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mercoledì 9 novembre 2016

Archeologia: La mummia di Oetzi, l’Uomo di Similaun. Aspetti dell’iconografia delle statue-stele e dei massi incisi in Europa tra Eneolitico e antica età del bronzo - Confronti e convergenze con altre fonti archeologiche nell’ambito del bacino del Mediterraneo, di Gianluigi Carancini

Archeologia: La mummia di Oetzi, l’Uomo di Similaun. Aspetti dell’iconografia delle statue-stele e dei massi incisi in Europa tra Eneolitico e antica età del bronzo - Confronti e convergenze con altre fonti archeologiche nell’ambito del bacino del Mediterraneo
di Gianluigi Carancini



Fonte: Preistoria Alpina, 46 II (2012): 255-265 ISSN 0393-012575
© Museo delle Scienze, Trento 2012

Scopo principale di questo intervento è di ribadire come, dallo studio del repertorio iconografico rappresentato - nell’Europa protostorica del terzo millennio- dall’arte rupestre e dalle statue-stele, sembri emergere una serie di riscontri e coincidenze con manifestazioni presenti nello stesso periodo nel Vicino Oriente e in Egitto; si tratta, in alcuni casi, di analogie troppo stringenti per non indurci a ritenere come assai ragionevole l’ipotesi secondo la quale già nel terzo millennio, indipendentemente dal profondo divario di livello di sviluppo dell’organizzazione socio-economica e culturale tra le due aree, dovessero esistere riferimenti precisi ad un
comune vasto patrimonio ideologico-sacrale ed iconografico nell’ambito del bacino del Mediterraneo nella sua accezione più vasta, in cui vanno comprese anche le aree europee e vicino-orientali più interne o addirittura apparentemente periferiche come quella dello Yemen.
Cominciamo con il ricordare la presenza frequentissima, nell’iconografia rappresentata nei massi incisi, delle raffigurazioni di animali selvatici (Fig. 1B.1-3, 6-14) (Fossati 1994a: 115-126), quasi sempre protagonisti al centro della scena (Fig. 1A.10-11,13-14): soprattutto il cervo, dalla forte carica simbolica in rapporto con l’immagine solare (Fig. 1B.1,4,9), ma anche altre specie di grande e media taglia; animali, identificati da chi ha condotto indagini dirette sulle fonti, come stambecchi (Fig. 1B.2), camosci (Fig. 1B.3), lupi (Fig. 1B.6-7), volpi (Fig. 1B.8); inoltre, sono i contesti stessi delle tante specie selvatiche rappresentate (Fig. 1A.10, 13) a non lasciare dubbi che i suidi che vi compaiono(Fig. 1B.10,11,13,14) (Fossati 1994a: 125-126) siano da identificare con i cinghiali (si ricorda, in proposito, anche la presenza di collane di denti di questo animale in tombe di guerrieri risalenti allo stesso periodo). 

Ugualmente, gli animali denominati convenzionalmente nella letteratura con il nome di “tapiri” (Fossati 1994b: 131-133), puntualmente rappresentati nell’ambito di specie selvatiche (Fig. 1A.14), sono da interpretare probabilmente come uri e bisonti; ad esempio, nel masso inciso di Cemmo 1, alcuni di questi “tapiri” presentano un’accentuata gibbosità dorsale, brevissima coda e postura verso il basso della testa, che appare munita di corte corna (Fig. 1B.12): raffigurazioni che sembrano ricondurre appunto al bisonte europeo. I soli bovidi, del cui carattere domestico non è possibile dubitare, sono i buoi a corna lunghe (Fig. 1B.15-19) in quanto aggiogati in coppia al carro a quattro ruote (un possibile riferimento al carro funebre?) (Fig. 1B.19), o all’aratro (forse da ricollegare all’ipotesi dell’aratura sacra) (Fig.1B.15-16,18) (Fossati 1994b); nella maggior parte dei casi vengono riprodotti nella parte bassa dei massi, o comunque in spazi ben distinti rispetto alla rappresentazione di tutti gli altri animali (Fossati 1994a: 115-126), a dimostrazione della volontà di rappresentare il mondo domestico (o piuttosto, probabilmente il mondo dei vivi) nettamente distinto da quello selvatico, da assegnare al contrario ad una dimensione ctonia. Fa eccezione il cane (Fossati 1994a: 123-124), che, pur apparendo in mezzo alle specie selvatiche (Fig. 1A.14), lo fa in quanto collaboratore dell’uomo nell’attività della caccia, nella sua veste di fedele ed addestrato segugio: esso si distingue dal lupo in quanto raffigurato con la coda arcuata verso l’alto (Fig. 1B.5); ed è questo un prezioso elemento di comparazione con le contemporanee analoghe raffigurazioni di cani da caccia presenti nel repertorio figurativo funerario egizio (Fig. 2) (Müller-Karpe 1974, tavv. 22.1, 134.4, 138.5, 151.A, 153.3) a sottintendere una comune convenzione iconografica prima che costituire un’annotazione di tipo naturalistico. Nelle scene egizie il cane è munito, nella maggioranza dei casi - a sottolinearne il carattere domestico -, del collare, mentre il repertorio delle specie selvatiche cacciate - che attinge ovviamente ad una specifica fauna locale africana, nella quale si riconoscono, tra gli altri, leoni (Fig. 2.2) e giraffe (Fig. 2.3) - include anche esemplari di bovidi (Fig. 2.1,4), oltre al bufalo (Fig. 2.2), evidentemente non domestici al pari dei nostri “tapiri”. Parallelamente alla costante associazione di statue stele maschili e femminili (Fig. 1A.1,2) (de Marinis 1995), a cui spesso si aggiungono altre di dimensioni minori “asessuate” (Fig. 1A.3), compaiono, nell’iconografia dei massi incisi - accanto al simbolo solare isolato ed in posizione dominante su tutta la scena -, la rara immagine della coppia uomo-donna (dei due personaggi, solo quello maschile risulta aureolato) (Fig. 1A.11) -, e più di frequente la raffigurazione di una triade di personaggi (Fig. 1A.13-15), ma talora anche più di tre (Fig. 1A.10) (Casini 1994b). Almeno in un caso torna l’immagine della rappresentazione di individui appartenenti ai due sessi, come nella stele Ossimo 9 (Fig. 1A.15): dei due personaggi maschili, uno è posto al centro del masso, quale figura dominante con testa aureolata, o in stretto rapporto con il simbolo solare, mentre la figura femminile è collocata - rispetto allo spettatore - all’estremità sinistra della triade; tale triade, oltre a richiamare quella presente talvolta nei gruppi di statue-stele testé ricordate, sembra riecheggiare contenuti di religioni “colte”, quali risultano esplicitamente da fonti scritte relative all’area del Vicino Oriente e dell’Egitto, ricollegabili ugualmente al terzo millennio, ma riferiti a ben altro contesto socio-politico-culturale, e, soprattutto, ad una realtà religioso-simbolica ed ad un pantheon assai più complessi (Xella 1985; Vidale 2000; Bresciani 2001). In questi testi ricorrono, tra l’altro, versioni diverse relative alla creazione dell’Universo e ad una dimensione ctonia. 

Al motivo della triade in stretto rapporto con il motivo solare sembrano ricollegarsi anche alcuni spilloni dell’antica età del bronzo dell’area italiana, ma non solo, con capocchia tripartita (Fig. 1C.1-6) (Carancini 2006: 25), e, in alcuni casi, con la replica del carattere itifallico di al-cune figure rappresentate nei massi (Fig. 1C.4-5). Altro motivo ricorrente nei massi incisi, che trova precisi confronti in ambito egizio, è quello del rettangolo frangiato (Fig. 1C.11-14) (Casini 1994: 93-96). Anche la probabile riproduzione dei calzari, posti ugualmente sulla parte bassa del retro di molte statue-stele dell’area nord-pontica (Mezzena 1998: 138-140, 144-145), sembra richiamare ancora una volta l’analoga iconografia presente nella contemporanea produzione figurativa funeraria egizia (Fig. 1C.10) (Müller-Karpe 1974, tavv. 126- 127). Ancora, colpisce la vicinanza tra talune statue-stele, soprattutto del Midi francese (Fig. 1A.7) (D’Anna et al. 1995: 155, Fig. 11), e quelle della stessa epoca rinvenute nella lontana area yemenita (Fig. 1A.8-9) (Bargagli et al. 2000), che mostrano una comune foggia di pugnale a lama lanceolata con estremità superiore dell’impugnatura ad U rovesciata: arma che trova confronti più prossimi in manufatti del contemporaneo mondo egizio, vicino-orientale ed anatolico (Fig. 1C.7-9) (Müller-Karpe 1974, tavv. 109.C2, 179.9, 312). Un discorso a parte merita la ricorrenza, nelle statue- stele del terzo millennio, di talune caratteristiche anatomiche soprattutto della parte superiore del corpo, prime tra tutte le braccia, che appaiono nella maggior parte dei casi convergere sul torace o sul ventre (Fig. 1A.1-3,5-6,12; Fig. 3.A1) (Mezzena 1998; Casini et al. 1995; Pedrotti 1998; Casini 1994°; Ratti 1994), secondo un’iconografia assai frequente nel contemporaneo ambiente vicino-orientale (Fig. 3.A3) ed egizio. In queste aree troviamo, infatti, statue soprattutto di personaggi di altissimo rango, quali mediatori tra le divinità e gli uomini: molte di queste statue si riferiscono a re-sacerdoti o comunque a personaggi investiti di cariche sacerdotali, e sempre rigorosamente a piedi nudi (Müller-Karpe 1974, tavv. 182, 190-192, 215- 218, 226-227) (per una caratteristica identica presente nelle statue stele dell’area europea vedi alla Fig. 1A.5-7). Particolarmente insistente, nelle statue-stele europee, è la riproduzione delle clavicole, per lo più in rilievo ed in forma assai schematica al pari delle braccia (Fig. 1A.1-3), ma talora riprodotte in modo anatomicamente assai realistico, come nella statua-stele di Kernosovka (Fig. 3.A1) (Telehin & Mallory 1995), messa a confronto in questa sede con la riproduzione dello scheletro umano (Fig. 3.A2). Fuori del territorio della penisola italiana risultano frequentemente rappresentate le scapole - riprodotte per lo più con due turgide spirali simmetricamente avvolte nella maggior parte dei casi verso l’esterno) (Figg. 1A.5-6,12; 3.A1), ma talora verso l’interno (Fig. 3.A4), quali elementi terminali collegati senza soluzione di continuità alle braccia raffigurate sulla faccia frontale (Fig. 1A.5) -, e talora le costole (Fig. 3.A1,4), con casi, a volte, di un realismo sorprendente nella riproduzione anche dell’intera gabbia toracica (Telehin & Mallory 1995: 324, Fig. 4). 

