LICANTROPO, nell’etimologia classica è fatto derivare dal greco λυκάνθρωποι lykanthrōpoi, parola che sarebbe composta da λύκος lýkos, cioè "lupo" e ἄνθρωπος ánthropos, "uomo", quindi UOMO LUPO ma analizzando meglio, troviamo che: λυκάνθρωποι potrebbe essere invece composto da λυκάν [lykan] che a sua volta deriverebbe da λευκὸς leukos, cioè "bianco", "splendente"+ ἀνήρ (aner, “uomo”) e + τρόπος (Tropos, “svolta, il cambiamento, la risposta”). da τρέπω (Trepo)con il significato di rivolgere, deviare, intesa anche come direzione + ὤψ (OPS “faccia, aspetto, guardare”) + ποι (POI) – Aeolic κου (kou) - ionica - που • (POE) (Enclitico) ovunque, da qualche parte eventualmente, forse a proposito, a circa, consegnandoci così la frase
L’UOMO DALL’ASPETTO BIANCO SI DIRIGE OVUNQUE
Altro termine usato è LUPO MANNARO, che deriverebbe secondo l’etimologia classica dal latino volgare lupus hominarius, cioè "lupo umano" o "lupo mangiatore di uomini" oppure dal latino lupī hominēs, sviluppatosi in area meridionale. 

Come abbiamo fatto per il precedente termine analizziamolo nello specifico. Abbiamo visto come il termine LUPO è collegabile alla luna per via delle sue sembianze infatti il pelo può essere di svariate sfumature dal marrone al grigio argenteo come il colore del satellite a cui ulula al completamente bianco [questa razza è detta lupo artico o lupo bianco attualmente presente solo in Canada e Groenlandia ma molto probabilmente in epoche antiche era anche in Europa], quindi abbiamo che LUPUS HOMINARIUS potrebbe essere il risultato di λευκὸς leukos, cioè "bianco", "splendente" + inar forma derivante da linarium da linum cioè  veste + Arius dal Latina Ario , dal greco antico Ἄρειος (Areios), da Ἄρης (Ares). Ἄρειος dedicato a Ares, guerriera, marziale Ἄρης Forme alternative Ἄρευς (Areus) Di solito derivato dalla parola ionico ἀρή (ARE, “ la rovina”), che potrebbe essere legato al sanscrito इरस्या (irasyā, “cattiveria”). Quindi avremo che LUPO HOMINARIUS significa
IL CATTIVO GUERRIERO DALLA VESTE BIANCA
Secondo il dizionario unificadu sardu – italiano, redatto dallo studioso Antoninu Rubattu il Lupo Mannaro prende in Sardegna i seguenti nomi babboi, bobboi, babborcu, orcu, érchitu, sùrbile, bobboi, babborcu, marragotti, prubanaru, pubunaru, babbau, babbollu, prenderemo in esame solo i due più rappresentativi e cioè ERCHITU e LU PRUBUNARU. L’ERCHITU ha sembianze bovine con grandi corna conosciuto con nomi diversi, a seconda dei paesi. A Orgosolo è chiamato Voe travianu, a Ollolai Voe mulinu, a Mamoiada e Lula, Boe muliache, a Benetutti su voe corros de attalzu (il bue dalle corna d'acciaio), a Buddusò su oe mudulu. La tradizione vuole che questa creatura si fermava di fronte a una casa e muggisse per tre volte: il suo muggito viene udito da tutti gli abitanti del paese, e sempre secondo la tradizione, il padrone di quella casa era "sentenziadu", ossìa condannato a morire entro l'anno. Generalmente l'Erchitu riacquistava automaticamente la sua forma umana all'alba, ma secondo altre versioni perché questo accadesse doveva voltolarsi davanti a tre chiese o davanti ad un cimitero; pare che questo rito fosse una specie di tributo che bisognava pagare alla divinità, perché consentisse al dannato di riprendere forma umana. Perché venga liberato dal sortilegio, invece, gli si devono tagliare le grosse corna d'acciaio (che secondo la tradizione