mercoledì 9 novembre 2016
Archeologia: La mummia di Oetzi, l’Uomo di Similaun. Aspetti dell’iconografia delle statue-stele e dei massi incisi in Europa tra Eneolitico e antica età del bronzo - Confronti e convergenze con altre fonti archeologiche nell’ambito del bacino del Mediterraneo, di Gianluigi Carancini
Archeologia: La mummia di Oetzi, l’Uomo di Similaun. Aspetti dell’iconografia delle statue-stele e dei
massi incisi in Europa tra Eneolitico e antica età del bronzo - Confronti e
convergenze con altre fonti archeologiche nell’ambito del bacino del
Mediterraneo
di
Gianluigi Carancini
Fonte: Preistoria Alpina, 46 II (2012): 255-265
ISSN 0393-012575
© Museo delle Scienze, Trento 2012
Scopo principale di questo intervento è di ribadire
come, dallo studio del repertorio iconografico rappresentato - nell’Europa
protostorica del terzo millennio- dall’arte rupestre e dalle statue-stele,
sembri emergere una serie di riscontri e coincidenze con manifestazioni
presenti nello stesso periodo nel Vicino Oriente e in Egitto; si tratta, in
alcuni casi, di analogie troppo stringenti per non indurci a ritenere come
assai ragionevole l’ipotesi secondo la quale già nel terzo millennio,
indipendentemente dal profondo divario di livello di sviluppo
dell’organizzazione socio-economica e culturale tra le due aree, dovessero
esistere riferimenti precisi ad un
comune vasto patrimonio ideologico-sacrale
ed iconografico nell’ambito del bacino del Mediterraneo nella sua accezione più
vasta, in cui vanno comprese anche le aree europee e vicino-orientali più
interne o addirittura apparentemente periferiche come quella dello Yemen.
Cominciamo con il ricordare la presenza
frequentissima, nell’iconografia rappresentata nei massi incisi, delle raffigurazioni di animali selvatici (Fig. 1B.1-3,
6-14) (Fossati 1994a: 115-126), quasi sempre protagonisti al centro della scena
(Fig. 1A.10-11,13-14): soprattutto il cervo, dalla forte carica simbolica in
rapporto con l’immagine solare (Fig. 1B.1,4,9), ma anche altre specie di grande
e media taglia; animali, identificati da chi ha condotto indagini dirette sulle
fonti, come stambecchi (Fig. 1B.2), camosci (Fig. 1B.3), lupi (Fig. 1B.6-7),
volpi (Fig. 1B.8); inoltre, sono i contesti stessi delle tante specie
selvatiche rappresentate (Fig. 1A.10, 13) a non lasciare dubbi che i suidi che
vi compaiono(Fig. 1B.10,11,13,14) (Fossati 1994a: 125-126) siano da identificare
con i cinghiali (si ricorda, in proposito, anche la presenza di collane di
denti di questo animale in tombe di guerrieri risalenti allo stesso periodo).
Ugualmente,
gli animali denominati convenzionalmente nella letteratura con il nome di
“tapiri” (Fossati 1994b: 131-133), puntualmente rappresentati nell’ambito di
specie selvatiche (Fig. 1A.14), sono da interpretare probabilmente come uri e
bisonti; ad esempio, nel masso inciso di Cemmo 1, alcuni di questi “tapiri”
presentano un’accentuata gibbosità dorsale, brevissima coda e postura verso il
basso della testa, che appare munita di corte corna (Fig. 1B.12):
raffigurazioni che sembrano ricondurre appunto al bisonte europeo. I soli
bovidi, del cui carattere domestico non è possibile dubitare, sono i buoi a
corna lunghe (Fig. 1B.15-19) in quanto aggiogati in coppia al carro a quattro
ruote (un possibile riferimento al carro funebre?) (Fig. 1B.19), o all’aratro
(forse da ricollegare all’ipotesi dell’aratura sacra) (Fig.1B.15-16,18)
(Fossati 1994b); nella maggior parte dei casi vengono riprodotti nella parte
bassa dei massi, o comunque in spazi ben distinti rispetto alla
rappresentazione di tutti gli altri animali (Fossati 1994a: 115-126), a
dimostrazione della volontà di rappresentare il mondo domestico (o piuttosto,
probabilmente il mondo dei vivi) nettamente distinto da quello selvatico, da
assegnare al contrario ad una dimensione ctonia. Fa eccezione il cane (Fossati
1994a: 123-124), che, pur apparendo in mezzo alle specie selvatiche (Fig.
1A.14), lo fa in quanto collaboratore dell’uomo nell’attività della caccia,
nella sua veste di fedele ed addestrato segugio: esso si distingue dal lupo in
quanto raffigurato con la coda arcuata verso l’alto (Fig. 1B.5); ed è questo un
prezioso elemento di comparazione con le contemporanee analoghe raffigurazioni
di cani da caccia presenti nel repertorio figurativo funerario egizio (Fig. 2)
(Müller-Karpe 1974, tavv. 22.1, 134.4, 138.5, 151.A, 153.3) a sottintendere una
comune convenzione iconografica prima che costituire un’annotazione di tipo
naturalistico. Nelle scene egizie il cane è munito, nella maggioranza dei casi
- a sottolinearne il carattere domestico -, del collare, mentre il repertorio
delle specie selvatiche cacciate - che attinge ovviamente ad una specifica fauna locale
africana, nella quale si riconoscono, tra gli altri, leoni (Fig. 2.2) e giraffe
(Fig. 2.3) - include anche esemplari di bovidi (Fig. 2.1,4), oltre al bufalo
(Fig. 2.2), evidentemente non domestici al pari dei nostri “tapiri”.
