ma…siete davvero incazzati!
Articolo di Felice Di Maro
Fig.1, Mario Macciocchi, anni Novanta.
Archeologia e Società. Certo oggi abbiamo la Rete e l’informazione sui ritrovamenti archeologici in generale è in tempo reale e con i vari siti grazie proprio alla Rete di Internet sono disponibili immagini degli scavi archeologici e dei reperti a volte con video, anche non pubblicati oppure pubblicati ma in opere spesso poco accessibili o per costi assurdi oppure disponibili alla visione solo in biblioteche specializzate, ma all’inizio degli anni Settanta non era così ed era quasi impossibile conoscere in tempo reale le scoperte archeologiche e per gli approfondimenti neanche a parlarne, e chi si avvicinava all’archeologia oltre alle associazioni, e dove erano operative, s’intende, davvero non c’era quasi nulla a parte qualche rivista e conoscere e gestire poi, per cercare di approfondire le
conoscenze che con molta fatica si acquisivano era davvero complicato e avere la possibilità di avere un amico come guida era una fortuna non da poco e in particolare in una città come Napoli che era sì, un centro culturale internazionale come lo è tutt’ora, ma la fruizione in generale dei beni culturali concessa dalle istituzioni come la soprintendenza archeologica a livello popolare era proprio prossima allo zero.Io a Napoli ho avuto la fortuna di avere un grande amico, Mario Macciocchi1, cultore di archeologia pompeiana, napoletana e campana, artista e docente di disegno e di storia dell’arte ed era un attivista del Partito comunista della sezione Vomero ed era anche un pittore impegnato che dipingeva delle interpretazioni di donne presentandole sulla tela quadri articolati di immagini femminili, fuori dal tempo, ma in condizioni obiettivamente di emarginazione sistemica ma che esprimevano però concetti di aspettative di libertà attraverso figurazioni con lineamenti graduali dai quali si coglievano i lineamenti di un possibile riscatto: sia chiaro, all’epoca non c’era il divorzio e neanche l’aborto e la donna nella società rispetto ad oggi era davvero emarginata, molto emarginata: non è questa la sede per approfondire il tema. Da lui ho ricevuto riferimenti sociali nonché politici dell’universo donna e una sequela di lezioni di archeologia visitando insieme gli scavi di Pompei e di altre località dell’area vesuviana, ma come l’ho conosciuto?
Un incontro durante una manifestazione sindacale
Correvano gli anni Settanta, all’epoca ero un operaio metalmeccanico e lavoravo alla Sit Siemens, un’azienda dell’IRI, finanziaria pubblica-privata, che, come è noto, è stata sciolta negli anni Novanta insieme al Ministero delle Partecipazioni Statali: la Sit Siemens aveva sede e stabilimenti a Milano, e costruiva e montava, con un proprio reparto esterno, centrali telefoniche, io ero un montatore del Ctp ( centrali telefoniche pubbliche) assunto a Napoli, città nella quale la Sit Siemens riceveva poche commesse dalla Sip (all’epoca gestore telefonico pubblico) ed eravamo condannati a trascorrere lunghi periodi in trasferta in giro per l’Italia.
Per questa ragione eravamo sempre in lotta contro l’azienda e quindi fortemente sindacalizzati ed alle manifestazioni in occasione di scioperi generali e soprattutto ai cortei ci presentavamo sempre incazzati e urlavamo slogan vari contro i vari governi, ma per quello di Andreotti-Malagodi (per la storia politica-istituzionale: Governo Andreotti II - dal 26 giugno 1972 al 5 luglio 1973) c’era stata in quell’autunno caldo del 1972 una tensione politica molto alta a causa delle scelte politiche che aveva fatto per l’economia pubblica in generale e per le Partecipazioni Statali che aveva realizzato un blocco degli investimenti soprattutto nel settore delle telecomunicazioni nonché un vuoto per migliorare almeno le prospettive sulla previdenza e sul sistema di contingenza legato alle pensioni e al potere di acquisto di salari, stipendi. Questo governo era responsabile del mancato rinnovo del contratto collettivo di lavoro dei metalmeccanici e di altre categorie di lavoratori.
