sabato 7 marzo 2020
Archeologia: Shardana=Nuragici e Tartesso=Caralis, vogliamo prenderne atto? Articolo di Giuseppe Mura
Archeologia: Shardana=Nuragici e Tartesso=Caralis, vogliamo prenderne
atto?
Articolo di Giuseppe Mura
In Sardegna l'evoluzione degli studi
sulla civiltà nuragica, praticati sia dagli appassionati che dai veri e propri
professionisti, si caratterizza per un contrasto che definirei perlomeno "curioso". Mi riferisco al grado di
accettazione delle nuove ipotesi, di carattere storico e archeologico,
attinenti alla cultura insulare dell'Età del Bronzo che, nell'arco di questi
ultimi decenni, è passato dal "troppo" al "troppo poco", ma
sarà il caso di esprimere ancora meglio il concetto con alcuni semplici esempi.
Al nuraghe, cioè alla manifestazione più eclatante della Civiltà
nuragica sia in termini numerici che architettonici, è stata attribuita sin
dall'inizio degli studi veri e propri, cioè ormai da alcuni secoli, la funzione
di fortezza. L'ipotesi, presumibilmente basata su una forma mentis del
periodo che spiegava tutte le antiche vicende tramite i conflitti e su alcune
similitudini tra l'edificio nuragico e i castelli medievali, diventò in breve
tempo una sorta di assioma accettato pressoché da tutti e scarsamente messo in
discussione. Il trascorrere del
tempo, inoltre, non indebolì ma rafforzò questo
concetto e, nelle varie pubblicazioni ufficiali che illustravano le
caratteristiche dell'edificio in questione, diventarono di uso comune termini
prettamente bellici, quali "Mastio" (per la torre principale),
"Garitta" (per la nicchia di corridoio), "Feritoia" (per le
aperture delle torri secondarie e delle mura di raccordo), "Ballatoio di
lancio" (per il terrazzamento sommitale delle torri) e così via.
Questa sorta di assioma, che sto utilizzando per esprimere il
"troppo" nel senso che, a mio parere, permase per troppo tempo,
rimase in auge per alcuni secoli e solo negli ultimi decenni del secolo
scorso risulta messo in discussione. Fanno così la loro comparsa ipotesi
alternative sull'utilizzo dei nuraghi, quali quelli, ma è altrettanto noto, di:
tomba, tempio, palazzo reale, abitazione comune, deposito di generi alimentari
ed altro.
Il "troppo poco", invece, fermo restando l'argomento in
questione, riguarda questi ultimi decenni e si riferisce alla difficoltà di
accettare le novità e di comportarsi, come vorrebbe la logica,
conseguentemente. Si tratta, evidentemente, di novità importanti e basate su
seri criteri scientifici, quindi che sarebbe doveroso accettare specie da chi,
specializzato o non, vanta alte dosi di "onestà intellettuale".
Un esempio lampante in tal senso
proviene dal tipo di reazione che ha suscitato la comparsa del libro Shardana
e Sardegna di Giovanni Ugas: il poderoso e magnifico lavoro dell'archeologo
ha risolto in modo brillante e definitivo uno dei principali quesiti dei tempi
moderni, cioè ha dimostrato una volta per tutte che gli Shardana, uno dei
Popoli del Mare ripetutamente citati dalle fonti egiziane, sono da identificare
con i Nuragici della Sardegna. Egli, ribadisco, dirime la questione con grande
criterio scientifico, utilizzando quanto proviene dall'archeologia sarda,
egiziana ed internazionale, da molteplici discipline moderne e dalle antiche
fonti. In definitiva, intendo dire che da Ugas in poi chi affronta il tema
dell'identificazione degli Shardana-Sherden non può ignorare l'esistenza del
libro Shardana e Sardegna, anzi dovrebbe basare i propri studi su questo presupposto identificativo ormai
definitivo.
