Archeologia. Tεττίαι Kάσται tra Demetra Thesmophoros e la πρóσκλητος-βουλή-σύνκλητος
della Neapolis
del I secolo d. Cr.
Articolo di Felice di Maro
Abstract:
Naples I century after Christ. Tεττίαι Kάσται, a lifelong priestess of the women's house, was she also a clerk in the Demeter Thesmophoros cult? The scholars analyzed all available data. For Tεττίαι Kάσται, what was the Roman Neapolis approved three decrees for her, known to us from an epigraph found in 1612. The reasons presented by scholars are also presented on the theme that the institutional bodies of the city were two. So βουλή and σύνκλητος could be synonymous?
A Napoli, nel cuore del quartiere di Forcella, non lontano dal corso Umberto dove oggi c’è l’Ospedale Ascalesi c’era un antico monastero, parte di un complesso più ampio che includeva anche l’attuale Chiesa di Santa Maria Egiziaca all’Olmo. Nel 1612 proprio tra i ruderi di questo monastero fu rinvenuta una lapide marmorea, oggi, corrosa purtroppo e fratta a destra ed in basso, di un’epigrafe, fig. 1, in lingua greca che grazie ai nomi dei consoli citati, Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, e, Lucio Flavio Fimbria e Atilio Barbaro, è stato possibile datarla tra maggio e agosto del
71 d.C., la lapide era affissa davanti alla porta del monastero che era stato costruito nel 13421.Alta
0,985, larga 1, 56 e spessa 0,235 presenta lettere da 0,017 a 0,082, solo le linee
1-6 sono in lettere minuscole. Ecco il testo:
Tεττίαι Kάσται ἱερείαι τ[οῦ – –
-]
τῶν
γυναικῶν οἴκου διὰ βίου ψηφ[ίσματα].
Ἐπὶ
ὑπάτων Kαίσαρος Σεβαστοῦ υἱοῦ Δομιτι[ανοῦ καὶ Γαίου]
Οὐαλερίου
Φήστου ιδʹ Ληναιῶνος, γραφ[ομένων παρῆσαν]
5 Λούκιος
Φροῦγι, Kορνήλιος Kεριᾶλις, Ἰούνιος [- – -],
περὶ
οὗ προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Tρανκουίλλιος Ῥοῦφος ὁ ἀντάρχων, περὶ τού[του
τοῦ
πράγματος οὕτως εὐηρέστησεν]·
τὴν
γνώμην ἁπάντων ὁμολογοῦντας κοινὴν εἶναι λύπην τὴν πρόμοιρον Tεττίας Kά[στας
τελευτήν, γυναικὸς φιλοτιμησαμέ]-
νης
εἴς τε τὴν τῶν ἁπάντων εὐσέβειαν καὶ εἰς τὴν τῆς πατρίδος εὒνοιαν, ἀργυρῶν ἀνδριάντων
ἀνε[κλείπτους ἀναστάσεις τοῖς θεοῖς ποιη]-
σαμένης
πρός τὸ μεγαλοψύχως εὐεργετῆσαι τὴν πόλιν, τιμᾶν ἀνδριάντι καὶ ἀσπίδι
ἐγγ[εγραμμένηι Tεττίαν Kάσταν καὶ θάπτειν αὐτὴν]
10 δαπάνῃ
μὲν δημοσίαι, ἐπιμελείᾳ δὲ τῶν προσηκόντων, οὓς δυσχερές ἐστιν παραμυθήσασθαι,
λ̩ι[βανωτοῦ
λίτρας num. καὶ τό]-
πον εἰς κηδείαν δίδοσθαι καὶ εἰς ταῦτα ἐξοδιάζειν. Ἐπὶ ὑπάτων Kαίσαρος Σεβαστοῦ [υἱοῦ
Δομιτιανοῦ καὶ Γ. Oὐαλερίου Φήστου num. πρὸ καλ.]
Ἰουλίων,
γραφομένων παρῆσαν Γράνιος Ῥοῦφος, Λούκιος Πούδης vac. Ποππα̩ῖ[ος
Σεουῆρος],
περὶ οὗ
προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Φούλβιος Πρόβος ὁ ἄρχων, περὶ τούτου τοῦ
πρ[άγματος οὕτως
εὐηρέστησεν· – – – τὴν]
δημοσίαν
δαπάνην, ἣν ἡ βουλὴ συμπαθοῦσα ἐψηφίσατο Tεττίᾳ Kάστᾳ +Υ[- – –
καὶ στεφανῶσαι]
15 χρυσῶι στεφάνωι
μαρτυροῦντας αὐτῆς τῶι βίωι δημοσίωι ἑπαί[νωι – – -]
Ἐπὶ ὑπάτων
Λουκίου Φλαουίου Φιμβρία καὶ Ἀτειλίου Βαρβάρου [- – – γραφομένων παρῆσαν]
Ἀρίστων
Βύκκου, Ἀουίλλιος Ἀρριανός, Οὑέρριος Λειβ[ερᾶλις],
[περ]ὶ οὗ
προσανήνενκεν τοῖς ἐν προσκλήτωι Ἰούλιος Λειουεια[ν]ὸ[ς ὁ ἀντάρχων, περὶ τούτου
τοῦ πράγματος οὕτως εὐηρέστησεν]·
[Tεττ]ίᾳ τόπον εἰς
κηδείαν ἀπὸ τοῦ τείχους ἐν μετώπωι μέχρι [- – -]
20 [-c.4-]κοντα ἑξ οἰκοδομεῖν
ἐπιτρέπειν καὶ ἀπὸ τῆς στ[ήλης εἰς ped. num. πανταχόσε ἄλλωι
μηδενὶ
κηδείαν]
[ἐπὶ] τῶι αὐτῶι τόπῳ δίδοσθαι.
[..] Δομίτιοι Λέπιδ[ος καὶ cogn. τῆι γλυκυ]-
[τά]τηι μητρὶ καὶ Λ. Δομ[ίτιος cogn. τῆι ἐαυτοῦ
γυναικί]2.
Traduzione
Decreti
per Tettia Casta sacerdotessa a vita del […] casa delle donne.