Parallelamente alla costante associazione di statue stele maschili e femminili
(Fig. 1A.1,2) (de Marinis 1995), a cui spesso si aggiungono altre di dimensioni
minori “asessuate” (Fig. 1A.3), compaiono, nell’iconografia dei massi incisi -
accanto al simbolo solare isolato ed in posizione dominante su tutta la scena
-, la rara immagine della coppia uomo-donna (dei due personaggi, solo quello
maschile risulta aureolato) (Fig. 1A.11) -, e più di frequente la
raffigurazione di una triade di personaggi (Fig. 1A.13-15), ma talora anche più
di tre (Fig. 1A.10) (Casini 1994b). Almeno in un caso torna l’immagine della
rappresentazione di individui appartenenti ai due sessi, come nella stele
Ossimo 9 (Fig. 1A.15): dei due personaggi maschili, uno è posto al centro del
masso, quale figura dominante con testa aureolata, o in stretto rapporto con il simbolo
solare, mentre la figura femminile è collocata - rispetto allo spettatore -
all’estremità sinistra della triade; tale triade, oltre a richiamare quella
presente talvolta nei gruppi di statue-stele testé ricordate, sembra
riecheggiare contenuti di religioni “colte”, quali risultano esplicitamente da
fonti scritte relative all’area del Vicino Oriente e dell’Egitto, ricollegabili
ugualmente al terzo millennio, ma riferiti a ben altro contesto socio-politico-culturale,
e, soprattutto, ad una realtà religioso-simbolica ed ad un pantheon assai più
complessi (Xella 1985; Vidale 2000; Bresciani 2001). In questi testi ricorrono,
tra l’altro, versioni diverse relative alla creazione dell’Universo e ad una
dimensione ctonia.
Al motivo della triade in stretto rapporto con il motivo
solare sembrano ricollegarsi anche alcuni spilloni dell’antica età del bronzo
dell’area italiana, ma non solo, con capocchia tripartita (Fig. 1C.1-6)
(Carancini 2006: 25), e, in alcuni casi, con la replica del carattere
itifallico di al-cune figure rappresentate nei massi (Fig. 1C.4-5). Altro
motivo ricorrente nei massi incisi, che trova precisi confronti in ambito
egizio, è quello del rettangolo frangiato (Fig. 1C.11-14) (Casini 1994: 93-96).
Anche la probabile riproduzione dei calzari, posti ugualmente sulla parte bassa
del retro di molte statue-stele dell’area nord-pontica (Mezzena 1998: 138-140,
144-145), sembra richiamare ancora una volta l’analoga iconografia presente
nella contemporanea produzione figurativa funeraria egizia (Fig. 1C.10)
(Müller-Karpe 1974, tavv. 126- 127). Ancora, colpisce la vicinanza tra talune
statue-stele, soprattutto del Midi francese (Fig. 1A.7) (D’Anna et al. 1995:
155, Fig. 11), e quelle della stessa epoca rinvenute nella lontana area
yemenita (Fig. 1A.8-9) (Bargagli et al. 2000), che mostrano una comune
foggia di pugnale a lama lanceolata con estremità superiore dell’impugnatura ad
U rovesciata: arma che trova confronti più prossimi in manufatti del
contemporaneo mondo egizio, vicino-orientale ed anatolico (Fig. 1C.7-9)
(Müller-Karpe 1974, tavv. 109.C2, 179.9, 312). Un discorso a parte merita la
ricorrenza, nelle statue- stele del terzo millennio, di talune caratteristiche
anatomiche soprattutto della parte superiore del corpo, prime tra tutte le
braccia, che appaiono nella maggior parte dei casi convergere sul torace o sul
ventre (Fig. 1A.1-3,5-6,12; Fig. 3.A1) (Mezzena 1998; Casini et al. 1995;
Pedrotti 1998; Casini 1994°; Ratti 1994), secondo un’iconografia assai
frequente nel contemporaneo ambiente vicino-orientale (Fig. 3.A3) ed egizio. In
queste aree troviamo, infatti, statue soprattutto di personaggi di altissimo
rango, quali mediatori tra le divinità e gli uomini: molte di queste statue si
riferiscono a re-sacerdoti o comunque a personaggi investiti di cariche
sacerdotali, e sempre rigorosamente a piedi nudi (Müller-Karpe 1974, tavv. 182,
190-192, 215- 218, 226-227) (per una caratteristica identica presente nelle
statue stele dell’area europea vedi alla Fig. 1A.5-7). Particolarmente
insistente, nelle statue-stele europee, è la riproduzione delle clavicole, per
lo più in rilievo ed in forma assai schematica al pari delle braccia (Fig.