Ai cortei, in un giorno di sciopero generale, e qui, parlo di quello generale della Campania del 12 gennaio 19732, si grida e si cerca di coinvolgere chi non partecipa al corteo e sta a guardare i manifestanti come se fossero animali strani, ovviamente c’erano anche applausi durante il percorso e io li ho sempre considerati una forma di partecipazione. È normale che alla testa di un gruppo aziendale che manifesta, come si vede in fig.2, ci sia un’alternanza nella guida del gruppo per lanciare gli slogan, e proprio durante uno scambio con un compagno che mi sostituiva (e io rientravo nel gruppo) mi arrivò e mi colpì nell’orecchio una voce urlante:
«… ma … siete davvero incazzati!!».
Fig. 2 i montatori del ctp di Napoli.
Non avevo visto in tempo reale chi era, ma era Mario Macciocchi, che non conoscevo e che poi sarebbe diventato un mio grande amico, naturalmente mi girai, sempre camminando e lui insieme a me, e vidi un personaggio dall’aspetto, fig. 1, un po’ diverso tra quelli che frequentavo e che sinceramente non incontravo normalmente alle manifestazioni sindacali. Mi guardò intensamente ed era chiaro che aspettava una risposta o comunque un qualcosa di simile ed io, riadattando uno slogan urlato poco prima:
«S!. Il governo Andretti-Malagodi è un governo di merda!».
E, ... lo è stato assicuro, poi continuando a camminare lo persi di vista e al termine della manifestazione cercavo di rivederlo ma evidentemente si era allontanato coperto dalla folla dei manifestanti. A Napoli in quel giorno a Piazza Matteotti c’erano 100Mila persone e fu una giornata di lotta in una stagione che è stata importante per la storia del movimento operaio napoletano e italiano. La manifestazione fu conclusa da Luciano Lama e ricordo durante il suo comizio un silenzio che quasi stonava con l’ambiente del corteo di poco prima: Luciano fece una lezione di economia e di sociologia nonché sul riscatto di Napoli, della Campania e di tutto il sud per l’occupazione, lui era uno studioso di organizzazione del lavoro e dello sviluppo delle aree industriali: lo sciopero era di 4 ore a livello nazionale ma in Campania dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della Campania era stato dichiarato generale e per tutto l’orario di lavoro. Nei giorni seguenti ci avevo ripensato più volte a quell’incontro, come dire, interno/esterno al corteo con Mario Macciocchi poi: scusate: - … correvano gli anni Settanta.
Sezione Che Guevara del Partito Comunista del Vomero a Napoli
Era al primo piano di un palazzo in Via Luca Giordano, due stanze per le riunioni e due più piccole per la segreteria e l’altra per il deposito dei secchi e colla per l’attacchinaggio dei manifesti, attività ordinaria della sezione.
Mi ero iscritto al Partito Comunista nel novembre del 1972 e di tanto in tanto quando non ero in trasferta andavo a trovare i compagni e capitava di discorrere con loro sui temi del momento e lo sciopero del 12 gennaio era centrale tra gennaio e febbraio del 1973 e cercavo di spiegare le aspettative dei lavoratori della Sit Siemens che erano quelle di lavorare a Napoli, ma dai compagni venivo interrogato sulle ragioni dell’arretratezza delle telecomunicazioni3 in Italia a fronte delle innovazioni tecnologiche che non coinvolgevano le aziende nel sud ma soltanto quelle del nord e ricordavo che Luciano Lama nel suo comizio ne aveva parlato quando presentò la differenza tra le aree industriali tra nord e sud proprio sui processi di sviluppo.