Sotto i
consoli Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, il 14 di
Lenaione, erano presenti alla registrazione Lucio Frugi, Cornelio Ceriale,
Giunio […]
Circa
la questione sulla quale l’antarconte Tranquillio Rufo riferì a quelli nella proskletos,
così piacque:
convenendo sull’opinione di tutti che sia un dolore comune la morte precoce di
Tettia Casta, donna che ha aspirato ardentemente al rispetto verso tutti e
all’amore verso la patria, e che ha innalzato incessantemente statue d’argento
agli dei per beneficiare generosamente la città, (piacque di) onorare Tettia
Casta con una statua e un ritratto su scudo e seppellirla a spese pubbliche, ma
a cura dei parenti, che è difficile confortare per […] e dare un luogo per la
sepoltura e pagare per queste cose.
Sotto i
consoli Domiziano Cesare figlio dell’Augusto e Gaio Valerio Festo, il […] di
luglio. Erano presenti alla registrazione Granio Rufo, Lucio Pudente Poppeo
Severo;
circa la
questione sulla quale l’arconte Fulvio Probo riferì a quelli nella proskletos,
così piacque:
la
spesa pubblica per la statua, che il consiglio con conformità di sentimenti
decretò per Tettia Casta […], incoronare con una corona d’oro, rendendo
testimonianza alla sua vita con pubblica lode […]
Sotto
i consoli Lucio Flavio Fimbria e Atilio Barbaro […], erano presenti alla
registrazione Aristone (figlio) di Bucco, Avillio Arriano, Verreio Liberale,
circa
la questione sulla quale l’antarconte Giulio Liviano riferì a quelli nella proskletos,
così piacque:
(concedere)
a Tettia un luogo per la sepoltura dal muro sulla fronte fino a […] 6 lasciar
costruire e dalla stele per tot piedi in tutte le direzioni a nessun altro
concedere la sepoltura nello stesso luogo.
I
Domizii Lepido e… per la… madre e Lucio Domizio per la… moglie fecero3.
L’iscrizione presenta tre deliberazioni a favore di Tettia Casta, sacerdotessa di una οἴκος delle donne che potrebbe essere identificata come una casa delle donne, ma anche come un tempio oppure anche come una sede di un’associazione. Al di là della funzione di sacerdotessa che, come si dichiara, era a vita è possibile ipotizzare che Tettia Casta, morta prematuramente, era un riferimento per le donne di Neapolis anche in linea generale e non soltanto a livello delle pratiche religiose. Si tenga conto che le condizioni socioeconomiche in quella fase non erano buone perché Il 5 febbraio del 62 d.C., sotto il regno dell’imperatore Nerone, c’era stato un violento terremoto che, come sappiamo, colpì Pompei e le città vesuviane e anche Neapolis, l'epicentro è stato localizzato all'interno di una faglia sul lato meridionale del Vesuvio, nei pressi di Stabiae. Le città che subirono danni furono quelle non lontane dall'epicentro e quindi Pompei, Ercolano e Stabiae, ma danni si verificarono anche in tutta l’area della Campania meridionale tra Napoli e Nocera, approfondirò il tema nelle conclusioni4.
Le
problematiche che l’scrizione presenta sono state analizzate sia sotto
l’aspetto istituzionale della Neapolis del I secolo d. Cr., e sia per
quello della religiosità, anche se l’epigrafe non menziona alcuna divinità si è
dichiarato che sarebbe ipotizzabile un culto femminile quale quello della
Demetra Thesmophoros. Nessuna delle ipotesi che sono state proposte presenta documentazioni
tali da definire ricostruzioni sicure e quindi definitive anche se le varie analisi
hanno delineato un quadro storico-storiografico rilevante certo, non
complessivo, ma aperto che con le nuove documentazioni archeologiche,
disponibili, grazie oggi agli scavi per la costruzione della metropolitana, verrà
dinamicamente rilanciato per riproporre nuovi aggiornamenti della storia della Neapolis
romana.
In
quest’articolo si mettono in evidenza quelle problematiche che maggiormente si evidenziano
e sono ancora aperte, ma che pur essendo classificate come ipotesi possono al
riguardo avere ancora ulteriore attenzione con approfondimenti mirati.
Iniziammo con le questioni, obiettivamente aperte e sia chiaro, delle istituzioni della città. Elena Miranda nella sua pubblicazione delle iscrizioni greche di Napoli del 1990 non accetta che οἰ ἐν προσκλήτῳ, «quelli nella proskletos», siano la prova che sia esistito un organo distinto dalla βουλή. È stata una innovazione e come io interpreto s’intende, rispetto all’interpretazione pubblicata precedentemente nel 1985 anche se già allora pur avendo presentato un testo dell’iscrizione che era stato accettato in precedenza da vari studiosi, aveva fatto varie osservazioni che riproporrò più avanti. Ecco quanto ha dichiarato nel 1990 per la linea 14 del testo in greco dell’iscrizione:
A mio parere non è il caso
di costruire ipotesi così raffinate su di un testo chiaramente lacunoso. Non si
può non tener conto del fatto che proprio la formula εὖ [ἔχειν] ecc. è frutto
del supplemento di Kaibel. Volutamente, quindi, ho preferito non inserire tale
integrazione nel testo, ma citarla solo nell’apparato critico alla pari con
quelle proposte da altri editori. Del resto, anche senza intervenire sul testo,
è possibile sostenere l’identità tra πρóσκλητος e βουλή. Se è vero che la spesa
pubblica a favore di Tettia appare qui votata dalla βουλή, è altrettanto vero che con il decreto precedente la πρóσκλητος aveva approvato un’analoga δημοσία δαπάνη. Alla linea 14, a
mio avviso, l’organo deliberante non fa che richiamare alla memoria la sua
stessa decisione per apportarvi poi delle integrazioni5.
Nel 1985 il testo presentato alla linea 14
conteneva quest’emendamento:
εὖ
[ἔχειυ· ἄξιον δὲ καὶ ἐπαινέσαν
αὐτὴ καὶ στεφανῶσαι]
(va bene; è giusto
lodarla e inconorarla)6.
L’emendamento si riferiva a Tettia Casta ed aveva la sua motivazione in quanto εὖ [ἔχειν] «va bene» indicando
l’approvazione di un decreto della boulé da parte dei membri della proskletos,
permetteva d’ipotizzare un organo separato rispetto alla boulé, ma già
allora, bisogna dire, Miranda osservava che proprio la formula «va bene» era stata
totalmente integrata dagli editori precedenti. Questa formula si riferiva ad
una spesa pubblica decretata poche righe prima e proprio dai membri della proskletos.
