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martedì 14 maggio 2024

Come veleggiavano le navi sarde di epoca nuragica? Una ipotesi relativa alle capacità di sfruttare il vento in modo non tradizionale da parte delle antiche popolazioni sarde. Articolo di Claudio Fantini

Come veleggiavano le navi sarde di epoca nuragica? Una ipotesi relativa alle capacità di sfruttare il vento in modo non tradizionale da parte delle antiche popolazioni sarde

Articolo di Claudio Fantini 

 


Scorrendo numerose pubblicazioni in materia di navicelle nuragiche ho avuto modo di osservare varie ipotesi circa l’attrezzatura velica di cui fossero dotate le navi, i cui modelli furono riprodotti in bronzo da esperte mani di artigiani sardi.

Molte  ipotesi e proposte di velatura sono state sviluppate in tempi moderni, alcune anche montate su imbarcazioni attuali, ma tutte le proposte a mio avviso mal si addicono agli scafi dei modellini presenti nei musei.

Anche le proposte grafiche non tengono conto degli spazi e delle superfici necessarie al dispiegamento

delle vele quadre o delle vele di taglio come ad esempio l’armo a vela latina.

 

                                                                 disegno di Claudio de Tisi

 

 


 \


                                                   Disegni di Gerolamo Exana

  

Peraltro tutti i modelli pervenuti dall’antichità, quando sufficientemente completi nelle loro attrezzature, presentano tutti un’alberatura piuttosto contenuta in altezza, rispetto alle dimensioni dello scafo, con una caratteristica forma svasata al termine dell’albero stesso. E tutte le navicelle presentano identiche sovrastrutture destinate a sostenere l’albero per esporlo meglio al vento Analoghe caratteristiche si possono osservare in quei modelli che presentano ancora sovrastrutture reticolate sulle fiancate connesse a quattro piccoli alberi svasati, posti due a prua e due a poppa delle sovrastrutture stesse.

 



Altra peculiarità delle navicelle è quella che nessuna presenta strutture di sostegno dei timoni, sia al giardinetto che sul dritto di poppa, cosa che invece è ben evidenziata nel modello bronzeo di una nave greca presente nel museo dell’acropoli di Atene ed altre immagini coeve.

 



 


La mancanza dei supporti dei timoni mi ha richiamato alla mente un passo dell’Odissea di Omero il primo e più antico portolano giunto fino a noi, che nell’ ottavo libro, ai versi 555 e 560, fa dire ad Alcinoo rivolto ad Ulisse, queste parole:

 

“E dimmi quali sono il tuo popolo, la tua terra, la tua città,                                                     

perché possano accompagnarti le nostre navi, guidate

dalla loro mente.

I Feaci non hanno nocchieri né timoni, come hanno invece le altre:

esse conoscono i pensieri e le intenzioni degli uomini,

conoscono le città e i ricchi campi di tutta la terra,                                                                 

attraversano rapide gli abissi del mare, nascoste

da nuvole e nebbia;

non hanno mai paura di essere danneggiate o distrutte”

 

A metà degli anni 70 dello scorso secolo, e questa la dice lunga sulla mia età, mi fu regalato il libro di Juan Baader intitolato “Lo sport della vela”, un manuale di tecnica di navigazione a vela, comprendente una rassegna dei principali modelli di imbarcazioni corredati delle alberature, dei piani e delle attrezzature veliche.

 

 Una tra queste, la più curiosa ed innovativa era il rotore di Flettner .

 

Il rotore Flettner è un cilindro liscio che ruota sul proprio asse, con estremità chiuse e svasate in alto per migliorare l’efficienza  aerodinamica.

L’ingegner Flettner applicò il principio aerodinamico generato dall’effetto Magnus, sfruttando la forza del vento che crea una pressione a monte e una depressione a valle del cilindro rotante, al pari di un’ala o di una vela di taglio, generando una forza aerodinamica e un conseguente moto tangenziale che si sviluppa perpendicolarmente al flusso d'aria, su tutto l'asse come meglio illustrerò più avanti. 

 

                  

Questa è la fotografia della nave su cui Flettner montò le rotovele e con questo sistema propulsivo attraversò l’atlantico negli anni 20 del secolo scorso.

 

L'effetto Magnus prende il nome dal fisico tedesco Heinrich Gustav Magnus. Descrive la forza generata dal flusso del fluido nel quale è immerso un corpo rotante, perpendicolare al flusso e su tutta la lunghezza dell'asse del corpo in rotazione. Questa forza su un cilindro rotante è detta Kutta-Žukovskij, dopo che Martin Wilhelm Kutta e Nikolaj Egorovič Žukovskij, analizzarono l'effetto. 