popolare potevano anche guarire i disturbi alla milza). Nel secondo invece LU PRUBUNARU leggenda tipica della zona di Alghero nell’immaginario collettivo sembrerebbe essere solo un individuo che si lamenta per le strade durante le notti di luna piena. Proviamo ora a ricostruirne gli etimi, quello di ERCHITU parrebbe derivare in parte dal greco infatti ERCHI è molto simile al nome della citta’ di ERCHIE che deve il suo nome a ERCOLE in greco Eracle. Èracle + termine sardo Chitu in greco antico ERCOLE: Ἡρακλῆς, Heraklês, sarebbe composto   da Ἥρα + κλέος,, dove Ἥρᾱ • (HERA) è forse una forma femminile di ἥρως (Heros) derivante da un probabile  proto-indoeuropea ser- con il significato di “vegliare, proteggere”, mentre nello specifico κλέος • (Kleos) n (genitivo κλέους );  oltre a gloria era usato per indicare , rapporto,  buona fama, la fama , mentre raramente poteva significare anche, cattivo rapporto, discredito Mentre il termine sardo Chittu o Chitu significa uguale mentre in alcune parti della Sardegna indica le ultime ore prima dell’alba Interpretando, l’insieme degli etimi trovati ci consegnano il concetto di ERCHITU in funzione anche del significato negativo che può assumere il termine kleos avremo così UGUALE FAMA DI DISTRUTTORI/PROTETTORI o DISTRUTTORI/PROTETTORI NOTTURNI Per quanto concerne invece il termine LU PRUBUNARU sembra essere composto da un termine che ritroviamo nel sanscrito e nel semitico mentre il secondo di origine accadico semitica o forse sarda di tutt’altro significato PRUBU + NARU. PRUBU la cui origine è forse dal sanscrito con il termine PRABHU प्रभु (sanscrito), il cui significato è "possente, potente, maestro" epiteto usato per le divinità indù Surya e Agni, .che ritroviamo nella forma ebraica ורב WRB come רב  ROB sostantivo maschile moltitudine, abbondanza, la grandezza, potente o nella forma רַב RAB aggettivo grande, capitano, capo, mentre il termine NARU potrebbe essere di derivazione accadica con il significato di fiume in ebraico נהר NAHR con il significato quindi di I POSSENTI DEL FIUME C’è da ravvisare inoltre che il termine NARI o NARRI in sardo significa DIRE quindi  I POSSENTI CHE PARLANO inteso molto probabilmente come URLARE visto che parliamo di un lupo mannaro Ricapitolando, affiancando al significato originario di MANNARI, gli etimi ottenuti dall’analisi dei sinonimi avremo una descrizione globale dei personaggi che il mito ha trasformato in  LUPI MANNARI che al contrario erano:
I CATTIVI GUERRIERI DALLA VESTE BIANCA cioè gli UOMINI DALL’ASPETTO BIANCO CHE SI DIRIGEVANO OVUNQUE [LICANTROPI], con LA FAMA DI DISTRUTTORI E PROTETTORI NOTTURNI [ERCHITU] considerati I POSSENTI DEL FIUME CHE URLANO [PRUBUNARU].
Nel passato articolo sull’Arca dell’Alleanza [se non lo avete letto vi consiglio di richiedere il numero arretrato della rivista] abbiamo scoperto il significato originario del termine Elohim, che li descrive come una MOLTITUDINE PROVENIENTE DAL MARE, DISTRUTTORI ROBOANTI CHE OSANO ARMATI, confrontando tale significato con l’interpretazione del termine SHARD DAN [ שרד דן]  I GIUSTIZIERI ciò ci permette di comprendere, che con molta probabilità parliamo dello stesso popolo. Si consideri inoltre, che gli Elohim nei testi veterotestamentari e extrabiblici vengono descritti come alti, dalla pelle coriacea bianca come il latte, con capelli bianchi argentei e occhi grandi e iridescenti. 

