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martedì 12 novembre 2019

Archeologia. Le città in Sardegna fra tardoantico ed alto medioevo. Articolo di Rossana Martorelli


Archeologia. Le città in Sardegna fra tardoantico ed alto medioevo. 
Articolo di Rossana Martorelli
Le recenti ricerche storiche ed archeologiche stanno incrementando le conoscenze sulle città sarde, fornendo una nuova base per delinearne l’assetto raggiunto in epoca postclassica attraverso dinamiche di continuità o trasformazione. Sia le fonti scritte – sebbene scarse e relativamente più abbondanti su Cagliari – sia l’archeologia confermano una sostanziale persistenza nel medesimo sito degli insediamenti urbani, sino a che un insieme di eventi ne causò il progressivo abbandono in favore di nuovi centri agli inizi del medioevo. Impedisce di disegnare bene l’urbanistica e la fisionomia delle città sarde in questo periodo il fatto che i livelli archeologici relativi a tali secoli sono stati asportati durante esplorazioni “archeologiche” condotte in passato per riportare in luce le
fasi di età punica e romana. Al momento si possono solo avanzare ipotesi in base ai dati disponibili. Le città negli ultimi secoli dell’impero romano e l’arrivo del cristianesimo Il cristianesimo fu anche in Sardegna la novità più incisiva nel paesaggio urbano nella tarda antichità, creando città policentriche in cui l’attività non era più convogliata verso un unico fulcro (il foro), ma attorno ad una molteplicità di nuovi poli. Le idee cristiane giunsero forse già nel I-II secolo con gli Ebrei deportati, i damnati ad metalla, o semplicemente con militari e mercanti che viaggiavano nell’impero. Se nell’Isola di Molara – di fronte ad Olbia – si deve ambientare l’esilio di papa Ponziano in Sardinia in insula nociva (Cat. Lib., pp. 4-5) o in Sardinia insula Bucina (LP, I, 145-146) durante l’impero di Massimino, è verosimile che la città accogliesse una comunità cristiana già numerosa. Alla fine del III secolo si data anche il frammento di sarcofago con scene bibliche ritrovato sempre ad Olbia (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari), ma realizzato probabilmente nelle botteghe di Ostia. I cristiani si inserirono in un’urbanistica tipicamente romana. Tranne Forum Traiani (Fordongianus), le città erano in pianura e dotate di un porto: Carales (Cagliari), Nora (Nora), Sulkes (Sant’Antioco), Neapolis (sullo stagno di Marceddì), Othoca (Santa Giusta-OR), Tharros (Tharros), Cornus (S’Archittu), Bosa (la vetus, presso la chiesa di San Pietro, a 2 km circa di fronte alla Bosa attuale), Turris Libisonis (Porto Torres), Olbia-Phausania (l’unica sulla costa orientale). Bosa e Forum Traiani, invece, si affacciavano sui fiumi Temo e Tirso. Scomparvero, poi, Bithia e Valentia e nessuna città sembra fondata ex novo. Il poeta Claudiano, navigando al largo di Caralis nel 398, così la descriveva: Obvia dimittit fractusum flamina collem/ Efficitur portus medium mare, tutoque ventis/Omnibus ingenti mansuescunt stagna recessu. E passando al largo di Olbia cantava: litoreo complectitur Olbia muro (De bello gildonico). Tale muro, ritenuto il circuito urbico, di recente è stato attribuito da R. D’Oriano ai moli del porto, che abbracciavano il sito dell’antica area urbana. Già in età romana le città erano dotate di mura, che si mantennero totalmente o parzialmente almeno fino alla metà del V secolo, così come il sistema viario, imperniato sul forum. A Cagliari il nome della chiesa di San Nicola de Capusolio, nota dal medioevo, sita in via Sassari, vicino a piazza del Carmine (ricalcata quest’ultima sul forum romanum), suggerisce la prossimità del Capitolium (da cui Capusolium). Il forum di Nora ha restituito testimonianze archeologiche e reperti che attestano una frequentazione in questo periodo, anche se già dal III d.C. la città ebbe un ampliamento verso sud, con l’impianto di