Il vampiro: una creatura macabra sempre attuale.
Dracula e la preistoria dei vampiri europei
di Greta Fogliani
Oggi più che mai si sente
parlare di vampiri. Tutta "colpa" di Stephenie Meyer che, con la sua
fortunata saga di Twilight ha riportato in auge queste creature macabre,
misteriose e affascinanti.
Non voglio qui parlare del
successo dei vampiri degli ultimi anni, e nemmeno del primo vero e proprio
vampiro letterario, identificato con il celeberrimo Dracula nato dalla mente
irlandese di Bram Stoker. Ciò che mi propongo, invece, è ripercorrere le
origini di queste creature, i cui precursori esistevano già nel mondo antico
europeo. Generalmente, l'elaborazione del concetto di
"vampiro" può
essersi formata solo in seguito all'adozione, da parte delle popolazioni
primitive, del culto dei morti. Il trapasso era accompagnato da riti precisi e
solenni, proprio perché si credeva che la morte fosse un passaggio dal mondo
dei vivi all'aldilà. Ma perché ciò avvenisse, il defunto doveva essere
preparato a dovere, in modo che il viaggio all'altro mondo avvenisse senza
intoppi e il morto non potesse più tornare tra i vivi.
Inoltre, la morte era vista
dalle popolazioni antiche con soggezione e paura, poiché spesso non si capivano
quali cause la provocassero, specie nel caso di decessi improvvisi o prematuri.
Per questo, i defunti erano tenuti il più lontano possibile. È questa la
ragione per cui i morti venivano seppelliti fuori dai villaggi; la condizione
ideale si verificava quando tra il cimitero e il villaggio vi era una barriera
fisica (come un fiume o un ruscello) che, insieme a riti apotropaici, era in
grado di ostacolare e impedire il ritorno del defunto dall'aldilà. Questa era
una paura molto forte per gli antichi, poiché il morto, una volta tornato, non
sarebbe stato per nulla ben disposto verso i vivi, che avevano fatto di tutto
per isolarlo. Se ciò fosse accaduto, secondo il pensiero comune il morto
avrebbe cercato il fluido che più rappresenta la vita: il sangue.
Esattamente da questa idea
nascono le creature vampiriche che, nonostante i diversi tratti locali, sono
accomunate dalla predilezione per la notte e dal fatto di cibarsi del sangue
delle loro vittime. Tuttavia, le prime civiltà non le identificarono
immediatamente coi vampiri (termine che nell'antichità non esisteva), ma con
demoni o divinità che si cibavano di sangue.
I primi a tramandare racconti
su queste figure furono i Persiani, che diffusero la mitologia riguardante
Lilitu (che in ebraico diverrà Lilith), un demone notturno che beveva il sangue
dei bambini insieme alla figlia Lilu.
Restando in ambito europeo,
invece, esseri vampirici si trovano sia nel mondo greco, che nel mondo romano.
Nell'Odissea si fa riferimento a Tiresia, lo spirito di un veggente ematofago
che Ulisse incontra nella sua discesa nell'oltretomba. Senza scomodare i poemi
omerici, sempre nella cultura greca erano presenti altre creature vampiriche.
Prima fra tutte si può considerare Ecate, l'equivalente greca di Lilith. Si
trattava di una divinità infera associata alla luna, che nell'epoca tarda
assunse dei connotati spaventosi: Ecate era rappresentata o con l'immagine di
tre donne unite per il dorso, che formavano una sorta di triangolo, o di una
donna con tre teste di animale (una di cane rabbioso, una di vacca e una di
leone). La dea era inoltre la custode dei segreti della magia e dell'esoterismo
e per questo fu associata all'operato di streghe e maghi, che la invocavano
come loro protettrice.
Ancor più strettamente
connesse al fenomeno del vampirismo erano le ancelle di Ecate, le Empuse.
Letteralmente il termine significa "coloro che s’introducono a forza"
e definisce delle creature aventi testa e torace umano, ma con capelli a forma
di serpente e natiche d'asino (simbolo di lussuria). Altre versioni affermano
invece che esse avevano una gamba di bronzo e una d'asino. Le serve di Ecate
comparivano all'improvviso, a volte su di una carrozza trainata da cani
latranti e avevano l'abilità di trasformarsi in vacche, cagne o avvenenti fanciulle.
In quest'ultima forma, seducevano i passanti, costringendoli a estenuanti
amplessi durante i quali succhiavano l'energia vitale dei loro amanti.
Filostrato aggiunge una visione un po' diversa dell'Empusa, che la avvicina
ulteriormente alle creature vampiriche: per l'autore della Vita di Apollonio di
Tiana, l'Empusa è una donna defunta che torna dall'oltretomba per godere
dell'amore che le fu negato in vita da una morte prematura.
