lunedì 4 giugno 2018
Archeologia. I Sardi nella guerra di Troia? Riflessioni di Carlo D'Adamo
Archeologia. I Sardi nella guerra di Troia?
Riflessioni di Carlo D'Adamo
Perché un libro intitolato “I Sardi nella guerra di Troia?”
La storiografia greca ha elaborato nel ciclo dell’epopea troiana il processo di crisi del sistema miceneo, mentre la storiografia egizia ha narrato parte dello stesso processo sotto il tema dell’invasione degli “Abitanti delle Isole del Grande Verde” che ordivano una “congiura” contro l’Egitto assalendo le sue coste e tentando un’invasione.
La sostanziale autoreferenzialità delle due tradizioni storiografiche impedì a Platone, al quale la tradizione egizia era giunta di seconda o di terza mano, di riconoscere nel racconto di Crizia (che egli riporta nel Timeo) gli stessi avvenimenti che i greci avevano già elaborato nei miti di Teseo e del
ritorno degli Eraclidi e nella grande epopea della guerra di Troia.
Ma se noi ci misuriamo direttamente con Medinet Habu ed evitiamo il bypass “sacerdoti egiziani-Solone-Crizia-Platone” per accedere direttamente alle fonti che parlano degli Abitanti delle Isole del Grande Verde, dei Srdn, dei Skls, dei Trs, dei Lkk e dei Dnwn, ci rendiamo conto del fatto che avvenimenti riferibili allo stesso processo storico vengono narrati da due prospettive estremamente diverse: quella dei faraoni, da una parte, e quella dell’aristocrazia greca, dall’altra.
La prospettiva del faraone è dinastica, accentratrice e celebrativa: nella sua narrazione dei fatti si tacciono le sconfitte, gli alleati vengono dipinti come sudditi o vassalli, le merci importate vengono presentate come tributi dovuti od omaggi offerti in dono. Del lungo processo di crisi ed implosione del mondo miceneo il faraone racconta solo le scorrerie che gruppi di “abitanti delle Isole del Grande Verde”, congiurati contro l’Egitto, effettuavano. Se noi accettiamo il nome che convenzionalmente viene attribuito dai greci al processo di disgregazione del mondo miceneo, cioè “guerra di Troia”, dobbiamo concludere che le coste egiziane erano il fronte sud-occidentale di quella guerra.
La prospettiva dei Greci è aristocratica, policentrica e contraddittoria: la loro narrazione enfatizza l’eroismo individuale dei vari principi, è reticente sugli aspetti economici del conflitto, codifica nel racconto dell’assedio ad una unica città le guerre che misero in crisi il sistema palaziale, riduce i conflitti sociali a vicissitudini individuali (nei nostòi) e mescola anacronisticamente processi riferibili all’età del Bronzo ad altri più recenti. È il punto di vista di una società aristocratica vittoriosa militarmente all’esterno ma in piena crisi al proprio interno.
Se Platone o Crizia avessero relativizzato le informazioni giunte loro dai sacerdoti egizi avrebbero compreso che l’isola potentissima (che Platone chiama “Atlantide”) situata a nord-ovest rispetto all’Egitto poteva benissimo essere a sud-est (ma anche a sud-ovest o ad ovest) rispetto alla Grecia, e non l’avrebbero, forse, collocata oltre lo stretto di Gibilterra. Ma, cosa forse più importante, avrebbero compreso che anche la tradizione greca conservava memoria di quei fatti, che tuttavia, nel mito e nell’epopea di Troia, assumevano un aspetto completamente diverso da quello tramandato dalla propaganda dei faraoni. Forse alla base della incapacità di Platone di collegare i contenuti storici delle leggende greche al racconto dei sacerdoti egizi stava una forma mentis razionale, filosofica, sostanzialmente estranea all’attitudine mito-poietica della storiografia leggendaria.