Nella Fig. 3.A3 è riportato il retro di una statua mesopotamica dello stesso periodo delle statue-stele europee, su cui sembra apparire la spina dorsale, raffigurata, come anche in altre statue della stessa area, con un profondo solco verticale (Marchetti 2006). Inoltre, risulta opportuno ritornare ancora una volta alla statua-stele dall’area nord-pontica di Kernosovka già chiamata in causa: sul retro di questo esemplare (Fig. 3.A1), che rappresenta un vero e proprio studio anatomico, sembrano essere stati riprodotti non solo i particolari dello scheletro, ma anche taluni fasci muscolari, come quelli del collo - nei quali si ritiene di poter riconoscere quelli dello splenio - e i muscoli della parte bassa della schiena - in particolare il gran dorsale e il grande gluteo (per un confronto con l’anatomia reale, vedi alla Fig. 3.A2). Inoltre, al centro delle scapole della medesima statua-stele è riportata la rappresentazione di un alberiforme, verosimilmente come motivo tatuato, eseguito quindi sull’epidermide, e forse da ritenere con molta probabilità una schematizzazione antropomorfa dello scheletro riportato su tante statue-stele (Mattioli 2007: 109-117). Infine, al termine di questa assai sintetica rassegna, si vuole ricordare come alcuni archeologi abbiano voluto rilevare un collegamento tra il particolare iconografico del mantello a strisce delle statue-stele del gruppo trentino atesino (Fig. 1A.4) e l’analogo capo in pelle dell’uomo del Similaun (Fig. 3.A5) (Bazzanella & Mayr 1995; Fleckinger 2002: 60-61), il cui ritrovamento in alta quota (Fig. 3.A10) (Höpfel et al. 1992; Spindler 1998), viene interpretato, almeno da parte di alcuni studiosi (e lo scrivente condivide l’ipotesi), come riferibile ad una possibile deposizione funebre di un personaggio eminente risalente al medesimo periodo dei confronti in pietra di quell’area (Fleckinger 2002: 48). A favore dell’ipotesi che il rinvenimento della mummia del Similaun possa riferirsi ad una deposizione funeraria sembrano contribuire, tra l’altro, talune considerazioni, alcune delle quali già espresse da altri autori (Terzan 1994; Nisi 2001; Dickinson et al. 2003; Carancini 2006a; Carancini & Mattioli, 2009; vedi, inoltre, da ultimo, Vanzetti et al. 2010; Carancini & Mattioli 2011; Fasolo 2011; leggi, infine, la nota aggiuntiva al termine del presente testo): 1) La mummia è stata rinvenuta a faccia in giù in posizione rigidamente distesa. La disposizione del braccio sinistro oltre la spalla destra (Fig. 3.A8) (rispetto ad un probabile posizionamento originario sul petto e sul ventre dell’arto, ormai bloccato in tale postura in seguito alla lesione dei muscoli della spalla procurata dalla freccia conficcata al di sotto della scapola sinistra), lo spostamento del setto nasale e del labbro superiore verso destra e verso l’alto, e l’accartocciamento su se stesso del padiglione dell’orecchio sinistro (Fig. 3.A7) (Fleckinger 2002: 51), suggeriscono che il corpo, sotto il peso ed i movimenti della massa di ghiaccio che lo ha ricoperto per circa cinque millenni (tranne alcune probabili brevi interruzioni), abbia potuto subire una rotazione di 180° sul proprio asse longitudinale in senso antiorario rispetto ad un’ipotizzabile originaria posizione supina. Si tratterebbe, in questa ricostruzione della possibile giacitura originaria della mummia, di una posizione assai composta, che sembrerebbe contraddire l’ipotesi prevalente che si riferisca ad un individuo stramazzato al suolo, ormai stremato, dopo un combattimento corpo a corpo ingaggiato con più di un avversario (Fleckinger 2002: 47), e con una ferita dolorosissima sulla schiena provocata da una freccia scoccata alle sue spalle dal basso verso l’alto e penetrata in profondità fin sotto la scapola sinistra. 2) La complessità ed il grande ingombro del vestiario e dell’equipaggiamento (quest’ultimo rinvenuto in buon ordine in collegamento con il personaggio) fanno ritenere che si tratti di un abbigliamento e di un bagaglio fin troppo gravosi per un individuo costretto, come è stato ipotizzato dai più, ad una fuga precipitosa dai propri nemici per un aspro sentiero tutto in salita; in particolare, quello che è stato identificato per molto tempo come un probabile, poco funzionale, pesante mantello di vegetali intrecciati (Fig. 3.A6), e che solo nell’ultimo allestimento museale, nella sede di Bolzano, appare declassato a stuoia multiuso, potrebbe essere interpretato, in realtà, come una sorta di sudario (Fleckinger 2002: 58): a questo proposito, Spindler ricorda che, nei giorni del recupero della mummia “tra il collo e il petto, scoprono un oggetto simile ad una stuoia, congelato sopra la roccia su cui giace il cadavere” (Spindler 1998: 38). 