Quale è stata invece, la reazione (di studiosi e non) a partire dal 1996 in poi, cioè da quando è
stato pubblicato il libro? In sostanza,
quanto, le pubblicazioni successive, hanno tenuto conto dell'esistenza del
lavoro di Giovanni Ugas? Il termine "Troppo poco" esemplifica
pienamente l'accaduto: un semplice sguardo alle pubblicazioni successive è
sufficiente per capire che le ipotesi tendenti ad identificare gli Shardana
sono addirittura aumentate. Non solo, nella gran parte dei casi, pur conoscendo
le conclusioni stringenti del lavoro in
questione, risultano sistematicamente e volutamente
ignorate, proponendo addirittura ipotesi alternative poco credibili e
basate su "criteri scientifici" perlomeno discutibili. Il
corsivo su "volutamente ignorate" non è un errore, ma tende ad
evidenziare la gravità di una situazione largamente verificata in questi ultimi
tempi.
Pressochè ovvio, allora, il dubbio: chi si comporta in questo modo si
rende conto del danno procurato a se stesso e a tutta la comunità sarda in
termini di prestigio e, perchè no, di ritorno economico (vedi turismo
culturale)? Perchè iniziare i propri studi da zero anzichè acquisire l'
esistente e partire da questo per formulare altre nuove nozioni? Abbiamo
davvero ragione, allora, quando ci
lamentiamo rammentando la triste realtà di una Sardegna dell'Età del Bronzo
pressochè sconosciuta nei libri scolastici nazionali, nonostante la grandiosa
manifestazione edilizia e architettonica che non ha eguali neppure tra le coeve
"Grandi Civiltà" del tempo? Siamo davvero autorizzati ad esprimere
il solito piagnisteo che, tutto sommato, dipende dai nostri comportamenti
errati?
Ebbene, scusandomi per l'autocitazione, quanto registrato a proposito
del libro Shardana e Sardegna, e qui Giovanni Ugas e l'eventuale lettore
perdoneranno l' "invasione di campo" di un semplice appassionato, può essere completamente applicato anche al volume Tartesso in Sardegna. Si
tratta di un lavoro basato sulla puntuale analisi delle antiche fonti (specie
bibòiche e greche) che narrano della misteriosa località, analisi accompagnata
da precisi criteri storici, geografici, morfologici e dei costumi praticati
dalle genti ivi stanziate. Anche in questo caso il risultato finale non può
essere messo in discussione: tutto conduce verso l'identificazione dell'isola
madre che ospitava Tartesso con la Sardegna e del Territorio Tartessico (così
lo chiama Avieno) con la regione dell'antica Caralis, eliminando così, una
volta per tutte, la dislocazione tradizionale in terra di Spagna ancora oggi
accettata dagli specialisti. Eppure, dicevo, anche in questo caso dopo l'uscita
del lavoro si registra un certo incremento delle pubblicazioni su Tartesso, ma
l'esistente non viene proprio acquisito e sistematicamente ignorato, proponendo
così ipotesi alternative davvero strampalate se non ridicole.
Va anche detto che la contemporanea citazione
dei libri Shardana e Sardegna e Tartesso in Sardegna non è
frutto del caso ma quasi doverosa, nel senso che entrambi utilizzano fonti che
illustrano l' esistenza di una potenza marittima dislocata in Occidente e che,
durante l'Età del Bronzo e per diversi secoli, frequenta le sponde orientali
del Mediterraneo. Con le fonti egiziane questa potenza è rappresentata dagli
Shardana-Sherden che provengono dalle Isole del Grande Mare Verde
dell'Occidente e che arrivano nel paese del Nilo con le loro navi da guerra
cariche di guerrieri in armi abilissimi nel combattimento con la grande spada
di bronzo. Con le fonti bibliche e greche questa potenza assume il nome di
Tarsis-Tartesso, potenza insulare e marittima del lontanissimo Occidente che
impone il proprio dominio su entrambi i versanti del Mediterraneo grazie alle
grandi ricchezze, specie in campo metallifero.