Ma diversi indizi permettono di interconnettere i racconti greci con quelli dei faraoni, ed ambedue con una enorme mole di dati archeologici. Omero, ad esempio, conserva memoria di scorrerie effettuate contro l’Egitto a partire da Creta (nel racconto di Odisseo ad Eumeo: Odissea XIV, 284 e segg.), di alleanze tra troiani ed egiziani (il sovrano etiope Mèmnone ucciso da Achille: Odissea XI, 522), di alleanze commerciali tra clan familiari appartenenti a popoli diversi (l’episodio di Diomede e Glauco: Iliade, VI, 119 e segg.), che gettano uno spiraglio di luce sulla fine dell’età del Bronzo e sull’inizio dell’età del Ferro nel Mediterraneo. E le infinite testimonianze di ceramica “micenea” e di frammenti di manufatti “micenei” ritrovati anche in Italia, e risalenti a ben prima della cosiddetta colonizzazione greca, provano l’esistenza di relazioni frequenti, organiche, stabili, tra le popolazioni mediterranee, comprese quelle italiche, nelle diverse fasi dell’età del Bronzo.
L’adozione della “proiezione micenea” (cioè dell’ipotesi che, se i greci si trovavano già in Grecia in epoca micenea, anche la maggior parte dei popoli con cui essi avevano relazioni probabilmente era collocata, grosso modo, dove poi la ritroviamo in epoca storica) sembra aprire interessanti prospettive di ricerca, che nel libretto “I Sardi nella guerra di Troia” sono indicate per sommi capi.
La più immediata consiste nella rivalutazione dell’ipotesi che i testi egizi, quando parlano dei Srdn, si riferiscano proprio ai nostri Sardi, che da tempo, come innumerevoli reperti hanno dimostrato, si trovavano al centro di intensissime relazioni con tutti i paesi del Mediterraneo. Ma la chiamata in causa dei Sardi nel processo che porta al collasso del sistema miceneo non è senza conseguenze, perché, come da tempo sostiene fra gli altri Michel Gras, i Sardi portano con sé almeno Siculi e Tirreni (e forse, anche se il condizionale è d’obbligo, anche Lucani e Dauni).
Riflessioni di Carlo D'Adamo
Perché un libro intitolato “I Sardi nella guerra di Troia?”
La storiografia greca ha elaborato nel ciclo dell’epopea troiana il processo di crisi del sistema miceneo, mentre la storiografia egizia ha narrato parte dello stesso processo sotto il tema dell’invasione degli “Abitanti delle Isole del Grande Verde” che ordivano una “congiura” contro l’Egitto assalendo le sue coste e tentando un’invasione.
La sostanziale autoreferenzialità delle due tradizioni storiografiche impedì a Platone, al quale la tradizione egizia era giunta di seconda o di terza mano, di riconoscere nel racconto di Crizia (che egli riporta nel Timeo) gli stessi avvenimenti che i greci avevano già elaborato nei miti di Teseo e del
ritorno degli Eraclidi e nella grande epopea della guerra di Troia.
Ma se noi ci misuriamo direttamente con Medinet Habu ed evitiamo il bypass “sacerdoti egiziani-Solone-Crizia-Platone” per accedere direttamente alle fonti che parlano degli Abitanti delle Isole del Grande Verde, dei Srdn, dei Skls, dei Trs, dei Lkk e dei Dnwn, ci rendiamo conto del fatto che avvenimenti riferibili allo stesso processo storico vengono narrati da due prospettive estremamente diverse: quella dei faraoni, da una parte, e quella dell’aristocrazia greca, dall’altra.
La prospettiva del faraone è dinastica, accentratrice e celebrativa: nella sua narrazione dei fatti si tacciono le sconfitte, gli alleati vengono dipinti come sudditi o vassalli, le merci importate vengono presentate come tributi dovuti od omaggi offerti in dono. Del lungo processo di crisi ed implosione del mondo miceneo il faraone racconta solo le scorrerie che gruppi di “abitanti delle Isole del Grande Verde”, congiurati contro l’Egitto, effettuavano. Se noi accettiamo il nome che convenzionalmente viene attribuito dai greci al processo di disgregazione del mondo miceneo, cioè “guerra di Troia”, dobbiamo concludere che le coste egiziane erano il fronte sud-occidentale di quella guerra.
La prospettiva dei Greci è aristocratica, policentrica e contraddittoria: la loro narrazione enfatizza l’eroismo individuale dei vari principi, è reticente sugli aspetti economici del conflitto, codifica nel racconto dell’assedio ad una unica città le guerre che misero in crisi il sistema palaziale, riduce i conflitti sociali a vicissitudini individuali (nei nostòi) e mescola anacronisticamente processi riferibili all’età del Bronzo ad altri più recenti. È il punto di vista di una società aristocratica vittoriosa militarmente all’esterno ma in piena crisi al proprio interno.