Mentre cercavo di dire la mia tra forti contrasti dialettici s’intende da parte dei compagni più giovani mi riapparve Mario Macciocchi e guardandomi mi disse: «Buonasera. Come mai qui?». Sono iscritto a questa sezione risposi, e quando non sono in trasferta frequento, ma poi i compagni: No Mario stiamo parlando dello sciopero generale e delle telecomunicazioni. Mario si emarginò e io non colsi in quel momento che lo avevo incontrato di nuovo. Poco dopo lasciai la discussione e andai via e uscendo dal palazzo m’incamminavo per Luca Giordano per andare a casa, quando di nuovo Mario: «È terminata la discussione sullo sciopero? … e, dell’aumento delle bollette da parte della Sip ne avete parlato?».
Confesso che fu come se all’improvviso una forte pioggia di sassolini pesanti mi avesse investito. No, gli risposi, so che in parlamento ci sono state interrogazioni ma è una questione politica non sindacale. Si arrabbiò e urlando: «La classe operaia sui servizi non deve fare distinzione tra richieste di tipo sindacale e quelle politiche, è sempre lotta di classe». Io sul tema non replicai e camminando verso casa parlammo di Marx, era inevitabile, e sapeva benissimo quale era il ruolo e il valore del plusvalore proprio per i processi di accumulazione capitalistica. Pensandoci oggi, mi chiedo, come faceva un artista a conoscere non solo Marx in sé, che può essere ordinario, ma proprio i lineamenti dell’economia corrente con le sue complesse relazioni che agitavano il quadro politico-economico nel 1973?
Dopo qualche settimana ed era ormai fine febbraio/inizio marzo, io, di nuovo in sezione sempre impegnato in confronti vari, mi riapparve Mario Macciocchi, e capitò che nella stanza che affacciava su Via Luca Giordano era quasi vuota e così, come dire, ci presentammo, io come rappresentante sindacale della Sit Siemens e lui, Mario Macciocchi, docente e pittore impegnato sui temi sociali delle donne che interpretava sulla tela insieme alle complesse tematiche dell’universo femminile che a quel tempo davvero non se le filava nessuno. Al riguardo, mi spiegò che la pittura era stata nei secoli un’attività anche di contrasto verso i potenti del momento e che era servita per focalizzare l’attenzione sulla realtà che si tende ad oscurare e mi presentò nell’articolazione della discussione che aveva preso pieghe anche culturali la pittura pompeiana tra le descrizioni dei quadri religiosi del tempo (I sec., a. C – I sec. d .C,) e la vita quotidiana come si evidenzia dalla stessa pittura pompeiana. Dico la verità. Poco compresi e quasi nulla capii per davvero, sia chiaro, per cogliere certe sfumature di pittura pompeiana ci vorrà per me ancora del tempo. Si accorse che io non parlavo più, conoscevo Pompei ma non avevo approfondito il tema, e non replicavo ma ascoltavo soltanto. Quando, quasi all’’improvviso, avendo notato che di Pompei avevo una conoscenza superficiale: «Felice! Facciamo una visita agli scavi di Pompei e poi, un altro giorno, andiamo al museo archeologico di Napoli?».
Ero diventato suo amico ma non l’avevo acquisito in quel momento e non avevo capito neanche che sarebbe diventato la mia guida a Pompei e sarebbe stato poi anche successivamente il mio Tutor. Non risposi subito anche perché in quel periodo il mio Maggiolino non era disponibile perché era in riparazione e lo feci presente. E lui: «Non è un problema! Andiamo con la funicolare (alludeva a quella dell’Augusteo) e poi a piedi andiamo alla Marina e prendiamo il tram e la vesuviana e scendiamo a Villa dei Misteri. Passiamo insieme una giornata insieme e visitiamo la città di Pompei». Gli dissi di sì, e stavo entrando nel mondo dell’archeologia pompeiana.
Una visita a Pompei
Corso accelerato di Pompeianistica. Era un sabato di marzo del 1973 e l’appuntamento era a casa di Mario Macciocchi intorno alle ore 6 del mattino per andare a prendere la prima funicolare della giornata che ricordo era quasi vuota, attraversammo Piazza Municipio e prendemmo a volo il tram N.1 e scendemmo alla stazione della Vesuviana di Porta Nolana in Via Garibaldi.