una nuova strada a fianco delle Terme a mare, alla quale venne poi congiunta una via lastricata, larga e di buona fattura. A Sulci, dagli scavi nell’area retrostante il Cronicario, ritenuta il foro romano, non emergono stratigrafie posteriori al III secolo. Si deve pensare che il fulcro politico della città fosse stato spostato. Poco si sa della topografia della sp[l]en[didissi]ma civitas Neap[oli]tanorum, probabilmente una colonia dedotta dai Romani e così detta per la rigogliosità del territorio in cui si trovava (Palladio, in Opus agriculturae, dice di avere una coltura di cedri nei suoi fundi in Sardinia territorio neapolitano). A Tharros il foro non è stato ben individuato. Cornus, menzionata in Livio (XXIII, 40, 1-12), era dislocata fra il colle di Corchinas (dove fin dall’Ottocento vennero effettuati i primi ritrovamenti di rovine, statue, sarcofagi, iscrizioni, monete), Campu ‘e Corra e la sella pianeggiante fra le due alture, in cui doveva trovarsi il foro. A Forum Traiani, fondata nell’area presso il complesso termale delle Aquae Ypsitane, sul fiume Tirso, scelta dall’imperatore Traiano per la posizione strategica nel sistema viario e perché ai piedi della Barbaria (Barbagia), abitata da popolazioni non romanizzate, il foro era forse dietro alle terme. A Turris dal III secolo il porto e il foro si spostarono ad oriente. Ad Olbia il foro, che ricerche recenti hanno permesso di ipotizzare affacciato sul porto, presumibilmente rimase in uso fino all’arrivo dei Vandali.
Le città-municipium almeno dal IV secolo divennero sede di diocesi. La più antica è Carales, rappresentata al concilio di Arles del 314 dal vescovo Quintasius e dal presbyter Ammonius. Non è certo se nuovi presuli siano stati istituiti prima del concilio di Sardica (343), ma dalla fine del medesimo secolo Carales è certamente metropolita, per cui doveva esistere almeno un’altra diocesi. Si ritiene che entro la prima metà del V secolo siano state create le altre sedi presenti al Concilio di Cartagine nel 484 (v. paragrafo I Vandali), perché non sarebbero potute nascere in questo periodo, se anche nell’Isola fu applicato il divieto dei re vandali di istituire nuovi presuli (facendo essa parte del regno). Anche per la prima metà del V secolo non si hanno notizie su luoghi di culto cristiani nelle città sarde. Il Martirologio Geronimiano, calendario in uso in tutto l’impero, compilato fra il 431 e il 450, nomina diversi martiri legati alla Sardegna, di cui sono ritenuti autentici Lussorio (a Forum Traiani), Gavino (a Turris) e Simplicio (forse ad Olbia, anche se la fonte riporta in Sardinia). Sebbene non menzionato, Saturnino era certamente oggetto di devozione a Carales. Stretto era il legame con il suburbio, dove si dislocavano i sepolcreti nei quali gradualmente trovarono sepoltura i cristiani e nacquero i santuari martiriali. Delle prime fasi si hanno poche e non sempre chiare testimonianze al di sotto dei martyria bizantini (cfr. paragrafo L’età bizantina). Tra fine IV e prima metà V secolo le città acquisirono una fisionomia cristiana. Contemporaneamente e talvolta in dipendenza dei poli cultuali si ampliava la superficie urbana. A Carales nella zona orientale fu progettato il nuovo quartiere ritrovato sotto la chiesa di Sant’Eulalia, spianando un’area prima occupata da un tempio per impiantare una strada lastricata e due complessi residenziali di notevoli dimensioni. Tale strada fu poi deviata per un portico monumentale, affacciato forse su una terrazza a giardino, che mutò la direzione degli assi viari da NE/SW a NW/SE. Anche a Nora un quartiere si sviluppò attorno alla nuova strada, con impianto regolare, edifici quadrangolari, costruiti in “opus africanum” (riquadri delimitati da piedritti in materiale litico, riempiti da pezzame litico o ceramico). Turris registra fra III e IV secolo spostamenti delle aree cimiteriali in settori prima urbani.