1A.1-3), ma talora riprodotte in modo anatomicamente assai realistico, come
nella statua-stele di Kernosovka (Fig. 3.A1) (Telehin & Mallory 1995),
messa a confronto in questa sede con la riproduzione dello scheletro umano
(Fig. 3.A2). Fuori del territorio della penisola italiana risultano frequentemente
rappresentate le scapole - riprodotte per lo più con due turgide spirali
simmetricamente avvolte nella maggior parte dei casi verso l’esterno) (Figg.
1A.5-6,12; 3.A1), ma talora verso l’interno (Fig. 3.A4), quali elementi terminali
collegati senza soluzione di continuità alle braccia raffigurate sulla faccia
frontale (Fig. 1A.5) -, e talora le costole (Fig. 3.A1,4), con casi, a volte, di un
realismo sorprendente nella riproduzione anche dell’intera gabbia toracica
(Telehin & Mallory 1995: 324, Fig. 4).
Nella Fig. 3.A3 è riportato il retro
di una statua mesopotamica dello stesso periodo delle statue-stele europee, su
cui sembra apparire la spina dorsale, raffigurata, come anche in altre statue
della stessa area, con un profondo solco verticale (Marchetti 2006). Inoltre, risulta
opportuno ritornare ancora una volta alla statua-stele dall’area nord-pontica
di Kernosovka già chiamata in causa: sul retro di questo esemplare (Fig. 3.A1),
che rappresenta un vero e proprio studio anatomico, sembrano essere stati
riprodotti non solo i particolari dello scheletro, ma anche taluni fasci
muscolari, come quelli del collo - nei quali si ritiene di poter riconoscere
quelli dello splenio - e i muscoli della parte bassa della schiena - in
particolare il gran dorsale e il grande gluteo (per un confronto
con l’anatomia reale, vedi alla Fig. 3.A2). Inoltre, al centro delle scapole
della medesima statua-stele è riportata la rappresentazione di un alberiforme,
verosimilmente come motivo tatuato, eseguito quindi sull’epidermide, e forse da
ritenere con molta probabilità una schematizzazione antropomorfa dello
scheletro riportato su tante statue-stele (Mattioli 2007: 109-117). Infine, al
termine di questa assai sintetica rassegna, si vuole ricordare come alcuni
archeologi abbiano voluto rilevare un collegamento tra il particolare
iconografico del mantello a strisce delle statue-stele del gruppo trentino
atesino (Fig. 1A.4) e l’analogo capo in pelle dell’uomo del Similaun (Fig.
3.A5) (Bazzanella & Mayr 1995; Fleckinger 2002: 60-61), il cui ritrovamento
in alta quota (Fig. 3.A10) (Höpfel et al. 1992; Spindler 1998), viene
interpretato, almeno da parte di alcuni studiosi (e lo scrivente condivide
l’ipotesi), come riferibile ad una possibile deposizione funebre di un
personaggio eminente risalente al medesimo periodo dei confronti in pietra di
quell’area (Fleckinger 2002: 48). A favore dell’ipotesi che il rinvenimento
della mummia del Similaun possa riferirsi ad una deposizione funeraria sembrano
contribuire, tra l’altro, talune considerazioni, alcune delle quali già
espresse da altri autori (Terzan 1994; Nisi 2001; Dickinson et al. 2003;
Carancini 2006a; Carancini & Mattioli, 2009; vedi, inoltre, da ultimo,
Vanzetti et al. 2010; Carancini & Mattioli 2011; Fasolo 2011; leggi,
infine, la nota aggiuntiva al termine del presente testo): 1) La mummia è stata
rinvenuta a faccia in giù in posizione rigidamente distesa. La disposizione del
braccio sinistro oltre la spalla destra (Fig. 3.A8) (rispetto ad un probabile
posizionamento originario sul petto e sul ventre dell’arto, ormai bloccato in
tale postura in seguito alla lesione dei muscoli della spalla procurata dalla
freccia conficcata al di sotto della scapola sinistra), lo spostamento del
setto nasale e del labbro superiore verso destra e verso l’alto, e l’accartocciamento
su se stesso del padiglione dell’orecchio sinistro (Fig. 3.A7) (Fleckinger
2002: 51), suggeriscono che il corpo, sotto il peso ed i movimenti della massa
di ghiaccio che lo ha ricoperto per circa cinque millenni (tranne alcune
probabili brevi interruzioni), abbia potuto subire una rotazione di 180° sul
proprio asse longitudinale in senso antiorario rispetto ad un’ipotizzabile
originaria posizione supina. Si tratterebbe, in questa ricostruzione della
possibile giacitura originaria della mummia, di una posizione assai composta,
che sembrerebbe contraddire l’ipotesi prevalente che si riferisca ad un
individuo stramazzato al suolo, ormai stremato, dopo un combattimento corpo a
corpo ingaggiato con più di un avversario (Fleckinger 2002: 47), e con una
ferita dolorosissima sulla schiena provocata da una freccia scoccata alle sue
spalle dal basso verso l’alto e penetrata in profondità fin sotto la scapola
sinistra. 2) La complessità ed il grande ingombro del vestiario e
dell’equipaggiamento (quest’ultimo rinvenuto in buon ordine in collegamento con
il personaggio) fanno ritenere che si tratti di un abbigliamento e di un
bagaglio fin troppo gravosi per un individuo costretto, come è stato ipotizzato
dai più, ad una fuga precipitosa dai propri nemici per un aspro sentiero tutto
in salita; in particolare, quello che è stato identificato per molto tempo come
un probabile, poco funzionale, pesante mantello di vegetali intrecciati (Fig.
