Archeologia della Sardegna. Nuraghi-Fortezze.
Il pensiero di Massimo Pittau.
nuraghe con un lancio di sassi effettuato a distanza e in maniera e in quantità sufficienti, con materiale litico che dovunque in Sardegna è a facile disposizione di tutti. E in questa ipotesi i Nuragici rifugiatisi dentro il nuraghe, in realtà vi avrebbero trovato non il rifugio della loro difesa e salvezza, bensì la loro tomba finale. Ancora gli archeologi militaristi hanno trascurato di affrontare questo problema: i 7 mila edifici in vista di quale difesa sarebbero stati costruiti? Dai nemici esterni, che venivano dal mare? Ma in questa ipotesi i nuraghi sarebbero stati costruiti in larga prevalenza sulle rive del mare. E invece è facilmente costatabile che i nuraghi sono molto più numerosi all’interno dell’Isola, mentre sono piuttosto rari nelle sue coste. E allora non resta che optare per l’ipotesi che i nuraghi-fortezze fossero stati costruiti in vista delle guerricciole che le varie tribù nuragiche si facevano tra di loro. Ma la somma di 7 mila nuraghi-fortezze è eccessiva, e da un lato non sarebbe possibile intravedere le ragioni di quei conflitti fra le singole tribù, dall’altro è troppo costoso che l’intero popolo nuragico si fosse adattato allo stato di una continua “guerra di tutti contro tutti”. Senonché, il modo in cui sono andati avanti gli avvenimenti nella storia della Sardegna purtroppo ha ampiamente dimostrato che quell’ animo guerriero non esisteva affatto nei Nuragici e i loro 7 mila nuraghi non sono serviti per impedire, come fortezze, l’arrivo e il dominio di nemici. Si deve precisare che gli autori militaristi descrivono le guerre con tecniche militari moderne e non occorre una profonda conoscenza delle cose militari per notare quanto sia anacronistico l’uso di espressioni tipiche dell’arte militare contemporanea, che sono state riferite ai tempi della civiltà nuragica e con particolare riferimento al Nuraxi di Barumini: “proiettili di grosso calibro, missili incendiari, munizioni, batterie d’assedio, bocche d’arco, di lancio, da tiro, cortine, tiro incrociato delle feritoie, piazzola di tiro, centrale di comando delle operazioni di tiro, centrale di tiro e di comando”. Di fronte a questo sfoggio di terminologia militare moderna, verrà spontaneo al lettore di chiedere se i proiettili erano a testata nucleare o all'uranio impoverito.
La tesi della destinazione militare dei nuraghi mostra di
tentennare fortemente e di cadere proprio in pieno ridicolo con la questione di
quelli che vengono chiamati «nuraghi a corridoio» o «nuraghi a galleria».
Questi, pur avendo in genere la forma esterna uguale a quella dei nuraghi
normali, all’interno sono privi della classica cupola ad ogiva e il loro spazio
interno è costituito da uno stretto corridoio, al lato del quale si aprono dei
piccoli vani, l’uno e gli altri coperti in genere da lastroni di pietra
orizzontali.
Gli archeologi militaristi attribuiscono a questi
«nuraghi a corridoio» due differenti funzioni militari: da una parte avrebbero
costituito un nascondiglio sicuro per i difensori che vi si fossero rifugiati,
conoscendone a perfezione la pianta inusitata, dall’altra avrebbero costituito
altrettante "trappole" per gli assalitori, i quali avrebbero potuto
essere facilmente colpiti, nel buio o nella penombra generale, dai difensori
appostati nei diversi vani. Ecco come sull’argomento si è espresso uno degli
archeologi militaristi:
«Il nemico veniva attratto nella profondità di questi
lunghi e lunghissimi corridoi, tenuti volutamente in uno stato di semioscurità,
e, una volta addentratosi nel tranello di quegli angusti passaggi, veniva
repentinamente assalito dai gruppi di armati annidati nelle garette
dell’andito. L’incauto assalitore era preso in mezzo, aggredito di fianco e di
spalle di garetta in garetta e veniva abbattuto a colpi di pugnale in una
stretta colluttazione. Che se, poi, ad eliminare il pericolo dell’incursione
nemica non fosse bastato il nerbo di uomini di guardia nel corridoio inferiore,
accorrevano in soccorso, per le scale, i soldati di scolta appostati nel piano
superiore o nel terrazzo e annientavano l’ultima disperata resistenza con lo sterminio
totale».
E si tratta di un brano nel quale è da rimarcare il fatto
che nei "nuraghi a corridoio" la difesa era tanto ben organizzata e
ad effetto del tutto sicuro, che assomigliava a una moderna "catena di
montaggio", la quale ti prendeva l’incauto assalitore vivo e, dopo un più
o meno lungo processo di manipolazione, te lo restituiva morto.
