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venerdì 25 aprile 2014

Le navi di bronzo: dai Santuari nuragici ai tumuli etruschi.


Navi di bronzo
di Valerio Giovannini

In Toscana, nell'ambito dell'XI edizione de "Le Notti dell’Archeologia”, che quest'anno ha come tema "Le acque degli Antichi", il museo civico archeologico "Isidoro Falchi" di Vetulonia ha presentato la mostra “Navi di bronzo. Dai Santuari nuragici ai Tumuli etruschi di Vetulonia".
Il tema delle acque (risorsa idrica, spazio e strumento di dialogo commerciale e culturale) è lo sfondo ideale per un'esposizione che si incentra sui contatti fra civiltà ed etnie differenti e sugli scambi intrapresi fra l’etrusca Vetulonia e la Sardegna sin dall’Età del Bronzo.
La mostra indaga in particolare la complessa trama di rapporti fra la fascia costiera peninsulare toscana e la terra dei Sardi per evidenziare e chiarire il ruolo della componente nuragica e il peso della marineria vetuloniese nella distribuzione di oggetti importati e prodotti nei primi secoli dell’Età del Ferro.
Fulcro tematico e perno scenografico dell’esposizione sono le barchette bronzee. "Reperti che - spiega la direttrice del Museo di Vetulonia, Simona Rafanelli - possono a tutti gli effetti essere considerate la prima evidenza che collega la Sardegna nuragica al mare e Vetulonia alla Sardegna e al mare e che rappresentando idealmente una serie di ideogrammi che raccontano la storia incrociata dei due popoli del Mediterraneo”.
Chiave di lettura dell'esposizione sono le categorie ideali del mare, dell’acqua e del vino. A questo alludono infatti le navicelle (tradizionalmente interpretate quali lucerne o brucia profumi, che riproducono imbarcazioni ornate da protomi zoomorfe) e le fiaschette di tipo cipriota (riprodotte in miniatura negli omonimi pendagli bronzei) e le brocchette a collo obliquo e ventre arrotondato (che contenevano la preziosa bevanda, vero e proprio status symbol delle aristocrazie etrusche). C'è poi la classe delle armi e oggetti dell'ornamento personale rappresentati, nella forma simbolica di amuleto, da “faretrine” e bottoni nuragici. Reperti che si intrecciano e convivono all’interno di un itinerario che, per quanto riguarda la distribuzione dei materiali, esula volontariamente da una netta distinzione fra isola e continente.
Il percorso espositivo si ispira al tema più generale dell’eterno flusso e riflusso delle onde del mare, snodandosi attraverso un intricato sistema di realtà e simbolo, di allusioni e rimandi, di importazioni e riproduzioni e guidando il visitatore alla conoscenza di quegli oggetti che rappresentano il lascito materiale di una stretta relazione fra comunità etrusche ed isolane che risale a un’epoca remota e che coniuga gli estremi di un rapporto capace di promuovere dinamiche di sviluppo, crescita e integrazione culturale.
Per sottolineare la particolare dialettica instauratasi fra le città dell’Etruria settentrionale costiera e le principali isole del Tirreno. Al termine del circuito di visita, una sezione specifica è riservata all'unica città etrusca sorta sul mare: Populonia. Su questo tema, in ottobre, è previsto il Convegno di Studi Etruschi e Italici incentrato sui rapporti fra la città sul Golfo di Baratti e la Corsica.
Chiude la mostra il forte segno iconico del Tridente della tomba a Circolo di Vetulonia, per rappresentare una sorta di “passaggio di testimone” del dominio sul mare dalla Sardegna nuragica dell’Età del Bronzo alle città etrusche della costa tirrenica, prima fra tutte Vetulonia.

