mercoledì 5 giugno 2019
Antropologia. Lo scheletro di San Giovanni (Isola d’Elba): perplessità sulle ipotesi avanzate circa l’età della morte, il sesso e la datazione. Articolo di Francesco Mallegni e Michelangelo Zecchini
Antropologia. Lo scheletro di San Giovanni (Isola d’Elba): perplessità
sulle ipotesi avanzate circa l’età della morte, il sesso e la datazione.
Articolo di Francesco
Mallegni e Michelangelo Zecchini
Il
ritrovamento di uno scheletro umano durante la campagna di scavi 2017 nella
fattoria romana di S. Giovanni (Portoferraio) suscitò un certo interesse. Se ne
occupò diffusamente la stampa la quale,
trascrivendo evidentemente le convinzioni dei responsabili dello scavo (Franco
Cambi e Laura Pagliantini dell’Università di Siena), riportò che “si trattava di un individuo giovane,
un ventenne, come sembrano
indicare i denti e lo stato di formazione delle ossa”. Oggi i risultati degli esami antropologici su
quello scheletro vengono pubblicati su un supplemento agli Annali della Scuola
Normale Superiore di Pisa a cura di Franco Cambi, Laura Pagliantini e Collaboratori. Vi si
afferma, fra l’altro, che le analisi sono state condizionate in negativo dallo
stato di
conservazione, che in realtà non sembra proprio così ‘pessimo’ come è
stato affermato.
A
nostro avviso i rilievi, la metodologia e le conclusioni riportate non sono
affatto convincenti.
Iniziamo
dal frammento di mandibola con infisso un dente molare - il 3o - a 4
cuspidi. Tre di queste ultime sono abrase: le linguali, anteriore (o
protoconide) e posteriore (o ipoconide) e la vestibolare posteriore (o
entoconide). La vestibolare anteriore (o metaconide) non mostra nessuna usura.
Le abrasioni permettono di scorgere la dentina sottostante, di colore più scuro
dello smalto, e ciò consente di
ipotizzare che l’individuo abbia raggiunto un’età alla morte assai superiore a
quella indicata dagli autori della ricerca; del resto il terzo molare erompe
per ultimo (sui 18-20 anni) e debbono trascorrere molti anni perché la masticazione
possa dar origine ad un’usura siffatta (a meno che l’individuo, dopo
l’eruzione, non abbia masticato chiodi di ferro o sostanze abrasive
particolarmente tenaci). Nel lavoro non si parla degli altri denti, che pure Cambi e C. dichiarano
essere presenti; la loro descrizione sarebbe stata importante per specificare
la loro usura rispetto al terzo molare sulla mandibola precedentemente
ricordato. Anche il frammento di quest’ultima è molto abraso, sia nel tratto
anteriore al dente residuo sia, seppure parzialmente, nel tratto postdentale
che annuncia un piccolo tratto del ramo montante, però perduto; non sono quindi
possibili altre considerazioni e tanto meno quelle che gli autori evocano per
la saldatura delle epifisi dei femori e delle tibie, saldatura che, com’ è
noto, si conclude sui 18-20 anni mettendo fine all’accrescimento della statura
dell’individuo.
È
da credere, di conseguenza, che lo scheletro rinvenuto a S. Giovanni non fosse
un individuo giovane ma un adulto in età
piuttosto avanzata alla morte (tra i 45-50 anni), tenendo conto anche
dell’epoca in cui visse (1600-2000 anni fa) allorché il decesso poteva essere
molto più precoce rispetto a quello che generalmente avviene, almeno in Europa,
in epoca attuale.
Desta
perplessità anche l’affermazione secondo la quale non sarebbe possibile una
determinazione di sesso. Esiste al contrario più di un elemento per poter
assegnare questo soggetto al sesso maschile: è sufficiente considerare il
volume, la conformazione esterna delle ossa degli arti inferiori (femori e
tibie) e la loro robustezza, come può evincere anche dalle foto l’ occhio
esercitato di un antropologo; si osserva
come siano ben conservate soprattutto le diafisi, un po’ meno le epifisi
che sono molto più soggette a fratturazioni data la sottigliezza dell’osso
compatto e più che altro perché costituite da quello spugnoso; quindi i resti,
giova ripeterlo, non appaiono poi così mal ridotti come è stato scritto. Appare
fuori luogo, allora, la definizione di
sesso neutro dato all’individuo da Cambi e Collaboratori.
Niente
viene detto sulla natura del deposito in cui la sepoltura è stata realizzata,
aspetto piuttosto misterioso per il quale non si dà nessuna spiegazione, come
del resto non se ne dà per la mancanza della mandibola descritta al momento
dello scavo scivolata a sinistra (ma come, si rimuovono reperti così importanti
prima dei rilievi grafici e fotografici?). Quello che resta della fossa
contenente il defunto si nota per tutta la zona in cui esso giace e soprattutto
a livello della metà inferiore del corpo, a cominciare dal bacino fino alla
parte inferiore delle tibie; restano della fibula di sinistra lacerti in
posizione, mentre la destra è scomparsa, così come le ossa dei piedi.
Dalla
foto emerge che l’individuo fu sepolto in posizione anatomo-fisiolologica (arto
superiore sinistro allineato al tronco, quello destro con l’avambraccio diretto
verso l’ala iliaca e la mano di lato alla zona pubica; gli arti inferiori erano
naturalmente tra loro paralleli).
Cambi
e Altri ipotizzano “che l’individuo si sia trovato
in questo luogo in un momento successivo al crollo iniziale della villa,
verosimilmente per recuperarne alcuni materiali architettonici”. Siamo di
fronte a un discreto sforzo di immaginazione, che poi prosegue con la singolare
affermazione che fu lì sepolto “In seguito ad una morte improvvisa” (da
che cosa lo hanno dedotto?). L’archeologia funeraria insegna tra l’altro
che nella prima epoca imperiale i Romani non amavano per niente la presenza di
tombe nelle abitazioni, eccezion fatta per quelle di neonati o bambini molto
piccoli. Gli adulti trovavano spazio in aree cimiteriali oltre i confini delle
case.
E,
infine, non persuade neppure la datazione dello scheletro: “Siamo intorno al
50 – 100 dopo Cristo, il periodo in cui la casa era andata a fuoco”, sostiene Cambi. È assai più probabile, invece,
che si tratti di una sepoltura tardo-imperiale (IV-V secolo d. C.): non è raro,
infatti, che in quel periodo le domus abbandonate (si vedano le ville delle
Grotte e del Cavo) venissero rioccupate proprio per scopi sepolcrali. E
comunque: visto che per la tomba di S. Giovanni non era possibile formulare una
corretta proposta cronologica in quanto era assente il corredo funebre, perché
non si è proceduto con un test ormai di routine come il carbonio 14? Quando
esiste, come in questo caso, la possibilità di utilizzare strumenti scientifici
probanti, come il C14, è abbastanza inutile sfornare congetture su congetture.
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