Se Platone o Crizia avessero relativizzato le informazioni giunte loro dai sacerdoti egizi avrebbero compreso che l’isola potentissima (che Platone chiama “Atlantide”) situata a nord-ovest rispetto all’Egitto poteva benissimo essere a sud-est (ma anche a sud-ovest o ad ovest) rispetto alla Grecia, e non l’avrebbero, forse, collocata oltre lo stretto di Gibilterra. Ma, cosa forse più importante, avrebbero compreso che anche la tradizione greca conservava memoria di quei fatti, che tuttavia, nel mito e nell’epopea di Troia, assumevano un aspetto completamente diverso da quello tramandato dalla propaganda dei faraoni. Forse alla base della incapacità di Platone di collegare i contenuti storici delle leggende greche al racconto dei sacerdoti egizi stava una forma mentis razionale, filosofica, sostanzialmente estranea all’attitudine mito-poietica della storiografia leggendaria.
Ma diversi indizi permettono di interconnettere i racconti greci con quelli dei faraoni, ed ambedue con una enorme mole di dati archeologici. Omero, ad esempio, conserva memoria di scorrerie effettuate contro l’Egitto a partire da Creta (nel racconto di Odisseo ad Eumeo: Odissea XIV, 284 e segg.), di alleanze tra troiani ed egiziani (il sovrano etiope Mèmnone ucciso da Achille: Odissea XI, 522), di alleanze commerciali tra clan familiari appartenenti a popoli diversi (l’episodio di Diomede e Glauco: Iliade, VI, 119 e segg.), che gettano uno spiraglio di luce sulla fine dell’età del Bronzo e sull’inizio dell’età del Ferro nel Mediterraneo. E le infinite testimonianze di ceramica “micenea” e di frammenti di manufatti “micenei” ritrovati anche in Italia, e risalenti a ben prima della cosiddetta colonizzazione greca, provano l’esistenza di relazioni frequenti, organiche, stabili, tra le popolazioni mediterranee, comprese quelle italiche, nelle diverse fasi dell’età del Bronzo.
L’adozione della “proiezione micenea” (cioè dell’ipotesi che, se i greci si trovavano già in Grecia in epoca micenea, anche la maggior parte dei popoli con cui essi avevano relazioni probabilmente era collocata, grosso modo, dove poi la ritroviamo in epoca storica) sembra aprire interessanti prospettive di ricerca, che nel libretto “I Sardi nella guerra di Troia” sono indicate per sommi capi.
La più immediata consiste nella rivalutazione dell’ipotesi che i testi egizi, quando parlano dei Srdn, si riferiscano proprio ai nostri Sardi, che da tempo, come innumerevoli reperti hanno dimostrato, si trovavano al centro di intensissime relazioni con tutti i paesi del Mediterraneo. Ma la chiamata in causa dei Sardi nel processo che porta al collasso del sistema miceneo non è senza conseguenze, perché, come da tempo sostiene fra gli altri Michel Gras, i Sardi portano con sé almeno Siculi e Tirreni (e forse, anche se il condizionale è d’obbligo, anche Lucani e Dauni).
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vorrei capire se c'è correlazione fra fonti sacre , dolmen e tombe dei giganti fon luoghi energentici mi può indicare eventuali correlazioni e bubbligazioni in merito grazie carlo cipriani cipgeo@alice.it
RispondiEliminaBuongiorno Carlo, so che qualche studioso (non archeologi) propone teorie che legano i monumenti a misteriose energie che agevolerebbero la guarigione di alcune malattie, ma non conosco le loro pubblicazioni, mi dispiace.
RispondiElimina"Graffitologia" si onora confermare a Michel Gras che, SA'R'DI, SI'CU'LI', LU'CA'NI, D'AU'NI + oltre 40 assembramenti di comunità IT'AL'IC'HE (= PO'PO'LI). Hanno attestato le loro storiche origini con precisi ideogrammi esistenziali dell'umanità = MEN'S.C/HH'EIT (eque spartizioni). Problema d'attualità a tutt'oggi irrisolto anche per noi acculturati, che non abbiamo mai VOLUTO significate quella loro disciplina psicologico-sociale.
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