Negli scritti sumeri i messaggeri degli Annunaki venivano chiamati GAL. GA dove GAL significa creatura, essere vivente e GA vuol dire latte, mentre nel libro apocrifo di Enoch dove si parla della nascita di Noè, è scritto che il corpo del nascituro era bianco come la neve e rosso come un bocciolo di rosa e che il padre Lamech scappato perché spaventato, urlava << mi è nato un figlio diverso dai figli dell’uomo e uguale ai figli di dio>>. Se guardiamo ancora ai miti e alle tradizioni sarde e in particolar modo alle maschere del carnevale sardo, troviamo l’AINU ORRIADORE, che viene tradotto in italiano come L’ASINO RAGLIATORE detto anche l’asino che ruba le anime maschera tipica del paese di Scano di Montiferro (Iscanu in sardo) in provincia di Oristano, finita nel dimenticatoio ma recuperata una ventina di anni fa da Giovanni Obinu, cultore delle tradizioni popolari locali. La maschera è costituita dall’osso del bacino di un bovino o di un asino, mentre il corpo del personaggio mitico è rivestito con una mastrucca, indumento dei pastori sardi, costituito da una lunga giacca senza maniche, di vello di capra [tale indumento lo ritroveremo piu avanti descritto per un particolare tipo di guerriero]. Secondo la credenza popolare s’Ainu Orriadore rappresentava il diavolo e in certe occasioni assumeva le sembianze di un asino o di un CANE BIANCO (con le zampe d’asino se era cane e di gallo se asino), e andava in cerca dell’anima di qualche morente per impossessarsene. Analizziamo etimologicamente il nome della maschera e scopriamo così che il vocabolo AINU che in italiano viene erroneamente tradotto con ASINO in cinese ha il significato di UOMINI. Gli Ainu sono una popolazione abitante l'isola di Hokkaidō nel nord del Giappone (un tempo chiamata Ezo, che in giapponese significa Isola dei selvaggi). Come per l’articolo sull’Arca dell’Alleanza ribadiamo alcune precisazioni sul perché di tale scelta linguistica, che ai più potrebbe sembrare arbitraria. Il cinese è una scrittura logografica pura, cioè è un sistema di scrittura in cui il singolo elemento (logogramma) rappresenta sia il significante (l'elemento formale, fonico o grafico) sia il significato (ciò che l'elemento vuol dire). Quindi, lo stesso logogramma può essere usato per indicare parole diverse con lo stesso significato (sinonimi) ma anche parole uguali con significato diverso (omonimi) e sono logografiche, ad esempio la scrittura cinese ed il geroglifico egizio, poiché appunto l’ebraico che deriverebbe dall’egizio, curiosamente, fu lo strumento con il quale fu eseguita la prima forma di traslitterazione degli ideogrammi cinesi [la comunità ebraica cinese di Kai Feng, fondata nel X secolo ed estintasi all'inizio del XX secolo ha lasciato degli scritti non in lingua cinese ma in caratteri ebraici] ciò ci permette quindi di visualizzare i concetti che hanno dato vita alla parola AINU.
AINU 阿伊努人 Ā yī nǔ rén
 terra delimitata da acque [isola]  governare sorvegliare  lottano uomo
UOMINI CHE GOVERNANO L’ISOLA LOTTANDO
Mentre il termine ORRIADORE che ricordo è uno dei tanti modi di indicare l’atto del ragliare in sardo, sembra essere composto dai vocaboli ORRIA + DORE il primo è presente come toponimo infatti ORRIA è una cittadina in provincia di Salerno il cui nome è fatto risalire al vocabolo latino horreum con il significato di granaio e dal greco ὡρεῖο ma molto probabilmente è una parola di origine semitica infatti in ebraico biblico וררי ORRI risulta essere una forma del termine שֹׁרְרֵי Sharar con il significato di NEMICO, AVVERSARIO, ESSERE OSTILE. Anche il termine DORE è presente in area semitica דּוֹר DOR con il significato di PERIODO, GENERAZIONE, DIMORA. A questo punto, i due termini messi a confronto risultano praticamente sinonimi quindi gli ASINI che RAGLIANO cioè gli AINU ORRIADORE altro non rappresentano che
GLI UOMINI OSTILI CHE GOVERNANO E DIMORANO SULL’ISOLA LOTTANDO
in giapponese "inu" è la traduzione di "cane", e i giapponesi utilizzavano l'espressione "ahh inu" per dire  "ho visto un cane" rivolto agli Ainu.