Un'altra figura vampirica era
Lamia, la figlia del re della Libia Belo, che fu amata da Zeus e vittima della
conseguente vendetta di Era. La moglie di Zeus uccise tutti i figli di Lamia
(tranne Scilla, l'unica che scampò all'ira della dea) e privò la fanciulla del
sonno. Il padre degli dèi però accorse in aiuto di Lamia, permettendole di
togliersi gli occhi e depositarli in un vaso per riposare. Dopo la perdita dei
figli, Lamia si nascose in una caverna, dove si trasformò in un mostro orribile
che rapiva i bambini per poi divorarli, allo scopo di compensare la perdita dei
suoi. In seguito si unì alle Empuse, con le quali aveva in comune la facoltà di
trasformazione in animale o in bellissima fanciulla e di sedurre gli uomini, ai
quali poi succhiava il sangue dopo sfiancanti rapporti sessuali. È bene
sottolineare che spesso si parla di Lamie, al plurale, perché questo
personaggio mitologico poteva dividersi in più figure. Una variante di questa
creatura era costituita dalla "Lamia del mare" che, come le sirene,
attirava gli uomini presso le proprie acque e li uccideva se rifiutavano di
unirsi in matrimonio con lei. Questa figura sopravvisse anche nel mondo romano,
in cui mantenne la propria aura negativa e fu spesso associata alle streghe,
anche in epoca medievale e rinascimentale.
Da ultimo, per il mondo romano
citiamo le Strigi, in grado di trasformarsi in uccelli minacciosi, che la notte
emettevano urla agghiaccianti e che succhiavano il sangue dei bambini, come
narra Ovidio nei Fasti:
Vi sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano il
cibo
dalla bocca di Fineo, ma da essi deriva la loro razza:
grossa testa, occhi sbarrati, rostri adatti alla rapina,
penne grigiastre, unghie munite d’uncino;
volano di notte e cercano infanti che non hanno accanto la nutrice,
li rapiscono dalle loro culle e ne straziano i corpi;
si dice che coi rostri strappino le viscere dei lattanti,
e bevano il loro sangue sino a riempirsi il gozzo.
Hanno il nome di Strigi: origine di questo appellativo
È il fatto che di notte sogliono stridere orrendamente.
Sia che nascano dunque uccelli, sia che lo diventino per incantesimo,
e null’altro che siano vecchie tramutate in volatili da una nenia della
Marsica,
vennero al letto di Proca: Proca nato da cinque giorni,
sarebbe stato una tenera preda per questi uccelli;
con avide lingue succhiano il petto dell’infante,
ma il povero bambino vagisce e chiede aiuto.
La loro leggenda sopravvisse
nel Medioevo, periodo in cui le Strigi assunsero le caratteristiche delle
streghe (con le quali hanno in comune la radice del nome).
Ma i miti riguardanti veri e
propri vampiri sorsero nel Medioevo, principalmente nell'Europa orientale, dove
le credenze su queste creature e i rituali di protezione avevano attecchito in
maniera più profonda rispetto ad altre regioni. Ciò è dimostrato anche
dall'etimologia della parola "vampiro": nonostante restino soltanto
ipotesi non avvalorate, il termine deriverebbe dal serbo вампир (vampir), che
poi avrebbe originato il tedesco Vampir, il francese vampyre, l'inglese vampire
e l'italiano vampiro. Inoltre, è da notare che molte lingue slave presentano
forme simili al serbo; troviamo il bulgaro вампир (vampir), il croato
upir/upirina, il ceco e slovacco upír, il polacco wąpierz, l'ucraino упир
(upyr), il russo e bielorusso упырь (upyr') e lo slavo orientale antico упирь
(upir').
Quindi, anche la pista
etimologica confermerebbe che il vampiro per eccellenza sia stato concepito
nell'area slava. In questo contesto, l'origine del vampiro risale alle
concezioni dello spiritualismo slavo, in cui i demoni e gli spiriti avevano una
funzione importantissima. Alcuni di questi spiriti erano benevoli, mentre altri
avevano un'indole distruttiva e malvagia. A prescindere dalla natura dello
spirito, si credeva che esso derivasse dagli antenati o da altri esseri umani
deceduti. Questo perché, nel paganesimo slavo, vi era una distinzione netta tra
corpo e anima; mentre il corpo era soggetto alla mortalità, l'anima era
immortale e, prima di trovare pace nell'aldilà, avrebbe dovuto vagare per
quarant'anni dopo la morte del corpo. Come i demoni e gli spiriti, anche le anime
avevano il potere di interagire con gli uomini durante le loro peregrinazioni
sulla terra. I demoni malvagi e le anime empie erano molto temuti dagli slavi,
poiché i primi potevano affogare umani, distruggere il raccolto e succhiare il
sangue dal bestiame o dalle persone, mentre le seconde spesso nutrivano
sentimenti di vendetta. Il concetto di vampiro deriva precisamente da tutte
queste credenze. Per i popoli slavi si trattava, infatti, di uno spirito impuro
che entrava in possesso di un corpo in decomposizione, dando origine a una
creatura non morta, gelosa nei confronti dei vivi, che portava a termine la
propria vendetta succhiando il sangue umano per sopravvivere.
La persistenza del mito dei
vampiri nella storia dell'uomo non è altro che una manifestazione della paura
della morte e dei morti, che si tentava di esorcizzare attraverso rituali
apotropaici e di purificazione. Il fatto poi che molti di questi esseri siano
riconducibili al genere femminile mostra anche l'ambiguità dell'atteggiamento
degli uomini verso le donne, che per alcune loro caratteristiche naturali, come
le mestruazioni, erano associate ai cicli misteriosi della luna e della
vegetazione.
Dove c'è un mistero, o
qualcosa che la mente umana non può comprendere, ecco che sorgono creature mostruose
e spiriti maligni. È per questo che ancora oggi, nel 2012, si crede agli
oroscopi, ai maghi e ai tarocchi. Del resto, come ci ricorda l'acquaforte del
pittore Francisco Goya, "il sonno della ragione genera mostri".
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