Sono da sempre appassionatamente curioso sulla struttura dell’universo e della storia umana, un mix che mi ha consentito di conoscere l’archeoastronomia a fine degli anni Ottanta, da allora ho studiato l’orientamento di nuraghi, tombe di giganti, dolmen, megaron, pozzi sacri, domus de janas in tutta l’isola. Ho misurato migliaia dei monumenti della Sardegna preistorica e protostorica pubblicando i risultati delle mie osservazioni in riviste scientifiche internazionali e in alcuni libri. Nel 2014 ho scritto il capitolo dedicato al significato astronomico dei nuraghi nel monumentale ‘Handbook of Archaeoastronomy and Ethnoastronomy’ edito dalla Springer, ovvero una delle case editrici scientifiche più importanti del pianeta.
Su 8000 nuraghi in Sardegna ne ho visitato circa mille e misurato 600: ho dimostrato che i nuraghi nel loro complesso sono disposti secondo regole geometriche e astronomiche, in altre parole sono allineati secondo schemi coincidenti con gli assi solstiziali e lunistiziali. Nei nuraghi complessi, le torri periferiche sono disposte secondo una geometria astronomica che segue i punti da cui sorgono il sole e la luna ai solstizi e lunistizi. Anche l’orientamento degli ingressi dei nuraghi monotorre e delle torri centrali dei nuraghi complessi mostra un significato astronomico. Corrisponde al sorgere del Sole nel solstizio d’inverno, della luna al lunistizio maggiore meridionale, e della costellazione del Centauro-Croce del Sud.
Ci sono molti studiosi di fama internazionale che si sono interessati di tombe di giganti, tra questi Edoardo Proverbio e Michael Hoskin, col quale ho lungamente collaborato. Ho studiato 331 monumenti ed è emerso che il picco degli orientamenti coincide con il lunistizio maggiore meridionale, dunque è verosimile che le sepolture seguissero un orientamento lunare piuttosto che solare.
Ma la cosa più straordinaria emersa dallo studio dell’orientamento delle tombe dei giganti nuragiche è che quelle della metà settentrionale dell’Isola seguono un costume di orientamento che deriva dai dolmen prenuragici, mentre quelle meridionali seguono l’orientamento delle domus de janas. Della questione ho scritto nel libro ‘Astronomia nella Sardegna Preistorica’ e in un articolo uscito nel ‘Journal for the history of astronomy’ nel 2014.
Ci sono molte teorie degli archeologi che non condivido, ad esempio i blocchi trovati durante lo scavo, che secondo loro sarebbero modellini di nuraghe a terrazzo quadrato, per me e anche per altri sono dei palesi capitelli quadrati di un monumento. E poi le cosiddette statue che per me non si reggevano in piedi autonomamente, o erano dei telamoni, come afferma l’architetto Franco Laner, o erano tenute in piedi con dei sostegni: buona parte delle statue ha i piedi liberi senza alcun basamento, è impossibile che restassero in piedi senza un appoggio o una compressione. Infine un appunto sul restauro che le ha ricomposte: penso che abbiano esagerato, ce ne sono alcune palesemente ricostruite con pezzi appartenenti a statue differenti, dei veri e propri Frankenstein.
Forse l’amico Laner ha sbagliato a fare nomi e cognomi, ma sono convinto che le sue perplessità sul fatto che alcune possano essere state oggetto di un maquillage sia un contribuito alla conoscenza. Il mondo accademico archeologico sardo, a cui aggiungo i tecnici che operano nelle soprintendenze archeologiche e anche lo stesso Rubens D’Oriano che oggi tuona contro la ‘fantarcheologia’ (a proposito, perché costui non ha il coraggio di citare tutti gli accademici che hanno appoggiato le teorie di Sergio Frau sull’identificazione tra Sardegna e Atlantide?) , hanno dimostrato di essere arrogantemente oscurantisti nei confronti delle mie proposte, che, lo ripeto, sono state pubblicate in prestigiose riviste scientifiche internazionali.
Potrebbe essere che sono tremendamente ignoranti in geometria, oppure che riconoscere un significato astronomico dei nuraghi vorrebbe dire ammettere che non si trattava di fortezze ma di luoghi con preciso significato sacro e religioso. Crollerebbe un secolo di convinzioni, e riconoscerlo brucerebbe troppo agli archeologi sardi.