3) Il rinvenimento dei due recipienti di corteccia di betulla (Fleckinger 2002: 86), di cui almeno uno certamente molto vicino alla testa della mummia, potrebbe corrispondere al coevo frequente costume funerario di deporre uno o più vasi in stretto collegamento con il defunto; allo stesso modo, il rinvenimento ad una distanza relativamente considerevole dalla mummia di altri oggetti, “tutti ordinatamente disposti” - come la faretra con le frecce, posta a quattro metri nell’angolo nord-ovest della conca, l’arco, l’ascia e la gerla raccolti, invece, all’incirca alla stessa distanza sul margine sud-ovest (Fleckinger 2002: 51) -, fanno pensare ad una deposizione rituale di tipo funerario, piuttosto che ad un ultimo, estremo, anche se lodevole, desiderio da parte di Ötzi di lasciare tutte le sue cose in buon ordine prima di passare a miglior vita dopo una lunga e straziante agonia. 4) Ugualmente a contenuti di carattere cultuale, anziché ad un’attività di tipo artigianale improvvisamente interrotta, induce ad ipotizzare la stessa presenza di un arco non finito, di dodici aste di frecce prive di punta di selce, e di altre due frecce complete, armate, cioè, di punta e di apparato stabilizzatore, approntate - è stato osservato – da due differenti individui: l’uno destrimano, l’altro mancino (Fleckinger 2002: 83); 5) anche la presenza di tracce di sangue umano (risultate, secondo recentissime indagini, appartenenti a più persone) sull’asta di una delle frecce riposte nella faretra (!), sull’arco, sul pugnale e sull’ascia, anziché costituire un riferimento ad uno strenuo corpo a corpo, potrebbe far pensare piuttosto a risvolti di carattere cultuale (Fleckinger 2002: 46); ed ugualmente ad un pasto rituale comunitario in collegamento eventualmente con la tumulazione di Ötzi, rimanderebbe la presenza di resti di ossa di stambecco rinvenuti sul fondo, poco al disotto della deposizione dell’ascia (Spindler 1998: 111). 6) Ancora, nell’intestino della mummia sono stati rinvenuti pollini freschi di carpinella e di nocciolo, due alberi che crescono a quote basse nella Val Venosta ed in particolare in Val Senales: “Il grado di digestione dei pollini ha consentito ai botanici di affermare che, dodici ore prima di morire, Ötzi si trovava in questa vallata” (Fleckinger 2002: 96). 7) Appare difficile, stando almeno alla ricostruzione ufficiale più accreditata, che nel tempo di sole dodici ore possa essere concentrata una successione tanto serrata di eventi: l’ascesa del “fuggitivo” dalla Val Senales, da una quota di base di circa 1200 m, per di più con l’impaccio di un pesante vestiario e di un impegnativo equipaggiamento, alla considerevole altezza di 3210 m (si ricorda che Ötzi in quel drammatico frangente avrebbe comunque trovato, durante la fuga, anche il tempo di consumare due pasti in successione, il primo a base di carne di stambecco, il secondo - ed ultimo della sua vita - costituito da carne di cervo e cereali; vedi Rollo et al. 2002); il suo fatale ferimento mediante una freccia scoccata da dietro e dal basso da uno dei suoi inseguitori; il decisivo scontro in corrispondenza del luogo di rinvenimento con più avversari, che avrebbero lasciato tracce di sangue sugli oggetti di Ötzi (e, inspiegabilmente, anche sull’asta di una delle frecce conservate diligentemente all’interno della faretra); ed infine la lenta agonia: “l’uomo non morì sul colpo, ma lottò probabilmente alcune ore prima di rassegnarsi al suo destino” (Fleckinger 2002: 45); ma - a dare ancora per buona la versione del decesso a 3210 m di quota, dove al calar del sole anche nella bella stagione la temperatura scende di parecchi gradi sotto lo zero, è da chiedersi come si possa sopravvivere per più di mezz’ora agli effetti dell’ipotermia. 