Ainu-Ken (Hokkaido)
Molti esperti ed appassionati sostengono che questa razza giapponese discenda dagli antichi cani che accompagnarono gli emigranti di Honshu, che è la principale isola giapponese, verso l’isola di Hokkaido, durante il periodo Kamakura, nel dodicesimo secolo. Nel suo Paese d’origine viene chiamata “Hokkaido”, il nome gli deriva dal nome dell’isola da cui è originaria. Questa razza fu dichiarata addirittura Monumento Nazionale. Il nome Ainu-ken, gli venne dato dal popolo “Ainu”, autoctoni dell’isola di Hokkaido, i quali lo impiegavano nella caccia dell’orso e di altri grossi animali. Per questo impiego è stato selezionato per moltissimi anni, fino a rendere questa razza molto brava in ambito venatorio, ma anche rendendola un’ottima razza da compagnia. Dati i climi rigidi di quelle zone, la razza si è dovuta adattare e sviluppare una particolare morfologia che la rende piuttosto resistente.

Inoltre si deve evidenziare che il vocabolo AINU in caratteri ebraici trova origine nell’aramaico אינא AINA con il significato di QUALE che in ebraico biblico diventa ינא ('Ani) tradotto con : come per me, il mio, io, che, noi, assumendo quindi la qualità di aggettivo o pronome possessivo che si riferisce a soggetto singolare che risulta  anche legato al termine אידא • ('ide) f (plurale אידיא )  una forma alternativa di יְדָא (yəḏā) con il significato di MANO, altresì si guardi ora al vocabolo sardo ORRIADORE che come abbiamo visto indica l’atto del ragliare che risulta essere simile alla parola italiana IRRADIARE il cui significato è diffondere all'intorno in forma di raggi, emanare, quindi termine sinonimo di quello sardo per cui possiamo interpretare nuovamente la frase sarda AINU ORRIADORE come LA MANO [sole] CHE IRRADIA locuzione tra l’altro che si lega ad un’altra figura della tradizione sarda il COMPONIDORE.  Maschera che si rifà al mito del guerriero bianco una sorta di cavaliere semi-dio, figura enigmatica a capo della Sartiglia, una spettacolare corsa a cavallo in cui il cavaliere deve infilare con la spada un anello a forma di stella, di origine medievale si corre a Oristano ogni anno l’ultima domenica e il martedì di carnevale. Tutti i cavalieri che possono essere indistintamente sia uomini che donne indossano una maschera di terracotta interamente bianca mentre il Componidori durante il momento solenne della Vestizione indossa una maschera androgina di terracotta, calzari in pelle, camicia bianca, un velo bianco sul capo e un cappello a cilindro nero. Con quest’aspetto sceglierà e guiderà gli altri cavalieri mascherati che avranno l’onore di correre nel tentativo di infilzare con la spada una stella a cinque punte. Il termine Componidori trarrebbe origine dallo spagnolo Componedor, Da com + Potis . compotis, con il significato di avere la padronanza dove Potis ( “proprietario, padrone, padrone di casa, il marito”) deriverebbe dal greco antico πόσις (pósis), il dal sanscrito पति (PATI), mentre DORI deriverebbe dal greco δόρυ con il significato di LANCIA  dando quindi al termine CAMPONIDORI il significato di IL PADRONE DELLA LANCIA che designa il maestro di campo della corsa. Un ulteriore significato lo otteniamo mediante la traslitterazione del vocabolo sardo COMPONIDORI in lettere ebraiche tale operazione ci permette di ottenere una frase con il seguente significato
כומ פּוני דורי KEMO PANI DOR
כמו kemo o Kamo COME, QUANDO.
פּני pânıy probabilmente una PERLA (come rotondo)
דּוֹר dor: periodo generazione, DIMORA
LA DIMORA COME UNA PERLA
I  risultati ottenuti ci consentono di comprendere che le tradizioni sia delle due maschere esaminate sia della  giostra della Sartiglia sono legate oltre che al culto della luna anche a quello del sole dove l’AINU ORRIADORE altri non è che una attribuzione zoomorfica della forza del sole in merito a tale connubio basta guardare alle rappresentazioni  ittite dell’animale come veicolo solare o  a quelle  babilonesi  di  Lamashtu,  la semidea  babilonese,  effigiata  mentre  conduce  (su  un’arca,  simbolo  del tempo) un asino emblema del sole, mentre invece il PADRONE D’ORO, IL CAMPONIDORI cioè IL PADRONE DELLA LANCIA altro non è che una rappresentazione antropomorfica molto probabilmente della LUNA e o del SOLE che con la sua luce [notturna] penetra nella DIMORA ROTONDA [NURAGHE] illuminandola come una PERLA.