La direzione del treno era Sorrento e noi scendemmo a Villa dei Misteri. Durante il viaggio mi aveva parlato dell’eruzione vesuviana del 79 e di Plinio e dell’operazione che il noto Direttore degli Scavi di Pompei Giuseppe Fiorelli (prima ispettore ordinario e in seguito Direttore, 1847 - 1875), famoso per aver iniziato nell’Ottocento la realizzazione dei noti calchi e cioè quella tecnica utilizzata negli scavi archeologici vesuviani mediante la quale dove si colgono i vuoti, versando gesso o cemento e acqua, è stato possibile recuperare la forma di esseri umani e animali e anche oggetti vegetali, vittime dell'eruzione del Vesuvio del 79. Mi parlò del magistero di Amedeo Maiuri, noto soprintendente archeologico della Campania molto attivo nell’area vesuviana che in parte conoscevo in quando avevo letto la sua Guida, Pompei, ma non i suoi studi che erano stati pubblicati in opere ormai non più disponibili.
Conoscere la città archeologica di Pompei sembra facile ma non lo è perché fare una visita con un guida che descrive le case, i templi, i monumenti pubblici, è vero che si coglie con immediatezza l’insieme della città ma poi passato il santo, come dire, finita la festa. Ripercorrere da solo gli itinerari servendosi anche di una guida cartacea e non umana è complicato perché è necessario scegliere un metodo di lettura personale della guida stessa e che deve essere anche un metodo di osservazione delle strutture archeologiche che si vogliono approfondire leggendo la guida. Solo una guida cartacea non basta perché è necessario disporre anche di monografie e neanche è sufficiente perché occorre aver partecipato anche ai lavori dei convegni nei quali vengono presentati gli studi e i saggi sulle strutture già pubblicate ma finalizzati a chiarire problemi di interpretazione di storia dell’architettura e anche di vicende storiche.
Conoscere Pompei però è possibile, ma lo si deve davvero desiderare, impegnandosi , e bisogna essere pazienti negli approfondimenti, ma ripeto è possibile. Usciti dalla Vesuviana percorremmo la nota Via Villa dei Misteri (dal nome di una importante villa fuori la città che viene delineata dalle mura e torri e porte) prima di entrare negli scavi ma andammo prima al bar (per Mario Macciocchi prendere un caffè intorno alle 8,30 del mattino era un rito) non lontano da Porta Marina attraverso la quale si entrava negli scavi, ovviamente c’erano anche altre entrate. Il bar era pieno di turisti e anche stranieri, quest’ultimi erano in maggioranza ragazze, studentesse: Pompei è internazionale. Dal 1966, quando c’ero stato l’ultima volta non era cambiato l’ambiente e sentire parlare in francese e inglese prevalentemente dava una carica che era in surplus guardando le ragazze e soprattutto si coglieva il piacere che avevano sul volto queste ragazze di stare a Pompei.
Piano, piano, facendoci strada arrivammo al banco e il barista: «Professò buongiorno. Ancora a Pompei? Che piacere rivedervi!». E lui con immediatezza: «No. Non sono per me». E mostrandomi: «Ti presento Felice. È per lui che sono qua, deve visitare Pompei». E il barista, con voce alta: «Ha! Felice non potevi stare in mani migliori. Ricordati, che fra un po’ che avrai varcato Porta Marina sarai prigioniero di Pompei e, … Auguri». Il barista aveva ragione.
Dopo caffè e cornetti, usciti dal bar insieme alle ragazze in prevalenza, francesi e inglesi, ci ritrovammo davanti a Porta Marina attendendo di entrare, non erano ancora le ore 9. Dopo aver fatto i biglietti attraversammo Porta Marina, fig.3, la più recente tra le porte di Pompei in opera incerta è formata da una galleria con volta a botte e si presenta come una specie di torrione sporgente dalle mura con due passaggi coperti a volta, uno per il passaggio dei veicoli, l’altro per il passaggio dei pedoni.
Fig. 3: Pompei, Porta Marina, accesso occidentale alla città, è la più importante tra le
7 porte di Pompei, Il nome deriva dal fatto che la strada in uscita conduceva al mare.