8) Infine, se a tutto il resto che si è detto e alla “lunga agonia”, si aggiunge anche una deambulazione compromessa da gravi danni pregressi alle articolazioni riscontrati sulla mummia, il calcolo del solo tempo d’ascesa a disposizione di Ötzi dovrebbe ridursi a quasi la metà rispetto alle dodici ore ipotizzate per lo svolgimento degli eventi, e saremmo di fronte ad un exploit alpinistico che, anche con un equipaggiamento moderno più leggero e tecnologicamente avanzato, ancora oggi avremmo difficoltà a superare. In conclusione, sembrerebbe ragionevole immaginare piuttosto la seguente sequenza degli avvenimenti: in un giorno di primavera l’uomo viene ferito nella bassa vallata dalla freccia trovata conficcata sotto la scapola sinistra in seguito ad un colpo scoccato da dietro da un arciere posto ad una quota leggermente più bassa (vedi, a tale proposito, alla Fig. 3.A9 la stele di Laces – Pedrotti 1993 -, nella quale è rappresentata la scena, forse a carattere rituale, di un arciere che incalza da dietro un individuo apparentemente inerme); la ferita, non mortale nel breve periodo, ma che, mai rimarginata, continuerà a sanguinare fino al momento del decesso, innesca probabilmente una forma protratta di setticemia, che lascia in vita la vittima anche per più giorni (di qui “la lenta agonia”: si ricordi che l’ultimo stress, il più grave, segnato sull’unghia superstite, rimanda a otto settimane circa prima del decesso) (Capasso 1992); poco prima del sopraggiungere della morte avviene la somministrazione al moribondo di un ultimo pasto rituale di commiato a base di cereali e di carne di cervo (Rollo et al. 2002) (si pensi alle numerose rappresentazioni di questo animale nel repertorio dell’arte rupestre e l’assimilazione delle sue corna al simbolo solare, accennata più sopra); poi, la vestizione del cadavere nei suoi panni da parata; il successivo pressoché immediato trasferimento in alta quota del cadavere nei pressi del Tisenjoch, avvenuto tra la tarda primavera e gli inizi dell’estate (e non in autunno, ad una certa distanza di tempo dal decesso, come invece ipotizzato da ultimo da Vanzetti e collaboratori: vedi, appresso, Vanzetti et al. 2010); ed infine la celebrazione di un complesso rituale (che contempla l’aspersione di alcuni oggetti con il sangue dei celebranti, ed il banchetto funebre a base di capriolo, di cui sono stati rinvenuti i resti sotto la mummia), che deve aver accompagnato la solenne tumulazione in posizione supina del cadavere precedentemente mummificato a valle (vedi appresso, alla nota aggiuntiva), e la deposizione ordinata intorno a lui del ricco corredo: il tutto, avvenuto nell’unico luogo protetto della piccola conca naturale (Fig.3.A10), a poca distanza dal Tisenjoch, verosimilmente con il cadavere ricoperto, a protezione, o da un tumulo o da una cista di pietre probabilmente disperse in epoca successiva in seguito ai movimenti millenari del ghiacciaio. Se questa ipotesi dovesse risultare plausibile, ci troveremmo di fronte all’ennesimo esempio di sacralizzazione di un luogo cruciale (un passo alpino strategico in alta quota per l’attività di transumanza) nell’ambito di quella geografia a carattere religioso-cultuale che sembra affermarsi anche nell’Europa del quarto e del terzo millennio (ma con lontanissime radici risalenti verosimilmente addirittura alla tradizione pittorica rupestre nata nel Paleolitico superiore!). A questa caratterizzazione religioso-cultuale, nell’epoca che qui ci interessa, va riportata, accanto alla scoperta dei primi ripostigli con i principali prodotti integri della metallurgia, la presenza, in località aperte, di concentrazioni di massi incisi, di statue stele, e di manifestazioni figurative in grotte e in ripari sotto roccia (Mattioli 2007), nonché di campi sacri, o di coppelle incise su massi isolati, che sembrano segnare tragitti verso quote elevate - come avviene anche in Val Senales proprio in direzione del Tisenjoch (CAVULLI infra), di tombe isolate, di intere necropoli o addirittura di gruppi di necropoli - dedicate a personaggi o a gruppi familiari élitari -, tese a formare sul territorio un sistema sacralizzato intorno o in collegamento con aree ricche di particolari risorse economiche soprattutto minerarie, ma non solo (vedi le aree di pascolo, ed, appunto, i tragitti di transumanza).
