Archeologia. I rapporti fra la Sardegna e Cipro nell'età del Bronzo: i lingotti in rame denominati "ox-hide", o a pelle di bue.
Riflessioni di Davide Schirru tratte dalla tesi di laurea dello stesso autore.
Molti autori riconoscono il ruolo di Cipro nello sviluppo delle tecniche metallurgiche in Sardegna, ma i contrasti nascono nel momento in cui si tratta di datare queste influenze, interpretabili come fenomeni di "acculturazione", visto che l'idea di una civiltà nuragica passivamente recettiva degli stimoli provenienti dall'oriente può dirsi definitivamente tramontata, sulla base dei ritrovamenti di manufatti nuragici nel Mediterraneo centrale avvenuti negli ultimi trent'anni. I materiali di origine cipriota presenti in Sardegna sono per lo più manufatti metallici, mentre i reperti ceramici si riducono a due soli frammenti, provenienti dal Nuraghe Antigori di Sarroch: un frammento di ansa wishbone handle della classe ceramica Base-ring II ware (Tardo Cipriota II) e un frammento di un pithos, del tipo utilizzato per il trasporto di olio. La selettività con la quale i materiali ciprioti vengono recepiti in
Sardegna dovrà far riflettere sulla natura degli scambi: allo stato attuale della documentazione archeologica, la situazione siciliana appare invece molto diversa, dal momento che sono stati rinvenute in associazione, a Thapsos e a Cannatello, ceramiche micenee e cipriote con frammenti di lingotti oxhide. Questi lingotti furono, come si sostiene sulla scorta delle analisi archeometallurgiche (Kassianidou 2005), prodotti a Cipro a partire dal XV secolo fino all'XI a.C., e un'ulteriore conferma in questo senso verrebbe dai due relitti di navi rinvenuti nei pressi delle coste meridionali della Turchia, quelli di Uluburun e di Capo Gelydonia. Come è evidente, già questo primo dato anticipa di svariati secoli il boom delle manifestazioni metallurgiche nell'isola, ed è una prima giustificazione per una cronologia alta di contesti quali i ripostigli. In linea generale, in questa prospettiva di cronologia alta, si ritiene che l'influsso cipriota cambi di segno all'alba dell'XI secolo, quando in Sardegna fanno la loro comparsa oggetti come gli spiedi compositi e le spade del tipo Monte Sa Idda, che denunciano uno stretto legame con l'area iberica. I rapporti col mondo cipriota non si sarebbero però
interrotti, ma si ritiene comunque che la mappa generale delle rotte commerciali risenta della pressione dei mercanti levantini che portarono con sé nuove esigenze e obiettivi commerciali. L'età del ferro, oggetto di questa tesi, sarebbe solamente dunque un momento di veloce deterioramento della capacità delle popolazioni sarde di inserirsi attivamente nel tessuto delle relazioni tra popoli Mediterranei: in quest'ottica, i contesti etruschi "chiusi", di età orientalizzante, sarebbero una forma di revival dettato dalla riproposizione in ambito funerario di oggetti ormai vecchi di secoli, mentre in Sardegna si assisterebbe a forme di tesaurizzazione, che dal bronzo finale si estenderebbero appunto all'età del ferro. Ancora, in linea generale, il quadro dei rapporti con le altre popolazioni del Mediterraneo, vedrebbe un'evoluzione dei protagonisti in senso diacronico e, banalizzando, una successione simile:
1. ciprioti/cretesi/micenei
2. popolazioni iberiche
3. primi prospectors levantini (filistei)
4. fenici.