Al riguardo, si tenga conto che la boulé o synkletos nel 90 a. C.,
quando Neapolis diventò municipio romano si erano trasformati, comunque,
in un nuovo consiglio mantenendone soltanto il nome.
È importante considerare che
Miranda oltre a quest’iscrizione che si sta qui esaminando si era riferita (op.cit.,
Miranda 1985) anche alle iscrizioni quali 116.1, 117.1, IG XIG 756 a, 758 per
dimostrare che boulé o synkletos sono la stessa istituzione e hanno
operato decretando deliberazioni similari che sono state poste o dai magistrati
o comunque come decreti consolatorii. Brevemente le presento:
116.1 è un’epigrafe su una
base di marmo (Inv. MAN 2453) rinvenuta nel 1858 presso il teatro antico in Via
San Paolo del II sec. d.C., e cita come consiglio della città di Napoli la bulé7;
117.1è un’epigrafe su una
lastra di marmo opistografa che presenta scritte su entrambe le
facciate, è stata rinvenuta durante i lavori del Risanamento al vico Cavalcatoio
fuori Porta Capuana e fu acquistata per conto della società di Storia Patria
nel 1882 (Miranda 1995 n.112 pp.42-43) il consiglio viene citato come synkletos8;
IG XIV 756 a, è
un’epigrafe su base marmorea con cornice modanata murata in una parete del
cortile di Via dei Tribunali 62 (Miranda 1990 n.34 pp.52-54) rappresenta la più
tarda attestazione del consiglio che viene indicato come synkletos sulla
linea 139.
IG XIV 758 è un’epigrafe
perduta databile al 71 d. C., nota per un apografo del Morillon ed è stata
vista nella casa di Francesco Guevara che fu del Pontano, contiene un decreto
dei decurioni10.
Altra questione esposta nel 1985 è quella che poteva riferirsi sia alla boulé e sia all’assemblea popolare la citazione del termine proskletos, in quanto esso è un aggettivo che significa convocata e chiaramente può riferirsi sia alla boulé e sia alla synkletos. Ecco Miranda come aveva presentato il tema:
L’ipotesi che a Napoli questa parola indichi
un’assemblea popolare straordinaria non ha fondate prove su cui basarsi. La
maggior parte degli studiosi ritiene che «quelli nella proskletos» siano
comunque consiglieri municipali. L’espressione, se non è soltanto un sinonimo di
boulé, può indicare una giunta all’interno del consiglio o, più semplicemente,
i membri presenti a quella particolare riunione11.
A sostegno cita Sartori e Forni.
Sartori dice:
«… particolarità di Napoli è costituita dal
modo non uniforme di indicare il senato o consiglio comunale, ora detto βουλή,
ora σύνκλητος, ora πρόσκλήτος. Poiché però questo ultimo termine appare sempre
nell’espressione οἱ ἐν προσκλήτωι, non escluderei che indicasse semplicemente
una giunta entro il senato, tanto più che nel contesto si presenta sempre anche
il titolo βουλή, e questa circostanza fa pensare che si tratti di organi
giuridicamente diversi. Ἡ πρόσκλητοσ può ben essere una sezione del senato, sul
tipo della pritania ateniese, o indicare l’insieme dei presenti alla seduta.
Quando la lingua usata è la latina, i buleuti sono detti regolarmente decurioni»12.
Forni dice:
«Per quanto riguarda la documentazione
relativa alle istituzioni legislative di Napoli durante il I sec. C., si
osserva che l’espressione οί ἐν προσκλήτῳ compare in iscrizioni nel cui
contesto ritorna anche βουλή (qui, nel testo del suo saggio la
nota n. 24 riporta i dati dell’iscrizione che stiamo esaminando): per cui
quand’anche si volesse pensare che detta espressione significasse una
commissione senatoriale, questa si risolverebbe comunque nella βουλή; tanto meglio
poi se nell’espressione οί ἐν προσκλήτῳ si volesse ravvisare solamente
l’insieme dei presenti alla seduta della βουλή»!3.
Alcune osservazioni sono importanti per avere
un quadro più completo. Il Ghinatti ritiene che «quelli nella proskletos»
e il consiglio municipale siano due organi distinti, ma bisogna fare una
considerazione.
Che la proskletos sia stata nella Magna
Grecia e nella Grecia un consiglio è noto, ma a Napoli siamo in una
cronologia diversa che è quella del I sec. d. C, e siamo quindi in piena età
imperiale e il centro dell’Impero è Roma. Ora che Napoli avesse una conclamata
cultura greca non significa che le sue istituzioni avessero conservato in piena
età imperiale i poteri di quelle greche dei secoli precedenti quando Neapolis
era stata fondata anche se nominalmente gli organi istituzionali non erano
cambiati. L’integrazione della linea 14 con, εὖ ἔχειν «va bene» riproposta da
Ghinatti ha rappresentato e secondo me rappresenta ancora, una questione
aperta. Ecco cosa dice:
«In un altro gruppo di iscrizioni che risalgono all’anno 71 d. C. o agli
anni immediatamente seguenti, troviamo attestati invece due consessi: una βουλή
e una πρόσκλητος (qui, viene richiamata la nota n. 98 che cita anche
l’iscrizione che stiamo esaminando). Non mi pare che i due termini designino
un unico consiglio, sia perché i greci e i Romani, come d’altronde anche noi,
usarono grande precisione nei termini legislativi, specie nei decreti
ufficiali, sia perché la πρόσκλητος appare chiaramente distinta dalla boule
(qui, ancora, nel suo saggio la nota n.101 cita l’iscrizione che stiamo
esaminando). Né è da trascurare il fatto che alla proskletos riferisce un
solo arconte, mentre alla boule riferiscono entrambi gli arconti. Il fatto che
proskletos e boule siano menzionate nei medesimi testi, fa pensare a organi
giuridicamente diversi»14.
Al Ghinatti ha replicato Giovanni Forni. Ecco:
«Le contraddizioni appaiono
tanto più stridenti, in quanto sono applicate dal Ghinatti alla stessa
categoria di monumenti: poiché se, come egli osserva a proposito delle
iscrizioni neapolitane del 71 d.C., “i Greci e i Romani… usarono grande
precisione nei termini legislativi, specie nei decreti ufficiali”, non sono
forse decreti ufficiali quelli di Siracusa e di Agrigento, della fine del III
sec. a. C., nei quali egli ravvisa un “uso un po’ (o alquanto) libero dei
termin?”»15.
