sabato 18 febbraio 2012
"Sistema Onnis" per la determinazione dei clan nuragici. - Altre immagini
In riferimento all'articolo del 9 Febbraio 2012 , e dell'aggiornamento dell'11 Febbraio 2012 (nel quale Marcello Onnis arricchisce la descrizione con un commento a piè dell'articolo), relativi all'esposizione di un nuovo metodo per l'osservazione della disposizione dei nuraghi, ho pensato di aggiungere qualche immagine per stimolare la curiosità dei lettori.
Calasetta
Narcao
Sant'Antioco Sud
...e due immagini intriganti della zona del Nuraghe Santu Antine...ma sarebbe meglio chiamare la zona CAGULES, perché è questo il fulcro del territorio. Il meraviglioso Santu Antine è certamente successivo di qualche secolo.
Calasetta
Narcao
Sant'Antioco Sud
...e due immagini intriganti della zona del Nuraghe Santu Antine...ma sarebbe meglio chiamare la zona CAGULES, perché è questo il fulcro del territorio. Il meraviglioso Santu Antine è certamente successivo di qualche secolo.
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Buonasera, osservo con estremo interesse gli studi del Sig. Onnis che tentano di gettare nuova luce sulla distribuzione territoriale dei nuraghi. Credo, infatti, che tale argomento sia ben lungi dall'essere risolto attraverso le teorie fino ad oggi proposte, se non altro per una errata impostazione della ricerca che non ha mai seriamente preso in considerazione il rapporto tra il monumento nuraghe e l'esistenza, la dislocazione e il numero dei villaggi nuragici in rapporto con le cosiddette "fortezze" nuragiche. Si pensi che in alcuni comprensori isolani, quali i territori di Dorgali ed Oliena, indagati da autorevoli archeologi, hanno dimostrato come il 70% dei villaggi censiti non sono in correlazione con dei nuraghi, mentre negli stessi comprensori un gran numero di nuraghi è svincolato dalla presenza del villaggio di pertinenza. Alla luce di questi dati come spiegare la funzione difensiva di questi monumenti?
RispondiEliminaPer quanto attiene la valle dei nuraghi di Torralba citata in questo blog, nel mio lavoro di imminente pubblicazione (Condaghes editrice), ho dedicato una consistente parte all'ipotesi, corroborata non solo da analogie sulla disposizione dei nuraghi, ma anche sulla base di scavi archeologici, di come il nuraghe Santu Antine sia il fulcro della trasposizione sul territorio dell'ammasso delle Pleiadi, con delle corrispondenze che per alcuni aspetti coinvolgono anche sistemi di nuraghi limitrofi ai sette che compongono l'ammasso appena citato.
Pertanto mi intriga la definizione usata dall' Onnis quando parla di determinazione dei clan nuragici come una società in equilibrio "cosmico".
E' chiaro che non tutti i nuraghi vennero edificati per ridisegnare sul territorio degli ammassi stellari o delle costellazioni, ma è altrettanto chiaro che i nuraghi non occupano sempre e comunque delle posizioni strategiche ai fini difensivi di un determinato territorio, ne tanto meno rispondono a criteri di sfruttamento delle risorse naturali offerte dai comprensori da essi occupati. Essi, infatti, non possono essere inquadrati all'interno di precisi modelli matematici quali i poligoni di Tiessen o dai bacini di approvvigionamento. Quale era dunque il criterio adottato dai nuragici nella distribuzione territoriale dei nuraghi?
Credo che ogni contributo, ogni ipotesi, sottoposta al vaglio degli specialisti, quando essi lo riterranno opportuno, possa contribuire a risolvere il mistero che ancora circonda la funzione, la dislocazione e l'evoluzione di questo enigmatico monumento.
Attribuire una funzione univoca ai nuraghi è totalmente errato. Ormai da anni escludo la possibilità che fossero tutti templi o tutte fortezze, e già nel mio libro del 2007 proposi una visione dei nuragici molto più aperta. Il Bronzo, nel mondo Mediterraneo e non solo, fu caratterizzato da imperi che edificavano palazzi e racchiudevano in questi la possibilità di celebrare riti cerimoniali, incontri tra sovrani, funzioni civili e altro. Erano il centro del potrere religioso, del potere politico e i luoghi deputati alla redistribuzione delle risorse, tesaurizzate in precedenza attraverso i tributi riscossi nelle varie comunità. In Sardegna la situazione non poteva essere dissimile, anche perché i contatti con il mondo egeo e quello del Vicino Oriente sono talmente evidenti che non mi pare il caso di parlarne in questa sede. C'è, inoltre, da considerare che nel tempo la destinazione d'uso delle strutture poteva cambiare secondo le necessità del momento e torri che svolgevano particolari compiti erano riadattate con modifiche e aggiunte.