I Vandali
L’Isola fu conquistata dai Vandali, che sferrarono un attacco violento su Olbia. Indagini recenti hanno restituito una decina di navi attraccate nel porto, incendiate in connessione con il sacco di Roma (455 d.C.). I relitti mai rimossi ne decretarono la cessazione d’uso. Forse a questo evento vanno ricollegati i crolli visti anche in passato in alcuni punti della città, ma Olbia non venne distrutta: la ridotta funzionalità del porto e il venir meno della sua posizione strategica con la caduta dell’impero romano, che spostò l’asse verso Cartagine e non più Roma, furono la causa di una fase di stasi economica, politica e sociale. Caralis mantenne invece il ruolo di città principale della Sardegna, come sede del funzionario rappresentante del nuovo regno. Si conosce solo il nome dell’ultimo – Goda – che emise moneta poco prima della sua sconfitta da parte dei bizantini, che riconquistarono l’Isola. Sporadiche e disomogenee sono le attestazioni relative a nuovi interventi edilizi o urbanistici. Al concilio indetto a Cartagine nel 484 da Unnerico su questioni dogmatiche (MGH, AA, 3, 1, pp. 63-64 e 71) presero parte 5 presuli (Lucifer II – Carales; Vitalis – Sulcis; Martinianus – Forum Traiani; Bonifatius – Senafer; Felix – Turris Libisonis). Il concilio si concluse con la condanna all’esilio in Sardegna e Corsica di numerosi vescovi e monaci che rifiutarono l’arianesimo, tra cui Fulgenzio di Ruspe. A Caralis, i religiosi giunti al suo seguito introdussero la disciplina monastica; quando poi la sua casa (Vita Fulg., 24) divenne inadatta per i numerosi seguaci, chiese al vescovo Brumasio (fra 519-523) un terreno presso il santuario di San Saturnino per fondare un cenobio, che fu dotato di uno scriptorium.
Dell’ecclesia episcopalis non si hanno notizie, ma alcuni indizi ne suggeriscono l’ubicazione nel nuovo quartiere (oggi La Marina). Nel teatro di Nora, ad ovest del foro, sono state evidenziate trasformazioni: all’esterno erano focolari e nuove costruzioni, forse ad uso artigianale; all’interno, dopo la fine degli spettacoli, l’iposcenio fu utilizzato come cantina con grossi dolia per contenere le derrate alimentari. Negli stessi anni la vita si spostò definitivamente nel nuovo quartiere, dove venne edificata una basilica, dotata forse di battistero, anche se Nora non sembra essere stata sede di una diocesi. Anche a Tharros si riscontra un nuovo impulso edilizio. Le terme n. 1 furono riadattate per impiantarvi il complesso episcopale. Nel 1956 tornò alla luce un edificio ad aula unica monoabsidata, che conteneva una vasca esagonale, scavata nella roccia e foderata da lastre basaltiche, con tre gradini di accesso. Sul bordo si vedono ancora un sedile in arenaria e i resti delle basi di colonnine che in origine dovevano sorreggere un baldacchino in pietra. Sulla collina che sovrasta a nord il battistero sopravvivono i resti di un piccolo edificio forse a tre navate, absidato ad ovest, in cui si è indotti a riconoscere la cattedrale connessa al battistero. I vani delle originarie terme, evidentemente non più in uso, furono forse destinati sia a residenza del vescovo e del clero sia ad “uffici diocesani”. Johannes episcopus tharrensis, il primo presule noto, è citato nella XII epistola di un’opera perduta di Fulgenzio (inizi VI secolo). La posizione della cattedrale tharrense, urbana e centrale, apre la via verso la possibilità che tutte le sedi delle diocesi fossero entro i limiti urbani e non nel suburbio in prossimità dei santuari. In base a quest’ultima ipotesi la tradizione ha da sempre identificato il complesso in loc. Columbaris (costituito da un sepolcreto all’interno del quale vennero edificati a partire dal IV secolo una chiesa cimiteriale, una basilica e un battistero, completati da una struttura residenziale) con la cattedrale di Senafer = Cornus. Il toponimo Senafer, derivato forse dalla contrazione di Sinus Afer, sembrerebbe più appropriato ad un distretto territoriale, dato che diversamente dalle altre sedi diocesane non si riferisce ad alcun centro urbano noto.
La distanza da Cornus, l’ubicazione e la sua fisionomia, accostabile alle ecclesiae baptismales per gli abitanti delle campagne, fanno pensare che potrebbe essere una cattedrale rurale, per coloro che in un sistema latifondistico in uso in età romana e bizantina popolavano il territorio: i possessores, che gestivano l’economia agricolo-pastorale. È possibile invece che Cornus avesse una sua propria chiesa principale in ambito urbano, che più tardi assunse dignità di cattedrale: un vescovo Boethius di Cornus partecipa al Concilio del 649. Un edificio absidato, identificato dagli scopritori come basilica, risalente a fine IV-V secolo per analogia costruttiva con la basilica funeraria di Columbaris, è tornato alla luce nell’area nord-est del foro all’interno dell’area urbana.