Nota aggiuntiva
Nelle more della stampa del presente volume, è uscito sulla rivista Antiquity un contributo di Vanzetti e collaboratori (cfr. Vanzetti et al. 2010, già citato più sopra) che amplia il gruppo di studiosi che ipotizzano il riferimento della mummia del Similaun ad una deposizione funebre. Serie riserve tuttavia si possono avanzare (vedi Carancini & Mattioli 2011, che concordano con le critiche espresse successivamente dal comitato di ricerca ufficiale di Bolzano: cfr. Egarter Vigl et al. 2010 ) circa la scarsa attendibilità del metodo della ricerca adottato da Vanzetti per sostenere il carattere funerario della scoperta (impiego del GIS che, per altro, anche Carancini e Mattioli in un primo momento avevano sperimentalmente applicato in vista della stesura del contributo approntato per il Nono Seminario Internazionale di Geografia Medica, tenuto a Roma nel dicembre del 2007, e poi scartato una volta constatata la scarsa affidabilità dei risultati ottenuti per questa via rispetto ad un’analisi dei dati condotta più tradizionalmente su basi induttive; cfr. Carancini & Mattioli 2009). Infatti, è del tutto evidente che la posizione originaria del corpo di Ötzi e degli oggetti di accompagno abbia subito notevoli mutamenti nel tempo, anche per galleggiamento a seguito dei ripetuti periodi di scongelamento dell’area. Tali spostamenti sono, tuttavia, difficilmente ricostruibili anche in ambiente GIS o con computi topografici statistici poiché la documentazione ufficiale, mai completa e sparsa in più pubblicazioni, e per lo più diluita in un ampio lasso di tempo, manca proprio di precisi riferimenti topografici, soprattutto per quanto riguarda le quote di rinvenimento degli oggetti. Quanto alla presenza dei pollini sul luogo del rinvenimento della mummia, ancora una volta si possono condividere i rilievi sollevati nei confronti di Vanzetti e Co. dalla commissione di Bolzano, che giustamente ha posto in evidenza, attraverso il comunicato già citato, emesso all’indomani dell’uscita del lavoro di Vanzetti su Antiquity, come - citiamo alla lettera - “l’analisi di pollini su ghiaccio disciolto non può essere utilizzata come prova di una inumazione autunnale. Infatti, se, come ammesso anche dagli autori [Vanzetti et Al. 2010], l’area del ritrovamento ha subito un disgelo, i pollini non si trovano più nella stratificazione originaria, ma sono mischiati con il contenuto pollinico di strati più recenti”. Di conseguenza è da ritenere, anche da parte di chi sostiene l’ipotesi della deposizione funebre - come l’autore del presente contributo, ed insieme a Tommaso Mattioli, quale coautore in altri due interventi -, che non ci sia stato alcun differimento del seppellimento in autunno rispetto alla data del decesso individuata alla fine della primavera o agli esordi dell’estate. Restano tuttavia alcuni problemi aperti, che sono lungi dal poter essere chiariti nonostante gli abbondanti dati attualmente a disposizione. Tra i principali quesiti, primo tra tutti è quello che riguarda le modalità di mummificazione di Ötzi: la commissione ufficiale di Bolzano non ha finora ancora dato una spiegazione veramente convincente circa le modalità di mummificazione ad alta quota di Ötzi, trincerandosi, in definitiva, dietro la formula di una “mummificazione unica al mondo dell’Uomo venuto dal ghiaccio”: in realtà il corpo mummificato di Ötzi reca scarsissime tracce di adipocerificazione, fenomeno che al contrario caratterizza inequivocabilmente e vistosamente i processi di mummificazione in ambiente freddo come quello in alta quota. Quindi c’è da chiedersi se l’uomo del Similaun - una volta accettata l’ipotesi della sua pertinenza ad una deposizione funeraria - non sia stato sottoposto immediatamente dopo il decesso (che è da ritenere, come si è cercato di chiarire, essere avvenuto molto verosimilmente a bassa quota) ad una qualche pratica di trattamento del cadavere con il fuoco al fine di: 1) ottenerne una rapida disidratazione per ritardare il processo di disfacimento delle sue parti molli; 2) riuscire nel contempo a neutralizzare l’azione dei parassiti (come ben documentato dalle analisi effettuate sul corpo, e ribadito anche da ultimo dalla commissione di studio di Bolzano, che in proposito precisa come sulla mummia manchi qualsiasi traccia d’infestazione di insetti!); pratica, quella della mummificazione artificiale mediante affumicatura, che - riservata verosimilmente soltanto a taluni personaggi eminenti – avrebbe portato a far assumere al cadavere l’aspetto evocato non solo dalla mummia del Similaun, ma anche dalle contemporanee immagini delle statue-stele - di cui si è parlato nella prima parte del presente lavoro - nelle quali appunto vengono rappresentate, spesso con dovizia di dettagli, parti anatomiche molli, più immediatamente deperibili,
