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venerdì 22 luglio 2022

Archeologia. Tεττίαι Kάσται tra Demetra Thesmophoros e la πρóσκλητος-βουλή-σύνκλητος della Neapolis del I secolo d. Cr. Articolo di Felice di Maro

Archeologia.   Tεττίαι Kάσται tra Demetra Thesmophoros e la πρóσκλητος-βουλή-σύνκλητος

della Neapolis del I secolo d. Cr.

Articolo di Felice di Maro

 


 

Abstract:

Naples I century after Christ. Tεττίαι Kάσται, a lifelong priestess of the women's house, was she also a clerk in the Demeter Thesmophoros cult? The scholars analyzed all available data. For Tεττίαι Kάσται, what was the Roman Neapolis approved three decrees for her, known to us from an epigraph found in 1612. The reasons presented by scholars are also presented on the theme that the institutional bodies of the city were two. So βουλή and σύνκλητος could be synonymous?

 

A Napoli, nel cuore del quartiere di Forcella, non lontano dal corso Umberto dove oggi c’è l’Ospedale Ascalesi c’era un antico monastero, parte di un complesso più ampio che includeva anche l’attuale Chiesa di Santa Maria Egiziaca all’Olmo. Nel 1612 proprio tra i ruderi di questo monastero fu rinvenuta una lapide marmorea, oggi, corrosa purtroppo e fratta a destra ed in basso, di un’epigrafe, fig. 1, in lingua greca che grazie ai nomi dei consoli citati, Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, e, Lucio Flavio Fimbria e Atilio Barbaro, è stato possibile datarla tra maggio e agosto del

71 d.C., la lapide era affissa davanti alla porta del monastero che era stato costruito nel 13421.

 

Alta 0,985, larga 1, 56 e spessa 0,235 presenta lettere da 0,017 a 0,082, solo le linee 1-6 sono in lettere minuscole. Ecco il testo:

 

      Tεττίαι Kάσται ἱερείαι τ[οῦ – – -]
      
τῶν γυναικῶν οἴκου διὰ βίου ψηφ[ίσματα].
      
Ἐπὶ ὑπάτων Kαίσαρος Σεβαστοῦ υἱοῦ Δομιτι[ανοῦ καὶ Γαίου]
      
Οὐαλερίου Φήστου ιδʹ Ληναιῶνος, γραφ[ομένων παρῆσαν]
  5  Λούκιος Φροῦγι, Kορνήλιος Kεριᾶλις, Ἰούνιος [- – -],
      
περὶ οὗ προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Tρανκουίλλιος Ῥοῦφος ἀντάρχων, περὶ τού[του
      
τοῦ πράγματος οὕτως εὐηρέστησεν

      
τὴν γνώμην ἁπάντων ὁμολογοῦντας κοινὴν εἶναι λύπην τὴν πρόμοιρον Tεττίας Kά[στας

      τελευτήν, γυναικὸς φιλοτιμησαμέ]-
      
νης εἴς τε τὴν τῶν ἁπάντων εὐσέβειαν καὶ εἰς τὴν τῆς πατρίδος εὒνοιαν, ἀργυρῶν ἀνδριάντων
      
ἀνε[κλείπτους ἀναστάσεις τοῖς θεοῖς ποιη]-
      
σαμένης πρός τὸ μεγαλοψύχως εὐεργετῆσαι τὴν πόλιν, τιμᾶν ἀνδριάντι καὶ ἀσπίδι

       ἐγγ[εγραμμένηι Tεττίαν Kάσταν καὶ θάπτειν αὐτὴν]
10  δαπάνῃ μὲν δημοσίαι, ἐπιμελείᾳ δὲ τῶν προσηκόντων, οὓς δυσχερές ἐστιν παραμυθήσασθαι,
      
λ̩ι[βανωτο λίτρας num. καὶ τό]-
      
πον εἰς κηδείαν δίδοσθαι καὶ εἰς ταῦτα ἐξοδιάζειν. Ἐπὶ ὑπάτων Kαίσαρος Σεβαστοῦ [υἱοῦ

       Δομιτιανοῦ καὶ Γ. Oὐαλερίου Φήστου num. πρὸ καλ.]
      
Ἰουλίων, γραφομένων παρῆσαν Γράνιος Ῥοῦφος, Λούκιος Πούδης vac. Ποππα̩ῖ[ος Σεουῆρος],

 

       περὶ οὗ προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Φούλβιος Πρόβος ὁ ἄρχων, περὶ τούτου τοῦ

       πρ[άγματος οὕτως εὐηρέστησεν· – – – τὴν]

       δημοσίαν δαπάνην, ἣν ἡ βουλὴ συμπαθοῦσα ἐψηφίσατο Tεττίᾳ Kάστᾳ +Υ[- – – καὶ στεφανῶσαι]

15   χρυσῶι στεφάνωι μαρτυροῦντας αὐτῆς τῶι βίωι δημοσίωι ἑπαί[νωι – – -]

       Ἐπὶ ὑπάτων Λουκίου Φλαουίου Φιμβρία καὶ Ἀτειλίου Βαρβάρου [- – – γραφομένων παρῆσαν]

       Ἀρίστων Βύκκου, Ἀουίλλιος Ἀρριανός, Οὑέρριος Λειβ[ερᾶλις],

 

        [περ]ὶ οὗ προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Ἰούλιος Λειουεια[ν]ὸ[ς ὁ ἀντάρχων, περὶ τούτου

        τοῦ πράγματος οὕτως εὐηρέστησεν]·

        [Tεττ]ίᾳ τόπον εἰς κηδείαν ἀπὸ τοῦ τείχους ἐν μετώπωι μέχρι [- – -]
20    [-c.4-]κοντα ἑξ οἰκοδομεῖν ἐπιτρέπειν καὶ ἀπὸ τῆς στ[ήλης εἰς ped. num. πανταχόσε ἄλλωι

        μηδενὶ κηδείαν]

        [ἐπὶ] τῶι αὐτῶι τόπῳ δίδοσθαι.
        [..] Δομίτιοι Λέπιδ[ος καὶ
cogn. τῆι γλυκυ]-
        [τά]τηι μητρὶ καὶ Λ. Δομ[ίτιος
cogn. τῆι ἐαυτοῦ γυναικί]2.

 

Traduzione

 

Decreti per Tettia Casta sacerdotessa a vita del […] casa delle donne.