L’età bizantina
Le città figurano nel VII secolo nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (V, 26): Caralis, Sulci, Neapolis, Othoca, Tharri, Corni, Bosa, Turris Libisonis. Sia nelle lettere di papa Gregorio Magno (590-604) che nella Descriptio Orbis Romani di Giorgio di Cipro (prima metà VII secolo) il toponimo Olbia appare sostituito con Fausißh. Studi recenti la ubicano sul sito della città romana – e non nella loc. Pasana, a 3 km da Olbia dove è stata da alcuni localizzata in base all’assonanza del toponimo. Le mura urbiche rimasero in uso e le città sarde – come in tutto il Mediterraneo – dovevano apparire centri fortificati. Procopio di Cesarea, narrando lo scontro a Caralis nel 552 fra i Goti che per un anno occuparono l’Isola e l’esercito di Giustiniano, riferiva che essi uscirono dalle porte della città (Bellum Gothicum, IV, 24,31-38). Pochi decenni dopo (ottobre 598), Gregorio Magno (Ep., IX, 11) esortava il suo vescovo Ianuarius a rinforzare le mura, forse danneggiate durante i suddetti eventi, per arginare il pericolo di incursioni da parte dei Longobardi.
Appartengono al circuito urbico le strutture in grossi blocchi ritrovate sotto la chiesa di San Michele nel quartiere di Stampace e sotto l’ex Albergo “La Scala di ferro” in viale Regina Margherita, che sembrano delineare un percorso che proteggeva il centro urbano a nord, dall’anfiteatro, sotto l’attuale via Manno, per congiungersi poi alle mura a triplice cortina individuate da G. Lilliu sotto al Palazzo dell’INPS in via XX Settembre. Non si escludono anche i cosiddetti “ridotti”, aree di minori dimensioni, cinte da mura, con funzione difensiva e militare, spesso presenti all’interno delle città bizantine. A Carales risiedeva la flotta e certamente anche un corpo di guardia. Dall’area prospiciente lo stagno di Santa Gilla proviene un’epigrafe che menziona un metatum Sancti Longini. Il metatum era un ridotto e la dedica a San Longino, il centurione testimone della Passione del Cristo, suggerisce l’intenzione di porre il luogo sotto la protezione di un “militare”. La Cosmographia del Ravennate cita un praesidium Norae: le mura non sono state trovate; si ipotizza che le cosiddette Terme a mare, che hanno subito modifiche, defunzionalizzando alcuni ambienti e chiudendo gli accessi al mare, siano da identificare con il suddetto praesidium. Delle mura di Sulci rimangono alcuni resti vicino al Fortino Sabaudo. Ancora nell’Ottocento A. Della Marmora e V. Angius vedevano un castrum, attestato già in una stampa seicentesca. In particolare Della Marmora ne fornisce un disegno: una costruzione trapezoidale con quattro torrette d’angolo e due sui lati lunghi. Situato dove oggi è il campo sportivo, proteggeva l’accesso alla città, che avveniva dai due bacini portuali a nord e a sud dell’istmo e dal ponte romano, che collegava l’isola alla terraferma mediante una strada (affiorante oggi dall’acqua).
La Descriptio Orbis Romani di Giorgio di Cipro menziona un Kßstron tou Tßrwn, secondo molti studiosi da identificare con il cosiddetto Castellum aquae, in origine serbatoio idrico della città, trasformato con l’aggiunta di altri ambienti, visibilmente addossati alla struttura principale quadrangolare; oppure con i resti murari individuati sul Colle di San Giovanni. Forum Traiani, l’unica città sarda citata nel De aedificiis di Procopio di Cesarea (Aed., VI, 7,12-13), è detta phrourion (oppidum, luogo fortificato). Delle mura non si sa nulla; si è pensato che Casteddu Ezzu, nuraghe riusato in età bizantina a scopi difensivi, fosse legato alla città. Forse anche Cornus era dotata di un castrum al quale andrebbero attribuiti i resti murari segnalati all’inizio del Novecento. A Turris Libisonis tratti delle mura sono tornati alla luce sotto la Banca Nazionale del Lavoro e il Banco di Sardegna, tra via Sassari e via Mannu, nel corso Vittorio Emanuele e nella zona dell’ex pretura. Innalzate su interri contenenti reperti di V-VI secolo, rientrano nella risistemazione degli inizi dell’età bizantina. Il sistema viario, pur invariato rispetto ai secoli precedenti, registrava modifiche nell’orientamento delle strade in relazione ai nuovi poli. I centri politico-amministrativi della città “romana” probabilmente rimasero in vita. Caralis fu capitale amministrativa all’interno della provincia d’Africa (VII dell’impero).