3.A6), e che solo nell’ultimo allestimento museale, nella sede di Bolzano, appare
declassato a stuoia multiuso, potrebbe essere interpretato, in realtà, come una
sorta di sudario (Fleckinger 2002: 58): a questo proposito,
Spindler ricorda che, nei giorni del recupero della mummia “tra il collo e
il petto, scoprono un oggetto simile ad una stuoia, congelato sopra la roccia
su cui giace il cadavere” (Spindler 1998: 38). 3) Il rinvenimento dei due
recipienti di corteccia di betulla (Fleckinger 2002: 86), di cui almeno uno
certamente molto vicino alla testa della mummia, potrebbe corrispondere al
coevo frequente costume funerario di deporre uno o più vasi in stretto
collegamento con il defunto; allo stesso modo, il rinvenimento ad una distanza
relativamente considerevole dalla mummia di altri oggetti, “tutti
ordinatamente disposti” - come la faretra con le frecce, posta a quattro metri
nell’angolo nord-ovest della conca, l’arco, l’ascia e la gerla raccolti,
invece, all’incirca alla stessa distanza sul margine sud-ovest (Fleckinger
2002: 51) -, fanno pensare ad una deposizione rituale di tipo funerario,
piuttosto che ad un ultimo, estremo, anche se lodevole, desiderio da parte di
Ötzi di lasciare tutte le sue cose in buon ordine prima di passare a miglior
vita dopo una lunga e straziante agonia. 4) Ugualmente a contenuti di carattere
cultuale, anziché ad un’attività di tipo artigianale improvvisamente
interrotta, induce ad ipotizzare la stessa presenza di un arco non finito, di
dodici aste di frecce prive di punta di selce, e di altre due frecce complete,
armate, cioè, di punta e di apparato stabilizzatore, approntate - è stato
osservato – da due differenti individui: l’uno destrimano, l’altro mancino (Fleckinger
2002: 83); 5) anche la presenza di tracce di sangue umano (risultate, secondo
recentissime indagini, appartenenti a più persone) sull’asta di una delle
frecce riposte nella faretra (!), sull’arco, sul pugnale e sull’ascia, anziché
costituire un riferimento ad uno strenuo corpo a corpo, potrebbe far pensare
piuttosto a risvolti di carattere cultuale (Fleckinger 2002: 46); ed ugualmente
ad un pasto rituale comunitario in collegamento eventualmente con la
tumulazione di Ötzi, rimanderebbe la presenza di resti di ossa di stambecco
rinvenuti sul fondo, poco al disotto della deposizione dell’ascia (Spindler
1998: 111). 6) Ancora, nell’intestino della mummia sono stati rinvenuti pollini
freschi di carpinella e di nocciolo, due alberi che crescono a quote basse
nella Val Venosta ed in particolare in Val Senales: “Il grado di digestione
dei pollini ha consentito ai botanici di affermare che, dodici ore prima di
morire, Ötzi si trovava in questa vallata” (Fleckinger 2002: 96). 7)
Appare difficile, stando almeno alla ricostruzione ufficiale più accreditata,
che nel tempo di sole dodici ore possa essere concentrata una successione tanto
serrata di eventi: l’ascesa del “fuggitivo” dalla Val Senales, da una quota di
base di circa 1200 m, per di più con l’impaccio di un pesante vestiario e di un
impegnativo equipaggiamento, alla considerevole altezza di 3210 m (si ricorda
che Ötzi in quel drammatico frangente avrebbe comunque trovato, durante la
fuga, anche il tempo di consumare due pasti in successione, il primo a base di
carne di stambecco, il secondo - ed ultimo della sua vita - costituito da carne di
cervo e cereali; vedi Rollo et al. 2002); il suo fatale ferimento mediante
una freccia scoccata da dietro e dal basso da uno dei suoi inseguitori; il
decisivo scontro in corrispondenza del luogo di rinvenimento con più avversari,
che avrebbero lasciato tracce di sangue sugli oggetti di Ötzi (e, inspiegabilmente,
anche sull’asta di una delle frecce conservate diligentemente all’interno della
faretra); ed infine la lenta agonia: “l’uomo non morì sul colpo, ma lottò
probabilmente alcune ore prima di rassegnarsi al suo destino” (Fleckinger 2002:
45); ma - a dare ancora per buona la versione del decesso a 3210 m di quota,
dove al calar del sole anche nella bella stagione la temperatura scende di
parecchi gradi sotto lo zero, è da chiedersi come si possa sopravvivere per più
di mezz’ora agli effetti dell’ipotermia. 8) Infine, se a tutto il resto che si
è detto e alla “lunga agonia”, si aggiunge anche una deambulazione compromessa da