 infatti:
NURAGHE termine che trova riscontro nelle lingue semitiche con la frase  נִיר רהג גה  NIYR REGHE GHE o נִר רהג גה NER REGHE GHE
נִיר niyr con il significato di TERRA
 נֵר ner con il significato di LAMPADA, LUCE
 רהג reghe forma del termine רְוָיָה revayah con il significato di SATURAZIONE
גה geh con il significato di QUESTO
Quindi il NURAGHE altro non è che il LUOGO IN CUI LA LUCE SATURA [feconda] LA TERRA.
A conferma di quanto detto sin’ora, grazie alle analisi etimologiche dei nomi legati alla mitologia e alle tradizioni sarde, sull’evidente esistenza nei territori di Teti e ragionevolmente in tutta la Sardegna di un popolo, dedito al culto del lupo, si guardi ad esempio  alle usanze di alcune etnie africane [presenti ancora oggi] di creare maschere  o dipingersi il viso di BIANCO colore che nelle loro tradizioni, viene accostato alla morte e, al tempo stesso, li lega ai loro antenati, assumendo quindi anche un significato positivo. Un ulteriore legame poi, lo abbiamo con il sud’America e precisamente con il Perù e con la civiltà dei Chachapoyas, chiamati anche i BIANCHI GUERRIERI DELLE NUVOLE, erano un popolo che abitava la zona andina presso le foreste nebbiose della regione di Amazonas del Perù odierno. Gli Incas conquistarono la loro terra pochi anni prima dell'arrivo degli spagnoli. Le antiche cronache dicono che la popolazione era composta da individui alti con la pelle chiara e capelli biondi, e le donne erano note per la loro bellezza. Questo popolo aveva il culto dei morti, che venivano conservati in sarcofagi fatti d' argilla alti più di due metri e venivano collocati, non si sa in che modo, sulle pareti delle montagne, letteralmente incassati nella roccia. Il nome Chachapoya è il nome dato a questo popolo dagli Inca stessi Il significato della parola Chachapoyas potrebbe essere derivato da sacha-p-collas, che equivale a "gente Colla che vivono nelle foreste" (sacha = selvaggio, p = dei, colla = nazione dove si parla la lingua aymara), ma potrebbe anche essere una variante della costruzione in lingua quechua sacha puya, che significa "gente delle nubi". Interessanti sono le rovine della fortezza di Kuelap fondata dai Chachapoyas nel sesto secolo a.C., che si erge su una ripida collina sovrastante la valle di Utcubamba, a oltre 3.000 metri sul livello del mare, costituita da circa 400 costruzioni in pietra protette da alte mura che hanno una fortissima somiglianza con i Nuraghe sardi per via della loro base circolare. Siamo partiti dall’individuazione del termine LUPO sulla navicella fittile usata probabilmente durante riti sciamanici e di iniziazione, per riscontrare poi affinità etimologiche tra vocaboli autoctoni e italiani, si sono inoltre evidenziate affinità di miti e tradizioni, con i popoli andini e africani, ma quello che più sorprende sono le analogie, che riscontreremo con i popoli del nord Europa. Su alcune piastre di bronzo, infatti, che originariamente decoravano elmi cerimoniali risalenti al 550-730 d.C ritrovate nel territorio di Torslunda, sull’isola di Öland e conservate presso il Museo Storico Nazionale (Statens Historiska Museum) di Stoccolma, in una in particolare vi sono raffigurati due guerrieri, uno con elmo cornuto due lance nelle mani e una spada nel fodero, che parte dal petto, che sembra danzare, mentre l’altro è colto nell’atto di “MUTARE” in LUPO. Non possono non saltare all’occhio le incredibili