Si cercherà ora di precisare quali sono gli elementi che hanno permesso di datare la diffusione dei lingotti oxhide (che inevitabilmente presuppongono una componente cipriota nel loro commercio). I limiti cronologici sopracitati, che vanno dal XV all'XI secolo, sono stati individuati non tanto in base a ritrovamenti avvenuti nell'isola di Cipro, ma sulla base di associazioni documentate in contesti cretesi e sardi (Kassianidou 2005). D'altra parte, si può ipotizzare che già gli esemplari cretesi (i più antichi) fossero prodotti a Cipro, come la recente scoperta di una vasta officina metallurgica del Tardo Cipriota I farebbe ipotizzare (Knapp et alii 1999); lo stesso, sostiene la Kassianidou, si può affermare per gli esemplari sardi, dato che sono state individuati resti di officine metallurgiche che hanno proseguito la loro attività fin nel periodo geometrico, dunque ben oltre il limite dell'XI secolo (naturalmente qui si accetta, in via provvisoria, la cronologia alta per la Sardegna). L'Autrice passa in rassegna tutti gli elementi che farebbero propendere per identificare Cipro come luogo di produzione degli oxhide ingots: l'assenza di matrici di fusione non sembrerebbe uno scoglio insormontabile, dal momento che prove sperimentali hanno suggerito come potessero essere state usate anche matrici di sabbia (l'unica matrice conosciuta, in pietra, è quella proveniente da Rab Ibn Hani in Siria); a Cipro sono presenti i più abbondanti giacimenti di rame del Mediterraneo, e tutti i più inequivocabili indizi di raffinate attività metallurgiche per tutto l'arco cronologico entro il quale questi lingotti sono attestati. La prova ritenuta decisiva è però quella delle analisi archeometallurgiche, nella fattispecie le analisi degli isotopi del piombo: i lingotti oxhide rinvenuti in tutto il Mediterraneo, con l'unica eccezione di alcuni degli esemplari più antichi, quelli provenienti da Haghia Triada a Creta, presentano uno spettro isotopico compatibile con quello del rame proveniente da Cipro. Gli autori di un vasto programma di ricerche sulla circolazione di risorse metallurgiche nel Mediterraneo nell'età del Bronzo Finale (Kassianidou 2005) hanno addirittura avanzato l'ipotesi che tutti i lingotti datati ad un momento successivo il 1250 a.C., fossero realizzati con minerale estratto dalla miniera di Apliki e da quelle adiacenti, alle pendici dei monti Troodos. Questa proposta ha però incontrato tenaci resistenze da parte di molti archeologi, che difficilmente accetterebbero l'idea di una così ristretta localizzazione delle attività estrattive atte a ricavare il minerale per la produzione di questi manufatti. Queste osservazioni sull'origine dei lingotti vanno però associate alla problematica degli oggetti in bronzo prodotti in Sardegna, in modo tale da poter affrontare il tema della loro datazione. Se i lingotti furono con tutta probabilità realizzati con rame cipriota, lo stesso non lo si può affermare con la stessa sicurezza per i manufatti bronzei sardi: le analisi degli isotopi del piombo (Stos-Gale et alii 1997) non confermano assolutamente una provenienza cipriota, e lo stesso si può affermare per alcuni manufatti rinvenuti nell'Egeo. Si è, da una parte, pensato di motivare questa grave contraddizione tra i dati archeologici di Cipro e le analisi archeometallurgiche con una presunta inadeguatezza delle analisi stesse. La Kassianidou replica, in maniera convincente, che le analisi isotopiche dei manufatti in bronzo per essere valide devono soddisfare una condizione di base: i manufatti devono avere un tenore di piombo molto basso, ovvero che in altri termini non vi sia stata un'evidente aggiunta di piombo per facilitare la fusione. Le analisi 23 isotopiche si basano infatti sul rapporto dei vari isotopi del piombo, che normalmente è presente in tracce nel rame: se si verificasse un'aggiunta di piombo, che per quanto riguarda la Sardegna sarebbe stata fatta con tutta probabilità utilizzando metallo locale, la composizione isotopica rifletterebbe la provenienza del metallo aggiunto piuttosto che quella delle tracce di piombo del rame utilizzato. È dunque importante associare ai dati sulla composizione isotopica quelli sulla composizione chimica, i quali possono dare importanti ragguagli sui procedimenti di realizzazione del manufatto, e questo permetterebbe probabilmente di rintracciare l'origine di questa anomalia nei dati a disposizione. La questione successiva posta dalla Kassianidou si rivela altrettanto interessante: se è vero che i lingotti furono prodotti con rame cipriota, per quale ragione non furono invece utilizzate le abbondanti risorse presenti sull'isola?
Giustamente, per dare uno sfondo più concreto a questa domanda, è necessario porsi il problema di chi, all'interno della società nuragica, fosse parte attiva in questi processi di scambio. Le attuali testimonianze archeologiche non sembrano permettere di individuare per l'età del bronzo un'accentuata gerarchizzazione, la quale è spesso posta alla base di un modello di scambio che ha come protagonisti le aristocrazie dei diversi popoli coinvolti. L'inquadramento della bronzistica sarda, e in particolar modo di quella figurata, nel corso dell'età del ferro, epoca per la quale le fonti segnalano un'emergere delle aristocrazie in Sardegna (e così sembra avvenire in gran parte del Mediterraneo, in particolar modo durante il periodo orientalizzante), renderebbe più verosimile questo modello di scambio. I contesti delle tombe etrusche di età orientalizzante acquisirebbero in quest'ottica un valore culturale ben più profondo che non quello di un semplice revival. Non potendo ricorrere dunque a questo modello, si è ipotizzato perciò che questo metallo possa essere giunto nel Mediterraneo Occidentale per