 

Sotto i consoli Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, il 14 di Lenaione, erano presenti alla registrazione Lucio Frugi, Cornelio Ceriale, Giunio […]

Circa la questione sulla quale l’antarconte Tranquillio Rufo riferì a quelli nella proskletos, così piacque:

convenendo sull’opinione di tutti che sia un dolore comune la morte precoce di Tettia Casta, donna che ha aspirato ardentemente al rispetto verso tutti e all’amore verso la patria, e che ha innalzato incessantemente statue d’argento agli dei per beneficiare generosamente la città, (piacque di) onorare Tettia Casta con una statua e un ritratto su scudo e seppellirla a spese pubbliche, ma a cura dei parenti, che è difficile confortare per […] e dare un luogo per la sepoltura e pagare per queste cose.

 

Sotto i consoli Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, il […] di luglio. Erano presenti alla registrazione Granio Rufo, Lucio Pudente Poppeo Severo;

circa la questione sulla quale l’arconte Fulvio Probo riferì a quelli nella proskletos, così piacque:

 

la spesa pubblica per la statua, che il consiglio con conformità di sentimenti decretò per Tettia Casta […], incoronare con una corona d’oro, rendendo testimonianza alla sua vita con pubblica lode […]

 

Sotto i consoli Lucio Flavio Fimbria e Atilio Barbaro […], erano presenti alla registrazione Aristone (figlio) di Bucco, Avillio Arriano, Verreio Liberale,

circa la questione sulla quale l’antarconte Giulio Liviano riferì a quelli nella proskletos, così piacque:

 

(concedere) a Tettia un luogo per la sepoltura dal muro sulla fronte fino a […] 6 lasciar costruire e dalla stele per tot piedi in tutte le direzioni a nessun altro concedere la sepoltura nello stesso luogo.

 

I Domizii Lepido e… per la… madre e Lucio Domizio per la… moglie fecero3.   

 

L’iscrizione presenta tre deliberazioni a favore di Tettia Casta, sacerdotessa di una οἴκος delle donne che potrebbe essere identificata come una casa delle donne, ma anche come un tempio oppure anche come una sede di un’associazione. Al di là della funzione di sacerdotessa che, come si dichiara, era a vita è possibile ipotizzare che Tettia Casta, morta prematuramente, era un riferimento per le donne di Neapolis anche in linea generale e non soltanto a livello delle pratiche religiose. Si tenga conto che le condizioni socioeconomiche in quella fase non erano buone perché Il 5 febbraio del 62 d.C., sotto il regno dell’imperatore Nerone, c’era stato un violento terremoto che, come sappiamo, colpì Pompei e le città vesuviane e anche Neapolis, l'epicentro è stato localizzato all'interno di una faglia sul lato meridionale del Vesuvio, nei pressi di Stabiae. Le città che subirono danni furono quelle non lontane dall'epicentro e quindi PompeiErcolano e Stabiae, ma danni si verificarono anche in tutta l’area della Campania meridionale tra Napoli e Nocera, approfondirò il tema nelle conclusioni4.

 

Le problematiche che l’scrizione presenta sono state analizzate sia sotto l’aspetto istituzionale della Neapolis del I secolo d. Cr., e sia per quello della religiosità, anche se l’epigrafe non menziona alcuna divinità si è dichiarato che sarebbe ipotizzabile un culto femminile quale quello della Demetra Thesmophoros. Nessuna delle ipotesi che sono state proposte presenta documentazioni tali da definire ricostruzioni sicure e quindi definitive anche se le varie analisi hanno delineato un quadro storico-storiografico rilevante certo, non complessivo, ma aperto che con le nuove documentazioni archeologiche, disponibili, grazie oggi agli scavi per la costruzione della metropolitana, verrà dinamicamente rilanciato per riproporre nuovi aggiornamenti della storia della Neapolis romana.

 

In quest’articolo si mettono in evidenza quelle problematiche che maggiormente si evidenziano e sono ancora aperte, ma che pur essendo classificate come ipotesi possono al riguardo avere ancora ulteriore attenzione con approfondimenti mirati.

 

 Istituzioni

Iniziammo con le questioni, obiettivamente aperte e sia chiaro, delle istituzioni della città. Elena Miranda nella sua pubblicazione delle iscrizioni greche di Napoli del 1990 non accetta che οἰ ἐν προσκλήτῳ, «quelli nella proskletos», siano la prova che sia esistito un organo distinto dalla βουλή. È stata una innovazione e come io interpreto s’intende, rispetto all’interpretazione pubblicata precedentemente nel 1985 anche se già allora pur avendo presentato un testo dell’iscrizione che era stato accettato in precedenza da vari studiosi, aveva fatto varie osservazioni che riproporrò più avanti. Ecco quanto ha dichiarato nel 1990 per la linea 14 del testo in greco dell’iscrizione:

 

A mio parere non è il caso di costruire ipotesi così raffinate su di un testo chiaramente lacunoso. Non si può non tener conto del fatto che proprio la formula εὖ [ἔχειν] ecc. è frutto del supplemento di Kaibel. Volutamente, quindi, ho preferito non inserire tale integrazione nel testo, ma citarla solo nell’apparato critico alla pari con quelle proposte da altri editori. Del resto, anche senza intervenire sul testo, è possibile sostenere l’identità tra πρóσκλητος e βουλή. Se è vero che la spesa pubblica a favore di Tettia appare qui votata dalla βουλή, è altrettanto vero che con il decreto precedente la πρóσκλητος aveva approvato un’analoga δημοσία δαπάνη. Alla linea 14, a mio avviso, l’organo deliberante non fa che richiamare alla memoria la sua stessa decisione per apportarvi poi delle integrazioni5.

 

Nel 1985 il testo presentato alla linea 14 conteneva quest’emendamento:

 

εὖ [ἔχειυ· ἄξιον δὲ καὶ ἐπαινέσαν αὐτὴ καὶ στεφανῶσαι]
(
va bene; è giusto lodarla e inconorarla)6.

 

L’emendamento si riferiva a Tettia Casta ed aveva la sua motivazione in quanto εὖ [ἔχειν] «va bene» indicando l’approvazione di un decreto della boulé da parte dei membri della proskletos, permetteva d’ipotizzare un organo separato rispetto alla boulé, ma già allora, bisogna dire, Miranda osservava che proprio la formula «va bene» era stata totalmente integrata dagli editori precedenti. Questa formula si riferiva ad una spesa pubblica decretata poche righe prima e proprio dai membri della proskletos. Al riguardo, si tenga conto che la boulé o synkletos nel 90 a. C., quando Neapolis diventò municipio romano si erano trasformati, comunque, in un nuovo consiglio mantenendone soltanto il nome.

