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martedì 29 novembre 2016

Il vampiro: una creatura macabra sempre attuale. Dracula e la preistoria dei vampiri europei

Il vampiro: una creatura macabra sempre attuale. Dracula e la preistoria dei vampiri europei
di Greta Fogliani



Oggi più che mai si sente parlare di vampiri. Tutta "colpa" di Stephenie Meyer che, con la sua fortunata saga di Twilight ha riportato in auge queste creature macabre, misteriose e affascinanti.
Non voglio qui parlare del successo dei vampiri degli ultimi anni, e nemmeno del primo vero e proprio vampiro letterario, identificato con il celeberrimo Dracula nato dalla mente irlandese di Bram Stoker. Ciò che mi propongo, invece, è ripercorrere le origini di queste creature, i cui precursori esistevano già nel mondo antico europeo. Generalmente, l'elaborazione del concetto di
"vampiro" può essersi formata solo in seguito all'adozione, da parte delle popolazioni primitive, del culto dei morti. Il trapasso era accompagnato da riti precisi e solenni, proprio perché si credeva che la morte fosse un passaggio dal mondo dei vivi all'aldilà. Ma perché ciò avvenisse, il defunto doveva essere preparato a dovere, in modo che il viaggio all'altro mondo avvenisse senza intoppi e il morto non potesse più tornare tra i vivi.
Inoltre, la morte era vista dalle popolazioni antiche con soggezione e paura, poiché spesso non si capivano quali cause la provocassero, specie nel caso di decessi improvvisi o prematuri. Per questo, i defunti erano tenuti il più lontano possibile. È questa la ragione per cui i morti venivano seppelliti fuori dai villaggi; la condizione ideale si verificava quando tra il cimitero e il villaggio vi era una barriera fisica (come un fiume o un ruscello) che, insieme a riti apotropaici, era in grado di ostacolare e impedire il ritorno del defunto dall'aldilà. Questa era una paura molto forte per gli antichi, poiché il morto, una volta tornato, non sarebbe stato per nulla ben disposto verso i vivi, che avevano fatto di tutto per isolarlo. Se ciò fosse accaduto, secondo il pensiero comune il morto avrebbe cercato il fluido che più rappresenta la vita: il sangue.
Esattamente da questa idea nascono le creature vampiriche che, nonostante i diversi tratti locali, sono accomunate dalla predilezione per la notte e dal fatto di cibarsi del sangue delle loro vittime. Tuttavia, le prime civiltà non le identificarono immediatamente coi vampiri (termine che nell'antichità non esisteva), ma con demoni o divinità che si cibavano di sangue.
I primi a tramandare racconti su queste figure furono i Persiani, che diffusero la mitologia riguardante Lilitu (che in ebraico diverrà Lilith), un demone notturno che beveva il sangue dei bambini insieme alla figlia Lilu.
Restando in ambito europeo, invece, esseri vampirici si trovano sia nel mondo greco, che nel mondo romano. Nell'Odissea si fa riferimento a Tiresia, lo spirito di un veggente ematofago che Ulisse incontra nella sua discesa nell'oltretomba. Senza scomodare i poemi omerici, sempre nella cultura greca erano presenti altre creature vampiriche. Prima fra tutte si può considerare Ecate, l'equivalente greca di Lilith. Si trattava di una divinità infera associata alla luna, che nell'epoca tarda assunse dei connotati spaventosi: Ecate era rappresentata o con l'immagine di tre donne unite per il dorso, che formavano una sorta di triangolo, o di una donna con tre teste di animale (una di cane rabbioso, una di vacca e una di leone). La dea era inoltre la custode dei segreti della magia e dell'esoterismo e per questo fu associata all'operato di streghe e maghi, che la invocavano come loro protettrice.
Ancor più strettamente connesse al fenomeno del vampirismo erano le ancelle di Ecate, le Empuse. Letteralmente il termine significa "coloro che s’introducono a forza" e definisce delle creature aventi testa e torace umano, ma con capelli a forma di serpente e natiche d'asino (simbolo di lussuria). Altre versioni affermano invece che esse avevano una gamba di bronzo e una d'asino. Le serve di Ecate comparivano all'improvviso, a volte su di una carrozza trainata da cani latranti e avevano l'abilità di trasformarsi in vacche, cagne o avvenenti fanciulle. In quest'ultima forma, seducevano i passanti, costringendoli a estenuanti amplessi durante i quali succhiavano l'energia vitale dei loro amanti. Filostrato aggiunge una visione un po' diversa dell'Empusa, che la avvicina ulteriormente alle creature vampiriche: per l'autore della Vita di Apollonio di Tiana, l'Empusa è una donna defunta che torna dall'oltretomba per godere dell'amore che le fu negato in vita da una morte prematura.
Un'altra figura vampirica era Lamia, la figlia del re della Libia Belo, che fu amata da Zeus e vittima della conseguente vendetta di Era. La moglie di Zeus uccise tutti i figli di Lamia (tranne Scilla, l'unica che scampò all'ira della dea) e privò la fanciulla del sonno. Il padre degli dèi però accorse in aiuto di Lamia, permettendole di togliersi gli occhi e depositarli in un vaso per riposare. Dopo la perdita dei figli, Lamia si nascose in una caverna, dove si trasformò in un mostro orribile che rapiva i bambini per poi divorarli, allo scopo di compensare la perdita dei suoi. In seguito si unì alle Empuse, con le quali aveva in comune la facoltà di trasformazione in animale o in bellissima fanciulla e di sedurre gli uomini, ai quali poi succhiava il sangue dopo sfiancanti rapporti sessuali. È bene sottolineare che spesso si parla di Lamie, al plurale, perché questo personaggio mitologico poteva dividersi in più figure. Una variante di questa creatura era costituita dalla "Lamia del mare" che, come le sirene, attirava gli uomini presso le proprie acque e li uccideva se rifiutavano di unirsi in matrimonio con lei. Questa figura sopravvisse anche nel mondo romano, in cui mantenne la propria aura negativa e fu spesso associata alle streghe, anche in epoca medievale e rinascimentale.
Da ultimo, per il mondo romano citiamo le Strigi, in grado di trasformarsi in uccelli minacciosi, che la notte emettevano urla agghiaccianti e che succhiavano il sangue dei bambini, come narra Ovidio nei Fasti:

Vi sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano il cibo
dalla bocca di Fineo, ma da essi deriva la loro razza:
grossa testa, occhi sbarrati, rostri adatti alla rapina,
penne grigiastre, unghie munite d’uncino;
volano di notte e cercano infanti che non hanno accanto la nutrice,
li rapiscono dalle loro culle e ne straziano i corpi;
si dice che coi rostri strappino le viscere dei lattanti,
e bevano il loro sangue sino a riempirsi il gozzo.
Hanno il nome di Strigi: origine di questo appellativo
È il fatto che di notte sogliono stridere orrendamente.
Sia che nascano dunque uccelli, sia che lo diventino per incantesimo,
e null’altro che siano vecchie tramutate in volatili da una nenia della Marsica,
vennero al letto di Proca: Proca nato da cinque giorni,
sarebbe stato una tenera preda per questi uccelli;
con avide lingue succhiano il petto dell’infante,
ma il povero bambino vagisce e chiede aiuto.

La loro leggenda sopravvisse nel Medioevo, periodo in cui le Strigi assunsero le caratteristiche delle streghe (con le quali hanno in comune la radice del nome).
Ma i miti riguardanti veri e propri vampiri sorsero nel Medioevo, principalmente nell'Europa orientale, dove le credenze su queste creature e i rituali di protezione avevano attecchito in maniera più profonda rispetto ad altre regioni. Ciò è dimostrato anche dall'etimologia della parola "vampiro": nonostante restino soltanto ipotesi non avvalorate, il termine deriverebbe dal serbo вампир (vampir), che poi avrebbe originato il tedesco Vampir, il francese vampyre, l'inglese vampire e l'italiano vampiro. Inoltre, è da notare che molte lingue slave presentano forme simili al serbo; troviamo il bulgaro вампир (vampir), il croato upir/upirina, il ceco e slovacco upír, il polacco wąpierz, l'ucraino упир (upyr), il russo e bielorusso упырь (upyr') e lo slavo orientale antico упирь (upir').
Quindi, anche la pista etimologica confermerebbe che il vampiro per eccellenza sia stato concepito nell'area slava. In questo contesto, l'origine del vampiro risale alle concezioni dello spiritualismo slavo, in cui i demoni e gli spiriti avevano una funzione importantissima. Alcuni di questi spiriti erano benevoli, mentre altri avevano un'indole distruttiva e malvagia. A prescindere dalla natura dello spirito, si credeva che esso derivasse dagli antenati o da altri esseri umani deceduti. Questo perché, nel paganesimo slavo, vi era una distinzione netta tra corpo e anima; mentre il corpo era soggetto alla mortalità, l'anima era immortale e, prima di trovare pace nell'aldilà, avrebbe dovuto vagare per quarant'anni dopo la morte del corpo. Come i demoni e gli spiriti, anche le anime avevano il potere di interagire con gli uomini durante le loro peregrinazioni sulla terra. I demoni malvagi e le anime empie erano molto temuti dagli slavi, poiché i primi potevano affogare umani, distruggere il raccolto e succhiare il sangue dal bestiame o dalle persone, mentre le seconde spesso nutrivano sentimenti di vendetta. Il concetto di vampiro deriva precisamente da tutte queste credenze. Per i popoli slavi si trattava, infatti, di uno spirito impuro che entrava in possesso di un corpo in decomposizione, dando origine a una creatura non morta, gelosa nei confronti dei vivi, che portava a termine la propria vendetta succhiando il sangue umano per sopravvivere.
La persistenza del mito dei vampiri nella storia dell'uomo non è altro che una manifestazione della paura della morte e dei morti, che si tentava di esorcizzare attraverso rituali apotropaici e di purificazione. Il fatto poi che molti di questi esseri siano riconducibili al genere femminile mostra anche l'ambiguità dell'atteggiamento degli uomini verso le donne, che per alcune loro caratteristiche naturali, come le mestruazioni, erano associate ai cicli misteriosi della luna e della vegetazione.

Dove c'è un mistero, o qualcosa che la mente umana non può comprendere, ecco che sorgono creature mostruose e spiriti maligni. È per questo che ancora oggi, nel 2012, si crede agli oroscopi, ai maghi e ai tarocchi. Del resto, come ci ricorda l'acquaforte del pittore Francisco Goya, "il sonno della ragione genera mostri".

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