lunedì 21 aprile 2014
La Pasqua
La Pasqua.
Gli ebrei celebrano con questa festa la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Il nome viene dal verbo pāsaḥ, ossia passare oltre, a commemorazione del “passare oltre” del Dio d’Israele, che nella notte dell’uccisione dei primogeniti egiziani risparmiò quelli ebrei. I cristiani con la Pasqua commemorano, invece, la risurrezione di Cristo, massima solennità dell’anno liturgico.
L’istituzione della Pasqua ebraica è basata sulla narrazione biblica della liberazione degli Ebrei dall’Egitto (Esodo, 12). Il faraone impediva agli Ebrei di lasciare la terra d’Egitto, nonostante le prime 9 piaghe che Mosè fece scatenare sugli egiziani. Per ordine di Dio, Mosè dispose la 10° piaga: nel pomeriggio del 14 del mese di abīb ogni famiglia ebrea avrebbe dovuto immolare un agnello e spalmare il suo sangue negli stipiti e l’architrave della porta di casa. Ordinò, inoltre, che le carni fossero arrostite e mangiate, insieme con pane non fermentato (azimo) ed erbe amare. Quella notte, Dio passò dinanzi alle case egiziane e uccise tutti i primogeniti, risparmiando quelli israeliti, le cui abitazioni erano riconoscibili dal sangue sugli stipiti. Vinto da quest’ultima prova, il faraone acconsentì all’esodo degli ebrei.
La Pasqua cristiana è la più antica e la più solenne delle feste cristiane. Cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera secondo il computo di Dionigi il Piccolo (525 d.C.), che si basa su quello alessandrino (più antico), fra il 22 marzo e il 25 aprile. È quindi una festa mobile, che regola parte dell’anno liturgico (l’inizio della Quaresima e alcune solennità successive come l’Ascensione e la Pentecoste).
La Chiesa intese continuare la solennità giudaica, ma incise un suo significato proprio. Specialmente in Oriente, una errata etimologia della parola (sofferenza) accentuò il ricordo della passione e della morte (ancora oggi i Greci chiamano il venerdì santo Pasqua della Crocifissione). L’interpretazione paolina, che contrappose la festa cristiana a quella ebraica, nel 3° secolo d.C. originò una questione fra l’Oriente, che intendeva mantenere la data ebraica (14 nisān, qualunque fosse il giorno della settimana), e l’Occidente, ove il giorno si faceva cadere sempre di domenica. Nel Concilio di Nicea (325) si decise di celebrarla nella domenica che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera (21 marzo). La controversia tra cristiani celti e romani circa la data si concluse in favore dell’uso romano nel sinodo di Whitby (664).
Alla sera del sabato santo, durante la veglia o vigilia notturna, gradatamente si passa dal lutto alla gioia della risurrezione, rievocata da letture, canti e preghiere, con la messa solenne all’alba della domenica, che intende celebrare con la massima solennità la risurrezione di Cristo, culmine della sua opera di redenzione.
Gli ebrei celebrano con questa festa la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Il nome viene dal verbo pāsaḥ, ossia passare oltre, a commemorazione del “passare oltre” del Dio d’Israele, che nella notte dell’uccisione dei primogeniti egiziani risparmiò quelli ebrei. I cristiani con la Pasqua commemorano, invece, la risurrezione di Cristo, massima solennità dell’anno liturgico.
L’istituzione della Pasqua ebraica è basata sulla narrazione biblica della liberazione degli Ebrei dall’Egitto (Esodo, 12). Il faraone impediva agli Ebrei di lasciare la terra d’Egitto, nonostante le prime 9 piaghe che Mosè fece scatenare sugli egiziani. Per ordine di Dio, Mosè dispose la 10° piaga: nel pomeriggio del 14 del mese di abīb ogni famiglia ebrea avrebbe dovuto immolare un agnello e spalmare il suo sangue negli stipiti e l’architrave della porta di casa. Ordinò, inoltre, che le carni fossero arrostite e mangiate, insieme con pane non fermentato (azimo) ed erbe amare. Quella notte, Dio passò dinanzi alle case egiziane e uccise tutti i primogeniti, risparmiando quelli israeliti, le cui abitazioni erano riconoscibili dal sangue sugli stipiti. Vinto da quest’ultima prova, il faraone acconsentì all’esodo degli ebrei.
La Pasqua cristiana è la più antica e la più solenne delle feste cristiane. Cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera secondo il computo di Dionigi il Piccolo (525 d.C.), che si basa su quello alessandrino (più antico), fra il 22 marzo e il 25 aprile. È quindi una festa mobile, che regola parte dell’anno liturgico (l’inizio della Quaresima e alcune solennità successive come l’Ascensione e la Pentecoste).
La Chiesa intese continuare la solennità giudaica, ma incise un suo significato proprio. Specialmente in Oriente, una errata etimologia della parola (sofferenza) accentuò il ricordo della passione e della morte (ancora oggi i Greci chiamano il venerdì santo Pasqua della Crocifissione). L’interpretazione paolina, che contrappose la festa cristiana a quella ebraica, nel 3° secolo d.C. originò una questione fra l’Oriente, che intendeva mantenere la data ebraica (14 nisān, qualunque fosse il giorno della settimana), e l’Occidente, ove il giorno si faceva cadere sempre di domenica. Nel Concilio di Nicea (325) si decise di celebrarla nella domenica che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera (21 marzo). La controversia tra cristiani celti e romani circa la data si concluse in favore dell’uso romano nel sinodo di Whitby (664).
Alla sera del sabato santo, durante la veglia o vigilia notturna, gradatamente si passa dal lutto alla gioia della risurrezione, rievocata da letture, canti e preghiere, con la messa solenne all’alba della domenica, che intende celebrare con la massima solennità la risurrezione di Cristo, culmine della sua opera di redenzione.
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