 

È importante considerare che Miranda oltre a quest’iscrizione che si sta qui esaminando si era riferita (op.cit., Miranda 1985) anche alle iscrizioni quali 116.1, 117.1, IG XIG 756 a, 758 per dimostrare che boulé o synkletos sono la stessa istituzione e hanno operato decretando deliberazioni similari che sono state poste o dai magistrati o comunque come decreti consolatorii. Brevemente le presento:

 

116.1 è un’epigrafe su una base di marmo (Inv. MAN 2453) rinvenuta nel 1858 presso il teatro antico in Via San Paolo del II sec. d.C., e cita come consiglio della città di Napoli la bulé7;

 

117.1è un’epigrafe su una lastra di marmo opistografa che presenta scritte su entrambe le facciate, è stata rinvenuta durante i lavori del Risanamento al vico Cavalcatoio fuori Porta Capuana e fu acquistata per conto della società di Storia Patria nel 1882 (Miranda 1995 n.112 pp.42-43) il consiglio viene citato come synkletos8;

 

IG XIV 756 a, è un’epigrafe su base marmorea con cornice modanata murata in una parete del cortile di Via dei Tribunali 62 (Miranda 1990 n.34 pp.52-54) rappresenta la più tarda attestazione del consiglio che viene indicato come synkletos sulla linea 139.

 

IG XIV 758 è un’epigrafe perduta databile al 71 d. C., nota per un apografo del Morillon ed è stata vista nella casa di Francesco Guevara che fu del Pontano, contiene un decreto dei decurioni10.    

 

Altra questione esposta nel 1985 è quella che poteva riferirsi sia alla boulé e sia all’assemblea popolare la citazione del termine proskletos, in quanto esso è un aggettivo che significa convocata e chiaramente può riferirsi sia alla boulé e sia alla synkletos. Ecco Miranda come aveva presentato il tema:

 

L’ipotesi che a Napoli questa parola indichi un’assemblea popolare straordinaria non ha fondate prove su cui basarsi. La maggior parte degli studiosi ritiene che «quelli nella proskletos» siano comunque consiglieri municipali. L’espressione, se non è soltanto un sinonimo di boulé, può indicare una giunta all’interno del consiglio o, più semplicemente, i membri presenti a quella particolare riunione11.  

 

A sostegno cita Sartori e Forni.

 

Sartori dice:

«… particolarità di Napoli è costituita dal modo non uniforme di indicare il senato o consiglio comunale, ora detto βουλή, ora σύνκλητος, ora πρόσκλήτος. Poiché però questo ultimo termine appare sempre nell’espressione οἱ ἐν προσκλήτωι, non escluderei che indicasse semplicemente una giunta entro il senato, tanto più che nel contesto si presenta sempre anche il titolo βουλή, e questa circostanza fa pensare che si tratti di organi giuridicamente diversi. Ἡ πρόσκλητοσ può ben essere una sezione del senato, sul tipo della pritania ateniese, o indicare l’insieme dei presenti alla seduta. Quando la lingua usata è la latina, i buleuti sono detti regolarmente decurion12.

 

Forni dice:

«Per quanto riguarda la documentazione relativa alle istituzioni legislative di Napoli durante il I sec. C., si osserva che l’espressione οί ἐν προσκλήτῳ compare in iscrizioni nel cui contesto ritorna anche βουλή (qui, nel testo del suo saggio la nota n. 24 riporta i dati dell’iscrizione che stiamo esaminando): per cui quand’anche si volesse pensare che detta espressione significasse una commissione senatoriale, questa si risolverebbe comunque nella βουλή; tanto meglio poi se nell’espressione οί ἐν προσκλήτῳ si volesse ravvisare solamente l’insieme dei presenti alla seduta della βουλή»!3.

 

Alcune osservazioni sono importanti per avere un quadro più completo. Il Ghinatti ritiene che «quelli nella proskletos» e il consiglio municipale siano due organi distinti, ma bisogna fare una considerazione.

 

Che la proskletos sia stata nella Magna Grecia e nella Grecia un consiglio è noto, ma a Napoli siamo in una cronologia diversa che è quella del I sec. d. C, e siamo quindi in piena età imperiale e il centro dell’Impero è Roma. Ora che Napoli avesse una conclamata cultura greca non significa che le sue istituzioni avessero conservato in piena età imperiale i poteri di quelle greche dei secoli precedenti quando Neapolis era stata fondata anche se nominalmente gli organi istituzionali non erano cambiati. L’integrazione della linea 14 con, εὖ ἔχειν «va bene» riproposta da Ghinatti ha rappresentato e secondo me rappresenta ancora, una questione aperta. Ecco cosa dice:


«In un altro gruppo di iscrizioni che risalgono all’anno 71 d. C. o agli anni immediatamente seguenti, troviamo attestati invece due consessi: una βουλή e una πρόσκλητος (qui, viene richiamata la nota n. 98 che cita anche l’iscrizione che stiamo esaminando). Non mi pare che i due termini designino un unico consiglio, sia perché i greci e i Romani, come d’altronde anche noi, usarono grande precisione nei termini legislativi, specie nei decreti ufficiali, sia perché la πρόσκλητος appare chiaramente distinta dalla boule (qui, ancora, nel suo saggio la nota n.101 cita l’iscrizione che stiamo esaminando). Né è da trascurare il fatto che alla proskletos riferisce un solo arconte, mentre alla boule riferiscono entrambi gli arconti. Il fatto che proskletos e boule siano menzionate nei medesimi testi, fa pensare a organi giuridicamente diversi»14.

 

Al Ghinatti ha replicato Giovanni Forni. Ecco:

 

«Le contraddizioni appaiono tanto più stridenti, in quanto sono applicate dal Ghinatti alla stessa categoria di monumenti: poiché se, come egli osserva a proposito delle iscrizioni neapolitane del 71 d.C., “i Greci e i Romani… usarono grande precisione nei termini legislativi, specie nei decreti ufficiali”, non sono forse decreti ufficiali quelli di Siracusa e di Agrigento, della fine del III sec. a. C., nei quali egli ravvisa un “uso un po’ (o alquanto) libero dei termin?”»15.