gravi danni pregressi alle articolazioni riscontrati sulla mummia, il calcolo
del solo tempo d’ascesa a disposizione di Ötzi dovrebbe ridursi a quasi la metà
rispetto alle dodici ore ipotizzate per lo svolgimento degli eventi, e saremmo di
fronte ad un exploit alpinistico che, anche con un equipaggiamento
moderno più leggero e tecnologicamente avanzato, ancora oggi avremmo difficoltà
a superare. In conclusione, sembrerebbe ragionevole immaginare piuttosto la
seguente sequenza degli avvenimenti: in un giorno di primavera l’uomo viene
ferito nella bassa vallata dalla freccia trovata conficcata sotto la scapola sinistra
in seguito ad un colpo scoccato da dietro da un arciere posto ad una quota
leggermente più bassa (vedi, a tale proposito, alla Fig. 3.A9 la stele di Laces
– Pedrotti 1993 -, nella quale è rappresentata la scena, forse a carattere rituale,
di un arciere che incalza da dietro un individuo apparentemente inerme); la
ferita, non mortale nel breve periodo, ma che, mai rimarginata, continuerà a
sanguinare fino al momento del decesso, innesca probabilmente una forma
protratta di setticemia, che lascia in vita la vittima anche per più giorni (di
qui “la lenta agonia”: si ricordi che l’ultimo stress, il più grave, segnato
sull’unghia superstite, rimanda a otto settimane circa prima del decesso)
(Capasso 1992); poco prima del sopraggiungere della morte avviene la
somministrazione al moribondo di un ultimo pasto rituale di commiato a base di
cereali e di carne di cervo (Rollo et al. 2002) (si pensi alle numerose
rappresentazioni di questo animale nel repertorio dell’arte rupestre e
l’assimilazione delle sue corna al simbolo solare, accennata più sopra); poi, la
vestizione del cadavere nei suoi panni da parata; il successivo pressoché
immediato trasferimento in alta quota del cadavere nei pressi del Tisenjoch,
avvenuto tra la tarda primavera e gli inizi dell’estate (e non in autunno, ad
una certa distanza di tempo dal decesso, come invece ipotizzato da ultimo da
Vanzetti e collaboratori: vedi, appresso, Vanzetti et al. 2010); ed
infine la celebrazione di un complesso rituale (che contempla l’aspersione di
alcuni oggetti con il sangue dei celebranti, ed il banchetto funebre a base di
capriolo, di cui sono stati rinvenuti i resti sotto la mummia), che deve aver
accompagnato la solenne tumulazione in posizione supina del cadavere
precedentemente mummificato a valle (vedi appresso, alla nota aggiuntiva), e la
deposizione ordinata intorno a lui del ricco corredo: il tutto, avvenuto nell’unico
luogo protetto della piccola conca naturale (Fig.3.A10), a poca distanza dal
Tisenjoch, verosimilmente con il cadavere ricoperto, a protezione, o da un tumulo
o da una cista di pietre probabilmente disperse in epoca successiva in seguito
ai movimenti millenari del ghiacciaio. Se questa ipotesi dovesse risultare
plausibile, ci troveremmo di fronte all’ennesimo esempio di sacralizzazione di
un luogo cruciale (un passo alpino strategico in alta quota per l’attività di
transumanza) nell’ambito di quella geografia a carattere religioso-cultuale che
sembra affermarsi anche nell’Europa del quarto e del terzo millennio (ma con
lontanissime radici risalenti verosimilmente addirittura alla tradizione
pittorica rupestre nata nel Paleolitico superiore!). A questa caratterizzazione
religioso-cultuale, nell’epoca che qui ci interessa, va riportata, accanto alla
scoperta dei primi ripostigli con i principali prodotti integri della
metallurgia, la presenza, in località aperte, di concentrazioni di massi
incisi, di statue stele, e di manifestazioni figurative in grotte e in ripari sotto
roccia (Mattioli 2007), nonché di campi sacri, o di coppelle incise su massi
isolati, che sembrano segnare tragitti verso quote elevate - come avviene anche
in Val Senales proprio in direzione del Tisenjoch (CAVULLI infra), di
tombe isolate, di intere necropoli o addirittura di gruppi di necropoli -
dedicate a personaggi o a gruppi familiari élitari -, tese a formare sul
territorio un sistema sacralizzato intorno o in collegamento con aree ricche di
particolari risorse economiche soprattutto minerarie, ma non solo (vedi le aree
di pascolo, ed, appunto, i tragitti di transumanza).
Nota aggiuntiva
Nelle more della stampa del presente volume, è uscito
sulla rivista Antiquity un contributo di Vanzetti e collaboratori (cfr.