EliminaIl Sistema Onnis consente di "frugare" nei territori alla ricerca di tracce archeologiche e se la soprintendenza, o le giunte comunali dei vari paesi, saranno interessato allo studio...arriveranno buoni frutti.
Marcello Onnis scrive:
RispondiEliminaEgr. Sig. Mulas,
la mia ipotesi di lavoro, non ha la presunzione di dare risposta agli innumerevoli enigmi della cultura nuragica, tanto meno di spiegare la “ funzione difensiva di questi monumenti ”.
Essa si basa sulla mera osservazione e analisi di dati noti ricadenti in aree circoscritte, e cerca di individuare eventuali correlazioni comuni e ripetibili in analoghi habitat distribuiti in ambito regionale.
La mia è un’analisi geografica dei luoghi, considera parametri fondamentali come l’orografia, la qualità del fondo, l’idrografia e l’ipotetica rete stradale, ed evidenzia le relazioni intercorrenti tra loro. Ritengo che tali parametri siano stati determinanti nell’individuazione dei luoghi da antropizzare anche per le popolazioni Neolitiche che hanno intrapreso le prime coltivazioni cerealicole.
Nonostante siano passati circa 5000 anni, che dal punto di vista geologico corrisponde ad un battito di ciglia, i luoghi non hanno subito grosse variazioni geomorfologiche e il fatto che a tutt’oggi la maggior parte degli ovili e delle aziende agricole sussistono prevalentemente su emergenze archeologiche nuragiche e/o resti di capanne e recinti a loro coevi, dimostra che i parametri agro-pastorali considerati a suo tempo, sono ritenuti ancora validi.
Personalmente, ritengo che il pastore o l’agricoltore neolitico, che abitava in una capanna posta negli accessi delle vallate, non fosse meno combattivo di un omologo che risiedeva in un nuraghe, e che in caso di eventuali sconfinamenti da parte di terzi si sarebbe opposto con la medesima determinazione per far valere le sue ragioni. Poiché una vallata può essere accessibile da più parti, va da se che per poter difendere il territorio occorreva predisporre più “ posti di guardia “ per evitare possibili intromissioni e/o saccheggi.
Grazie a questa necessità, secondo me, è nata l’aggregazione sociale, il “ Clan “ appunto, obbligando più famiglie a partecipare unite al bene comune.
L’origine delle direttrici ottenute con il mio sistema, non sono dettate da orientamenti astronomici, ma obbligate dal controllo dei valichi naturali, generati casualmente dall’orogenesi, e questo è un dato di fatto.
Mentre l’orientamento, dal mio punto di vista, è frutto di un rituale religioso che, a fini propiziatori, doveva necessariamente contrapporsi ad una natura “capricciosa”, apparentemente “ostile e caotica”.
E’ mia opinione, e come tale è opinabile, che l’intento voluto fosse di contrapporre al “caos cosmico” uno stato di equilibrio individuabile nel “ Centro” della vallata o della Giara da antropizzare.
Partendo da un punto obbligato, veniva individuata una direttrice che passava per il suddetto centro e terminava solitamente con la parte opposta della vallata o della Giara a prescindere dall’altitudine in cui ricadeva.
In tal modo, secondo l’ipotesi, si riteneva che l’intero territorio venisse preservato da calamità e carestie.
Sinceramente, mi aspettavo più attenzione dagli Studiosi delle pintadere, sono convinto che la simbologia del “centro” presente in quasi tutte le pintadere, potesse dare luogo ad un’interessante discussione in merito.
Se poi, come sostenuto da diversi autori, la disposizione spaziale e/o la morfologia dei singoli nuraghi rispetta orientamenti astronomici, non sono in grado né di confermarlo né di smentirlo in quanto non sono addentro a tale materia, ma rispetto il loro punto di vista e aspetto di poter leggere con interesse le loro tesi.
Auspico che qualche agronomo e/o veterinario, appassionati della storia, verifichino se la superficie agricola coltivabile a cereali di una data vallata, o le aree adiacenti alla vallata destinate a pascolo, fossero compatibili al fabbisogno della ipotetica popolazione insediata ai margini della medesima, calcolata in base al numero di capanne e/o villaggi in essa censiti.
Porgo un caloroso invito a qualche matematico che, partendo dai suddetti dati, possa proporre un modello matematico che acceleri e faciliti l’individuazione degli altri Clan, all’uopo dichiaro la mia disponibilità.