 

βουλή o σύνκλητος sono la stessa istituzione o no?

 

È un interrogativo aperto, ma teniamo in conto che nell’isola di Kos un’epigrafe, opistografa, rinvenuta presso l’Asclepieion, datata al 242 a. C., offre informazioni importanti perché documenta una deliberazione del consiglio e dell’assemblea popolare di Neapolis, che è stata incisa insieme con quelle di Elea e di Pella, su una stele esposta nel santuario insieme alle altre copie dei decreti di città e dinasti greci. Gli άrchontes, il consiglio e il popolo di Neapolis indicherebbero due organi legislativi. Ecco il testo in greco:

             latus B

      ψαφίσματα, ἃ ἐκόμισαν θεωροὶ Ἐπιδαύριος Νικάρχου, Φιλόφρων Δαρδά<ν>ου·

III

     Νεοπολιτᾶν ἔχον ἔχον ἐπίσαμον ζώιδιον ἀνδρεῖον·

     ἐπειδὴ παρὰ τῆς πόλεως τῆς Κώιων ἀρχιθέωρος παραγενόμενος Ἐπιδαύριος Νικάρ–

20   χου καὶ θεωροὶ Φιλόφρων Δαρδάνου καὶ Σιμίας Τιμασιφῶντος ἀνανεοῦνταί τε τὴν ο[ἰ]–

     κειότητα καὶ τὴν εὔνοιαν, ἣν ἔχουσα ἡ πόλις ἡ Κώιων διατελεῖ πρὸς τὴν πόλιν τὴν Νε–

     οπολιτῶν, καὶ ἐπαγγέλλουσι θυσίαν τῶι Ἀσκληπιῶι καὶ ἀγῶνα καὶ ἀξιοῦσιν τὸ ἱερὸν
     τοῦ Ἀσκληπιοῦ ἄσυλον παραδέξασθαι, τύχηι ἀγαθῆι, ἔδοξε τοῖς ἄρχουσι καὶ τῆ[ι]
     συνκλήτωι καὶ τῶι δήμωι· τήν τε οἰκειότητα καὶ τὴν εὔνοιαν τὴν τῆς πόλεως τῆς
25   Κώιων ἀποδέ<ξ>ασθαι καὶ τὴν θυσίαν καὶ τὸν ἀγῶνα τοῦ Ἀσκληπιοῦ συναύξειν·
     ὑπάρχειν δὲ καὶ τὸ ἱερὸν ἄσυλον· δοῦναι δὲ καὶ εἰς θυσίαν τῶι Ἀσκληπιῶι μνᾶς τρεῖς·
      καλέσαι δὲ τοὺς θεωροὺς ἐπὶ ξένια.     vacat

 

Traduzione

«Decreto dei Neapolitani, avente come emblema una figura di animale maschio. Poiché l’archithéoros Epidaurio figlio di Nicarco venuto dalla polis dei Coi, e i théoroi Philophron figlio di Dardano e Simia figlio di Timasifonte, rinnovano (l’attestazione del)l’amicizia e benevolenza che la pólis dei Coi ha costantemente avuto verso la pólis dei Neapolitani, e danno l’annunzio di un sacrificio ad Asclepio e di un agone, e chiedono che il santuario di Asclepio sia riconosciuto άsylon: con buona fortuna gli άrchontes e il consiglio e il popolo hanno decretato: ‘Si accetti l’amicizia e la benevolenza della polis dei Coi, e si contribuisca al sacrificio e all’agone di Asclepio; il santuario sua άsylon; si diano per il sacrificio ad Asclepio tre mine; si invitino i théoroi a un convito ospitale’»16

 

Questo documento oltre ad indicare che i demarchi non erano più operativi e che ora i poteri sono degli άrchontes, ci dice che ci sono due organi legislativi, ma con quali poteri? Le osservazioni di Lepore penso che siano importanti:

 

«Com’è stato notato, la presenza dei due organi legislativi, il consiglio, σύνκλητος, e l’assemblea popolare, δεμος, indicherebbero la persistenza di una costituzione democratica, ma la formula con cui viene emesso il decreto, affiancando ad essi gli άrchontes, analogamente a quanto avviene in decreti di altre città greche di tarda età ellenistica o del periodo romano, dimostra che “come quelle póleis, anche in Neapolis v’era ormai una democrazia nominale, nella quale la classe ricca aveva praticamente il monopolio delle magistrature, e l’effettiva politica era accentrata, mediante il potere probuletico, in un ‘governo’ ( gli ἅρχοντες) espresso da quella classe. Ciò che in póleis di Grecia e d’Asia la pressione o l’interferenza di monarchi, operò in Neapolis” -si è concluso conseguentemente- “la politica egemonica romana”»17

  

Demetra Thesmophoros

 

Premesso che Demetra è stata una divinità greca associata all'agricoltura e in generale alle stagioni dei raccolti, ed era connessa con le religioni misteriche, in particolare con quella dei misteri eleusini, a Neapolis aveva un suo culto non associato con quello dei misteri eleusini, ma come Thesmoforos. L’epigrafe della sacerdotessa di Demetra Thesmoforos è già stata presentata in quest’articolo, IG XIV 756 a18, ed è della seconda metà del II sec. d. C.

 

Questa epigrafe ci informa che la sacerdotessa, Κομινιαι Πλουτογενίαι era addetta al culto di Demetra Thesmoforos. Le Tesmoforie erano delle feste celebrate ad Atene in onore della dea Demetra Tesmofora, istitutrice dell'agricoltura e del matrimonio ed a Napoli aveva un culto: strettamente riservate alle donne19.  

 

È importante considerare che nella mitologia romana Demetra corrisponde a Cerere, Stazio (Silvae, IV, 8, 45-46, 50) la menziona accennando ad un culto misterico celebrato da iniziati che corrono agitando una fiaccola, ma nessun’altra fonte ci dà notizia di misteri celebrati in questo modo a Napoli in onore di Demetra. Da Stazio viene presentata anche come Actea, cioè attica, e questo significa che il culto non è stato introdotto a Napoli soltanto tramite Siracusa a seguito o durante la fase della rifondazione della città, ma anche da Atene che può aver favorito un diverso modo di onorare la dea: il culto di Demetra è attestato anche ad Eretria.

