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martedì 25 giugno 2019

Archeologia all’Elba - Uno scheletro e tanti dubbi. Articolo di Alberto Zei

Archeologia all’Elba - Uno scheletro e tanti dubbi.
Articolo di Alberto Zei

A seguito della pubblicazione sul Quotidiano Honebu dell’articolo riguardante il ritrovamento archeologico di uno scheletro umano negli scavi  all’Isola d’Elba, i Professori Mallegni e Zecchini hanno precisato quanto ancora si dovrebbe ottenere dalle osservazioni e dalle analisi dei resti fossili che dovevano seguire il ritrovamento. L’articolo che pubblichiamo oggi verte sul medesimo tema di quello redatto dai due professori perché anche Alberto Zei, autore dell’articolo odierno, ritiene necessaria maggiore chiarezza sulla questione attraverso una salutare rivisitazione delle prime  dichiarazioni dei ricercatori.
L’ Elba esoterica
Sarebbe interessante poter leggere  su riviste di archeologia dedicata  a rilevanti ritrovamenti,  notizie attendibili su reperti rinvenuti all’Elba, isola che, sul piano del patrimonio archeologico, stante la sua plurimillenaria storia,  è sicuramente più ricca di molte altre località italiane. Ancora una volta, invece, si apprende da alcuni giornali elbani on line nonché da riviste di archeologia di livello nazionale, quanto di conflittuale  possa insorgere sulle scoperte archeologiche  che attraverso i
millenni  hanno lasciato sicuramente  nella   storia dell’ Isola tracce importanti rispetto  alla sproporzione delle vicissitudini di una decina di mesi in cui Napoleone suo malgrado, si è  interessato all’Elba. Esiste nell’Isola  il promontorio magnetico, chiamato Capo Calamita,  rivolto verso  Montecristo, che fa “perdere la bussola” alla rotta delle navi che transitano nei paraggi;  si può notare che anche nelle vicende storiche elbane simbolicamente  permane una sorta di attrazione esoterica dei poli contrari  degli stessi problemi, ossia di valutazioni contrapposte e destinate, pertanto,  allo scontro. Infatti, le divergenze di interpretazione di noti  protagonisti e autori di articoli su giornali e riviste nazionali di archeologia inducono a considerare eventi remoti dell’antica storia isolana in modo diverso e contraddittorio, almeno laddove ci sono  affermazioni forse sensazionali, ma non  provate e lontane dalla spiegazione più logica, che pertanto ingenerano una disputa basata sul nulla e finiscono col sacrificare l’importanza del ritrovamento.
Qualche esempio
Questo vale per gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, sbarcati sulla spiaggia delle Ghiaie; per l’arrivo di Menelao nel golfo di Portoferraio dopo la fine della guerra di Troia; per l’attribuzione della villa romana delle Grotte a Messalla Corvino; per la presenza di Ovidio che, prima della sua forzata partenza per il Mar Nero, non avrebbe disdegnato una visitina in tragitto opposto all’isola d’Elba, sfidando e trasgredendo, lui e i sui ospitanti elbani, la decisione di Augusto, la cui reazione, stante la pletora dei personaggi nobili e meno nobili necessariamente a conoscenza del fatto, non si sarebbe fatta attendere.  Le ultime divergenze fra studiosi riguardano il ritrovamento di uno scheletro umano di epoca romana nella pianura di  San Giovanni antistante il golfo di Portoferraio.
Il Gruppo di lavoro
Un gruppo di ricercatori elbani, coordinato dall’archeologo Prof. Franco Cambi, coadiuvato   dalla  ricercatrice Dott.ssa Laura Pagliantini, ha portato  alla luce dalle  fondamenta i resti di una sorta di fattoria  romana  sepolta dal terreno alluvionale nella piana di San. Giovanni, non lontano dai ruderi di una villa romana del periodo augusteo allocata su una amena altura sopra la stessa costa. Durante  gli scavi è stato rinvenuto all’interno della fattoria uno  scheletro umano attribuito dai responsabili degli scavi ad  un individuo di sesso non identificato  morto in giovane età (circa 20 anni)  in seguito a un incendio che avrebbe distrutto la stessa villa nel  primo secolo  d.C.  A contestare il particolare del ritrovamento sono due  professionisti di antropologia e di archeologia, e cioè il Prof. Francesco Mallegni già ordinario di Paleantropologia  all’Ateneo Pisano  e il Prof. Michelangelo Zecchini, accademico ordinario della Classe di scienze presso l’Accademia di Lucca. Secondo gli stessi, le ossa ritrovate non appartengono ad un giovane ma a un individuo adulto (45-50 anni)  di sesso maschile; per di più i resti ossei ritrovati  fanno evincere che la sepoltura risalga  non al 50-100 d. C., bensì a circa 300 anni dopo e cioè intorno al IV –V  secolo d. C.