analogie tra il guerriero rappresentato con corna e armi e alcuni dei famosi bronzetti sardi, in particolare, con il bronzetto con quattro occhi e due scudi ritrovato proprio a Teti. Anche se dobbiamo rilevare una notevole differenza di datazione tra le piastre e i bronzetti, dato che questi ultimi risalirebbero al XIII secolo a.C., ciò confermerebbe l’ipotesi  che “tutto” possa aver avuto origine nel bacino del Mediterraneo, ma tale teoria potrebbe anche essere sconfessata dall’ipotesi contraria e cioè che il “tutto” abbia invece avuto inizio nel nord dell’Europa e ciò sarebbe confermato dalla presenza in Perù dalla “gente delle nubi” che avevano caratteristiche fenotipiche simili agli abitanti delle terre del nord e questa sarebbe appunto la probabile prova, che i flussi migratori ebbero inizio a nord, cioè dall’alto verso il basso e non viceversa. Le foto nella pagina, dimostrano le effettive analogie riscontrabili tra i guerrieri, un’attenta analisi della piastra rivela inoltre una coincidenza sorprendente, tra le armi portate al petto. Le due lame seppur di diversa lunghezza hanno qualcosa che le accomuna e che porta quindi ad ipotizzare un’origine comune infatti la forma dell’elsa è gammata per entrambe, ma posta in posizione inversa tra loro, la ricostruzione fotografica nella pagina ne evidenzia le caratteristiche. La conoscenza di questo popolo di guerrieri ci permetterà di immaginare quale potesse essere la vita degli UOMINI LUPO di TETI circa 2mila anni prima.  In Natura non c’è animale che più del lupo abbia impressionato l’immaginazione dell’uomo fin dalla più remota antichità. Nell’ecosistema svolge al meglio il suo ruolo di selettore naturale, contenendo il numero degli erbivori ed eliminando gli animali morti per cause naturali, ha un comportamento sociale complesso e strutturato, attraverso i suoi sensi straordinari conosce molto bene l’habitat ed ha una grande capacità di spostamento; schivo e intelligente, difficile da avvistare in natura. E’ proprio per le sue caratteristiche straordinarie che i nostri lontani antenati hanno tratto profonde ispirazioni mistiche: elevare un animale a totem voleva dire propiziarsene lo spirito, possederne la forza, l’intelligenza, assumendone così le sembianze.                                                
In Inghilterra si usa dire la frase “go berserk”, a cui viene dato il significato di “diventare una furia, diventare un forsennato”. Il termine berserk deriva dal norreno Berserkr (islandese berserkur , Svedese bärsärk ), probabilmente dall’unione dei vocaboli  bjǫrn ( “orso”) + serkr ( “cappotto”).  Con tale nome erano chiamati i feroci guerrieri del nord Europa che assumevano caratteristiche animali e che si credeva fossero in grado di trasformarsi in belve feroci: orsi e lupi. Nello specifico gli úlfhednar indossavano pelli di lupo e assumevano le caratteristiche di questi animali, il loro nome infatti ha il seguente significato
ULF dal Norreno Ulfr LUPO + Hed dal norreno heiðr ONORE + Nar dal norreno CADAVERE
Quindi con il significato di i LUPI CHE ONORANO I MORTI
Mentre il termine al singolare úlfheðinn sarebbe ULF dal Norreno Ulfr LUPO +  Heðinn dal Norreno 'giacca di pelliccia o pelle quindi COLORO CHE INDOSSAVANO LA PELLE DEL LUPO ma anche ULF dal Norreno Ulfr LUPO + Hed dal norreno heiðr ONORE+ Inn dal norreno DIMORA, CASA, LOCANDA  con il seguente significato i LUPI ONORANO LA LORO DIMORA.