βουλή o σύνκλητος sono la stessa istituzione o
no?
È un interrogativo aperto, ma teniamo in conto
che nell’isola di Kos un’epigrafe, opistografa, rinvenuta presso l’Asclepieion,
datata al 242 a. C., offre informazioni importanti perché documenta una deliberazione
del consiglio e dell’assemblea popolare di Neapolis, che è stata incisa insieme
con quelle di Elea e di Pella, su una stele esposta nel santuario insieme alle
altre copie dei decreti di città e dinasti greci. Gli άrchontes, il
consiglio e il popolo di Neapolis indicherebbero due organi legislativi. Ecco
il testo in greco:
ψαφίσματα,
ἃ ἐκόμισαν θεωροὶ Ἐπιδαύριος Νικάρχου, Φιλόφρων Δαρδά<ν>ου·
III
Νεοπολιτᾶν ἔχον 〚ἔχον〛 ἐπίσαμον ζώιδιον
ἀνδρεῖον·
ἐπειδὴ παρὰ τῆς πόλεως τῆς Κώιων ἀρχιθέωρος παραγενόμενος
Ἐπιδαύριος Νικάρ–
20 χου καὶ θεωροὶ Φιλόφρων Δαρδάνου καὶ Σιμίας Τιμασιφῶντος
ἀνανεοῦνταί τε τὴν ο[ἰ]–
κειότητα καὶ τὴν εὔνοιαν, ἣν ἔχουσα ἡ πόλις ἡ Κώιων διατελεῖ
πρὸς τὴν πόλιν τὴν Νε–
οπολιτῶν, καὶ ἐπαγγέλλουσι θυσίαν τῶι Ἀσκληπιῶι καὶ ἀγῶνα
καὶ ἀξιοῦσιν τὸ ἱερὸν
τοῦ Ἀσκληπιοῦ ἄσυλον παραδέξασθαι, τύχηι
ἀγαθῆι, ἔδοξε τοῖς ἄρχουσι καὶ τῆ[ι]
συνκλήτωι καὶ τῶι δήμωι· τήν τε οἰκειότητα
καὶ τὴν εὔνοιαν τὴν τῆς πόλεως τῆς
25
Κώιων ἀποδέ<ξ>ασθαι καὶ τὴν θυσίαν καὶ τὸν ἀγῶνα τοῦ Ἀσκληπιοῦ
συναύξειν·
ὑπάρχειν δὲ καὶ τὸ ἱερὸν ἄσυλον· δοῦναι
δὲ καὶ εἰς θυσίαν τῶι Ἀσκληπιῶι μνᾶς τρεῖς·
καλέσαι δὲ τοὺς θεωροὺς ἐπὶ ξένια. vacat
Traduzione
«Decreto dei Neapolitani, avente come emblema
una figura di animale maschio. Poiché l’archithéoros Epidaurio figlio di
Nicarco venuto dalla polis dei Coi, e i théoroi Philophron figlio di
Dardano e Simia figlio di Timasifonte, rinnovano (l’attestazione
del)l’amicizia e benevolenza che la pólis dei Coi ha costantemente avuto
verso la pólis dei Neapolitani, e danno l’annunzio di un sacrificio ad
Asclepio e di un agone, e chiedono che il santuario di Asclepio sia
riconosciuto άsylon: con buona fortuna gli άrchontes e il consiglio e il
popolo hanno decretato: ‘Si accetti l’amicizia e la benevolenza della polis
dei Coi, e si contribuisca al sacrificio e all’agone di Asclepio; il santuario
sua άsylon; si diano per il sacrificio ad Asclepio tre mine; si invitino
i théoroi a un convito ospitale’»16
Questo documento oltre ad indicare che i
demarchi non erano più operativi e che ora i poteri sono degli άrchontes,
ci dice che ci sono due organi legislativi, ma con quali poteri? Le
osservazioni di Lepore penso che siano importanti:
«Com’è stato notato, la presenza dei due organi
legislativi, il consiglio, σύνκλητος, e l’assemblea popolare, δεμος, indicherebbero la persistenza di una
costituzione democratica, ma la formula con cui viene emesso il decreto,
affiancando ad essi gli άrchontes, analogamente a quanto avviene in
decreti di altre città greche di tarda età ellenistica o del periodo romano,
dimostra che “come quelle póleis, anche in Neapolis v’era ormai una
democrazia nominale, nella quale la classe ricca aveva praticamente il monopolio
delle magistrature, e l’effettiva politica era accentrata, mediante il potere
probuletico, in un ‘governo’ ( gli ἅρχοντες) espresso da quella classe.
Ciò che in póleis di Grecia e d’Asia la pressione o l’interferenza di
monarchi, operò in Neapolis” -si è concluso conseguentemente- “la politica
egemonica romana”»17
Demetra
Thesmophoros
Premesso che Demetra è stata una
divinità
greca associata all'agricoltura
e in generale alle stagioni
dei raccolti, ed era connessa con le religioni misteriche, in particolare con
quella dei misteri
eleusini, a Neapolis aveva un suo culto non
associato con quello dei misteri eleusini,
ma come Thesmoforos. L’epigrafe della sacerdotessa di Demetra Thesmoforos è
già stata presentata in quest’articolo, IG XIV 756 a18, ed è della
seconda metà del II sec. d. C.
Questa epigrafe ci informa che la sacerdotessa,
Κομινιαι
Πλουτογενίαι era addetta al culto di Demetra
Thesmoforos. Le Tesmoforie erano delle feste celebrate
ad Atene in onore della dea Demetra Tesmofora,
istitutrice dell'agricoltura
e del matrimonio
ed a Napoli aveva un culto: strettamente riservate alle donne19.
È importante considerare che nella mitologia romana Demetra
corrisponde a Cerere,
Stazio (Silvae, IV, 8, 45-46, 50) la menziona accennando ad un culto
misterico celebrato da iniziati che corrono agitando una fiaccola, ma
nessun’altra fonte ci dà notizia di misteri celebrati in questo modo a Napoli
in onore di Demetra. Da Stazio viene presentata anche come Actea, cioè
attica, e questo significa che il culto non è stato introdotto a Napoli
soltanto tramite Siracusa a seguito o durante la fase della rifondazione della
città, ma anche da Atene che può aver favorito un diverso modo di onorare la
dea: il culto di Demetra è attestato anche ad Eretria.