Del funzionario – il praeses – non si conosce la sede, ma pesi ed exagia (usati nelle uffici pubblici e commerciali) trovati in Piazza del Carmine inducono a ritenere che il fulcro fosse ancora nel foro. Le indagini in via Malta hanno restituito reperti di VII secolo, ma sembra che la zona dove era stato il teatro-tempio in età repubblicana fosse un giardino dopo la sua dismissione; dalla vicina via Maddalena provengono frammenti di anfore del X secolo. A Nora il foro in età protobizantina non era più la sede del potere, ma solo luogo di residenza e attività artigianali. A Forum Traiani, situato dietro alle Terme, rimase forse in uso fino a tarda età. Nel 599 Gregorio Magno lamentava gli abusi del dux Theodorus a danno di poveri, religiosi e del vescovo di Turris (Ep., I, 59). Non si sa se il dux risiedesse nella città, ma è opinione comune che le terme centrali in età bizantina siano state trasformate in palazzo pubblico, tramandato con il nome di re Barbaro, che nella tradizione locale richiama il praeses Barbarus, che aveva condannato al martirio Gavinus, Protus e Ianuarius. Un’epigrafe, oggi nella basilica di San Gavino, celebra la vittoria di un tal Constantinus (imperatore o doux) sui Longobardi e altri barbari (seconda metà VII-inizi VIII sec.). A. Taramelli disse che era incisa sullo stipite della porta di un edificio romano, poi usato come architrave di una chiesa bizantina presso la stazione. L. Pani Ermini, invece, ha proposto che fosse stata posta su un edificio pubblico laico, il palazzo di Re Barbaro. La massima autorità militare, scissa fino al VII secolo da quella politico-amministrativa, risiedeva a Forum Traiani, forse la Chrysopolis di Procopio (Aed., VI, 7,12) e Giorgio Ciprio (Descriptio, 682). Una scelta strategica, per la sua posizione centrale, in un progetto di organizzazione della difesa dell’Isola. Ancora nuovi quartieri si impiantarono in porzioni già incluse nell’area urbana, ma sino a quel momento poco frequentate. A Caralis l’estensione dell’area urbana verso est è correlata al nuovo porto, presso il molo Ichnusa (via Campidano), dove sono stati visti resti di una banchina e grossi contenitori cilindrici della tarda età imperiale. La chiesa di Santa Maria de portu gruttis, reintitolata dagli Spagnoli a San Bardilio e demolita nel 1909, e il San Saturnino de portu kalaretani, citato in documenti di età giudicale, confermano l’uso portuale del bacino che si apriva dove oggi è viale Cimitero. Anche a Nora il nuovo quartiere (Area M) si affaccia su un’insenatura usata come approdo almeno alla fine del VII secolo. A Tharros un quartiere residenziale fu costruito sui muri rasati dell’anfiteatro romano. Le terme all’estremità sud del centro abitato vennero riadattate, con la ripartizione interna degli spazi, foderando la parete esterna, verso il mare, con una muratura priva di finestre, mentre un altro muro invase la sede stradale e ne impedì la percorribilità verso l’estremità della penisola di San Marco.