 

Il rotore Flettner è uno degli esempi di applicazione di tale effetto

 

 




La risultante forza F è dovuta al fatto che a valle del rotore in movimento si crea una compressione del flusso d’aria che determina una depressione che “risucchia” il rotore generando una forza dinamica che consente allo scafo di traslare lungo la rotta voluta.

Uno dei pregi del rotore consiste nel fatto che non si rende necessario orientarlo rispetto alla direzione del vento, come capita per le vele convenzionali, con pericolo di caduta in mare dei marinai, dal momento che presenta la stessa superficie da tutti i lati; la nave di Flettner può navigare in avanti e in retromarcia con la stessa facilità. Infatti fermando con un freno il cilindro e Invertendo il suo senso di rotazione si ottiene la depressione inversa, rispetto alla precedente, a valle del rotore facendo in modo che la risultante forza F si posizioni a centoottanta gradi rispetto all’andatura precedente.

E dal momento che l’area della superficie del rotore esposta al vento è molto minore di quella delle vele tradizionali e che la sua area di velatura efficace dipende dalle velocità relative del vento e del rotore, c’è minor resistenza al vento e minore pericolo di ribaltamento con tempeste e raffiche di vento. In tal modo la nave a rotore è in grado di resistere a condizioni atmosferiche peggiori e di navigare più al vento rispetto ai velieri tradizionali , senza la necessità di dover ridurre la superficie velica esposta al vento. (Leo Bartolini).

Peraltro non va trascurato l’effetto giroscopico generato dalle masse rotanti che tendono a stabilizzare la nave controllandone sia il beccheggio che il rollio, come avviene nelle moderne navi e aeromobili.

Altro pregio è quello che il rotore comincia a ruotare da solo con un vento di 4 nodi, senza bisogno di una fonte di energia sussidiaria collegata al rotore stesso.

Una caratteristica delle imbarcazioni dotate di diverse vele a cilindro rotante, due a prua e due a poppa, è quella di poter governare senza l’ausilio di timone, perche basta invertire il senso di rotazione di uno dei rotori o di prua o di poppa ottenendo una virata, una poggiata o di entrambi per una marcia indietro secondo lo schema elaborato dal Prof, Castellani e riportato sotto:

 


Nella continua ricerca di una possibile soluzione dei miei dubbi sul modo di veleggiare degli antichi marinai sardi, mi sono imbattuto in un libro dal titolo “Navicelle di bronzo della Sardegna nuragica” della prof.ssa Anna Depalmas dell’università di Sassari, nel quale la stessa ha classificato e descritto minuziosamente tutte le navicelle nuragiche conosciute e presenti nei musei e nelle collezioni private. Leggendo a pagina 96 la descrizione della navicella rinvenuta a Padria, la cosiddetta “navicella del Re Sole” , ho trovato la soluzione ai miei dubbi.

La prof.ssa Depalmas nella descrizione del bronzetto evidenzia una caratteristica unica della navicella rinvenuta integra in tutte la sue parti, e riferendosi all’alberatura così scrive:  “Sull'orlo di questo bordo sopraelevato, verticale e rettilineo, - traforato da un motivo di piccoli triangoli alternati su tre file parallele - si imposta un ponte a bastoncelli, incurvati e uniti al centro dello scafo. Nel punto d'incontro di questi elementi vi è una piccola base quadrata su cui si innesta una colonna cilindrica, cava, in grado di ruotare su se stessa grazie ad un perno interno e bloccata da un gancetto passante inserito diagonalmente attraverso due forellini.”

Praticamente viene descritto un rotore di Flettner  ante litteram applicato ad una navicella nuragica.

E un tale segreto tecnologico viene custodito gelosamente dai Feaci che, come descritto nel tredicesimo libro dell’Odissea, somministrano ad Ulisse un vino drogato che lo fa dormire per tutto il tragitto da Scheria ad Itaca.

“Quando raggiunsero la nave e il mare, subito                                                                    70               i gloriosi marinai presero tutte queste cose

e misero sulla concava nave i doni, il vino e il cibo;

sul ponte della concava nave distesero una coperta

e un telo di lino per Odisseo, perché potesse dormire

tranquillo, a poppa: lui salì sulla nave e si distese                                                     75

in silenzio; gli altri sedettero tutti in fila ai banchi,

sciolsero la fune dalla pietra forata e, piegati in avanti,

cominciarono a tagliare l’acqua con i remi.

Un sonno soave, dolcissimo e profondo scendeva

sugli occhi di lui, in tutto simile alla morte.”

     Omissis…..  