Vanzetti et al. 2010, già citato più sopra) che amplia il gruppo di
studiosi che ipotizzano il riferimento della mummia del Similaun ad una
deposizione funebre. Serie riserve tuttavia si possono avanzare (vedi Carancini
& Mattioli 2011, che concordano con le critiche espresse successivamente
dal comitato di ricerca ufficiale di Bolzano: cfr. Egarter Vigl et al. 2010
) circa la scarsa attendibilità del metodo della ricerca adottato da Vanzetti
per sostenere il carattere funerario della scoperta (impiego del GIS che, per
altro, anche Carancini e Mattioli in un primo momento avevano sperimentalmente
applicato in vista della stesura del contributo approntato per il Nono
Seminario Internazionale di Geografia Medica, tenuto a Roma nel dicembre del
2007, e poi scartato una volta constatata la scarsa affidabilità dei risultati
ottenuti per questa via rispetto ad un’analisi dei dati condotta più
tradizionalmente su basi induttive; cfr. Carancini & Mattioli 2009). Infatti,
è del tutto evidente che la posizione originaria del corpo di Ötzi e degli
oggetti di accompagno abbia subito notevoli mutamenti nel tempo, anche per
galleggiamento a seguito dei ripetuti periodi di scongelamento dell’area. Tali
spostamenti sono, tuttavia, difficilmente ricostruibili anche in ambiente GIS o
con computi topografici statistici poiché la documentazione ufficiale, mai
completa e sparsa in più pubblicazioni, e per lo più diluita in un ampio lasso
di tempo, manca proprio di precisi riferimenti topografici, soprattutto per
quanto riguarda le quote di rinvenimento degli oggetti. Quanto alla presenza
dei pollini sul luogo del rinvenimento della mummia, ancora una volta si
possono condividere i rilievi sollevati nei confronti di Vanzetti e Co. dalla
commissione di Bolzano, che giustamente ha posto in evidenza, attraverso il
comunicato già citato, emesso all’indomani dell’uscita del lavoro di Vanzetti
su Antiquity, come - citiamo alla lettera - “l’analisi di pollini su
ghiaccio disciolto non può essere utilizzata come prova di una inumazione
autunnale. Infatti, se, come ammesso anche dagli autori [Vanzetti et Al.
2010], l’area del ritrovamento ha subito un disgelo, i pollini non si
trovano più nella stratificazione originaria, ma sono mischiati con il
contenuto pollinico di strati più recenti”. Di conseguenza è da ritenere,
anche da parte di chi sostiene l’ipotesi della deposizione funebre - come
l’autore del presente contributo, ed insieme a Tommaso Mattioli, quale coautore
in altri due interventi -, che non ci sia stato alcun differimento del
seppellimento in autunno rispetto alla data del decesso individuata alla fine
della primavera o agli esordi dell’estate. Restano tuttavia alcuni problemi
aperti, che sono lungi dal poter essere chiariti nonostante gli abbondanti dati
attualmente a disposizione. Tra i principali quesiti, primo tra tutti è quello
che riguarda le modalità di mummificazione di Ötzi: la commissione ufficiale di
Bolzano non ha finora ancora dato una spiegazione veramente convincente circa
le modalità di mummificazione ad alta quota di Ötzi, trincerandosi, in definitiva,
dietro la formula di una “mummificazione unica al mondo dell’Uomo venuto dal
ghiaccio”: in realtà il corpo mummificato di Ötzi reca scarsissime tracce
di adipocerificazione, fenomeno che al contrario caratterizza
inequivocabilmente e vistosamente i processi di mummificazione in ambiente
freddo come quello in alta quota. Quindi c’è da chiedersi se l’uomo del
Similaun - una volta accettata l’ipotesi della sua pertinenza ad una deposizione
funeraria - non sia stato sottoposto immediatamente dopo il decesso (che è da
ritenere, come si è cercato di chiarire, essere avvenuto molto verosimilmente a
bassa quota) ad una qualche pratica di trattamento del cadavere con il fuoco al
fine di: 1) ottenerne una rapida disidratazione per ritardare il processo di
disfacimento delle sue parti molli; 2) riuscire nel contempo a neutralizzare l’azione
dei parassiti (come ben documentato dalle analisi effettuate sul corpo, e
ribadito anche da ultimo dalla commissione di studio di Bolzano, che in
proposito precisa come sulla mummia manchi qualsiasi traccia d’infestazione di
insetti!); pratica, quella della mummificazione artificiale mediante
affumicatura, che - riservata verosimilmente soltanto a taluni personaggi
eminenti – avrebbe portato a far assumere al cadavere l’aspetto evocato non solo
dalla mummia del Similaun, ma anche dalle contemporanee immagini delle statue-stele
- di cui si è parlato nella prima parte del presente lavoro - nelle quali
appunto vengono rappresentate, spesso con dovizia di dettagli, parti anatomiche
molli, più immediatamente deperibili,
accanto a quelle dello scheletro, ovviamente
persistenti più a lungo: assai eloquente a questo proposito, tra le statue-stele
nord-pontiche, sembra essere quella più volte già citata di Kernosovka (Fig.