Ci incamminammo per Via Marina che porta al Foro ma lui disse che era meglio entrare nel Foro percorrendo prima il Vicolo dei Soprastanti, in fig.5 con l’ubicazione vista dall’alto, che era meno visitato e si poteva percorrere lentamente e per un’ora e mezza mi fece vedere le case mostrandomi i materiali di costruzione che erano in evidenza e mi spiegò come era articolata Pompei e cioè in regioni e isole, in fig.4 si mostra la pianta della città con l’ubicazione dei principali monumenti che su una buona parte ne abbiamo discusso. Non discutemmo delle documentazioni delle forme letterarie presenti in città ma solo brevi accenni in riferimento a Plinio per le note lettere che scrisse sull’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., che distrusse Pompei e tutte le altre città vesuviane. Queste forme letterarie sono importanti per conoscere Pompei e penso che ancora oggi sia valido il libro pubblicato da Gigante4. La visita continuò , giunti al Foro percorremmo Via dell’Abbondanza e vitammo i teatri e l’anfiteatro.
Fig. 4, pianta generale di Pompei, da Pompei 79 - raccolta di studi per il decimonono centenario dell'eruzione vesuviana, a cura di Fausto Zevi, Napoli 1979, edito da Macchiaroli, p.11. I numeri in rosso indicano le Regiones e le Insulae, quelli in nero i principali monumenti da 1 a 60, che sono stati numerai nelle Regiones e due fuori città da 1 a 60.
Regione VI, 1: Casa del Chirurgo; 2: Casa di Sallustio; 3: Casa di Meleagro; 4:Casa dei Vettii; 5: Castellum aquae; 6: Casa degli Amorini Dorati; 7: Casa di Pansa; 8: Casa del Poeta Tragico; 9: Casa del Fauno; 10: Fullonica di Vesonio Primo.
Regione VII, 11: Casa di Fabio Rufo; 12: Terme del Foro; 13: Tempio della Fortuna Augusta; 14: Forno; 15: Casa dei Capitelli Figurati; 16: Casa di Gavio Rufo; 17Casa dell’Orso; 18: Tempio di Giove; 19: Macellum; 20: Tempio dei Lari Pubblici; 21: Tempio di Vespasiano; 22: Casa di Marte e Venere; 23: Tempio di Apollo; 24: Foro; 25: Edificio di Eumachia; 26: Terme Stabiane; 27Casa di Sirico.
Regione VIII, 28: Tempio di Venere; 29: Basilica; 30: Edifici della pubblica amministrazione; 31: «Comizio»; 32: Casa di Cornelio Rufo; 33: Teatro Grande; 34: Foro Triangolare e Tempio Dorico; 35: Odeion; 36: Caserma dei Gladiatori; 37: Palestra Sannitica; 38: Tempio di Iside; 20: Tempio di Zeus Meilichios.
Regione V, 40: Casa di Cecilio Giocondo; 41: Casa delle Nozze d’Argento; 42: Casa di Lucrezio Frontone; 43: Casa dei Gladiatori.
Regione IX, 44: Casa di Giulio Polibio; 45: Terme centrali; 46: Casa di Giasone.
Regione I, 47: Casa del Citarista; 48: Casa del Criptoportico; 49: Casa di Paquio Proculo; 50: Caupona di Euxinus; 51: Casa del Menandro; 52: Casa della Nave Europa.
Regione II, 53: Casa di Loreio Tiburtino; 54: Casa della Venere nella conchiglia; 55: Casa di Giulia Felice; 56: «Foro Boario»; 57: Palestra; 58: Anfiteatro.
FUORI CITTÀ: 59: Villa di Diomede; 60: Villa dei Misteri
Fig. 5: veduta dall’alto di Pompei, la freccia indica il Vicolo dei Soprastanti.