 

Un possibile riferimento con la Sicilia al di là dei quadri storiografici generali che non sono oggetto di trattamenti in quest’articolo è stato con un’epigrafe funeraria di età imperiale rinvenuta nel novembre del 1942 ad Enna in località Porto Salvo nei pressi della torre di Federico II durante l’esecuzione di lavori militari. Com’è noto ad Enna il culto di Demetra è ben documentato, ma, al di là del nome che è uguale, Tettia, come si vede in fig. 2, altro non è possibile dire perché il testo è incompleto:

 


Miranda, considerando che il culto di Demetra con questa epigrafe di Κομινιαι Πλουτογενίαι è documentato a Neapolis, in riferimento all’epigrafe dei decreti per Tettia Casta, mettendo in evidenzia che:

 

«a Napoli esistesse un’associazione femminile votata al culto di Demetra e che Tettia ne fosse la sacerdotessa a vita»

 

così propone:

 

«L’esistenza di tale associazione appare assai pertinente ai rituali delle Tesmoforie, riservate strettamente alle donne. Poiché il decreto di Tettia è della piena età imperiale, sarà utile ricordare che in ambiente romano non solo esistevano collegi di cultores composti di sole donne, ma che proprio il culto di Cerere era affidato in modo specifico alle matrone. Che poi questo culto fosse esemplato in modo totale sul modello greco è cosa ben nota»20.

 

Le considerazioni sull’epigrafe di Tettia Casta di Miranda che in quest’articolo si stanno esaminando rappresentano qualcosa in più di un’ipotesi che possa essere stata una sacerdotessa di Demetra. Questo qualcosa in più secondo me è anche in funzione del fatto che, l'archeologo Mario Napoli nel 1959 aveva proposto che il tempio di Demetra esisteva a Napoli e poteva trovarsi nell'area di Caponapoli, e precisamente nei pressi dell'attuale ospedale degli Incurabili. Ecco cosa ha pubblicato in un suo libro:

 

«Il tempio di Demetra deve più validamente essere posto nella parte alta della città, in quella zona che abbiamo identificata come nucleo più antico e originario di Neapolis. Innanzi tutto, dopo la nostra identificazione di questa prima fase di Neapolis, sembra legittima l’ipotesi che i templi dei culti più strettamente connessi alle origini della città e più legati alla madrepatria Cuma siano situati in questa parte più antica della città nuova: e se per il tempio di Apollo non abbiamo elementi di giudizio, e mentre per quello dei Dioscuri abbiamo la riconferma dell’ipotesi, in quanto lo vedremo situato proprio nella area dell’agorà della più antica Neapolis, per il tempio di Demetra ci viene in aiuto un non recente, ma purtroppo ancora ignoto, notevole rinvenimento»21.

 

Che, ad un santuario di Demetra poteva appartenere la stipe votiva della quale parla Napoli rinvenuta nel 1933 a S. Aniello a Caponapoli che presenta anche materiali siceelioti,  è possibile. Al riguardo di questi materiali archeologici ecco cosa hanno dichiarato gli archeologi Borriello e De Simone:

 

«La composizione stessa della stipe … la preponderanza dei busti femminili con polos e in generale di tipi femminili, riconducono a Demetra: significativa sembra, inoltre, la presenza di alcuni tipi di Artemide, divinità ugualmente venerata in Sicilia e a Siracusa stessa, dove era associata al culto di Demetra e Kore, alle quali secondo la tradizione riportata da alcune fonti antiche, essa era strettamente collegata o talvolta addirittura assimilata. Un interessante aspetto del culto che andrà chiarito dallo studio complessivo e più approfondito dei materiali è l’eventuale commistione con il culto attico di Demetra, aspetto che al momento traspare esclusivamente attraverso alcune fonti letterarie di età romana, che attestano un ancor vivo culto di Cerere attica a Neapolis»22.

 

Quindi. Considerando le documentazioni archeologiche di questa stipe votiva penso che sia importante un’altra considerazioni che Miranda aveva presentato nel 1985 e che delinea la sua proposta:

 

«Benché l’epigrafe non menzioni alcuna divinità, il fatto che la sacerdotessa onorata fosse preposta ad un non meglio identificato oikos (casa, sala, tempio?) delle donne induce a pensare al culto tipicamente femminile di Demetra Thesmoforos»23.

 

Premesso che comunque una stipe votiva, in sé, documenta che c’è stato nell’area un tempio e che l'archeologo Mario Napoli abbia ipotizzato che il tempio di Demetra sorgesse nell'area di S. Aniello a Caponapoli e precisamente nei pressi dell'attuale ospedale degli Incurabili, oggi possiamo considerare che abbiamo qualcosa in più di una ipotesi?

 

Naturalmente si tratta di un interrogativo che al momento non può avere risposte definitive perché per quanto si conosca (e per quello che conosco io s’intende) non pare che siano state trovate strutture riferibili a un tempio anche se il materiale archeologico che comprende oltre 700 oggetti fittili (statuine, busti, testine, ecc.) in terracotta, ascrivibili al IV III sec. a.C., rappresenta una documentazione materiale che comunque va considerata nonché maggiormente ponderata.

 

 

I dati epigrafici sono importanti. Κομινια Πλουτογένεια, la sacerdotessa di Demetra Thesmoforos, presenta il gentilizio, Cominius, che è: tipicamente campano di origine osca24 e questo dimostra che ormai in Neapolis nel II secolo d. C, si era raggiunto un livello di integrazione obiettivamente molto alto rispetto ai secoli precedenti e l’uso della lingua greca non diminuiva con l’avanzare dei processi d’integrazione e le istituzioni nominalmente erano restate le stesse. Al riguardo bisogna anche dire che quest’epigrafe alla linea 13 ci dà una notizia importante perché ci documenta che il termine σύγκλητος rappresenta la più tarda attestazione per indicare il consiglio di Neapolis e Miranda, ci ricorda, che questo termine è stato il sinonimo di βουλέ nel decreto di asylia del 242 a. C.25:  sappiamo bene che in seguito ci saranno con la cristianità cambiamenti notevoli e il greco come lingua ufficiale e popolare lascerà il posto a quella latina.