Nel poema scandinavo Haraldskvædi attribuito al poeta Thorbjörn Hornklofi così descrive i terribili guerrieri: i berserkr erano feroci guerrieri che ululano, la battaglia hanno in mente, quelli con la pelle di lupo ruggiscono e scuotono le lance”; “sono chiamati ‘pelli di lupo’ coloro che in battaglia portano scudi insanguinati, essi arrossano le loro lance quando vanno in battaglia” (cit. in Lindow 2002). Probabilmente costituivano un ordine di guerrieri estatici, la cui pratica includeva l’induzione di forme di stati alterati di coscienza, in cui il guerriero si sentiva trasformato in una belva selvaggia. Un indizio di questa forma di rituale di metamorfosi può essere ritrovata nella supposta etimologia del nome di Odino (dal proto-germanico woÞanaz), con il significato originario di “guida di coloro che sono posseduti” (Lindow 2005). Conoscere le usanze religiose e la loro Mitologia ci aprirà una porta che ci permette di fare nuove ipotesi sui mitici popoli SHARDANA che millenni prima popolavano e spadroneggiavano nel Mediterraneo. Le conoscenze riguardanti la religione e la mitologia degli antichi popoli germanici si basano principalmente sui germani settentrionali, e le notizie inerenti l'antico mondo germanico-scandinavo ci sono pervenute prevalentemente attraverso testi redatti in latino e in antico nordico. Per quanto riguarda i primi tra questi si può citare come testo di assoluta importanza il DE ORIGINE ET SITU GERMANORUM O GERMANIAE (Germania) di Publio Cornelio Tacito, opera che analizza la struttura sociale dei germani e descrive geograficamente ed etnograficamente i popoli che vivevano oltre le frontiere dell'impero romano nel I sec d.c. un’altra fonte è Il libro IV delle gesta HAMMABURGENSIS ECCLESIAE PONTIFICUM (opere dei vescovi della chiesa di Amburgo) intitolato DESCRIPTIO INSULARUM AQUILONIS ( descrizione delle isole settentrionali) di Adamo da Brema canonico di Brema e Amburgo, nella quale vengono descritti alcuni culti pagani che sopravvivevano nella Svezia dell'XI secolo e poi ancora le gesta DANORUM (le imprese dei danesi) di Saxo Grammaticus, opera che spiega con ricchezza di particolari la preistoria eroica e mitologica del nord del XII secolo. Tra le numerose composizioni redatte in antico nordico vi è una antica raccolta di carmi mitologici detta di SAEMUNDR, che risale alla seconda meta del XIII secolo opera che illustra la mitologia nordica e la religione degli antichi abitanti della Scandinavia pagana del XIII secolo. Attraverso lo studio di queste fonti storiche è possibile tracciare un profilo di queste figure mitiche gli ùlfheonar e i berserkir, per poter dipanare l'alone di mistero che circonda questi mitici e temutissimi guerrieri. Sia i berserkir che i ùlfheonar combattevano indossando le pelli di orsi e lupi e questo uso aveva un significato magico religioso, il rivestirsi della pelle dell' animale, aveva lo scopo di mettersi in contatto fisico con esso, per assorbine tutte le qualità e il legame guerriero animale era anche psicologico in quanto il guerriero tramite la pelliccia credeva di percepire la furia del lupo o dell'orso dentro di sè e di conseguenza credeva di assumerne le sembianze. Simili credenze tramandate erano conosciute fin dai tempi più remoti e quindi tali pratiche insieme a quella di dipingersi il corpo per scopi rituali è presumibile che arrivino da quel popolo chiamato SHARDANA che aveva occupato l’intero bacino del Mediterraneo all’incirca duemila anni prima. Una descrizione dei guerrieri scandinavi ci è fornita da Snorri Sturluson, uomo politico ed erudito islandese nato a Hvammr nel 1178 e morto nel 1241 in un suo scritto afferma
"(mordevano nei loro scudi erano forti come orsi o tori, sterminavano folle intere. Nè il ferro nè il fuoco potevano[fermare],e questa e detta furia dei berserkir).
I berserkir e gli ùlfheonar erano dei gruppi di guerrieri organizzati in società con gerarchie di tipo militare. I riti d'iniziazione rappresentano un passaggio e simboleggiano una nascita o meglio una rinascita. Alcuni sociologhi come A.Gennep J.Huxley e E.Durkheim hanno tentato di classificare quella che viene chiamata la"ritologia". Secondo loro esisterebbero tre tipi di rituali: un primo gruppo comprenderebbe quelli legati all'età adulta, un secondo segnerebbe l'ingresso del giovane all'interno di una "società" e infine il terzo riguarderebbe le iniziazioni sacerdotali, eroiche e guerriere. Si può suppore che per entrare a far parte di questi gruppi bisognasse probabilmente sottoporsi a rituali di iniziazione di tipo estatico, durante i quali è possibile che il guerriero cadesse in uno stato di trance di tipo sciamanico. Una delle prove che i giovani dovevano sostenere era forse quella di cibarsi della carne di un lupo o di un orso e di berne il sangue, che in questo caso aveva il compito simbolico di essere "l'iniziatore dell' uomo". L'animale in questione moriva solo fisicamente poiché le preziose virtù di astuzia e ferocia da esso possedute si trasferivano nel guerriero che se ne cibava. Il nutrirsi della carne e del sangue del lupo o dell'orso significava per molti aspetti assumerne la forza selvaggia; alcuni uomini potevano compiere atroci delitti proprio per identificarsi con l'animale stesso e, con tutta probabilità, la vittima poteva essere considerata una sorta di vittima "sacrificale".