Il toponimo attuale di Terme di Convento vecchio induce ad ipotizzare che il complesso termale sia stato destinato ad accogliere una comunità monastica. Dall’arcidiocesi di Carales dipendevano altre sei sedi isolane (Ep., IX, 203 inviata nel 599 da Gregorio Magno). Nel pieno VII secolo la Descriptio di Giorgio di Cipro (che riporta: Kßralloj mhtr’rolij, To›rhj, Sanßfar, Sànhj, So›lkhj, Fausißnh, Crus’polij, kßstron to› Tßrwn) attesta che le maggiori città dell’Isola continuavano ad avere un ruolo nell’organizzazione ecclesiastica. Oltre a Senafer, come ricordato, nel 649 è noto un vescovo della sancta Ecclesia Cornensis, Boethius, facendo pensare a due sedi diverse. Sànhj è citata distintamente dal Kßstron tou Tßrwn: la primitiva dimora del vescovo potrebbe essersi spostata nel suburbio, a San Giovanni di Sinis, una chiesa forse in origine a croce libera come i grandi santuari sardi, oggi nella ristrutturazione di epoca medievale ad impianto longitudinale, trinavato, che conserva sotto il pavimento resti di epoca anteriore, fra cui un lacerto di decorazione absidale con motivo a tendaggi attribuibile all’età mediobizantina. Un documento negli archivi della Megisti Lavra al Monte Athos riporta la professione di fede di Eutalio, vescovo sulcitano (circa 680), che aveva ricusato l’ortodossia nell’ambito delle dispute tra monoteliti e diteliti. A Turris il presule Marinianus fu destinatario di alcune missive di Gregorio Magno e nel 648 la diocesi fu coinvolta nella questione relativa al potere arrogato dall’arcivescovo cagliaritano di ordinare i vescovi delle sedi suffraganee sarde. Nel 649 un nuovo episcopo – Valentino – partecipò al sinodo di Martino I. Gregorio Magno (Ep., IV, 27, a. 594) raccomanda all’arcivescovo Ianuarius di Cagliari di eleggere un vescovo in loco qui intra provinciam Sardiniam dicitur Fausiana, ove la consuetudine di nominare un presule era da tempo decaduta. Si può intravedere un segno delle difficoltà durante il periodo di assedio da parte dei Vandali. Nel 600, però, Olbia-Phausania ha il vescovo Victor, che si prodiga nell’evangelizzazione dei Barbaricini e lamenta i soprusi dei funzionari africani nell’esazione dei tributi (Ep., XI, 7). Ancora incerto il quadro dei luoghi di culto cristiani. Delle cattedrali è nota solo Tharros, ma le città avevano altri edifici. A Carales ne rimane l’eco nei primi atti di età giudicale: San Salvatore, San Leonardo e Santa Lucia de civita o bagnaria (oggi la Marina); Santi Andrea e Anania de portu, Santa Maria de portu gruttis o salis; Sant’Anastasia, Santa Restituta, San Guglielmo, luoghi rupestri. A Nora si ritiene che il tempio di Su Coloru, forse dedicato ad Eshmun/Asklepio, sia stato riconvertito al cristianesimo. A Neapolis erano le chiese di Santa Maria de Nabui e Sant’Elena, citata da Vidal; a Bosa non si sa se sotto San Pietro vi fosse una chiesa più antica. La religiosità si viveva molto nel suburbio, nei cimiteri e nei santuari dei martiri. La basilica di San Saturnino a Carales ebbe un nuovo e radicale restauro. Il martyrium cruciforme edificato sull’area funeraria antica, che divenne il cimitero della gerarchia ecclesiastica caralitana, riprese modelli costantinopolitani. Anche nella necropoli di Nora si creò un polo cultuale dove la tradizione ritiene sia stato sepolto Efisio, il martire di Aelia Capitolina (nome romano di Gerusalemme), ucciso in Sardegna. Il santuario è oggi frutto di un rifacimento successivo. A Sulci la catacomba accolse presto il culto di Antioco. Un’epigrafe ricorda interventi di Petrus antistes, che rinnovò con marmi un’aula dove il corpo del beato Antioco riposava. La chiesa attuale viene ascritta nel suo primo impianto tra la fine del VI e il VII secolo e ritenuta una filiazione del modello del San Saturnino di Cagliari, ma non si sa se sostituisca un edificio più antico. Il martyrium di Luxurius, individuato di recente, perpendicolare alla chiesa attuale, fu edificato in un sepolcreto in uso almeno fino all’VIII. Ad est della basilica un vano ha tracce di pitture, ascrivibili al medesimo secolo. Nel cimitero sud di Turris sono stati rinvenuti diversi edifici databili tra IV e XI secolo, tra cui una chiesa trinavata, con abside a ferro di cavallo, forse dedicata ai martiri turritani, in Atrio Comita. 