accanto a quelle dello scheletro, ovviamente persistenti più a lungo: assai eloquente a questo proposito, tra le statue-stele nord-pontiche, sembra essere quella più volte già citata di Kernosovka (Fig. 3.A1), su cui sono stati riscontrati anche motivi “alberiformi”, probabilmente - come si è più sopra fatto osservare - tatuaggi eseguiti sulla sottile membrana di pelle in corrispondenza delle scapole (è da notare che anche su altre parti dell’epidermide di Ötzi è stata rilevata la presenza di tatuaggi!). La successiva permanenza plurimillenaria della mummia in alta quota, tra i ghiacci, avrebbe garantito la conservazione della quantità necessaria di umidità corporea presente ancora nei tessuti fino ai giorni nostri: per altro, la collocazione attuale della mummia in una cella frigorifera non ha impedito finora il fenomeno di una lenta ma inarrestabile progressiva perdita di umidità da parte del cadavere - con conseguente calo del suo peso corporeo rispetto a quello registrato poco dopo il suo recupero sul Tisenjoch: perdita d’umidità, solo recentissimamente rallentata grazie all’adozione di una sorta di “glassatura” superficiale cui è stata sottoposta la mummia per aumentare in qualche modo l’impermeabilità dell’epidermide alle attuali condizioni ambientali artificiali, e ritardare il pur inevitabile processo di dispersione dell’umidità residua (Fernicola 2003). L’altro problema di non poco momento è rappresentato dalla contraddittorietà e dalla difformità dei dati relativi alle datazioni assolute al C14 riferite ai diversi materiali organici rinvenuti nel contesto del Similaun, con datazioni talora recenziori rispetto a quella della mummia. In particolare il manico in legno di tasso dell’ascia metallica presenta due datazioni difformi, una sola delle quali coincide con quella della mummia, fissata intorno allo scorcio del quarto millennio (e, a questo proposito, non sono state mai ben chiarite le esatte modalità di prelievo dei campioni sul corpo di Ötzi); l’altra datazione risale al 2990-2920 a. C. (Kutschera et Al. 2000), che risulta quindi comunque successiva all’inquadramento cronologico ufficiale della mummia. Questa data (insieme alla nozione circa la longevità e l’estrema lentezza nel tempo della crescita del tasso) incoraggia a ribadire quanto da sempre sostenuto dall’autore del presente contributo, e, cioè, il carattere recenziore su basi tipologiche dell’ascia rispetto al tradizionale inquadramento della mummia (datazione recenziore dell’ascia già sottolineata a suo tempo in Aspes & Fasani 1993): infatti, contro i maldestri confronti tipologici dell’ascia addotti da alcuni autori (vedi da ultimo Leuzinger 2007: 151, abb. 178.6), evidentemente suggestionati dall’alta datazione in termini assoluti della mummia, con esemplari di asce del quarto millennio, caratterizzati - in veduta laterale - da un profilo ellittico con massima ampiezza spostata tendenzialmente verso il taglio e da un tallone erto (Fig. 3.B1), l’esemplare del Similaun (Fig. 3.B2) (Carancini 1993: fig. 9.1) va, al contrario, certamente ricondotto a fogge di asce a margini lievemente rialzati dell’Italia settentrionale riconducibili ad un periodo a cavallo tra la fine dell’Eneolitico e gli inizi del Bronzo antico (2450-2350 a. C.) (Fig. 3.B3-6) (Carancini 1993: fig. 9.2-3); l’ascia dal Breciano, pur incompleta, rappresentata alla Fig. 3, B 3, appare, nella parte residua, perfettamente sovrapponibile a quella del Similaun in entrambe le vedute, frontale e laterale (vedi alla Fig. 3.B4): una perfetta sovrapponibilità, dovuta al fatto che l’antico metallurgo era in grado di riprodurre, mediante battitura di un getto di fusione ottenuto da un forma aperta (o univalve), più esemplari di asce replicanti “calligraficamente” lo stesso modello; nel nostro caso si tratta di fogge di asce, la cui caratteristica principale è rappresentata dall’inconfondibile quasi perfetta simmetricità - sempre in veduta laterale - del profilo ellittico, con punto di massima ampiezza pressoché equidistante rispetto alle estremità del taglio e del tallone (quest’ultimo, non più erto, come nella maggioranza delle fogge eneolitiche più antiche di ambito settentrionale, ma, al contrario, fortemente rastremato - caratteristica, quest’ultima, presente, per altro, in ambito peninsulare, già nella maggior parte delle fogge di asce di rame più antiche: cfr. Carancini 2006b; Carancini-Peroni 1999).

FIGURE: 