Ma l’archeologo così continua:
«Riconosciamo per lo più in questo tipo di nuraghe una
costruzione di carattere militare, nel quale le cellette e i corridoi servivano
per attrarre il nemico ed abbatterlo nell’angustia e nella semioscurità dei
vani. Sono una sorta di nuraghi-trappole o nuraghi-nascondigli nei quali
l’offesa si affida all’agguato insidioso di piccole unità mobili abituate ai
colpi di mano e alla lotta a corpo a corpo col nemico che attacca di sorpresa
in rapide scorrerie».
Senonché, a
mettersi dal punto di vista dei difensori, è assurdo pensare che essi
sarebbero andati a rifugiarsi dentro un edificio esposto in bella vista ai
nemici, entro il quale la "trappola" sarebbe scattata a danno loro e
non degli assalitori. E pure dal punto di vista degli assalitori è ancora
assurdo pensare che essi si sarebbero avventurati entro i cunicoli semibui dei
«nuraghi a corridoio»; e, dato ma non concesso che potessero commettere questa
imprudenza o ingenuità uno o due assalitori, sicuramente non l’avrebbero
ripetuta tutti gli altri loro compagni. Anzi, nemmeno uno sarebbe entrato, dato
che nel perenne stato di guerra in cui si sarebbero trovate le varie tribù,
ciascuna di esse conosceva alla perfezione le armi di offesa e di difesa
dell’avversario. E anche in questo caso gli assalitori non avrebbero mancato di
accendere un grosso fuoco all'ingresso del nuraghe a corridoio, costringendo i
difensori ad arrendersi oppure asfissiandoli e bruciandoli come altrettanti
topi entro la trappola.
Una recente tesi vede i nuraghi come “case fortificate”. Senonché è un fatto che i nuraghi non potevano costituire una dimora permanente per i Nuragici, dato che dentro di essi non si può dimorare in maniera continuativa. Nella stragrande maggioranza dei nuraghi infatti mancano lo spazio e i vani per la comune vita di una famiglia, non vi si può tenere a lungo acceso il fuoco perché manca il tiraggio e tutto lo spazio si riempie in breve di fumo, ci si trova in una permanente oscurità e, soprattutto nei mesi freddi, in mezzo al freddo e alla umidità. Ne è prova il fatto che nessuno dei nuraghi odierni che conservano ancora intatta la cupola originaria, dico nessuno risulta abitato dai pastori o dai contadini odierni. Costoro li usano solamente come ripostigli di attrezzi, come pagliai e come stalle temporanee per le bestie. Oltre a ciò non si vede quale mai ragioni potessero esistere per preferire queste assai dispendiose e grandemente scomode abitazioni alle semplice ma funzionali capanne o pinnettas nelle quali hanno di certo vissuto a lungo i Nuragici, come hanno vissuto per secoli i pastori e i contadini sardi.
Non è pensabile che i nuraghi fossero “case fortificate”, in cui la difesa delle persone fosse assicurata del tutto, mentre erano anch’essi altrettante prigioni e tombe per gli inquilini in caso di invasione e di assedio da parte di nemici. E non si può neppure concedere che i grandi nuraghi, quelli complessi, fossero altrettante dimore per i capitribù, altrettante “regge” per i loro regoli. Da parte di alcuni sensati studiosi è stato giustamente detto che quella dei Nuragici era una “società di uguali”, nella quale i dislivelli politici, sociali ed economici erano assai ridotti. Ragion per cui non si riuscirebbe a comprendere come e perché i sudditi si prestassero a costruire le imponenti e dispendiose “regge” per il loro capitribù, mentre essi si adattassero a vivere nelle modestissime pinnettas. Perfino nel maestoso Nuraxi di Barumini non esistono i vani per una famiglia regale e per la sua corte, servitù e guardia del corpo, non esiste la possibilità di tenere acceso a lungo il fuoco, si vive in mezzo alla più fitta oscurità e nella cattiva stagione nel freddo e nell’umidità.
In conclusione, i sudditi, che vivevano nelle modestissime pinnettas circostanti non si sarebbero affatto prestati a costruire con mille sforzi e in tanti anni e decenni di lavoro un edificio così imponente per il loro capotribù. A sforzi e fatiche e tempi di questo genere i sudditi si sarebbero prestati molto volentieri soltanto in onore e per devozione alle divinità da loro venerate. In proposito è illuminante questo caso: la famosissima “Piazza dei Miracoli” di Pisa, caratterizzata dalla presenza di tre stupendi monumenti architettonici, Duomo Battistero e Torre, ha accanto a sé modestissimi resti delle abitazioni di quella che era una potente città medioevale. E d’altronde anche in Sardegna si assiste tuttora allo spettacolo di stupende chiese e chiesette di alcuni villaggi, circondate però da modestissime abitazioni per i comuni abitanti. In tutti i luoghi e in tutti i tempi gli uomini hanno sostenuto sforzi e spese enormi per costruire i più grandiosi templi e santuari in onore delle loro varie divinità.
Nessun commento:
Posta un commento