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lunedì 3 aprile 2017

Archeologia della Sardegna. I bronzetti nuragici Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. I bronzetti nuragici
Riflessioni di Pierluigi Montalbano

(Dal libro "Signori del mare e del metallo", Pierluigi Montalbano, Zenia editore)


Fra i personaggi rappresentati nelle piccole statuette nuragiche in bronzo vi sono diverse specializzazioni: spadaccini, arcieri, lancieri, portatori d'ascia, portatori di pugnale, e poi ci sono sacerdoti, animali e oggetti d'uso comune come ceste in miniatura, spiedi, carri. Ogni categoria aveva un ruolo particolare e tutti questi raggruppamenti sono caratteristici dall'arte figurata sarda del Primo Ferro, ossia dal
IX a.C.

I bronzetti furono analizzati da Giovanni Lilliu che dagli anni Quaranta ha realizzato la più completa esposizione sistematica critica dei bronzi figurati sardi tuttora disponibile. La sua classificazione del 1966 distingue un filone linguistico geometrico (gruppo Abini-Uta) e un filone libero o spontaneistico (gruppo barbaricino-mediterraneizante), dipendenti da due diversi livelli di committenza individuati nella componente aristocratica e nella componente popolare della struttura socio economica nuragica. Gli elementi fondamentali dei bronzetti sono la preziosità, l'originalità e la conseguente individuazione dell'identità sarda dell'epoca.
Curiosamente, una serie di queste piccole sculture in bronzo sono state ritrovate in contesti funerari etruschi, nei ricchi corredi delle tombe a incinerazione villanoviana del IX a.C., testimoni di stretti legami fra sardi e locali.

Relativamente alla Sardegna, i contesti di ritrovamento sono generalmente i Pozzi Sacri, raffinati edifici utilizzati come templi delle comunità nuragiche. Gli elementi descrittivi sono affidati a elementi di tradizione locale (veste, calzari, armi, mantelli, scudi, elmi). A livello simbolico si nota l'influenza di modelli prestigiosi conosciuti nel Vicino Oriente come gesti e stile degli occhi, ma la capacità di sintesi formale e concettuale delle botteghe artigianali sarde, fin dalle origini attesta l'estrema originalità di questa produzione.
L'interpretazione dei bronzetti guerrieri richiamano l'esigenza ostentatoria di una committenza locale che condiziona maestranze che hanno già completamente assimilato modelli di cultura elevata, combinandoli in una nuova sintesi, non riportabile a influenze esterne identificabili. Uno dei bronzetti di Cavalupo trova riferimenti all'interno del gruppo Abini, così nominato dal celebre santuario del nuorese che, a tutt'oggi, ha reso la più grande quantità di bronzi figurati.

Abbiamo due tipologie principali: i demoni-militari e i guerrieri. I primi, dotati di 4 occhi e 4 braccia, quindi una moltiplicazione di attributi che richiama origini eroiche e fa pensare a un riferimento mitico accanto alla celebrazione del rango.
Verosimilmente, i personaggi armati nascono all'interno di un arte metallurgica assai avanzata tecnologicamente e attestata in Sardegna almeno dal Bronzo Finale. Non sfugge agli studiosi il cambiamento sociale e organizzativo che si verifica nel periodo di passaggio fra età del Bronzo ed età del Ferro. I sardi smettono di costruire i nuraghi e cambiano tipologia di sepoltura, passando dalle tombe di giganti, collettive e monumentali, ai piccoli sepolcri individuali a fossa come nelle necropoli di Mont'e Prama e Antas.

La nascita della rappresentazione figurata esprime una società che avverte come fondamentale il momento della rappresentazione di simboli che riportano allo status. In altri termini, una società in cui la produzione figurativa è finalizzata alle necessità politiche e celebrative di una classe dominante. Non a caso il bronzo di Cavalupo era in un sepolcro villanoviano di altissimo livello in rapporto con le nascenti aristocrazie tirreniche.
Nel Bronzo Finale la Sardegna è al centro degli interessi commerciali e delle vie navali dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo. Insieme a questa produzione artisticamente e ideologicamente elevata, si registra l’apparizione delle incantevoli navicelle bronzee che, oltre ad evocare il viaggio verso l'aldilà, propongono un mondo legato al commercio-pirateria e alle straordinarie elaborazioni araldiche.



Forse l'aspetto antico, come è definito da Lilliu, dell’orientalizzante sardo, discende dalla familiarità con il bagaglio decorativo e con il gusto da tempo circolanti nell'isola, e legati alla presenza levantina cipriota, micenea, anatolica e siriana, riscontrabili in Sardegna verso il Bronzo Finale. In realtà il problema delle origini è un falso problema perché la prospettiva corretta è quella di valutare la formazione di una società tecnicamente avanzata e strutturalmente complessa nel momento in cui compie la scelta politica e ideologica della rappresentazione figurata. Si tratta di una società in grado di disporre di artigiani e di botteghe capaci di rielaborare in forma originale quei fermenti stilistici e iconografici che fin dal Bronzo Finale circolavano nell'isola.


Ritengo legittimo affermare che tali botteghe si avvalessero della presenza e della conoscenza di artigiani stranieri, a riprova del grado di articolazione della società sarda dell'epoca. I gruppi sociali committenti della bronzistica si riconoscono nella tematica eroica, principesca e sacerdotale della gestione del rituale. Non esiste, al di fuori della committenza aristocratica, classe diversa che abbia diritto alla rappresentazione.

La società sarda approda linearmente e senza intoppi allo stile di vita delle grandi famiglie. Tale capacità di concentrazione di intenti celebrativi e propagandistici in questa iconografia è forse ricollegabile a miti che descrivono le gesta di un Dio-eroe legato a una famiglia o un gruppo che si autocelebra.

I gruppi a due figure sono rari fra i bronzetti e soltanto in un caso, con il tema della donna seduta in trono che tiene in grembo un bambino, l’iconografia è ripetuta ben quattro volte, consentendoci di ipotizzare l'esistenza di un prototipo illustre e ben divulgato, legato alla sfera del culto. Lilliu ne definisce 3: “Madre dell'ucciso”, “Grazia” e “Madre con bimbo in grembo”, tutti bronzetti di elevato valore perché, nel riproporre la medesima iconografia con rendimenti stilistici diversi, rendono evidenti le differenze fondamentali, di valore non soltanto estetico-stilistico, ma concettuale.
Dal VI a.C. si registra il passaggio nella sfera cultuale salutifera con personaggi apparentemente appartenenti al popolo che offrono qualcosa per la grazia ricevuta. Colpisce anche la nuova veste concettuale e simbolica: al Capotribù di Uta, rappresentante di una casta aristocratica e guerriera, si sostituisce un modesto popolano che affida al tema figurativo non la casta né il rango, ma la soddisfazione di appartenere a un gruppo umano meritevole di qualche distinzione, il gruppo degli uomini miracolati.

Le caratteristiche riscontrate accomunano quest’ultima tipologia sarda a una produzione di ambito etrusco-italico, proveniente da santuari e stipi votive. Il predominio iconografico dell’orante-offerente, abbinato a un mutamento di culto rivolto alla fertilità e alla guarigione, suggeriscono anche per i sardi l'allineamento al fenomeno che risulta generalizzato sul continente intorno V a.C. riferito all'esplosione della religiosità popolare che orienta il culto in senso sanatorio.

Nelle immagini i bronzetti al Museo Archeologico di Cagliari 

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