Le navicelle nuragiche

Le ‘barchette’ o ‘navicelle’ sono un prodotto caratteristico della civiltà nuragica e costituiscono un eccezionale documento che ci parla di un vasto mondo di conoscenze: carpenteria navale, rotte, commerci, organizzazione sociale ed economica senza dimenticare la loro valenza quale segno di prestigio e potere che solo può spiegare la conservazione in luoghi ed epoche anche molto lontane, rispetto a quella della fabbricazione.
Questi reperti si ritrovano frequentemente nella penisola in corredi funebri (soprattutto a Vetulonia) e in ripostigli dell’Etruria tirrenica ma anche oltre, nella Campania villanoviana ed in Calabria.
Ognuna di queste navicelle non solo è un’opera di raffinato artigianato artistico e un oggetto prezioso e sacro, ma è anche un racconto e un messaggio che segue schemi e stilemi ricorrenti e dunque perfettamente comprensibili ai contemporanei quanto lo sono per noi sigle e stemmi.
Oggetto di dono tra capi o tra individui eminenti, le navicelle sono simbolo degli scambi commerciali e dei rapporti personali. Ma c’è di più. Esse potrebbero essere il segno dell’acquisizione di costumi esotici, di rituali stranieri da parte delle elites villanoviane per via del prestigio che esse dovevano presentare ai loro occhi. E' questo il caso delle fiaschette, ove testimoniano il costume di assumere bevande di tipo alcolico.
Oggetti caricati di valore simbolico e sacrale che in Sardegna sono presenti esclusivamente in contesti santuariali (pozzi sacri e templi), le navicelle bronzee, in Etruria, provengono da corredi tombali. A testimoniare ancora una volta come le forme di tesaurizzazione fino alla piena età Orientalizzante (VII a.C.) fossero esclusivamente di tipo privatistico.
Sulla base dei dati archeologici e metallurgici e dello studio delle costruzioni navali antiche, la produzione delle barchette nuragiche si colloca all’apogeo della Civiltà Nuragica, nella piena padronanza delle risorse interne ed esterne che hanno determinato la presenza riconosciuta e ‘qualificata’ della Sardegna sulle rotte commerciali del Mediterraneo.
Così come i modellini di nuraghe (frequentissimi in pietra e in bronzo ed in dimensioni da scultoree a miniaturistiche) rappresentano sia il monumento che la comunità che lo aveva prodotto, anche i modellini di nave simboleggiano sia la nave che il gruppo sociale che nei commerci, nella marineria e molto probabilmente anche nella pirateria, traeva il sostentamento per sé e per coloro che restavano a terra.
Il richiamo a terra, costante in Ulisse e nei suoi compagni, che in tutte le traversìe mantenevano il senso della loro identità e la tensione continua al “ritorno”, appare raffigurato, nelle navicelle, dal giogo di buoi, volto sempre verso la poppa come nelle barchette da Meana e dalla Tomba del Duce di Vetulonia, dalla protome bovina a prua, spesso riconoscibile dalle sferette sulla punta delle corna, come in una delle barchette dalla Tomba delle Tre Navicelle, dalle colonnine che rappresentano modellini di nuraghe come nell’‘albero’ di navicella da Furtei, dagli animali terrestri, come le volpi o i cani sulla barchetta da Meana, talvolta composti in scenette di caccia, come i due cani con il cinghiale sulla navicella dalla Tomba del Duce di Vetulonia.
Prezioso documento della signoria nuragica dell’età del bronzo finale (al tempo stesso metallurgica, navale e commerciale) non stupisce infine che in questi oggetti permanesse una forte valenza simbolica anche in epoca avanzata ed in ambito tirrenico, cosa che spiega la lunga tesaurizzazione di questi manufatti anche presso i discendenti (a Vetulonia, che del mondo nuragico ha raccolto le più vive ed importanti tradizioni, finivano come arredo di tombe principesce oppure divenivano offerta sacra in santuari portuali come Gravisca, Capo Colonna, Porto di Ostia).
“D’altra parte – conclude Simona Rafanelli – come si è già osservato, se i primi imperatori romani hanno voluto far risalire ad Enea e a Venere la propria stirpe, perché mai i principi vetuloniesi potevano esitare a richiamare fra i propri avi i mitici guerrieri, navigatori e pirati del Popolo delle Torri?”.