A Tharros, invece, non si ha memoria di martyria. L’Ep. IX, 196 di papa Gregorio ricorda che un ebreo di nome Pietro, convertitosi al cristianesimo, pose a forza un’immagine della Vergine in una sinagoga della città di Carales. Due iscrizioni presso il Palazzo di re Barbaro documentano anche a Turris una comunità ebraica. L’epistolario gregoriano menziona diverse comunità monastiche a Cagliari, che usavano domus private, lasciate in testamento alla Chiesa locale. Esistevano inoltre il cenobio di San Saturnino e un monastero di San Lorenzo, citato nell’epigrafe di una sua badessa, Redempta. Un’altra comunità è attestata a Turris (Ep., X, 3, al vescovo Mariniano, a. 599) e due epigrafi di benefattori della comunità non escludono xenodochia o piccoli cenobi a Tharros e Olbia. Scarse sono le fonti relative a monaci orientali. Una lettera fu indirizzata nel 655 o 662 dal monaco Anastasio, discepolo di Massimo il confessore, dal suo esilio in Crimea ad una comunità di religiosi stabilita a Caralis [PG XC, coll. 133-136]. Forse non si trattava di un gruppo stanziale a Caralis, ma solo di monaci “peregrini”, transitanti in città per poi insediarsi in aree più isolate. Nel VI secolo sepolture furono poste a Tharros nelle Terme n. 1 e nelle terme di Convento Vecchio, entro le mura. L’inumazione all’interno dell’area urbana era vietata dalla legge romana, ma in età bizantina iniziò a verificarsi ovunque. 
I cosiddetti “secoli bui”
Ancora “bui” sono i secoli VIII-X, “illuminati” da una documentazione scarsa, che ha creato una letteratura spesso fantasiosa, dovuta anche al fatto che molte città dopo l’età bizantina furono abbandonate e le testimonianze monumentali e materiali andarono a poco a poco disperse. Le ragioni furono imputate, secondo una storiografia ideologicamente condizionata, a invasioni islamiche, che avrebbero distrutto le città e soprattutto le chiese. L’archeologia, insieme ad un’accurata rilettura delle fonti e al confronto con il coevo panorama mediterraneo, ha portato nuovi elementi. Le città-diocesi sono ancora nominate nelle Notitiae episcopatuum orientalium di Leone il Sapiente (PG, CVIII, c. 344), ma forse il compilatore utilizzò un testo più antico.
I manufatti attestano che le città sarde continuarono a vivere nel medesimo sito, ma con modalità diverse. Il recupero a Caralis, Turris, Bosa e Olbia della Forum Ware, ceramica invetriata prodotta in area romano-campana dalla metà dell’VIII alla metà del IX secolo, prova una frequentazione ininterrotta di tali centri urbani; dall’altra parte però gli scavi stanno rimettendo in luce città “a macchie”, ove quartieri abitati convivono con ruderi e accumuli di detriti, segno di continuità, ma anche della non volontà (o non possibilità) di ricostruire. Cagliari continua ad essere un porto fiorente e i reperti documentano una fitta rete di relazioni commerciali con l’Africa, la Penisola Iberica e l’Oriente. Proprio per questo si ritiene che sia stata una delle mete principali delle incursioni islamiche subito dopo la distruzione di Cartagine del 697-698, riportate da fonti scritte di parte araba fra il 711 e il 753. È degli stessi anni la notizia fornita dal monaco inglese Beda il Venerabile della vendita delle ossa di Sant’Agostino al re longobardo Liutprando (721-725), che le portò a Pavia (Bedae Venerabilis Opera, VI. Opera didascalica. De tempore ratione, LXVI, 593. CCL, 123, p. 535), ribadita nell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono (VI, 48. MGH, Scriptores Rerum Langobardicarum, p. 181). La tradizione ritiene che le reliquie siano giunte con gli esuli africani del regno vandalico, ma è probabile che siano state portate dopo la conquista araba. In seguito la città è nominata da Eginardo, biografo di Carlo Magno (770-840), in Annales regni Francorum: Legati Sardorum de Carali civitate dona ferentes (a. 815). Nei secoli VIII-XI essa vive momenti difficili: nell’area archeologica di Sant’Eulalia cumuli di detriti di edifici distrutti, mai rimossi, furono ricoperti di terra, generando discariche nel pieno centro urbano; il portico monumentale crollò; case ancora abitate confinarono con ruderi fino al definitivo abbandono e alla desertificazione. Un graffito, in caratteri cufici, murato nel rifacimento vittorino della chiesa di