Un possibile riferimento con la Sicilia al di
là dei quadri storiografici generali che non sono oggetto di trattamenti in
quest’articolo è stato con un’epigrafe funeraria di età imperiale rinvenuta nel
novembre del 1942 ad Enna in località Porto Salvo nei pressi della torre di
Federico II durante l’esecuzione di lavori militari. Com’è noto ad Enna il
culto di Demetra è ben documentato, ma, al di là del nome che è uguale, Tettia,
come si vede in fig. 2, altro non è possibile dire perché il testo è incompleto:
Miranda, considerando che il culto di Demetra con questa epigrafe di Κομινιαι Πλουτογενίαι è documentato a Neapolis, in riferimento all’epigrafe dei decreti per Tettia Casta, mettendo in evidenzia che:
«a Napoli esistesse un’associazione
femminile votata al culto di Demetra e che Tettia ne fosse la sacerdotessa a
vita»
così propone:
«L’esistenza di tale associazione appare
assai pertinente ai rituali delle Tesmoforie, riservate strettamente alle donne.
Poiché il decreto di Tettia è della piena età imperiale, sarà utile ricordare
che in ambiente romano non solo esistevano collegi di cultores composti di sole
donne, ma che proprio il culto di Cerere era affidato in modo specifico alle
matrone. Che poi questo culto fosse esemplato in modo totale sul modello greco
è cosa ben nota»20.
Le considerazioni sull’epigrafe di Tettia Casta
di Miranda che in quest’articolo si stanno esaminando rappresentano qualcosa in
più di un’ipotesi che possa essere stata una sacerdotessa di Demetra. Questo
qualcosa in più secondo me è anche in funzione del fatto che, l'archeologo Mario Napoli nel
1959 aveva proposto che il tempio di Demetra esisteva a Napoli e poteva trovarsi
nell'area di Caponapoli, e precisamente nei pressi dell'attuale ospedale degli
Incurabili. Ecco cosa ha pubblicato in un suo libro:
«Il
tempio di Demetra deve più validamente essere posto nella parte alta della
città, in quella zona che abbiamo identificata come nucleo più antico e
originario di Neapolis. Innanzi tutto, dopo la nostra identificazione di questa
prima fase di Neapolis, sembra legittima l’ipotesi che i templi dei culti più
strettamente connessi alle origini della città e più legati alla madrepatria
Cuma siano situati in questa parte più antica della città nuova: e se per il
tempio di Apollo non abbiamo elementi di giudizio, e mentre per quello dei
Dioscuri abbiamo la riconferma dell’ipotesi, in quanto lo vedremo situato
proprio nella area dell’agorà della più antica Neapolis, per il tempio di
Demetra ci viene in aiuto un non recente, ma purtroppo ancora ignoto, notevole
rinvenimento»21.
Che, ad un santuario di Demetra poteva appartenere
la stipe votiva della quale parla Napoli rinvenuta nel 1933 a S. Aniello a Caponapoli
che presenta anche materiali siceelioti, è possibile. Al riguardo di questi
materiali archeologici ecco cosa hanno dichiarato gli archeologi Borriello e De
Simone:
«La composizione stessa
della stipe … la preponderanza dei busti femminili con polos e in generale di
tipi femminili, riconducono a Demetra: significativa sembra, inoltre, la
presenza di alcuni tipi di Artemide, divinità ugualmente venerata in Sicilia e
a Siracusa stessa, dove era associata al culto di Demetra e Kore, alle quali
secondo la tradizione riportata da alcune fonti antiche, essa era strettamente
collegata o talvolta addirittura assimilata. Un interessante aspetto del culto
che andrà chiarito dallo studio complessivo e più approfondito dei materiali è
l’eventuale commistione con il culto attico di Demetra, aspetto che al momento traspare
esclusivamente attraverso alcune fonti letterarie di età romana, che attestano
un ancor vivo culto di Cerere attica a Neapolis»22.
Quindi. Considerando le
documentazioni archeologiche di questa stipe votiva penso che sia importante un’altra
considerazioni che Miranda aveva presentato nel 1985 e che delinea la sua
proposta:
«Benché l’epigrafe non
menzioni alcuna divinità, il fatto che la sacerdotessa onorata fosse preposta
ad un non meglio identificato oikos (casa, sala, tempio?) delle donne induce a
pensare al culto tipicamente femminile di Demetra Thesmoforos»23.
Premesso
che comunque una stipe votiva, in sé, documenta che c’è stato nell’area un
tempio e che l'archeologo Mario Napoli abbia ipotizzato che il tempio di
Demetra sorgesse nell'area di S. Aniello a Caponapoli e precisamente nei pressi
dell'attuale ospedale degli Incurabili, oggi possiamo considerare che abbiamo
qualcosa in più di una ipotesi?
Naturalmente
si tratta di un interrogativo che al momento non può avere risposte definitive perché
per quanto si conosca (e per quello che conosco io s’intende) non pare che
siano state trovate strutture riferibili a un tempio anche se il materiale
archeologico che comprende oltre 700 oggetti fittili (statuine, busti, testine,
ecc.) in terracotta, ascrivibili al IV III sec. a.C., rappresenta una
documentazione materiale che comunque va considerata nonché maggiormente
ponderata.
I dati epigrafici sono
importanti. Κομινια Πλουτογένεια, la sacerdotessa di Demetra
Thesmoforos, presenta il gentilizio, Cominius, che è: tipicamente
campano di origine osca24 e questo dimostra che ormai in Neapolis
nel II secolo d. C, si era raggiunto un livello di integrazione obiettivamente molto
alto rispetto ai secoli precedenti e l’uso della lingua greca non diminuiva con
l’avanzare dei processi d’integrazione e le istituzioni nominalmente erano
restate le stesse. Al riguardo bisogna anche dire che quest’epigrafe alla linea
13 ci dà una notizia importante perché ci documenta che il termine σύγκλητος
rappresenta la più tarda attestazione per indicare il consiglio di Neapolis e
Miranda, ci ricorda, che questo termine è stato il sinonimo di βουλέ nel
decreto di asylia del 242 a. C.25: sappiamo bene che in seguito ci saranno con la
cristianità cambiamenti notevoli e il greco come lingua ufficiale e popolare lascerà
il posto a quella latina.