Prove a confronto
Motivazioni di carattere tecnico-biologico confermerebbero  quanto dichiarato dai due scienziati. Le cose sono dunque nettamente diverse da come sono state presentate e  la scoperta assume conseguentemente un altro significato. In particolare l’età archeologica dell’ individuo ritrovato (primo secolo d.C.) appare basata  su impressioni personali di carattere deduttivo piuttosto che su oggettivi riscontri scientifici; riscontri ormai alla portata di tutti  mediante l’ ormai consolidata tecnica del  carbonio 14. Purtroppo le ipotesi  sono state trasmesse imprudentemente, prima di ogni verifica radiometrica, alla prestigiosa Normale di Pisa, che li ha pubblicati nei suoi Annali. Ci auguriamo che il radiocarbonio confermi la datazione al I secolo d. C. perché altrimenti saremmo di fronte alla divulgazione di notizie lontane dal vero. Oggi i risultati degli esami antropologici su quello scheletro vengono pubblicati su un supplemento agli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa a cura di Franco Cambi, Laura Pagliantini e Collaboratori. Vi si afferma, fra l’altro, che le analisi sono state condizionate in negativo dallo stato di conservazione, che in realtà non sembra proprio così ‘pessimo’ come è stato asserito. A nostro avviso i rilievi, la metodologia e le conclusioni riportate non sono affatto convincenti e sarebbe sufficiente tacere. 
Qualcuno potrebbe ritenere  sufficiente astenersi dai commenti contrari alle scoperte per non creare conflitti; ma in questo modo non si apporterebbe alcun beneficio al progresso delle conoscenze.  Allo stato attuale le osservazioni  dei due illustri scienziati si fanno preferire in virtù delle  referenze nel campo della biologia e dell’antropologia. Ma sono soprattutto da condividere le loro richieste di  verifiche supplementari a riprova delle loro affermazioni “pro veritate”.  E’ altrettanto consequenziale  che  le iniziali congetture (come l’età di morte, la determinazione del sesso, le cause della morte stessa)  avanzate dagli artefici degli scavi  siano gravate da grossi punti interrogativi. Se un ritrovamento di tal genere rientra tra le scoperte antropologiche di un certo valore,  allora sarebbe stato il caso di approfondire preventivamente, così come suggerito dai Proff. Mallegni e Zecchini, la veridicità di quelle precisazioni  archeologiche adesso  ritenute  incongruenti. Perché tutto ciò?  Se  si trattasse di errori riportati nella pubblicazione divulgata da una prestigiosa Università come la Normale  di Pisa, il danno di immagine sarebbe ingente.  Certamente come ipotesi non si possono neanche escludere errori al contrario e cioè che i due professori si stiano sbagliando. Occorre sottolineare, però, che su questo argomento il Prof. Mallegni si offriva di effettuare i relativi test di conferma (determinazione della età alla morte e del sesso) presso il Museo Archeologico A. C. Blanc di Viareggio, di cui è direttore scientifico. A quanto pare l’invito non è stato accettato. Eppure, a mio avviso, il confronto e il contraddittorio sono il sale del progresso delle conoscenze e restituirebbero  all’intera questione un carattere di univoca interpretazione al di sopra delle parti:   per  chiunque, ma in particolare  per  quegli stranieri che considerano l’ Italia come custode della più grande concentrazione archeologica del mondo e di autentiche opere d’ arte, e  che per tali motivi mantengono ancora  questo loro  giudizio.
Non è un episodio
Trovarsi di fronte a una disputa di carattere scientifico all’Isola d’Elba, come si diceva all’inizio, in tema di archeologia, non  è un caso isolato.  Altre questioni ancora irrisolte dovranno essere affrontate con “calma e gesso”, come la pseudo zecca del Principato di Piombino nel  Comune di Marciana; zecca che lo stesso Comune attribuisce alla famiglia degli Appiano (XVI secolo),  mentre ormai sappiamo su basi obiettive che l’ ipogeo di cui trattasi  tutto può essere meno che una zecca. La mistificazione dell’ipogeo allestito come zecca ha instaurato un effetto domino tale da compromettere seriamente la credibilità storica di ciò che all’Elba si racconta.  D’ altra parte è difficile capire per quale motivo  si preferisca porgere le stampelle all’ipotesi di una situazione insostenibile e penalizzante rispetto alla realtà, quando la  vera natura sepolcrale dell’ipogeo etrusco  avrebbe potuto restituire in modo più “remunerativo” alla cittadinanza  un bene storico, archeologico e patrimoniale  finora sottratto  alla storia della umanità.

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