 

 

Sulle sacerdotesse di Demetra, Dea che con l’impero romano aveva cambiato nome, era diventata Cerere, abbiamo informazioni più generali fornite da Cicerone con l’orazione, Pro Cornelio Balbo che è stata scritta nel 56 a.C., e pronunciata in difesa dello spagnolo Lucio Cornelio Balbo, accusato d'aver ottenuto la cittadinanza romana illecitamente. Ecco il testo:

 

Sacra Cereris, iudices, summa maiores nostri religione confici caerimoniaque voluerunt: quae quum essent assumpta de Graecis, et per Graecas semper curata sunt sacerdotes et Graeca omnis nominata. Sed cum illam, quae Graecum illud sacrum monstraret et faceret, ex Graecia deligerent: tamen sacra pro civibus civem facere voluerunt, ut deos inmortales scientia peregrina et externa, mente domestica et civili precaretur. Has sacerdotes video fere aut Neapolitanas aut Velienses fuisse, foederatarum sine dubio civitatum.

 

Traduzione:

 

«O giudici, i sacri riti di Cerere, nostri antenati, vollero essere compiuti dalla più alta religione e cerimonie, che, quando furono presi dai Greci, e furono sempre curati dai Greci, e nominati sacerdotesse di ogni greco, ma questi sacrifici erano stati sottratti ai Greci, erano sempre amministrati da sacerdotesse greche, sempre chiamate con un nome greco. Ma scegliendo una donna in Grecia per ammaestrarli e amministrare questi sacrifici, i nostri antenati volevano che pregasse per i cittadini e diventasse cittadina, affinché onorasse gli dèi immortali con riti stranieri, ma con lo spirito e l'anima di un romano. Vedo che queste sacerdotesse erano quasi sempre di Napoli o di Velia, che sono paesi indiscutibilmente federati»26.

 

Il fatto che le sacerdotesse per operare a Roma ed è pensabile anche per tutto l’impero, provenissero da Napoli in qualche modo s’intravvede un qualcosa simile ad un collegio di formazione attivo a Neapolis, ovviamente è solo un mio pensiero. Attenzione però, Ghinatti ci dice che:

 

«I culti greci trovavano ambiente favorevole alla loro sopravvivenza: erano, in questa lunga esistenza, la più evidente espressione del travaglio della città magno-greca negli anni del suo tramonto. Manteneva il suo fascino la religione di Demetra, tenuta in Campania in grande considerazione fin da epoca molto antica. Essa serbava, nelle sue forme, le espressioni varie e attraenti delle epoche passate»27.  

 

Queste osservazioni sono importanti perché “… Manteneva il suo fascino la religione di Demetra …” aveva come supporto una gestione organizzata da specialisti, la quale gestione  doveva essere sinergicamente connessa con processi di formazione continua degli addetti alle pratiche religiose. Ghinatti descrive le cerimonie per Demetra fornendo particolari verificati e storicamente riconosciuti, ed è chiaro che le cerimonie di culto dovevano essere bene organizzate e non certo improvvisate. Il culto di Demetra a Neapolis coinvolgeva maggiormente rispetto ad altri culti e Ghinatti delineando la fine della Neapolis greca così conclude il suo saggio:

 

«Napoli tuttavia resisteva, tenacemente legata a quella Grecità che ne aveva rappresentata l’anima per tanti secoli. Erano però gli ultimi bagliori di una luce che lentamente stava per spegnersi. Era solo l’accorato ricordo di una gente che non voleva credere nella definitiva scomparsa di una civiltà e che non voleva ammettere la conclusione di una secolare vicenda storica»28.

 

La formazione del culto di Demetra a Napoli è questione dibattuta come fenomeno religioso ed è legata alle vicende della formazione della città. Maurizio Giangiulio ha presentato un passo che merita di essere considerato. Ecco:

 

«Occorre prendere in considerazione la tradizione, preservata dal campano Velleio Patercolo, relativa al ruolo di Demetra nella fondazione di Cuma: in essa, com'è noto, è questione del notturno risonare dei bronzi che avrebbe guidato la flotta dei coloni verso il sito della colonia. Ora, il contesto sottolinea esplicitamente l'origine ateniese dei Calcidesi. Diventa pertanto legittimo ritenere che siamo di fronte ad una tradizione che si fa eco di una valorizzazione della presenza ateniese all'interno del mondo calcidese e dunque tesa a delineare indirettamente un retroterra giustificante dell'interesse ateniese per Neapolis. Che questo abbia implicato un'attenzione particolare per gli elementi di propaganda religiosa ed ideologica mostra del resto il comportamento di Diotimo verso il culto di Parthenope. E si rivela anche nell'utilizzazione della figura di Falero, nonché di quella di Daeira. L'identificazione di quest'ultima con la dea dell'Averno, attestata in Licofrone e probabilmente già in Eschilo, riporta infatti all'elemento ateniese, stante la sua pertinenza all'ambiente religioso di Eleusi»29.

                         

Certo Atene e Siracusa sono sempre state presenti in Neapolis ma il culto di Demetra nel tempo si è anche evoluto ed è diventato in età imperiale maggiormente coinvolgente e sono importanti le considerazioni di Giangiulio che ho presentato perché ci dà un quadro più completo delle relazioni della religiosità in generale con il culto di Demetra e, secondo me, è un quadro che va  approfondito. Neapolis è stata fondata dopo Cuma, ma non dopo moltissimo tempo, e comunque il culto di Demetra quando Neapolis è stata fondata era già ad uno stadio di formazione avanzato a Cuma e complessivamente in zona ed aveva una sua diffusione. Sulla formazione di Neapolis ovviamente bisogna approfondire quelle che sono state le correnti religiose, non è questa la sede, però, è importante considerare come Velleio Patercolo ce la descrive. Ecco:


«Nec multo post Chalcidenses orti, ut praediximus, Atticis Hippocle et Megasthene ducibus Cumas in Italia condiderunt ~ pars horum civium magno​ post intervallo Neapolim condidit»30.


Traduzione

Non molto tempo dopo le tribù di Calcide, come abbiamo detto prima, fondarono Cuma in Italia, sotto i capi dell’Attica Ippocle e Megastene. ~ Gran parte di questi cittadini fondò Neapolis dopo un breve intervallo.