3.A1), su cui sono stati riscontrati anche motivi “alberiformi”, probabilmente
- come si è più sopra fatto osservare - tatuaggi eseguiti sulla sottile membrana
di pelle in corrispondenza delle scapole (è da notare che anche su altre parti
dell’epidermide di Ötzi è stata rilevata la presenza di tatuaggi!). La
successiva permanenza plurimillenaria della mummia in alta quota, tra i ghiacci,
avrebbe garantito la conservazione della quantità necessaria di umidità
corporea presente ancora nei tessuti fino ai giorni nostri: per altro, la
collocazione attuale della mummia in una cella frigorifera non ha impedito
finora il fenomeno di una lenta ma inarrestabile progressiva perdita di umidità
da parte del cadavere - con conseguente calo del suo peso corporeo rispetto a
quello registrato poco dopo il suo recupero sul Tisenjoch: perdita d’umidità, solo
recentissimamente rallentata grazie all’adozione di una sorta di “glassatura”
superficiale cui è stata sottoposta la mummia per aumentare in qualche modo
l’impermeabilità dell’epidermide alle attuali condizioni ambientali
artificiali, e ritardare il pur inevitabile processo di dispersione dell’umidità
residua (Fernicola 2003). L’altro problema di non poco momento è rappresentato dalla
contraddittorietà e dalla difformità dei dati relativi alle datazioni assolute
al C14 riferite ai diversi materiali organici rinvenuti nel contesto del
Similaun, con datazioni talora recenziori rispetto a quella della mummia. In
particolare il manico in legno di tasso dell’ascia metallica presenta due
datazioni difformi, una sola delle quali coincide con quella della mummia,
fissata intorno allo scorcio del quarto millennio (e, a questo proposito, non
sono state mai ben chiarite le esatte modalità di prelievo dei campioni sul
corpo di Ötzi); l’altra datazione risale al 2990-2920 a. C. (Kutschera et
Al. 2000), che risulta quindi comunque successiva all’inquadramento cronologico
ufficiale della mummia. Questa data (insieme alla nozione circa la longevità e
l’estrema lentezza nel tempo della crescita del tasso) incoraggia a ribadire quanto
da sempre sostenuto dall’autore del presente contributo, e, cioè, il carattere
recenziore su basi tipologiche dell’ascia rispetto al tradizionale
inquadramento della mummia (datazione recenziore dell’ascia già sottolineata a
suo tempo in Aspes & Fasani 1993): infatti, contro i maldestri confronti
tipologici dell’ascia addotti da alcuni autori (vedi da ultimo Leuzinger 2007:
151, abb. 178.6), evidentemente suggestionati dall’alta datazione in termini assoluti
della mummia, con esemplari di asce del quarto millennio, caratterizzati - in
veduta laterale - da un profilo ellittico con massima ampiezza spostata
tendenzialmente verso il taglio e da un tallone erto (Fig. 3.B1), l’esemplare del
Similaun (Fig. 3.B2) (Carancini 1993: fig. 9.1) va, al contrario, certamente
ricondotto a fogge di asce a margini lievemente rialzati dell’Italia
settentrionale riconducibili ad un periodo a cavallo tra la fine
dell’Eneolitico e gli inizi del Bronzo antico (2450-2350 a. C.) (Fig. 3.B3-6) (Carancini
1993: fig. 9.2-3); l’ascia dal Breciano, pur incompleta, rappresentata alla
Fig. 3, B 3, appare, nella parte residua, perfettamente sovrapponibile a quella
del Similaun in entrambe le vedute, frontale e laterale (vedi alla Fig. 3.B4):
una perfetta sovrapponibilità, dovuta al fatto che l’antico metallurgo era in
grado di riprodurre, mediante battitura di un getto di fusione ottenuto da un forma
aperta (o univalve), più esemplari di asce replicanti “calligraficamente” lo
stesso modello; nel nostro caso si tratta di fogge di asce, la cui
caratteristica principale è rappresentata dall’inconfondibile quasi perfetta simmetricità
- sempre in veduta laterale - del profilo ellittico, con punto di massima
ampiezza pressoché equidistante rispetto alle estremità del taglio e del
tallone (quest’ultimo, non più erto, come nella maggioranza delle fogge eneolitiche
più antiche di ambito settentrionale, ma, al contrario, fortemente rastremato -
caratteristica, quest’ultima, presente, per altro, in ambito peninsulare, già
nella maggior parte delle fogge di asce di rame più antiche: cfr. Carancini
2006b; Carancini-Peroni 1999).
FIGURE:
Fig. 1 - A.1-3: statue-stele di Pontevecchio,
Lunigiana; 4: retro della statua-stele Arco II; 5: statua-stele di
Saint-Sernin-sur-Rance, Aveyron; 6: statua-menhir di Puech-Réal presso
Saint-Saly-de-Carcavès; 7: stele di Montaion presso Sanhilac-et-Sagries, Gard;
8.9: stele yemenite di guerrieri dall’uadi Muhammadiyn; 10: masso Ossimo 4; 11:
masso Cemmo 4; 12: statua-menhir Pousthomy I, Aveyron; 13: masso Ossimo 7; 14:
Stele Cemmo 3; 15: Stele Osimo 9. - B. Animali selvatici (1-4.6-14) e domestici