Cari amici,
RispondiEliminaho letto e apprezzato il tentativo condotto da Marcello Onnis per diversi motivi. Il primo è quello di far uscire dal suo isolamento il singolo nuraghe, di farlo "parlare" con altri nuraghi vicini. Il secondo è quello di farli interagire con un territorio di cui ne sono indubbiamente parte, talora ingombrante, ma parte. Il terzo per la volontà di inserire il problema agricolo, dell'allevamento, del reperimento di risorse primarie e non nel territorio, di capire per esempio, quanto legno (carburante indispensabile) ci fosse per la vita quotidiana. Al dott. Onnis dico anche che i modelli matematici sono pericolosi perché ingabbiano situazioni che potrebbero non essere sempre uguali: la bellezza della Sardegna sta nella sua variabilità, nel fatto che ciascun distretto ha le sue caratteristiche e le sue unicità; ha la sua storia. Altro problema da affrontare, che potrebbe sia pure parzialmente inficiare la bontà delle sue analisi, sta nella contemporaneità di vita di tutti questi monumenti: ne siamo sicuri? Non vorrei che si incorresse in un fraintendimento: ovvero che si considerasse il nuraghe, o il gruppo dei nuraghi, come una cosa immobile, ferma nel tempo una volta costruita. Ci sono diversi esempi che testimoniano il contrario.
Un caro saluto,
marco rendeli
Grazie Marco per il prezioso contributo che, oltre a fornire uno stimolo all'ampliamento a 360° dell'indagine, mi da modo di precisare un dettaglio che forse non era emerso dagli articoli finora postati. La ricerca di Marcello, con il quale mantengo da tempo un intenso rapporto epistolare, non dispone di mezzi adeguati all'inquadramento cronologico. Ci siamo accorti che negli insediamenti vi sono nuraghi principali, altri secondari e altri vincolati alla morfologia del territorio. Abbiamo pensato che i più antichi sono quelli posti nelle vie di comunicazione fra valle e collina, edificati con la funzione "principale" (ma non unica) di vedetta o di, lasciami passare il termine, "dogana". Abbiamo notato, altresì, che esiste una zona di rispetto entro la quale non si dovevano costruire strutture durature in pietra. Una sorta di "Zona Sacra" riconosciuta dalla comunità e controllata a vista da tutti gli altri edifici del clan. Man mano che estendiamo l'indagine ci rendiamo conto che il principio dell'equilibrio è mantenuto dappertutto, ma la distribuzione dei nuraghi subisce qualche adattamento, dovuto soprattutto alla orografia (si nota bene dalle immagini a volo d'uccello che non abbiamo ancora pubblicato). Siamo purtroppo rallentati da tre differenti ostacoli: la soprintendenza che non risponde alle nostre sollecitazioni; la mancanza di fondi per eventuali ricerche interdisciplinari; la volontà di non offrire dati "sensibili" ai tombaroli. Stiamo procedendo con i piedi di piombo ma, a breve, saremo costretti a divulgare alcuni approfondimenti che consentono a chi legge di capire meglio i risultati ottenuti ma, allo stesso tempo, fornisce ai tombaroli uno strumento di indagine pericoloso. Stiamo sensibilizzando le amministrazioni comunali e presto alcuni siti saranno messi in sicurezza.
RispondiEliminaPreg.mo Prof. Rendeli
RispondiEliminaLa ringrazio per la Sua attenzione e per i Suoi preziosi consigli.
Tengo a precisare che non sono laureato ma un semplice dilettante che prova appunto diletto nel “leggere e studiare” la storia dei nostri Avi attraverso le loro opere megalitiche e i loro manufatti, cercando di interpretare quale “messaggio” ci hanno lasciato in eredità attraverso i loro usi e costumi.
Cordialmente.
Marcello Onnis
il sistema Onnis è senza dubbio affascinante. Personalmente mi ritengo sorpreso (passatemi il neologismo: per l'ennesima volta da quando mi occupo di nuragilogia) dalla precisione ripetuta delle disposizioni archeologiche esaminate in base ai parametri rilevati. Mi chiedevo infatti, e mi rivolgo a Pierluigi Montalbano, se a parte i compassi in bronzo rinvenuti in diversi scavi, sicuramente utilizzati dai tecnici nuragici per tracciare le perimetrie degli edifici mandalici, se altri tipi di strani strumenti non meglio identificati - che possano ricondurci al sospetto che i geometri dell'epoca utilizzassero particolari "strumenti di misura" siano mai stati rinvenuti nel contesto di scavi archeologi o nell'ambito di ritrovamenti causali fatti da comuni cittadini. Grazie
RispondiEliminaMauro Atzei
Ritengo che quando un tecnico conosce i principi della geometria, non ha alcun problema a tracciare le figure desiderate utilizzando un paletto in legno e una corda. In sostanza...sapevano tutto ciò che oggi si studia in disegno tecnico: dalla tracciatura alla sovrapposizione di figure.
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