Se questa era la ritologia degli UOMINI LUPO Scandinavi del 500 dopo Cristo è più che probabile che tali usanze fossero in uso in maniera molto simile nel probabile luogo d’origine 2mila anni prima cioè in Sardegna e più precisamente nel suo cuore nei territori tra Teti e Orgosolo, luoghi in cui i riti sciamanici di iniziazione erano officiati dalla luce di una lucerna. Gli studi condotti fin’ora, confermati dai reperti rinvenuti in vari siti, italiani ed esteri concordano sul fatto che gli Shardana furono abilissimi e temuti guerrieri, con originali strategie di combattimento e talmente aggressivi da renderli praticamente quasi invincibili. Ed è proprio questo particolare che ha permesso di confermare che avevano un altro grado di civilta’ ad elevata tecnologia per quei tempi, realizzando armi in bronzo, come potenti lance e spade, e che fossero feroci e invincibili ci è confermato da un’iscrizione di Ramses II, che così li definisce: “« I temuti Shardana che nessuno è riuscito a sopraffare, vennero dal centro del mare navigando impavidi con le loro forti navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli ».
Purtroppo però nessuno, nonostante i reperti archeologici analizzati con le più moderne tecniche, come il metodo del radiocarbonio (che permette la datazione radiometrica assolutamente attendibile attraverso la presenza di isotopi di carbonio), ha tratto dai suoi studi elementi precisi sulla loro storia, lo stile di vita e la loro cultura. Mi auguro che la tecnica d’interpretazione dei glifi e la scoperta del simbolo fonetico del pugnale gammato presenti sulla navicella fittile di Teti possano permettere nel prossimo futuro ad altri studiosi di esaminare ulteriori reperti per ricostruire la favolosa storia degli abitanti che popolarono la Sardegna partendo proprio dallo studio degli UOMINI LUPO DI TETI.
A conclusione è bene chiarire che
Chi ha scritto questo articolo è un semplice appassionato non è un esperto in lingue antiche e non ha nessuna laurea, l’intento è quello di pormi domande a cui cerco di dare delle risposte, per cui non propongo verità ma mie visioni, che vanno verificate dal lettore in ogni sua parte, perciò come dico molto spesso alla fine di ogni mio articolo: ”prendete il tutto come semplice curiosità".
Per chi volesse approfondire il tema sugli uomini lupo I GUERRIERI-LUPO NELL'EUROPA ARCAICA, Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli indoeuropei di Christian Sighinolfi  pp. 108, illustrato casa editrice Il CERCHIO
AdSA

Come la luce esce dall’ombra, così il lupo esce dalla tana e dal bosco. La forza e l'ardore in combattimento fanno del lupo il simbolo per eccellenza dei guerrieri. [cit.]

Testo e tutte le immagini sono di Agostino De Santi Abati

5 commenti:

  1. L'articolo è molto interessante ma non posso esprimere alcun commento sul suo contenuto. Mi limito solo a osservare che la frase "... Il territorio di Teti, è il più ricco di tutta la Sardegna per quanto riguarda i ritrovamenti nuragici ... ", visto che sulla Grande Civiltà Sarda c'è ancora moltissimo da scoprire, sarebbe più corretta se contenesse l'inciso "finora" o "per ora". Grazie.

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  2. Articolo interessante è pieno di spunti per gli adetti ai lavori.Buon lavoro Agostino!

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  3. Stiamo scherzando, non è vero? Percè fino alla datazione della barchetta che (anche io) ho avuta fra le mani e l'ho potuta attentamente esaminare prima della sua messa sotto vetro il "lavoro" di Agostino De Santi Abati è accettabile, dopo no. NO!

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