6 commenti:

  1. Ho letto con grande interesse l'articolo di cui sopra ma non mi è chiara una cosa...che vuol dire -: " cambio di testimone del dominio sui mari dalla Sardegna nuragica dell'età del bronzo alle città Etrusche della costa tirrenica prima fra tutte Vetulonia " :-?....forse che i sardi dell'età del ferro non navigavano più e non sono mai stati in Etruria ? Spero che mi risponda...

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  2. Semplicemente che fino al Primo Ferro i sardi avevano un ruolo importante anche nel Tirreno, e successivamente dovettero spartire la torta con le altre potenze emergenti, etruschi in primis.

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  3. I sardi continuarono comunque a navigare anche nell'età del ferro quindi ?...vero professore, addirrittura come equipaggi misti all'interno di imbarcazioni Fenicie...vero prof. ? scusi per il disturbo.

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  4. I sardi navigano anche in tempi romani, creando non pochi problemi a Roma con le loro incursioni piratesche in qualità di ribelli al controllo di Roma. Strabone, durante il periodo augusteo, lamenta che i sardi non si accontentano di essere ostili al senato ma compiono razzie marittime saccheggiando i territori della penisola, preferendo quelli pisani. C'è da dire che i romani, intelligentemente, si avvalgono delle flotte e dei porti sardi lungo tutta l'età imperiale e possiamo dire che la zona occidentale marittima era controllata dai romani attraverso i sardi. L'imperatore valutò l'entità del pericolo e non cedette al senato l'imperium sull'isola, preferendo controllarla personalmente. Abbiamo molte testimonianze letterarie che citano i marinai sardi, e il numero di iscrizioni Nel I secolo dopo Cristo, i romani reclutavano i marinai nell'isola, e assegnarono importanti compiti di controllo del territorio anche ai sardi. Nerone restituì la Sardegna al controllo del Senato quando si accorse che i sardi potevano collaborare positvamente con le sue idee di conquista. Documenti romani del II secolo dopo Cristo riferiscono di soldati sardi inquadrati nelle legioni pretorie con gradi molto elevati. La grande flotta romana era la Misenate (stanziata a Capo Miseno, presso Napoli) con basi in Gallia, Spagna, Baleari, Mauretania, Egitto e, naturalmente, in Sardegna nei porti di Olbia. Sant'Antioco e Cagliari. Lo statunitense Starr osserva che la Sardegna fu la provincia d'occidente che fornì il più alto nhjumero di classiari alla flotta di Miseno, veramente non poco per un popolo che alcuni si ostinano a credere privo di esperienze marinare, a meno che non paia credibile l'ipotesi che i romani volessero autodistruggere la flotta dandola in mano a equipaggi incompetenti. Ettore Pais ricorda che i ritrovamenti epigrafici dedicati ai classiari sardi sono pari in termini quantitativi a quelli che ricordano classiari di tutte le altre regioni mediterranee messe insieme. Solo la Siria, prosegue il Pais, vantava contingenti paragonabili a quelli sardi.

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  5. Anch'io istintivamente, nelle navicelle votive, ci ho sempre visto un ritorno...ho letto da alcune parti del loro significato simbolico riferito all'aldilà, al viaggio inteso come trasmigrazione dell'anima....nella mia ignoranza invece le associo al mondo dei vivi...alle persone che partivano verso lunghi viaggi alle quali veniva accesa una fiammella dai propri cari...del resto a Monti Prama, da quello che so, non c'è traccia di monumentalizzazione delle navicelle....chiedo cortesemente cosa ne pensa o se è possibile approfondire l'argomento indirizzandomi su qualche testo...grazie (Alberto Podda)

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  6. Puoi scaricare gratuitamente la mia tesi di laurea. E' datata 2007, ma rimane una buona indagine sul tema. Si intitola, appunto, "Le Navicelle Bronzee Nuragiche". Il link è http://www.unilibro.it/find_buy/dettaglio_ebook.asp?id=49

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