 

Conclusioni

 

I due aspetti fondamentali dell’iscrizione dei decreti di Tεττίαι Kάσται, istituzioni e quello di Demetra Thesmophoros, sono stati fin qui delineati e per quanto è stato possibile anche analizzati, ma ancora c’è da approfondire, le conclusioni restano quindi aperte e mi propongo di riprenderle in un prossimo articolo. La data del terremoto del 62 d. Cr., è importante riprenderla, perché come ho detto all’inizio31 Neapolis e le città vesuviane avendo subito danni si trovavano in crisi e, chiaramente, non solo economica perché c’erano stati morti e feriti, ma anche perché edifici pubblici e privati erano stati distrutti o gravemente danneggiati e comunque c’era una crisi di alloggi in tutta l’area campana interessata dal sisma. Questa situazione è durata come sappiamo dalle documentazioni archeologiche di Pompei fino all’eruzione del Vesuvio del 79 d. Cr., e, sul tema basta solo prendere visione, ovviamente per Pompei dei famosi rilievi della casa di Caecilius Iucundus che descrivono in maniera efficace gli effetti del terremoto su alcuni monumenti pubblici del Foro, fig. 3, e della zona di Porta Vesuvio come il Castellum aquae, fig.4.

 


Cosa avrà fatto in concreto?

 

Non possiamo dirlo, ma è pensabile che oltre ad aver offerto statue d’argento agli dèi, al di là delle informazioni dell’epigrafe, tre deliberazioni sono atti istituzionali nel loro complesso eccezionali. Forse, non è da escludere un impegno mirato sulle problematiche sociali ma anche un attivismo per superare la crisi socioeconomica in corso.  

 

Una spia di osservazione su quella fase ce la offre Seneca che nel proemio del VI libro delle Naturales quaestiones annunciando la propria intenzione di dedicarsi allo studio dei terremoti, informa il lettore di ritornare ad affrontare una materia per lui appassionante, sulla quale in gioventù aveva già pubblicato un libro e questo vuol dire che il terremoto del 62 d. Cr., era al centro dell’attenzione generale. Al riguardo Arturo De Vivo ha pubblicato un quadro delle tensioni che animarono Seneca in quella fase finale della sua vita. Ecco un breve passo che ci dà di certo soltanto alcuni frammenti di lineamenti, ma sono indicativi secondo me delle tensioni di quella fase:

 

«La scelta di un’opera come le Naturales quaestiones, in cui lo sforzo conoscitivo si salda con l’intento pedagogico e parenetico, è una conversione al bene che nasce da pentimento reale, se pure tardivo»33.     

 

Al riguardo del, pentimento reale, citato da De Vivo sappiamo che Seneca era uno stoico e sappiamo anche che a Neapolis e dintorni l’epicureismo era molto diffuso. In generale per lo stoicismo la vita morale e quindi la sequela dei messaggi della loro filosofia era centrata sui concetti di dovere e virtù, per l’epicureismo il compito della filosofia invece era soltanto quello di condurre l’uomo alla felicità. Due concetti molto diversi, la differenza è che per gli stoici, tutto, ed anche i fenomeni naturali erano regolati da una ragione divina mentre per gli epicurei il mondo ha origine dal caso. La dialettica di queste tensioni caratterizza questa fase e Seneca che ne è coinvolto e analizzando il sisma ci fornisce delle notizie importanti descrivendone i danni. Ecco cosa dice sul sisma che è avvenuto il 5 febbraio del 62 d. Cr.:

 

[1,2] Nonis Februariis hic fuit motus Regulo et Verginio consulibus, qui Campaniam, numquam secura huius mali, indemnem tamen et totiens defuncia metu, magna strage vastavit. ~ Neapolis quoque priuatim multa, publice nihil amisit leniter ingenti malo perstricta, villae vero prorutae, passim sine iniuria tremuere. [1,3] Adiciuntur his illa: sexcentarum ouium gregem exanimatum et divisas statuas, motae post haec mentis aliquos atque impotentes sui errasse.

 

Traduzione

 

[2] Questo terremoto si è verificato alle None di febbraio, durante il consolato di Regolo e di Virginio, e ha devastato con gravi distruzioni la Campania, regione che non era mai stata al sicuro da questa calamità e che ne era sempre uscita indenne, anche se tante volte morta di paura; ~ anche Napoli ha subito perdite, molte fra le proprietà private, nessuna fra quelle pubbliche, essendo stata toccata leggermente dall’enorme disgrazia: in effetti, alcune ville sono crollate, altre qua e là hanno tremato senza essere danneggiate. [3] A questi danni se ne aggiungono altri: è morto un gregge di seicento pecore, alcune statue si sono rotte, alcuni dopo questi fatti sono andati errando con la mente sconvolta e non più padroni di sé. Sia il piano dell’opera che mi sono proposto, sia la coincidenza che dà attualità all’argomento esigono che esaminiamo approfonditamente le cause di questi fenomeni34.

 

Come si vede a Napoli i danni furono ingenti almeno per le proprietà private e nella sintesi “… alcuni dopo questi fatti sono andati errando con la mente sconvolta e non più padroni di sé” Seneca descrive lo stato della crisi che non fu certo leggera. Seneca però cita i consoli del 63 d. Cr., e Onorato così presenta il tema:

 

«La narrazione particolareggiata di Seneca trova conferma in Tacito il quale, pur tralasciando di menzionare le altre città che avevano risentito i danni del terremoto in misura minore, ne ricorda l’avvenimento per Pompei con la consueta sintetica e concisa brevità: iisdem consulibus … Et motu, celebrem Campaniae oppidum, Pompeii, magna ex parte proruit (sotto gli stessi consoli... E dal terremoto, la famosa città campana, Pompei, era stata in gran parte demolita). Concordi nel rilevare la gravità dei danni che Pompei ebbe a subire per questo terremoto, le fonti letterarie sono però in contrasto sulla specifica determinazione cronologica di quest’avvenimento, Chè alla precisa data fornitaci da Seneca – Nonius Februariis … Regulo et Verginio consulibus: 5 febbraio 63 d. Cr. - riscontro in Tacito la menzione dei consoli P. Marius e L. Afinius in carica nell’anno 62 d. Cr.»35.

 

 

Neapolis, città greca, è stata sempre all’attenzione degli studiosi sia in relazione all’ambiente generale  magno greco e anche sulle correnti del pensiero orfico-pitagorico ed eleate e sia perché in quest’area, unica in Italia, la cultura e la lingua greca rimasero sempre vitali, resistendo alla romanizzazione prima e alla desertificazione culturale del medioevo36. Piace in finale di quest’articolo ricordare Giovanni Pugliese Carratelli presentando il finale della sua presentazione al volume che raccoglie gli atti del convegno su Neapolis organizzato a Taranto dall’Istituto di Magna Grecia nel 1985:

 

«La costante adesione alla cultura greca, la cui comparsa nel Golfo è stata molto anteriore alla fondazione delle poleis italiote, come indicano i documenti micenei di Vivara e di Ischia, è stato uno dei più decisivi fattori della funzione storica di Napoli quale massimo centro di cultura, e quindi capitale, del Mezzogiorno, in tanto avvicendarsi di formazioni politiche e di dinastie. La storia di Napoli greca è dunque un capitolo tra i più importanti della storia d'Italia, antica e moderna; e quanto si fa per chiarirne i particolari e per salvarne le memorie è un segno di humanitas prima ancora che un contributo alla scienza storica»37.