In sostanza, ci troviamo di fronte a delle civiltà orientali che,
durante l'Età del Bronzo, entrano in contatto e frequentano la potenza
occidentale rappresentata dalla Civiltà nuragica illustrandone le
caratteristiche. L'unica differenza? Le fonti egiziane e israeliane sono coeve,
nel senso che narrano esperienze vissute in prima persona dagli autori, mentre
le fonti greche provengono dalla consolidata
tradizione orale risalente all'Età del Bronzo ma scritte solo intorno
all'VIII-VII secolo a.C. Fonti registrate in tempi diversi e autori diversi,
quindi, ma che illustrano le vicende della medesima potenza; un fenomeno
"diversificativo", peraltro, che si registra anche all'interno delle
stesse fonti greche.
Queste ultime, come è noto, amavano illustrare le vicende compiute dai
loro grandi eroi del passato vissuti
durante l'Età del Bronzo, in particolare autori quali Omero, Esiodo, Stesicoro,
Apollonio Rodio e Apollodoro, illustrano le avventure occidentali di
Odisseo-Ulisse, di Eracle e di Giasone, facendoli visitare l'isola di Scheria e dei Feaci, l'isoletta
Erizia sede di Gerione e del Giardino delle Esperidi, nonchè l'isola
dell'Occidente che ospitava Tartesso. In tutti questi casi, ma è altrettanto
noto, il tipo di narrazione esprime grande considerazione nei confronti del
lontano Occidente, interessato da un territorio insulare che gode di ottimo
clima, che vanta grandi ricchezze in termini di flora, fauna, terreni fertili e
giacimenti metalliferi e che rende
facile l'esistenza grazie alla presenza di giuste leggi.
In sostanza, i riferimenti positivi (in molti casi addirittura
entusiasti se non nostalgici) sono sempre rivolti ad una sorta di Isola Felice
che assume nomi diversi e caratterizzazioni dipendenti dell'autore. In altre
parole, cambiano i tempi e le circostanze ma le descrizioni mai contrastano tra
loro, anzi si completano a vicenda formando un grande mosaico di informazioni.
Questo mosaico informa sulle caratteristiche geografiche di carattere generale
dell'Isola, sul suo grande golfo posto a
meridione, sul percorso per mare di avvicinamento (e allontanamento) alla
costa, sulla precisa posizione del
centro abitato e sul paesaggio che lo circonda. Ebbene, il tutto riproduce
fedelmente la Sardegna e la regione di Caralis, con quest'ultima che si
raggiunge navigando centralmente sul golfo di Cagliari "puntando" il Promontorio-Rocca
(Capo S. Elia), affiancandolo, attraversando la Strettoia-Passaggio (Stretto
di Caralis), inoltrandosi nella Bonaccia-Lago (Laguna di Santa Gilla),
approdando nel Molo-Porto (antico porto di Caralis) che "vede"
di fronte l'isoletta di Erizia (Sa Iletta) e la Foce del fiume
argenteo (Cixerri, che nasce nel bacino argentifero più grande d'Europa).
Porto e città che sorgono vicino al mare e al centro della Grande e Fertile
Pianura Iolea (il Campidano). Chi intende approfondire questi aspetti è
invitato a consultare Sardegna l'isola felice di Nausicaa.
Quanto alla misteriosa Tartesso, cercata invano nella foce del
Guadalquivir durante i primi decenni del secolo scorso da Adolf Schulten, è
citata in particolare da Stesicoro, Esiodo, Erodoto, Avieno e nell'Antico
Testamento, dove assume il nome di
Tarsis. Il primo, nella Gerioneide (VII secolo a.C.), identifica
Tartesso come fiume dalle numerose "radici d'argento" e lo colloca in
un'isola madre e nei pressi dell'isoletta Erizia, il secondo versifica
brevemente sull'isoletta Erizia e su Gerione che regna nel luogo, il terzo
propone alcune navigazioni che hanno come destinazione finale Tartesso, il
quarto propone un lungo Periplo (navigazione lungo la costa) che inizia e
termina col Territorio Tartessico che descrive in modo dettagliato, il quinto
cita ripetutamente Tarsis descrivendola come potenza marittima dell'Occidente
che importa nel Canaan i metalli più preziosi del tempo imponendo una sorta di
antico "protettorato", specie in area israeliana.