Simonetta Lupis scrive:
RispondiEliminaPersonalmente non amo l'espressione “archeologia ufficiale”: c'è l'archeologia e poi ci sono i ricercatori indipendenti, alcuni seri - come la maggior parte di coloro che si occupa di archeastronomia, disciplina che fa fatica a imporsi in ambito accademico, ma che è generalmente rispettata e seguita con un certo interesse (questa è la percezione che ho io qui in Liguria. Mario correggimi se sbaglio) - e altri no - fantarcheologi che vendono fuffa.
Mario Codebo' scrive:
RispondiEliminaLa situazione in Sardegna è particolarmente tesa, più che in altre regioni. Da questo punto di vista la Liguria è molto avanti: c'è un buon rapporto tra archeoastronomi (esclusi i fantarcheoastronomi) e la Soprintendenza. A quanto pare ora anche l'università (dopo la felice parentesi dei tempi del compianto prof. Mannoni) si sta ri-avvicinando all'archeoastronomia, tanto che organizzerà il convegno SIA del 2018.
Certo bisogna che gli archeoastronomi lavorino con serietà e competenza: tocca a loro DIMOSTRARE agli archeologi le tesi archeoastronomiche e non viceversa!
Il caso recente del Disco di Libarna è un esempio del felice incontro tra archeoastronomia ed archeologia ufficiale.
L'archeoastronomia ufficiale ancora non è perché è in via di formazione e di definizione, come del resto lo fu duecento anni fa l'archeologia rispetto alla storiografia ed alla storia dell'arte (quando gli archeologi si chiamavano ancora "antiquari").
Certo un ostacolo fra archeologia ed archeoastronomia è la mancanza di cognizioni astronomiche negli archeologi e nei corsi di laurea in Conservazione dei BBCC: l'archeologo ha difficoltà a comprendere le argomentazioni dell'archeoastronomo perché generalmente non conosce l'astronomia sferica. Tocca all'archeoastronomo spiegarla (ma noto che, purtroppo, anche molti archeoastronomi non la conoscono affatto e non si curano di studiarla. Eppure è il fondamento dell'archeoastronomia, come la stratigrafia è il fondamento dell'archeologia).
Se in futuro si arriverà ad un incontro continuato (e non episodico) tra archeoastronomia ed archeologia, ciò aiuterebbe anche a superare quell'assurda dicotomia, tutt'oggi esistente, tra scienze matematiche e scienze umanistiche (erroneamente definito come il conflitto tra scienza e umanesimo, come se quelle umanistiche non fossero scienze!).
Ma, trattandosi appunto di scienze in entrambi i casi, occorre rispettare le regole del metodo scientifico, che impone di provare ogni affermazione per via sperimentale.
Mario Codebo' scrive:
RispondiEliminaRiprendo il discorso perché la pagina non mi ha permesso di scrivere un testo più lungo di tanto.
Dicevo quindi che il metodo scientifico impone:
1) di provare sperimentalmente le affermazioni;
2) l'onere della prova tocca a chi propone ina tesi;
3) le prove devono essere in positivo e non in negativo (non è accettabile la frase: );
4) le prove devono essere proporzionali alla tesi sostenuta e tanto più solide quanto più è ardita la tesi: a tesi ardita occorrono prove ardite.
Mario Codebò ...appalusi
RispondiEliminaL’archeoastronomia è una disciplina relativamente “giovane”, ma ormai le sue tecniche di calcolo e rilevamento hanno tutti i crismi della scientificità, anche se rischia spesso di essere screditata dall’opera di molti dilettanti fantasiosi in cerca di complicate e improbabili connessioni stellari. E' quasi ovvio, per esempio, che se si guarda verso due pietre allineate a caso, prima o poi punteranno nella direzione di una stella nel cielo, ma ciò non significa che essa rappresenti un punto astronomicamente significativo. Quello che è paradossale è che ancora adesso molti archeologi la confondono con l'astrologia o l'ufologia, per cui si meritano pienamente gli epiteti di oscurantisti e arroganti, oltre che di ignoranti. Costoro sono altrettanto dannosi, se non di più, dei fantarcheologi e dei ciarlatani.
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