Sulle sacerdotesse di Demetra, Dea che con l’impero
romano aveva cambiato nome, era diventata Cerere, abbiamo informazioni più
generali fornite da Cicerone con l’orazione, Pro Cornelio Balbo che
è stata scritta nel 56 a.C., e pronunciata in difesa dello spagnolo Lucio
Cornelio Balbo, accusato d'aver ottenuto la cittadinanza
romana illecitamente. Ecco il testo:
Sacra
Cereris, iudices, summa maiores nostri religione confici caerimoniaque
voluerunt: quae quum essent assumpta de Graecis, et per Graecas semper curata
sunt sacerdotes et Graeca omnis nominata. Sed cum illam, quae Graecum illud
sacrum monstraret et faceret, ex Graecia deligerent: tamen sacra pro civibus
civem facere voluerunt, ut deos inmortales scientia peregrina et externa, mente
domestica et civili precaretur. Has sacerdotes video fere aut Neapolitanas aut Velienses
fuisse, foederatarum sine dubio civitatum.
Traduzione:
«O
giudici, i sacri riti di Cerere, nostri antenati, vollero essere compiuti dalla
più alta religione e cerimonie, che, quando furono presi dai Greci, e furono
sempre curati dai Greci, e nominati sacerdotesse di ogni greco, ma questi
sacrifici erano stati sottratti ai Greci, erano sempre amministrati da
sacerdotesse greche, sempre chiamate con un nome greco. Ma scegliendo una donna
in Grecia per ammaestrarli e amministrare questi sacrifici, i nostri antenati
volevano che pregasse per i cittadini e diventasse cittadina, affinché onorasse
gli dèi immortali con riti stranieri, ma con lo spirito e l'anima di un romano.
Vedo che queste sacerdotesse erano quasi sempre di Napoli o di Velia, che sono
paesi indiscutibilmente federati»26.
Il fatto che le sacerdotesse per operare a Roma
ed è pensabile anche per tutto l’impero, provenissero da Napoli in qualche modo
s’intravvede un qualcosa simile ad un collegio di formazione attivo a Neapolis,
ovviamente è solo un mio pensiero. Attenzione però, Ghinatti ci dice che:
«I culti greci … trovavano ambiente
favorevole alla loro sopravvivenza: erano, in questa lunga esistenza, la più
evidente espressione del travaglio della città magno-greca negli anni del suo
tramonto. Manteneva il suo fascino la religione di Demetra, tenuta in Campania in
grande considerazione fin da epoca molto antica. Essa serbava, nelle sue forme,
le espressioni varie e attraenti delle epoche passate»27.
Queste osservazioni sono importanti perché “… Manteneva
il suo fascino la religione di Demetra …” aveva come supporto una gestione
organizzata da specialisti, la quale gestione
doveva essere sinergicamente connessa con processi di formazione continua
degli addetti alle pratiche religiose. Ghinatti descrive le cerimonie per
Demetra fornendo particolari verificati e storicamente riconosciuti, ed è
chiaro che le cerimonie di culto dovevano essere bene organizzate e non certo
improvvisate. Il culto di Demetra a Neapolis coinvolgeva maggiormente rispetto
ad altri culti e Ghinatti delineando la fine della Neapolis greca così conclude
il suo saggio:
«Napoli tuttavia resisteva, tenacemente
legata a quella Grecità che ne aveva rappresentata l’anima per tanti secoli.
Erano però gli ultimi bagliori di una luce che lentamente stava per spegnersi.
Era solo l’accorato ricordo di una gente che non voleva credere nella
definitiva scomparsa di una civiltà e che non voleva ammettere la conclusione
di una secolare vicenda storica»28.
La formazione del culto di Demetra a Napoli è questione dibattuta come fenomeno religioso ed è legata alle vicende della formazione della città. Maurizio Giangiulio ha presentato un passo che merita di essere considerato. Ecco:
«Occorre
prendere in considerazione la tradizione, preservata dal campano Velleio
Patercolo, relativa al ruolo di Demetra nella fondazione di Cuma: in essa,
com'è noto, è questione del notturno risonare dei bronzi che avrebbe guidato la
flotta dei coloni verso il sito della colonia. Ora, il contesto sottolinea
esplicitamente l'origine ateniese dei Calcidesi. Diventa pertanto legittimo
ritenere che siamo di fronte ad una tradizione che si fa eco di una
valorizzazione della presenza ateniese all'interno del mondo calcidese e dunque
tesa a delineare indirettamente un retroterra giustificante dell'interesse
ateniese per Neapolis. Che questo abbia implicato un'attenzione particolare per
gli elementi di propaganda religiosa ed ideologica mostra del resto il
comportamento di Diotimo verso il culto di Parthenope. E si rivela anche
nell'utilizzazione della figura di Falero, nonché di quella di Daeira.
L'identificazione di quest'ultima con la dea dell'Averno, attestata in
Licofrone e probabilmente già in Eschilo, riporta infatti all'elemento
ateniese, stante la sua pertinenza all'ambiente religioso di Eleusi»29.
Certo Atene e Siracusa sono sempre state
presenti in Neapolis ma il culto di Demetra nel tempo si è anche evoluto
ed è diventato in età imperiale maggiormente coinvolgente e sono importanti le
considerazioni di Giangiulio che ho presentato perché ci dà un quadro più
completo delle relazioni della religiosità in generale con il culto di Demetra e,
secondo me, è un quadro che va approfondito. Neapolis è stata fondata dopo Cuma,
ma non dopo moltissimo tempo, e comunque il culto di Demetra quando Neapolis
è stata fondata era già ad uno stadio di formazione avanzato a Cuma e
complessivamente in zona ed aveva una sua diffusione. Sulla formazione di Neapolis
ovviamente bisogna approfondire quelle che sono state le correnti religiose,
non è questa la sede, però, è importante considerare come Velleio Patercolo ce la descrive. Ecco:
«Nec multo post Chalcidenses orti, ut praediximus,
Atticis Hippocle et Megasthene ducibus Cumas in Italia condiderunt ~ pars horum
civium magno post intervallo Neapolim condidit»30.