San Saturnino, insieme ad un’epigrafe araba (inizi X secolo), danno la percezione di una società multietnica forse non sempre in pace. Si è ipotizzato che Caralis sia la città sarda distrutta nel 935 da parte della flotta araba, di ritorno da Genova; se così fosse, tale attacco potrebbe aver causato il definitivo abbandono dell’area urbana e il trasferimento dei suoi abitanti e dei centri del potere civile e religioso nell’area di Santa Gilla. Nora appare destrutturata: molti antichi edifici, spoliati, furono trasformati in discariche e in impianti artigianali modesti; le strade ricoperte di terra; spazi abitati alternati a spazi deserti. La città non sembra sopravvivere oltre la fine del VII secolo o gli inizi dell’VIII, quando un incendio danneggiò le Terme a mare, forse a causa dei primi attacchi arabi. Invece, il santuario di Sant’Efisio fu frequentato nei secoli VIII-XI, forse gestito da monaci orientali, come suggeriscono alcuni manufatti scultorei recuperati al largo dell’Isola di San Macario e l’agiografia. Anche per Sulci dalla passio di Sant’Antioco si è indotti a ritenere che il santuario fosse ancora in vita, gestito da una comunità di religiosi, forse orientale. Il compilatore della passio di Santa Giusta di Othoca, che racconta di un’inondazione che avrebbe cancellato la vecchia città, come punizione divina per i persecutori della santa, doveva vedere una città desertificata. Se l’Archivum ipotizzato a San Giorgio di Cabras in base ai numerosi sigilli ivi recuperati è da riferire ad un trasferimento dell’Archivum di Tharros, si dovrebbe pensare all’abbandono dell’antica città e allo spostamento del centro amministrativo in un’area interna. L’anfiteatro di Forum Traiani fu smantellato come edificio di spettacolo e ridestinato a sepolcreto di soldati: le tombe contenevano fibbie di cintura dei militari bizantini e monete, che consentono di datarne l’uso almeno sino alla fine dell’VIII secolo. Cornus, per quanto attiene al complesso in loc. Columbaris, non fu frequentata oltre la fine del VII secolo. Nel X-XI, in seguito alla riorganizzazione diocesana territoriale, una sede diocesana fu istituita a Bosa, secondo alcuni in sostituzione di Senafer. A Bosa le ricerche archeologiche hanno riportato alla luce un cimitero sotto la cattedrale di San Pietro edificata in età giudicale: si ipotizza che l’abitato antico dovesse essere nei pressi, come indicano i reperti ascrivibili ai secoli VIII-XI. A Turris la basilica, caduta in disuso e demolita fino alle fondazioni, venne coperta da un nuovo edificio di cui si è trovato un lato del portico, usato come cimitero: le tombe poggiano – occultandole – sulle fondazioni della chiesa più antica. Esso era decorato, come dimostrano i lacerti di affresco recuperati negli strati di crollo, databili al IX-X secolo. Fu demolito per cause ignote, anche se si può azzardare l’ipotesi di qualche attacco dall’esterno alla fine del X secolo. Che la città fosse ancora in vita almeno nel IX è testimoniato dalla Forum Ware e da monete bizantine e arabe trovate nella regione di Balai. Queste ultime potrebbero essere l’indizio di relazioni commerciali, o – come a Caralis – di un nucleo islamico residente in città, l’altro  grande porto dell’Isola, che metteva in comunicazione tra l’altro con la Spagna, dove gli arabi erano stanziati dal 711. Turris fu con ogni probabilità la prima sede dei giudici del regno di Torres, che nel XII secolo andarono a risiedere in una vila de Ardar e in un castedu/casteddu de Ardar.
Forse il porto di Olbia è ricordato dall’Apocalisse dello Pseudo-Metodio come uno dei primi a subire un tentativo di incursione islamica. Egli narra che i Saraceni depredarono le città e i villaggi, fino a Roma, l’Illiria, l’Egitto, Âfnasôliôs e Lûzâ la grande, di fronte a Roma. Lo storico W. Kaegi ha tradotto Lûzâ con Olbia, anticipando l’attacco alla Sardegna al VII secolo. Altri studiosi ritengono invece che egli abbia usato una traduzione latina e non la versione originaria siriaca, confondendo con avvenimenti del 720 o di pochi anni prima. Il traffico commerciale rimase attivo nel suo porto, che sui relitti impiantò un nuovo approdo.

Foto di copertina: Forum Traiani, le terme link: www.forumtraiani.it

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