 

 

Note

 

1. Testo, Traduzione e Commento dell’iscrizione: E. Miranda 1985, n. 115.1, pp. 387 col.3 e p. 388 col.1-2; Testo, foto e Commento dell’iscrizione, Miranda 1990, n.85 pp. 125-129; per la chiesa citata Guida Napoli p. 270.

2. Miranda 1990, pp. 126;
Beloch 1890, p.64 n.33.

3. Miranda 1985, p.388 col, 1-2.

4. Per la data del terremoto, Onorato 1949 p.644 e ss. S.v. nota 1. 

 

5. Miranda 1990, pp. 128-129.

6. Miranda 1985, per emendamento in italiano: dalla traduzione p.388 col, 1-2; per l’emendamento in greco: dal testo p.387 col. 3.

 

7. Miranda 1985, p. 391 col 1-2.

8. Miranda 1985, p. 394 col. 2.

 

9. Miranda 1990, n. 34 pp. 52-54

10. Miranda 1990, n. 83 pp.121-122.

11 Miranda 1985, p.386 col.3.

12. Sartori, p.55.

13. Forni1, p. 67.

14. Ghinatti 1959, p. 141.

15. Ghinatti 1960, p. 50.

16. Per il testo in greco qui pubblicato:
IG XII,4, 1 pp. 186-187 n. 221; il testo è disponibile anche in Fonti 1952, Decreto di asylia dell’Asclepieion di Cos (242 a. C.), p.377;  bibliografia complessiva dell’iscrizione: Herzog-Klaffenbach 1952, pp.20-21, e, anche, Rigsby 1996, p.147 n.46; la traduzione, Pugliese Carratelli 1952 p. 262, ma per per motivi di studio (personali s’intende) il testo della traduzione pubblicato è quello che compare in Lepore 1967, p. 244.

17. Lepore 1967, p. 244.

18. S. v. nota 8; per il testo in greco anche in: Fonti 1952, Demetra, p. 393; traduzione: Luigi Correra,
L’iscrizione napoletana di Cominia Plutogenia, in Napoli Nobilissima, XII, 1903, pp.157: «A Cominia Plutogegenia, sacerdotessa di Cerere legislatrice, figlia di Sa…, moglie di Paccio Caledo, stato arconte, e madre di Paccio Caledieno edile, ava di Castricio Pollione stato arconte, Tiberio Castricio Calediceno demarco alla bisavola in segno di affetto per decreto del Senato municipale».

19. Miranda 1985, 393 col. 1, s. v. nota 10 p.395 col.1.

20. Per l’epigrafe funeraria di Tettia di Enna,
Bernabò Brea 1947 p. 242; per Tettia Casta, Miranda 1998, p. 235: alla nota 39 si dichiara che la segnalazione dell’epigrafe di Tettia di Enna è stata segnalata da Fausto Zevi.

21. Miranda 1990 p.54; per l’ipotesi dell’ubicazione del tempio di Demetra a S. Aniello a Caponapoli, Napoli 1959, p. 141-142, s.v. anche p.224 nota n.262.
.
22. Borriello-De Simone, p. 161 col.1, per i richiami alle fonti letterarie s.v. note 11 e 12.

 23. Miranda 1985, p. 388 col. 2.

24. Miranda 1990, p.53.

25. Miranda 1990, p.54. Per il decreto di asylia del 242 a. C., s. v. nota 15.

26. Testo latino: Fonti 1952 p.393, Demetra, Cicero, pro Balbo 34,25.

27. Ghinatti 1967 p. 98.

28. Ghinatti 1967 p. 109.

29. Giangiulio 1985 p. 146.

30.
Fonti 1952 p.272: Velleius Paterculus I 4, 1.

31. S.v. nota 4;

32. Per i danni a Pompei, Andreau 1979: i due rilievi p.40-41; per i rilievi della casa di Caecilius Iucundus, Maiuri 1942, pp.11-24.  

33. De Vivo 2012 p.96.

34. Fonti 1952 p. 382: Il terremoto del 62, Seneca, Nat. Quaest. VI 1, 2.

35. Onorato 1949, p.646.

36. Pugliese Carratelli 2015.

37.
Neapolis 1985, p, 7.  


BIBLIOGRAFIA

 

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         IG XII,4, 1 = 4.1: Inscriptiones Coi Calymnae insularum Milesiarum. 1, Inscriptiones Coi insulae: decreta, epistulae, edicta, tituli sacri  Berlin 2010 fa parte di: 12: Inscriptiones graecae insularum maris Aegaei praeter Delum , 4, 1.
 

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Miranda 1998 = Elena Miranda, Sacerdozi a Napoli in età romana, in I Culti della Campania, Atti del Convegno Internazionale di Studi in ricordo di Nazzarena Valenza Mele, Napoli 15-17 maggio 1995, pp.231-238.

 

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Pugliese Carratelli 2015 = Giovanni Pugliese Carratelli, Umanesimo napoletano, a cura di Gianfranco Maddoli, Rubbettino Editore «Collezione di studi meridionali» Soveria Mannelli 2015, pp. 305.

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Sartori = Franco Sartori, Problemi di storia costituzionale italiota Vol. I Roma 1953.

 

Referenze fotografiche

Fig. 1, MAN, inv. 2452, lapide marmorea con decreti per Tettia Casta: “su concessione del Ministero della Cultura - Museo Archeologico di Napoli (Rif. 193-2022) - foto di Salvatore Granata”.
Fig. 2: epigrafe funeraria di Tettia di Enna, Bernabò Brea 1947 p. 242, fig. 1.  
Fig. 3: Pompei, rilievo della casa di Caecilius Iucundus, Andreau 1979 p.40 fig. 10.
Fig. 4: Pompei, rilievo della casa di Caecilius Iucundus, Andreau 1979 p.41 fig. 11.

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