Traduzione
Non molto tempo dopo le tribù di Calcide, come abbiamo detto prima, fondarono
Cuma in Italia, sotto i capi dell’Attica Ippocle e Megastene. ~ Gran parte di
questi cittadini fondò Neapolis dopo un breve intervallo.
Conclusioni
I
due aspetti fondamentali dell’iscrizione dei decreti di Tεττίαι Kάσται,
istituzioni e quello di Demetra Thesmophoros, sono stati fin qui delineati e
per quanto è stato possibile anche analizzati, ma ancora c’è da approfondire, le
conclusioni restano quindi aperte e mi propongo di riprenderle in un prossimo
articolo. La data del terremoto del 62 d. Cr., è importante riprenderla, perché
come ho detto all’inizio31 Neapolis e le città vesuviane
avendo subito danni si trovavano in crisi e, chiaramente, non solo economica
perché c’erano stati morti e feriti, ma anche perché edifici pubblici e privati
erano stati distrutti o gravemente danneggiati e comunque c’era una crisi di
alloggi in tutta l’area campana interessata dal sisma. Questa situazione è
durata come sappiamo dalle documentazioni archeologiche di Pompei fino all’eruzione
del Vesuvio del 79 d. Cr., e, sul tema basta solo prendere visione, ovviamente per
Pompei dei famosi rilievi della casa di Caecilius Iucundus che
descrivono in maniera efficace gli effetti del terremoto su alcuni monumenti
pubblici del Foro, fig. 3, e della zona di Porta Vesuvio come il Castellum
aquae, fig.4.
Cosa
avrà fatto in concreto?
Non
possiamo dirlo, ma è pensabile che oltre ad aver offerto statue d’argento
agli dèi, al di là delle informazioni dell’epigrafe, tre deliberazioni sono
atti istituzionali nel loro complesso eccezionali. Forse, non è da escludere un
impegno mirato sulle problematiche sociali ma anche un attivismo per superare
la crisi socioeconomica in corso.
Una
spia di osservazione su quella fase ce la offre Seneca che nel proemio del VI
libro delle Naturales quaestiones annunciando la propria intenzione di
dedicarsi allo studio dei terremoti, informa il lettore di ritornare ad
affrontare una materia per lui appassionante, sulla quale in gioventù
aveva già pubblicato un libro e questo vuol dire che il terremoto del 62 d. Cr.,
era al centro dell’attenzione generale. Al riguardo Arturo De Vivo ha pubblicato
un quadro delle tensioni che animarono Seneca in quella fase finale della sua
vita. Ecco un breve passo che ci dà di certo soltanto alcuni frammenti di lineamenti,
ma sono indicativi secondo me delle tensioni di quella fase:
«La
scelta di un’opera come le Naturales quaestiones, in cui lo sforzo conoscitivo
si salda con l’intento pedagogico e parenetico, è una conversione al bene che
nasce da pentimento reale, se pure tardivo»33.
Al riguardo del, pentimento reale, citato da De Vivo sappiamo che Seneca era uno stoico e
sappiamo anche che a Neapolis e dintorni l’epicureismo era molto diffuso. In
generale per lo stoicismo la vita morale e quindi la sequela dei messaggi della
loro filosofia era centrata sui concetti di dovere e virtù, per l’epicureismo
il compito della filosofia invece era soltanto quello di condurre l’uomo alla
felicità. Due concetti molto diversi, la differenza è che per gli stoici,
tutto, ed anche i fenomeni naturali erano regolati da una ragione divina mentre
per gli epicurei il mondo ha origine dal caso. La dialettica di queste tensioni
caratterizza questa fase e Seneca che ne è coinvolto e analizzando il sisma ci
fornisce delle notizie importanti descrivendone i danni. Ecco cosa dice sul
sisma che è avvenuto il 5 febbraio del 62 d. Cr.:
[1,2]
Nonis Februariis hic fuit motus Regulo et Verginio consulibus, qui Campaniam,
numquam secura huius mali, indemnem tamen et totiens defuncia metu, magna
strage vastavit. ~ Neapolis quoque priuatim multa, publice nihil
amisit leniter ingenti malo perstricta, villae vero prorutae, passim sine
iniuria tremuere. [1,3] Adiciuntur his illa: sexcentarum ouium gregem
exanimatum et divisas statuas, motae post haec mentis aliquos atque impotentes
sui errasse.
Traduzione
[2]
Questo terremoto si è verificato alle None di febbraio, durante il consolato
di Regolo e di Virginio, e ha devastato con gravi distruzioni la Campania,
regione che non era mai stata al sicuro da questa calamità e che ne era sempre
uscita indenne, anche se tante volte morta di paura; ~ anche Napoli ha subito perdite, molte fra le
proprietà private, nessuna fra quelle pubbliche, essendo stata toccata
leggermente dall’enorme disgrazia: in effetti, alcune ville sono crollate,
altre qua e là hanno tremato senza essere danneggiate. [3]
A questi danni se ne aggiungono altri: è morto un gregge di seicento pecore,
alcune statue si sono rotte, alcuni dopo questi fatti sono andati errando con
la mente sconvolta e non più padroni di sé. Sia il piano dell’opera che mi sono
proposto, sia la coincidenza che dà attualità all’argomento esigono che
esaminiamo approfonditamente le cause di questi fenomeni34.
Come
si vede a Napoli i danni furono ingenti almeno per le proprietà private e nella
sintesi “… alcuni dopo questi fatti sono andati errando con la mente
sconvolta e non più padroni di sé” Seneca descrive lo stato della crisi che
non fu certo leggera. Seneca però cita i consoli del 63 d. Cr., e Onorato così presenta
il tema:
«La
narrazione particolareggiata di Seneca trova conferma in Tacito il quale, pur
tralasciando di menzionare le altre città che avevano risentito i danni del
terremoto in misura minore, ne ricorda l’avvenimento per Pompei con la consueta
sintetica e concisa brevità: iisdem consulibus … Et motu, celebrem Campaniae
oppidum, Pompeii, magna ex parte proruit (sotto gli stessi consoli... E dal
terremoto, la famosa città campana, Pompei, era stata in gran parte demolita).
Concordi nel rilevare la gravità dei danni che Pompei ebbe a subire per questo
terremoto, le fonti letterarie sono però in contrasto sulla specifica
determinazione cronologica di quest’avvenimento, Chè alla precisa data
fornitaci da Seneca – Nonius Februariis … Regulo et Verginio consulibus: 5 febbraio
63 d. Cr. - riscontro in Tacito la menzione dei consoli P. Marius e L. Afinius
in carica nell’anno 62 d. Cr.»35.
