Archeologia della Sardegna. Gli Henmemet: i costruttori di “Tombe ipogeiche” e padri degli Shardana?
Articolo
di Gustavo Bernardino
Fra il IV ed il III millennio a. C. si sviluppa nell'isola una feconda attività costruttiva di manufatti sepolcrali caratterizzati da precisi criteri realizzativi che rispondevano ai rigidi parametri cultuali probabilmente allora vigenti. Le “Case dei morti” dovevano rispecchiare il livello sociale del defunto, garantirne la custodia in un ambiente “protetto” ma frequentabile, consentire la realizzazione di elementi simbolici inerenti al culto professato come arricchimento e a maggior prestigio della sepoltura. La costruzione delle tombe ipogeiche attuata con la perforazione di materiale lapideo di
differente natura ma con caratteristiche dimensionali sempre notevoli, evidentemente soddisfaceva tutti i parametri richiesti dal costruttore e dal suo committente.Tra le diverse migliaia di tombe tradizionalmente chiamate “Domus de Janas” che per alcuni sono le “Case delle fate” mentre per altri “Case delle porte”, attribuendo il nome al fatto che in quasi tutte le costruzioni si trova la “Falsa porta” ovvero quella soluzione architettonica di probabile origine liturgica che serviva al defunto per raggiungere l'aldilà, ve ne sono alcune all'interno delle quali è presente un simbolo di cui ancor oggi non si conosce il reale ed originale significato.
Questo
elemento decorativo, secondo il principio metodologico espresso dal filosofo
Guglielmo di Occam, non può che rappresentare l'astro lucente per eccellenza
ovvero il sole, raffigurato appunto con un disco dal quale fuoriescono dei
raggi. D'altro canto tale soluzione sarebbe giustificata proprio dalla funzione
ovvero illuminare e riscaldare il corpo del defunto nel camino fino all'aldilà.
E' interessante indagare per capire chi, in quei tempi, era solito riprodurre
il sole in questo modo e a questo proposito ci è d'aiuto un famoso archeologo
inglese Stephen Quirke che nel suo lavoro “Exploring Religion in Ancient Egypt”
a pag.43 dice che il sole veniva raffigurato nel modo suddetto dagli Henmemet.
Un popolo particolare chiamato per l'appunto “Popolo del sole” che gli egizi
erano soliti descrivere così:
E' evidente la somiglianza del disegno egizio con quello che troviamo nelle tombe ipogeiche sarde.
Ma
chi erano gli Henmemet, quali le motivazioni della loro presenza in Sardegna e
perché collegarli con la storia egizia?
I
“Sun people” o “ Gente solare” come gli definisce Sergio Donadoni in “Testi religiosi egizi” Garzanti 1997
erano probabilmente una stirpe di origine semitica il cui destino si incrocia
con gli avvenimenti accaduti nell'area
mesopotamica molto ben descritti da Mario Liverani nel suo lavoro
“Antico Oriente” Laterza 2018. E' possibile che a seguito di eventi di
carattere militare (guerre) o di natura politica( espansione e ricerca di nuovi
mercati) ma anche naturali (terremoti, siccità) alcune popolazioni abbiano
sentito la necessità di lasciare le loro terre ed avventurarsi nella ricerca di
nuova sistemazione.
La
Sardegna già nel (IV, III millennio a. C.) era nota nel Mediterraneo per le sue ricchezze minerarie e per le sue
peculiari caratteristiche climatiche e geo-morfologiche. L'ossidiana, l'argento
ed altri minerali venivano trasportati lungo le rotte allora frequentate dalle
marinerie dei paesi rivieraschi e scambiati con altri prodotti come il
vasellame, l'olio, il vino, i cereali e altri prodotti artigianali. La presenza
nella nostra isola di stirpi provenienti dall'area della “Mezzaluna fertile”
fin dal periodo mesolitico è stata dimostrata attraverso uno studio scientifico
realizzato dall'equipe guidata dal
Cagliaritano Francesco Cucca nel 2017 (pubblicato nella prestigiosa rivista MBE
(Molecular Biology end Evolution).
Se
indaghiamo sul territorio per cercare le tracce del passaggio di popolazioni
provenienti da quell'area geografica, queste le troviamo più evidenti nel nord
della Sardegna. Partendo dal tempio (Ziqqurat) di Monte d' Accoddi abbiamo la
possibilità di seguire un lungo percorso permeato da elementi significativi
della civiltà nata ad Oriente. Uno di questi elementi è il Monte Baranta, in
cima al quale come è noto si trova un sito che ricomprende preziosi e unici
esempi di costruzione megalitica che, al pari del tempio Ziqqurat, sono
ascrivibili alla cultura mesopotamica. Il mastodontico muro che racchiude
l'area protetta si può forse considerare il primo esempio di costruzione
megalitica antesignana dei meravigliosi e unici al mondo Nuraghi. L'origine dell'oronimo
è stata ampiamente illustrata in un precedente e specifico articolo del
28/06/2018 in cui appunto si è dimostrato (con una ipotesi interpretativa) che
il nome del monte appartiene ad una divinità dell'olimpo sumero/accadico. Il
piccolo paese di Uri non distante dal monte Baranta, oltre ad avere la
caratteristica di ospitare nel suo centro storico un nuraghe, presenta un
interessante esempio di sincretismo religioso leggibile nella locale chiesa
dedicata alla “Nostra signora della pazienza” che originariamente doveva invece
essere un tempio destinato sempre alla divinità sumero-accadica Enki-Ea che,
oltre ad essere il dio dell'acqua, era anche il dio della sapienza e della
conoscenza. Lo stesso nome del paese, d'altronde, ci rimanda alla più antica storia
sumero accadica così come le decine di toponimi, idronimi, e oronimi presenti
in Sardegna e descritti da Salvatore Dedola nei suoi vari lavori ed in
particolare nell'”Enciclopedia della civiltà shardana” edizioni Grafica del
Parteolla 2018
Il
sottilissimo filo rosso che unisce gli “Henmemet” alla Sardegna è costituito da
elementi di natura diversa. Uno lo abbiamo appena visto, poteva essere un
elevato interesse derivante dal possibile commercio dei minerali, un altro è
quello rappresentato da un comune simbolismo teologico-religioso ed un terzo
che attiene alla corrispondenza della lingua sarda con quella sumero/accadica
(questo tema è stato ampiamente trattato da diversi studiosi, per esemplificare
cito quelli che sono favorevoli a tale tesi e che ho maggiormente consultato:
G. Semerano, R. Sardella, S. Dedola, A. Deplano, F. Cocco).
La
fama degli Henmemet come validi costruttori di tombe deve aver raggiunto le
sponde egizie e conquistato l'interesse dei faraoni. In questo nuovo orizzonte
di grande sviluppo sociale ed economico, i “Figli del sole” riescono a
conquistare le sfere più alte della società nilotica fino a diventare i
consiglieri del sovrano. E' indicativo e determinante ai fini di una
valutazione positiva della strada interpretativa intrapresa, il fatto che le
citazioni di questi edificatori di dimore funebri avvengano nei testi che
trattano appunto il culto dei morti: “Testi dei sarcofagi”, “Libro dei morti”,
“Testi delle piramidi”. Se della loro presenza in Sardegna esiste una debole traccia
per altro intuitiva, in Egitto abbondano i documenti in cui si tratta di questi
“Illuminati”. Inoltre con i documenti esistenti nella patria dei faraoni e
anche possibile dare nuova luce e rinvigorire la tesi proposta. Questi
adoratori del sole in terra egizia fondano il culto di Amon e poi di Ra
(periodo Ramesside) e danno vita alla città di Heliopoli. In questa città ha
svolto un ruolo importante un personaggio di cui ho trattato in un precedente
lavoro. Si tratta del sacerdote Shery il cui nome lo troviamo citato a pag. 37 del vol. I di
“Storia Antica” dell'Università di Cambridge, pubblicato da “Il Saggiatore” nel
1972 e ritengo possa essere collegato
all'omonimo nuraghe ogliastrino.
Dalla
Sardegna gli Henmemet arrivano probabilmente nella terra dei faraoni seguiti dalla loro fama di
grandi costruttori di tombe in possesso di notevoli cognizioni ingegneristiche
che li porterà a realizzare progetti imponenti rendendo di fatto concreti i
sogni dei faraoni in tema di mausolei e di edifici monumentali sepolcrali. Per
questa loro alta specializzazione saranno ricompensati permettendo loro di
vivere fianco a fianco col sovrano e di ricoprire ruoli di alta responsabilità,
così come nei secoli successivi faranno gli Shardana che molto probabilmente
sono i loro diretti discendenti. La fama del “Popolo del sole” è tale per cui
il nome compare nei testi sacri per esempio a pag. 12 del volume di Donadoni in cui è detto:”Lamentano
per te gli Henmemet, quando ti han sollevato le stelle imperiture” o come
riportato a pag 119 :” Gli Henmemet son dietro di me , come Ra quando fu
partorito”. Lo scenario che emerge fa ritenere quindi che questi uomini di
grande valore costituissero un insieme di persone appartenenti ad un gruppo
etnico ben definito ed inquadrabile per terra d'origine che per comodità di
espressione poteva appunto essere individuabile attraverso l'utilizzo
semplificato dell'area geografica di provenienza ovvero l'Occidente da cui
l'appellativo di “Occidentali”. Gli “Occidentali “ pertanto non sarebbero, come
comunemente inteso, i morti ma i costruttori delle case dei morti. Una
interessante ipotesi che forse varrebbe la pena approfondire.
A me convince di più la tesi che vuole che quell'andito semi circolare rappresentasse l'andito delle capanne stesse in cui quel popolo viveva la vita terrena. Le stesse domus erano le riproduzioni delle loro case con le travi,il tetto spiovente e i pali disposti a raggera nell'andito. Sono parecchi i ritrovamenti di capanne simili ... e poi a me piace chiamarle domus de jan(n)as.
RispondiEliminaNon mi convince quanto esposto per monte d'accoddi e monte Baranta
RispondiEliminaTutto questo sembra frutto di un eccesso di fantasia: indizi troppo deboli. Però il libro di Valeria Putzu afferma che:
RispondiElimina1) già nel III millennio c’erano regolari traffici tra la Sardegna e la zona delle miniere di stagno in Galizia
2) lungo questo percorso, in Spagna esistono veri e propri nuraghi con tholos datati, al C14, verso il 3000 a.C.
E nei libri gialli cercare di risolvere due misteri in un colpo solo di solito non è uno sciocco esercizio di orgoglio, ma è un importante passo avanti verso la soluzione: potrebbe esserlo anche in questo caso, arrivando perfino a tre misteri, e comunque lo stagno era un movente più forte dell’abilità nel costruire tombe. Ma… è possibile che i più antichi nuraghi sardi siano anteriori a quelli spagnoli, o perlomeno contemporanei? E idem per le domus de janas? Altrimenti, le corrispondenze non ci sono.
Gabriele Speranza