Tartesso, insomma, è semplicemente l'ennesimo nome attribuito dalle
fonti greche all'Isola Felice, tanto è vero che le descrizioni disponibili
confermano tutte le caratteristiche conosciute in precedenza. Tra queste
descrizioni L'Ora Maritima di Avieno prevale nettamente sulle altre sia
per lunghezza espositiva, sia per il numero di informazioni. Avieno, come è
noto, è un autore latino dell IV secolo d.C. e, per sua ammissione, compone la propria opera
basandosi su alcune fonti greche risalenti ad almeno un millennio. Egli descrive
innanzi tutto un antico Periplo, ovvero una navigazione di cabotaggio (lungo la
costa) che inizia e termina col cosiddetto "Territorio Tartessico"
(quindi si tratta di una navigazione insulare), descrivendo puntualmente tutte
le "tappe" che incontra lungo il percorso (nome del luogo, paesaggio,
breve storia, insediamenti ecc.).
Le singole tappe (oltre 20), insomma, informano volta per volta sulla
morfologia del luogo, quindi sulla
presenza di promontori (forme particolari), foci di fiumi, insenature, isole
minori, coste alte o basse, montagne, lagune ecc. Ebbene, tutte le descrizioni
sugli approdi trovano puntuale riscontro nelle coste della Sardegna e negli
antichi siti nuragici circumnavigando l'Isola in senso orario partendo da
Caralis. Non solo, e questo è un aspetto ancora più importante e decisivo, la
ricostruzione rispetta puntualmente la sequenza imposta dalla narrazione.
Attenzione al grande significato che assume questo riscontro anche in termini
sequenziali: se "saltava" una tappa qualsiasi saltava anche tutta la
ricostruzione, pertanto ci troviamo di fronte ad un risultato di altissimo
valore anche in termini probabilistici!
Ma non è tutto, perchè Avieno, rientrato nel "Territorio
Tartessico" che ospita Tartesso al termine del suddetto Periplo, descrive
in modo dettagliato sia il paesaggio che si trova di fronte al centro abitato,
confermando così l'esistenza del Promontorio (Rocca di Geronte) dello
Stretto (Stetto Tartessico), del Lago (Ligustino), dell'Isoletta
(Erizia) e della Foce del fiume argenteo (fiume Tartesso), sia il
paesaggio retrostante. Su quest'ultimo un invito a "provare per
credere": Avieno (anzi l'antichissima fonte greca), seppure con nomi
diversi e immagini soggettive, descrive volta per volta il Campidano di
Cagliari, le genti ivi insediate, il colle Tuvixeddu-Tuvumannu, il Monte Urpinu
e la Spiaggia del Poetto con l'antico fiume che sfociava nei pressi del Capo S.
Elia.
Quasi inutile, a questo punto, precisare che le descrizioni sul Periplo
e sul paesaggio del Territorio Tartessico, se applicati alla Penisola Iberica e
alla regione che ospita la foce del Guadalquivir, procurano solo grande confusione e un bel mal di testa.
L'ho constatato personalmente (nel lavoro descrivo l'ipotetica ricostruzione
iberica punto per punto) e ci ha provato (con non poca fatica) anche il famoso
dottore di ricerca in Storia Antica Luca Antonelli, dedicando al tema il libro Il Periplo nascosto: solo il titolo la
dice lunga sulla validità dei risultati ottenuti
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Bellissimo articolo!Fluido nella lettura della descrizione teorica, basata sull'analisi minuziosa sia di scritture antiche e non, sia sull'osservazione attenta della geomorfologica descritta e esistente dei diversi territori presi in esame. Felicissima dell'esistenza di persone come Lei!!!
RispondiEliminaMoltissime grazie Consuelo,si tratta solo di una sintes per evidenziare un vero problema. Nel libro, frutto di anni di ricerca, presumibilmente troverà di meglio. Salutoni
RispondiEliminaSicuramente non mancherò nella lettura del libro, che sono certa potrà arricchire e soddisfare la mia curiosità e cultura riguardo l'argomento. Salutoni anche a lei
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