(5.15-19) rappresentati sui massi incisi e sulle stele: 1.4.9, cervo; 2,
stambecco; 3, camoscio; 5, cane; 6.7, lupo (?); 8, volpe (?); 10.11.13.14,
cinghiale; 12, bisonte (?); 15-19, bue domestico. - C.1-6: spilloni in bronzo
dell’Antica età del bronzo; 7-9: pugnali con estremità superiore
dell’impugnatura lunata o ad U rovesciata (7, Alaca Hüyük; 8, Dahsur; 9, Ur);
10: il motivo dei calzari nel contesto funerario egizio di Herakleopolis;
11-14: il motivo del rettangolo frangiato nell’iconografia del terzo millennio
a. C. (11, vaso da Ninive; 12, masso Ossimo 8; 13, masso Borno 1; 14, masso
Ossimo 4). (A1-3, da de Marinis 1995; A4, da Pedrotti 1995; A5.6.7.12, da
D’Anna et al.1995; A8.9, da Bargagli et al. 2000;
A10.11.13-15.B19, da Casini 1994a; B1-14, da Fossati 1994a; B15-18, da Fossati
1994b; C1-3. 7-9, da Müller-Karpe 1980; C5, da Petitti 2000; C6, da Carancini 1975;
C 10, da Müller-Karpe 1974; C11-14, da Casini 1994b). Fig. 1 - A.1-3:
statue-menhir from Pontevecchio, Lunigiana; 4: back of Arco II statue-menhir;
5: statue-menhir from Saint-Sernin-sur- Rance, Aveyron; 6: statue-menhir from
Puech-Réal, Saint-Saly-de-Carcavès; 7: statue-menhir from Montaion,
Sanhilac-et-Sagries, Gard; 8.9: Yemenite statue-menhir from uadi Muhammadiyn;
10: engraved stone from Ossimo 4; 11: engraved stone from Cemmo 4; 12: statue
menhir from Pousthomy I, Aveyron; 13: engraved stone from Ossimo 7; 14:
statue-menhir from Cemmo 3; 15: statue-menhir from Ossimo 9. - B. wild animals
(1-4.6-14) and domestic animals (5.15-19) from engraved stone and
statue-menhir: 1.4.9, deer; 2, ibex; 3, chamois; 5, dog; 6.7, wolf (?); 8, fox
(?); 10.11.13.14, boar; 12, bison (?); 15-19, domestic ox. - C.1-6: Ancient
Bronze age bronze probe; 7-9: daggers with crescent handle or inverted U (7,
Alaca Hüyük; 8, Dahsur; 9, Ur); 10: boots from Egyptian funerary context of
Herakleopolis; 11-14: fringed rectangle in the iconography of the third
millennium B.C. (11, jar from Ninive; 12, engraved stone from Ossimo 8; 13,
engraved stone from Borno 1; 14, engraved stone from Ossimo 4). (A1-3, from de
Marinis 1995; A.4, from Pedrotti 1995; A5.6.7.12, from D’Anna et al.1995; A8.9,
from Bargagli et al. 2000; A10.11.13-15; B19, from Casini 1994a; B1-14, from
Fossati 1994a; B15-18, from Fossati 1994b; C1-3.7-9, from Müller-Karpe 1980;
C5, from Petitti 2000; C6, from Carancini 1975; C10, from Müller-Karpe 1974;
C11-14, from Casini 1994b).
Fig. 2 - Scene di caccia in contesti funebri egizi del
terzo millennio a. C.: 1, Abusir; 2.3, Meir; 4, Beni Hasan (Da Müller-Karpe 1974).
Fig. 2 - Hunting scenes in Egyptian funerary contexts
of the III millennium B.C.: 1, Abusir; 2.3, Meir; 4, Beni Hasan (Da
Müller-Karpe 1974).
Fig. 3 - A.1: statua-stele di Kernosovka, Ucraina; 2:
anatomia del corpo umano; 3: statua stante mesopotamica del Protodinastico I
finale (Esnunak); 4: statua-stele di Nataljevka, Ucraina; 5-8.10:
documentazione relativa alla mummia del Similaun (5.6, ricostruzione
dell’abbigliamento della mummia; 7, particolare dell’orecchio sinistro
accartocciato; 8, vista frontale della mummia; 10, pianta del luogo di
deposizione della mummia e del corredo); 9: la stele di Laces con il
particolare ingrandito della figura dell’arciere alle spalle di un individuo inerme
(?). - B: asce metalliche, del quarto millennio (1, Fyn Breitenloo), e della
seconda metà del terzo millennio a. C. (2, Similaun; 3, Bresciano; 4, asce del
Similaun e del Bresciano sovrapposte; 5, Remedello sotto, tb. 4; 6, ripostiglio
di Remedello). (A1.4, da Mezzena 1998a; A2, da Caldani & Caldani 1801; A3,
da Marchetti 2006; A5-8, da Fleckinger; A9, da Pedrotti 1993; A10. B2, da
Spindler et al.; B1, da Leuzinger; B3-6, da Carancini 1993).
Fig. 3 - A.1: statue-menhir from Kernosovka, Ucraina;
2: human anatomy; 3: Mesopotamian standing statue of the end of proto-dynastic
I (Esnunak); 4: Statue-menhir from Nataljevka, Ucraina; 5-8.10: documentation
of the Iceman mummy (5.6, clothing reconstruction of the mummy; 7, particular
of the crumpled left ear; 8, front-view of the mummy; 10, site plan and funeral
objects of the mummy; 9: Statuemenhir from Laces with the enlarged detail of
the figure of the archer behind an unarmed person (?). - B: metal axes of IV
millennium B.C. (1, Fyn Breitenloo) and second half of III millennium B.C. (2,
Similaun; 3, Bresciano; 4, Similaun and from Bresciano; 5, Remedello sotto, tb.
4; 6, Remedello). (A 1.4, from Mezzena 1998a; A2, from Caldani & Caldani
1801; A3, from Marchetti 2006; A5-8, from Fleckinger; A9, from Pedrotti 1993; A10.B2,
from Spindler et al.; B1, from Leuzinger; B3-6, from Carancini 1993).
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