Conclusioni
Mario Macciocchi è nato a Ferrara il 10 marzo del 1907 ed è morto a Napoli il 6 marzo del 2000. La sua vita l’ha trascorsa a Napoli dal 1915 e al Vomero, ed è qui che fu catturato dai tedeschi, come racconta Grieco5:
Nel 1943, catturato dai tedeschi al Vomero, all’angolo tra via Enrico Alvino e via Scarlatti, Macciocchi riuscì in modo rocambolesco a fuggire nelle campagne dell’agro pontino, quando il convoglio, che doveva condurlo insieme ad altri prigionieri nei campi di concentramento tedeschi, si fermò alla stazione di Formia per una breve sosta.
Varie sono state le sue mostre, ricordo quella allo Zahir6, a Napoli, Via Cavallerizza a Chiaia n.14, dal 28 gennaio al 6 febbraio del 1980. Ecco in fig.6, 7 e 8, dal Dépliant, l’elenco delle opere esposte e le presentazioni della mostra di Mariella De Paolis e di Paolo Ricci, e la fig. 9 presenta l’elenco delle sue mostre.
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
Fig. 9
Un’artista con un’attività complessa per quanto riguarda la pittura, attività iniziata negli anni Trenta ma proseguita negli anni Cinquanta e Sessanta. Per cinque anni dal 1973 al 1978 è stato il mio tutor nella ricerca, obiettivamente personale, di conoscere l’archeologia pompeiana e campana, due volte al mese siamo stati nelle aree archeologiche della Campania, è stata il viaggio con vari itinerari più bello e più impegnativo della mia vita nonostante sia stato un trasfertista e ringrazio di cuore la Prof.ssa Donatella Pandolfi, sua nipote, che mi ha la possibilità offrendomi i materiali, foto e Dépliant, non diversamente reperibili da parte mia per fare questa ricerca di ricordi che umilmente in estrema sintesi si presenta.
Note
1 Per una biografia generale: Antonio Grieco, La pittura di Mario Macciocchi - tra periferia industriale, orrori della guerra e mondo delle donne, in: Il Rievocatore, gennaio-marzo 2017, pp. 36-39; per alcuni tratti della sua attività: Edoardo Alamaro, Mario Macciocchi e la «ceramica di Posillipo» in: La ceramica moderna, marzo 1990 Anno 11 n-104, p. 13.
2 Franco De Arcangelis, A Napoli i lavoratori impegnati per una grande manifestazione, in L’Unità, sabato 6 gennaio 1973 p.4, ecco il link: (https://archivio.unita.news/assets/main/1973/01/06/page_004.pdf); Una grande prova dl unità e di forza, di Redazione in L’Unità, sabato 13 gennaio 1973 p.4, ecco il link: (https://archivio.unita.news/assets/main/1973/01/13/page_004.pdf).
3 Piero Brezzi, Prospettive delle telecomunicazioni in Italia, Roma, Editori riuniti, Estratto da: Politica ed economia, anno 6, n. 1-2, gen.-apr. 1975, pp. 112-119.
4 Marcello Gigante, Civiltà delle forme letterarie nell'antica Pompei, Napoli, Bibliopolis 1979, pp.276, XX carte di tav. ill.
5 op.cit. nota 1 p. 37.
6 L’Unità giovedì 7 febbraio 1980, Napoli-Campania taccuino culturale, 13, ecco il link:
(https://archivio.unita.news/assets/main/1980/02/07/page_029.pdf)
Referenze fotografiche
Fig. 1: Collezione Famiglia Pandolfi.
Fig. 2: operai Sit Siemens Napoli, Collezione foto lavoro, Felice Di Maro.
Fig. 3: Pompei Porta Marina, da Internet.
Fig. 4: da Pompei 79 - raccolta di studi per il decimonono centenario dell'eruzione vesuviana, a cura di Fausto Zevi, Napoli 1979, edito da Macchiaroli, p.11.
Fig. 5: veduta dall’alto di Pompei, da Internet, inviata mail per autorizzazione a pubblicare risulta sconosciuta.
Fig. 6-7-8-9: Collezione Famiglia Pandolfi.
Nessun commento:
Posta un commento