 “Questi, scesi a terra dalla solida nave, per prima cosa                                                       115

portarono giù Odisseo dalla concava nave

sollevandolo con la sua splendida coperta e il telo di lino;

poi lo deposero sulla spiaggia, sempre vinto dal sonno;

poi portarono a terra i doni dei gloriosi Feaci, poiché ora                                                      120

lui tornava in patria secondo il volere della magnanima Atena.

I Feaci misero tutti i doni ai piedi dell’ulivo,

lontano dalla strada, per timore che qualche viandante,

passando di lì prima che Odisseo si svegliasse, potesse rubarli;

poi presero la via di casa.                                                                                                          



                        Foto dell’autore della  nave di Padria. Museo archeologico di Sassari.

 

Come si può notare sulla incastellatura quadrata superiore del cilindro sono presenti, agli angoli, quattro elementi di cui uno ricurvo, gli altri sono andati perduti, che fanno pensare ad una sorta di turbina eolica.

Con tutta probabilità le appendici aeree  potrebbero aver avuto un profilo aerodinamico ruotato di qualche grado rispetto al piano della incastellatura, che esposte al vento opporrebbero resistenza aerodinamica, creando un effetto Magnus di rotazione che faciliterebbe l’avvio del rotore.

A parere dell’ing. Alessio Ciampolini una simile turbina sarebbe auto innescante con venti di  2 metri al secondo, praticamente si avvierebbe con 4 nodi di vento.( tesi di laurea a/a 2011/12).

A nave ferma, per impedire l’auto rotazione del cilindro veniva usato un perno, riprodotto nel modello in bronzo.

L’accuratezza della riproduzione dei particolari testimonia il fatto che l’artigiano abbia avuto modo di osservare la nave dal vero e da vicino. Infatti per molti autori le navicelle nuragiche riprodurrebbero navi reali in scala di 1/100.

Quindi nel nostro caso la nave reale osservata dal fonditore di bronzo, potrebbe aver  avuto queste dimensioni:

m 28,50   lunghezza totale;

m 18,20   altezza totale ;

m    6       circa altezza del rotore;

m 27,5 8  Lunghezza scafo;

m   8,60   larghezza scafo;

m   3,60  altezza scafo dalla chiglia alla falchetta;

m.  3,80  altezza della sovrastruttura reticolata;

m   0,3 - 0,4 Spessore dello scafo.

Si tratta di una grande nave che ricorda da vicino le dimensioni e gli spessori dello scafo della nave egizia rinvenuta presso la piramide di Cheope in Egitto.

La velocità critica di questa nave dislocante nuragica poteva essere di circa 13 nodi (circa 25 Km/ora)  con un dislocamento di circa 340 tonnellate di peso e di circa 500 tonnellate di stazza. Il lavoro di ricerca dell’ ing. Samuele di Sturco a proposito della velocità impressa alle imbarcazioni dal rotore di Flettner coadiuvato da una turbina Savonius, sembrerebbe confermare questa ipotesi

Modello di una barca che utilizza un rotore Savonius per far ruotare un rotore Flettner montato su di esso.

Se osserviamo da vicino alcuni modelli di navicelle nuragiche possiamo individuare  un elemento al di sotto dell’asse del rotore, ormai scomparso, che richiama alla mente la struttura del rotore savonius montato sopra il rotore principale

 

Per provare l’ipotesi presentata sarebbe interessante, con la tecnica dell’ archeologia sperimentale,  costruire un modello in scala di 1/50 o 1/10 e provare l’efficienza propulsiva e direzionale dei Rotori sulla navicella nuragica riprodotta.

 

ALLEGATO

 

In allegato riporto la descrizione della navicella fatta dalla prof.ssa Depalmas nel suo libro “Navicelle di bronzo della Sardegna nuragica” e i disegni del modello fatti a cura del sig. R.Nieddu, su gentile autorizzazione dell’autrice stessa.

 

 TIPO 19 (tipo Badde Rupida)

Una variante al tipo è rappresentata dall'esemplare n. 86, con bordo traforato a motivi quadrangolari e con figure di bovini con carro.84. (tav. 62, fig. 16)

PROVENIENZA: Padria, SS, nuraghe Badde Rupida.

COLLOCAZIONE: Museo Archeologico Nazionale G. A. Sanna di Sassari.

Navicella bronzea con scafo allungato, detta del "Re Sole".

Scafo di forma fortemente slanciata, fusiforme, lievemente appiattito nei lati.

Estremità anteriore dello scafo con spigolo arrotondato, estremità posteriore appiattita.

Fiancate ad andamento convesso, poco inclinate verso l'esterno, con margine ispessito a listello sporgente su cui si eleva un alto bordo delimitato ai lati da due colonnine, inclinate verso l'interno dello scafo e coronate da un piccolo capitello a gola (tre colonnine sono spezzate,una sola è integra).