Neapolis, città greca, è stata sempre
all’attenzione degli studiosi sia in relazione all’ambiente generale magno greco e anche sulle correnti del
pensiero orfico-pitagorico ed eleate e sia perché in quest’area, unica in
Italia, la cultura e la lingua greca rimasero sempre vitali, resistendo alla
romanizzazione prima e alla desertificazione culturale del medioevo36.
Piace in finale di quest’articolo ricordare Giovanni Pugliese Carratelli
presentando il finale della sua presentazione al volume che raccoglie gli atti
del convegno su Neapolis organizzato a Taranto dall’Istituto di Magna
Grecia nel 1985:
«La
costante adesione alla cultura greca, la cui comparsa nel Golfo è stata molto
anteriore alla fondazione delle poleis italiote, come indicano i documenti
micenei di Vivara e di Ischia, è stato uno dei più decisivi fattori della
funzione storica di Napoli quale massimo centro di cultura, e quindi capitale,
del Mezzogiorno, in tanto avvicendarsi di formazioni politiche e di dinastie.
La storia di Napoli greca è dunque un capitolo tra i più importanti della
storia d'Italia, antica e moderna; e quanto si fa per chiarirne i particolari e
per salvarne le memorie è un segno di humanitas prima ancora che un contributo
alla scienza storica»37.
Note
1. Testo, Traduzione e Commento dell’iscrizione:
E. Miranda 1985, n. 115.1, pp. 387 col.3 e p. 388 col.1-2; Testo, foto e Commento dell’iscrizione,
Miranda 1990, n.85 pp. 125-129; per la chiesa citata Guida
Napoli p. 270.
2. Miranda 1990, pp. 126; Beloch
1890, p.64 n.33.
3. Miranda 1985, p.388 col, 1-2.
4. Per la data del terremoto, Onorato 1949 p.644 e ss. S.v.
nota 1.
5. Miranda 1990, pp. 128-129.
6. Miranda 1985, per emendamento in italiano: dalla traduzione p.388 col, 1-2; per
l’emendamento in greco: dal testo p.387 col. 3.
7. Miranda 1985, p. 391 col
1-2.
8. Miranda 1985, p. 394 col. 2.
9. Miranda 1990, n. 34 pp. 52-54
10. Miranda 1990, n. 83 pp.121-122.
11 Miranda 1985, p.386 col.3.
12. Sartori, p.55.
13. Forni1, p. 67.
14. Ghinatti 1959, p. 141.
15. Ghinatti 1960, p. 50.
16. Per il testo in greco qui pubblicato: IG XII,4,
1 pp. 186-187 n. 221; il testo è disponibile anche in Fonti 1952, Decreto
di asylia dell’Asclepieion di Cos (242 a. C.), p.377; bibliografia complessiva dell’iscrizione: Herzog-Klaffenbach
1952, pp.20-21, e, anche, Rigsby 1996, p.147 n.46; la traduzione, Pugliese
Carratelli 1952 p. 262, ma per per motivi di studio (personali s’intende) il
testo della traduzione pubblicato è quello che compare in Lepore 1967, p. 244.
17. Lepore 1967, p. 244.
18. S. v. nota 8; per il testo in greco anche in: Fonti 1952, Demetra,
p. 393; traduzione: Luigi Correra, L’iscrizione
napoletana di Cominia Plutogenia,
in Napoli Nobilissima, XII, 1903, pp.157: «A Cominia Plutogegenia, sacerdotessa di Cerere legislatrice,
figlia di Sa…, moglie di Paccio Caledo, stato arconte, e madre di Paccio
Caledieno edile, ava di Castricio Pollione stato arconte, Tiberio Castricio
Calediceno demarco alla bisavola in segno di affetto per decreto del Senato
municipale».
19. Miranda 1985, 393 col. 1, s. v. nota 10 p.395 col.1.
20. Per l’epigrafe funeraria di Tettia di Enna, Bernabò Brea 1947 p. 242; per
Tettia Casta, Miranda 1998, p.
235: alla nota 39 si dichiara che la segnalazione dell’epigrafe di Tettia di
Enna è stata segnalata da Fausto Zevi.
21. Miranda 1990 p.54; per l’ipotesi dell’ubicazione del tempio di Demetra a S.
Aniello a Caponapoli, Napoli 1959, p. 141-142, s.v. anche p.224 nota
n.262.
.
22. Borriello-De Simone, p. 161 col.1, per i richiami alle fonti letterarie s.v.
note 11 e 12.
23. Miranda 1985, p. 388 col. 2.
24. Miranda 1990, p.53.
25. Miranda 1990, p.54. Per il decreto di asylia del 242 a. C., s. v. nota 15.
26. Testo latino: Fonti 1952 p.393, Demetra, Cicero, pro Balbo 34,25.
27. Ghinatti 1967 p. 98.
28. Ghinatti 1967 p. 109.
29. Giangiulio 1985 p. 146.
30. Fonti 1952 p.272: Velleius Paterculus I 4, 1.
31. S.v. nota 4;
32. Per i danni a Pompei, Andreau
1979: i due rilievi p.40-41; per i rilievi della casa di Caecilius
Iucundus, Maiuri 1942, pp.11-24.
33. De Vivo 2012 p.96.
34. Fonti 1952 p. 382: Il terremoto del 62, Seneca, Nat.
Quaest. VI 1, 2.
35. Onorato 1949, p.646.
36. Pugliese Carratelli 2015.
37. Neapolis 1985, p, 7.
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Referenze fotografiche
Fig. 1,
MAN, inv. 2452, lapide marmorea con decreti per Tettia Casta: “su concessione
del Ministero della Cultura - Museo Archeologico di Napoli (Rif. 193-2022) -
foto di Salvatore Granata”.
Fig. 2: epigrafe funeraria di Tettia di Enna, Bernabò
Brea 1947 p. 242, fig. 1.
Fig. 3: Pompei, rilievo della casa di Caecilius Iucundus, Andreau
1979 p.40 fig. 10.
Fig. 4: Pompei, rilievo della casa di Caecilius Iucundus, Andreau
1979 p.41 fig. 11.
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