Fig. 1 - A.1-3: statue-stele di Pontevecchio, Lunigiana; 4: retro della statua-stele Arco II; 5: statua-stele di Saint-Sernin-sur-Rance, Aveyron; 6: statua-menhir di Puech-Réal presso Saint-Saly-de-Carcavès; 7: stele di Montaion presso Sanhilac-et-Sagries, Gard; 8.9: stele yemenite di guerrieri dall’uadi Muhammadiyn; 10: masso Ossimo 4; 11: masso Cemmo 4; 12: statua-menhir Pousthomy I, Aveyron; 13: masso Ossimo 7; 14: Stele Cemmo 3; 15: Stele Osimo 9. - B. Animali selvatici (1-4.6-14) e domestici (5.15-19) rappresentati sui massi incisi e sulle stele: 1.4.9, cervo; 2, stambecco; 3, camoscio; 5, cane; 6.7, lupo (?); 8, volpe (?); 10.11.13.14, cinghiale; 12, bisonte (?); 15-19, bue domestico. - C.1-6: spilloni in bronzo dell’Antica età del bronzo; 7-9: pugnali con estremità superiore dell’impugnatura lunata o ad U rovesciata (7, Alaca Hüyük; 8, Dahsur; 9, Ur); 10: il motivo dei calzari nel contesto funerario egizio di Herakleopolis; 11-14: il motivo del rettangolo frangiato nell’iconografia del terzo millennio a. C. (11, vaso da Ninive; 12, masso Ossimo 8; 13, masso Borno 1; 14, masso Ossimo 4). (A1-3, da de Marinis 1995; A4, da Pedrotti 1995; A5.6.7.12, da D’Anna et al.1995; A8.9, da Bargagli et al. 2000; A10.11.13-15.B19, da Casini 1994a; B1-14, da Fossati 1994a; B15-18, da Fossati 1994b; C1-3. 7-9, da Müller-Karpe 1980; C5, da Petitti 2000; C6, da Carancini 1975; C 10, da Müller-Karpe 1974; C11-14, da Casini 1994b). Fig. 1 - A.1-3: statue-menhir from Pontevecchio, Lunigiana; 4: back of Arco II statue-menhir; 5: statue-menhir from Saint-Sernin-sur- Rance, Aveyron; 6: statue-menhir from Puech-Réal, Saint-Saly-de-Carcavès; 7: statue-menhir from Montaion, Sanhilac-et-Sagries, Gard; 8.9: Yemenite statue-menhir from uadi Muhammadiyn; 10: engraved stone from Ossimo 4; 11: engraved stone from Cemmo 4; 12: statue menhir from Pousthomy I, Aveyron; 13: engraved stone from Ossimo 7; 14: statue-menhir from Cemmo 3; 15: statue-menhir from Ossimo 9. - B. wild animals (1-4.6-14) and domestic animals (5.15-19) from engraved stone and statue-menhir: 1.4.9, deer; 2, ibex; 3, chamois; 5, dog; 6.7, wolf (?); 8, fox (?); 10.11.13.14, boar; 12, bison (?); 15-19, domestic ox. - C.1-6: Ancient Bronze age bronze probe; 7-9: daggers with crescent handle or inverted U (7, Alaca Hüyük; 8, Dahsur; 9, Ur); 10: boots from Egyptian funerary context of Herakleopolis; 11-14: fringed rectangle in the iconography of the third millennium B.C. (11, jar from Ninive; 12, engraved stone from Ossimo 8; 13, engraved stone from Borno 1; 14, engraved stone from Ossimo 4). (A1-3, from de Marinis 1995; A.4, from Pedrotti 1995; A5.6.7.12, from D’Anna et al.1995; A8.9, from Bargagli et al. 2000; A10.11.13-15; B19, from Casini 1994a; B1-14, from Fossati 1994a; B15-18, from Fossati 1994b; C1-3.7-9, from Müller-Karpe 1980; C5, from Petitti 2000; C6, from Carancini 1975; C10, from Müller-Karpe 1974; C11-14, from Casini 1994b).

Fig. 2 - Scene di caccia in contesti funebri egizi del terzo millennio a. C.: 1, Abusir; 2.3, Meir; 4, Beni Hasan (Da Müller-Karpe 1974).
Fig. 2 - Hunting scenes in Egyptian funerary contexts of the III millennium B.C.: 1, Abusir; 2.3, Meir; 4, Beni Hasan (Da Müller-Karpe 1974).

Fig. 3 - A.1: statua-stele di Kernosovka, Ucraina; 2: anatomia del corpo umano; 3: statua stante mesopotamica del Protodinastico I finale (Esnunak); 4: statua-stele di Nataljevka, Ucraina; 5-8.10: documentazione relativa alla mummia del Similaun (5.6, ricostruzione dell’abbigliamento della mummia; 7, particolare dell’orecchio sinistro accartocciato; 8, vista frontale della mummia; 10, pianta del luogo di deposizione della mummia e del corredo); 9: la stele di Laces con il particolare ingrandito della figura dell’arciere alle spalle di un individuo inerme (?). - B: asce metalliche, del quarto millennio (1, Fyn Breitenloo), e della seconda metà del terzo millennio a. C. (2, Similaun; 3, Bresciano; 4, asce del Similaun e del Bresciano sovrapposte; 5, Remedello sotto, tb. 4; 6, ripostiglio di Remedello). (A1.4, da Mezzena 1998a; A2, da Caldani & Caldani 1801; A3, da Marchetti 2006; A5-8, da Fleckinger; A9, da Pedrotti 1993; A10. B2, da Spindler et al.; B1, da Leuzinger; B3-6, da Carancini 1993).

Fig. 3 - A.1: statue-menhir from Kernosovka, Ucraina; 2: human anatomy; 3: Mesopotamian standing statue of the end of proto-dynastic I (Esnunak); 4: Statue-menhir from Nataljevka, Ucraina; 5-8.10: documentation of the Iceman mummy (5.6, clothing reconstruction of the mummy; 7, particular of the crumpled left ear; 8, front-view of the mummy; 10, site plan and funeral objects of the mummy; 9: Statuemenhir from Laces with the enlarged detail of the figure of the archer behind an unarmed person (?). - B: metal axes of IV millennium B.C. (1, Fyn Breitenloo) and second half of III millennium B.C. (2, Similaun; 3, Bresciano; 4, Similaun and from Bresciano; 5, Remedello sotto, tb. 4; 6, Remedello). (A 1.4, from Mezzena 1998a; A2, from Caldani & Caldani 1801; A3, from Marchetti 2006; A5-8, from Fleckinger; A9, from Pedrotti 1993; A10.B2, from Spindler et al.; B1, from Leuzinger; B3-6, from Carancini 1993).

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