Sull'orlo di questo bordo sopraelevato, verticale e rettilineo, - traforato da un motivo di piccoli triangoli alternati su tre file parallele - si imposta un ponte a bastoncelli, incurvati e uniti al centro dello scafo.

Nel punto d'incontro di questi elementi vi è una piccola base quadrata su cui si innesta una colonna cilindrica, cava, in grado di ruotare su se stessa grazie ad un perno interno e bloccata da un gancetto passante inserito diagonalmente attraverso due forellini.

La colonnina termina in una piattaforma quadrata su cui residuano, negli angoli quattro listelli rettangolari spezzati , uno dei quali ricurvo; al centro si innalza invece un'altra colonna di dimensioni e diametro inferiori rispetto a quella sottostante. La sommità di questa colonnina appare rivestita irregolarmente da un sottile

strato di bronzo forse riferibile ad un intervento successivo, relativo all'applicazione di un anello sormontato da un uccello stilizzato con becco arrotondato, collo ricurvo e corpo assottigliato verso la coda.

Presso l'estremità anteriore dello scafo, all'interno della fiancata sinistra, sono incisi piuttosto profondamente due tratti obliqui incrociati con estremità ricurve.

Fondo piatto, indistinto.

Una piccola piastra di forma triangolare ad estradosso convesso, costituisce la base per il collo della protome  lievemente ricurvo, a seZIOne circolare spezzato presso Ia sommità.

STATO DI CONSERVAZIONE: Discreto; patina di colore bruno scuro, a tratti verde rame , con qualche intaccatura sulle superfici e sbavature del metallo all'interno dello scafo.

Mancante del tutto la protome animale , lacunose anche le colonnine del parapetto alcuni elementi sulla colonna al centro dello scafo.

DIMENSIONI: cm 2 8,50 (lunghezza totale );cm 18,20 (altezza totale ); cm 27,5 8 (Lunghezza scafo)·

Cm 8,60 (larghezza scafo); cm 7,60 (altezza scafo con il bordo ); cm 0,3 - 0,4 ( Spessore scafo).

  


BIBLIOGRAFIA

 

  1. Omero                        Odissea

libro VIII versi 555 -560 e XIII versi 70-125

 

  1. Anna Depalmas          Navicelle di bronzo della Sardegna nuragica

 

  1. Anna Depalmas          Navicelle nuragiche significato, valore e diffusione tra Bronzo finale e    

                                          primo Ferro. 

                                    Atti del 1° Congresso Internazionale in occasione del         

                                    venticinquennale del Museo “Genna Maria” di Villanovaforru

14-15 dicembre 2007

 

4.   Anna Depalmas                      Etruria e Sardegna. Antico ponte sul Tirreno

Il Mare degli antichi. Miti, marinai e imbarcazioni dalla Preistoria a    Medioevo estratto pagine 119-134

editrice Laurum anno 2010

 

5.  Alessio Ciampolini      Progetto concettuale e analisi aerodinamica di una turbina eolica di    

piccola taglia ad asse verticale

                                         tesi di Laurea AA 2011/2012 Università di Pisa

 

6.   Samuele Di Sturco      Studi fisici e applicazioni ingegneristiche dell’effetto Magnus

Tesi di Laurea  AA 2017/2018 Università Politecnico di Torino

 

7,   Giusppa Lopez           Contributo alla ricostruzione dei prototipi navali nuragici attraverso 

una nuova metodologia di analisi.  estratto pagine 65-84

Collana di studi “Tharros felix” n. 5 dicembre 2013 

 

8. Francesco Tiboni          Navicelle nuragiche e navi. Note per l’identificazione dei diversi modelli di ispirazione nella produzione bronzistica di età nuragica

Nuovo bullettino archeologico sardo -6/1993-95

 

9. Marina Mercantile        La propulsione navale con l’effetto Magnus

                                               Marina mercantile.blogspot.com/2020/12/ del 23dicembre 2020

 

10.  Leo Bartolini             Non solo vele Pillole (https//leobartolini.it/pillole) del 3.11.2019

 

11. Armado Chierci          Talassocrazia: aspetti tecnici, economici, politici con un brevissimo cenno a Novilara, Nesazio e ai Feaci. Orvieto : Edizioni Quasar, 2006

                                        

12. Giovanni Lilliu            la civiltà dei Sardi Edizione il maestrale 2003

 

13. Emanuele Sanna         Il popolamento della Sardegna e le origini dei Sardi Edizione CUEC 2006

 

14. Giangiacomo Pisu       la flotta Shardana PTM editrice novembre 2005

 

15. Giovanni Ugas            Shardana e Sardegna Edizioni della Torre settembre 2019

 

16. Pierluigi Montalbano   Antica marineria della Sardegna. WWW.academia.edu

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