via delle nuove esigenze commerciali dei ciprioti: all'indomani della caduta dei regni micenei le rotte che univano Cipro alla Grecia continentale (fondamentale per il rifornimento dell'isola di argento, proveniente dalle miniere del Laurion in Attica) e al mondo levantino (dal quale proveniva l'indispensabile stagno) subirono una brusca interruzione, privando così i ciprioti di una serie di beni di alto valore. Si dovettero dunque spingere su nuove rotte per potersi approvvigionare di questi metalli, e le destinazione prescelte non poterono che essere la Sardegna e ancor più la penisola iberica, con i suoi ricchissimi giacimenti di argento. A questo proposito va però notata la quasi totale assenza di materiali ciprioti nella penisola iberica. Secondo questa ricostruzione, rimane da spiegare perchè i ciprioti, alla ricerche di metalli preziosi, dovettero portare con sé i lingotti di rame in un'isola che di questi metallo era ricchissima. Diverse possono essere le spiegazioni: si può pensare ad un esaurimento dei filoni più superficiali e più facilmente accessibili dell'isola, ma soprattutto, tenendo conto della grande quantità di lavoro necessaria per l'estrazione del rame, non viene difficile pensare che dei lingotti di rame di ottima qualità come quello cipriota fossero stati molto appetibili per le genti dell'isola. I lingotti avrebbero avuto dunque non tanto il valore di dono scambiato tra gentes aristocratiche, ma un valore di tipo premonetale (e i segni riportati su molti lingotti potrebbero essere un'ulteriore indicazione in questo senso), che garantisse ai ciprioti l'approvvigionamento di materie prime della Sardegna. Questa spiegazione è peraltro molto più adeguata alla società nuragica così come questa si struttura nell'età del Bronzo Finale. Ma i lingotti oxhide non erano l'unica forma nella quale il rame era commerciato, tutt'altro. Sono attestati in particolar modo lingotti di forma piano-convessa, associati agli oxhide anche nei due relitti delle coste della Turchia, ma anche lingotti "a barra", "a frittata" e di altra foggia. Rimangono da chiarire i rapporti, anche di tipo cronologico, che intercorrono tra queste diverse tipologie: la loro associazione in svariati ripostigli non è infatti assolutamente sufficiente per poterne ipotizzare una sostanziale contemporaneità. Per cercare di connettere il problema dell'approvvigionamento dei metalli a quello cronologico della realizzazione dei manufatti, è utile fare un breve accenno anche al problema dell'approvvigionamento di stagno: questa problematica appare comune a tutta l'area Mediterranea, dal momento che è generalmente povera di giacimenti dai quali è possibile estrarre questo metallo. Le aree di provenienza non possono dunque che essere le province dell'Erzgebirge, la Penisola Iberica, la Bretagna e la Cornovaglia. I giacimenti della Sardegna più interessanti per lo sfruttamento di stagno, nei siti di Perdu Cara sul Monte Linas e di Canali Serci a Villacidro non presentano alcuna traccia di sfruttamento in antichità, e, se questo primo dato non prova un'assenza di attività estrattive nel corso dell'età del bronzo, a smentire un suo sfruttamento in antichità sono fondamentali le analisi di alcuni resti di rame metallico provenienti da siti isolani (Valera R.G, Valera P.G., Mazzella A., 2005). Nell'articolo citato, che contribuisce a tracciare un utile quadro delle presenze di stagno (come metallo o come minerale) in contesti archeologici sardi, si fa presente che le analisi archeometallurgiche escludono categoricamente un utilizzo del rame isolano. In breve, è del tutto probabile che lo stagno, così come il rame, venisse importato in Sardegna e qui fatto oggetto di lavorazione artigianale. Cercando ora di affrontare la problematica dal punto di vista della tipologia degli oggetti che con questi minerali vennero prodotti, ci si dovrà basare su una serie di confronti fondati sull'evoluzione tecnica mostrata dagli oggetti stessi e anche su una serie di paralleli con i materiali ciprioti dai quali si suppone siano stati ispirati. Le argomentazioni degli studiosi che sostengono una cronologia alta dei materiali ciprioti ritrovati in Sardegna e delle loro imitazioni (definibili come tali secondo la Lo Schiavo solamente in un momento iniziale della produzione di oggetti in bronzo) sarde vertono intorno a tre punti fondamentali: le analisi archeometallurgiche qui sintetizzate, che ci dicono che il rame di lingotti e panelle proviene da Cipro; di fatto, la correlazione tra lingotti e panelle e oggetti quali asce, spade, bronzi figurati etc. non è provata, nel senso che nessuna analisi ha dato la certezza, o quantomeno ha suggerito, che per produrre questi oggetti venisse utilizzato rame cipriota. Si tratta di un elemento di debolezza dell'argomentazione da tenere nella dovuta considerazione: è parso infatti di individuare un implicito nesso lingotti ciprioti (con relativa cronologia) - esportazione in Sardegna - utilizzo del rame di questi lingotti, associato alla tecniche metallurgiche cipriote, per la produzione dei manufatti bronzei nuragici. L'associazione di manufatti e frammenti di lingotto in vari ripostigli come già detto non dà una sicura indicazione cronologica. Il secondo punto, che sembra profondamente legato al primo, è quello dell'esportazione di alcune delle più raffinate tecniche dell'epoca, ben presto padroneggiate con maestria e originalità da parte delle popolazioni nuragiche. Si pensa soprattutto alle tecniche di realizzazione dei manufatti, piuttosto che alle tecniche estrattive: queste erano comunque padroneggiate in maniera eccellente dai ciprioti già nel corso del XVI secolo a.C. (Giardino C., Lo Schiavo F. 2007), e non è da escludere che questo know-how possa essere passato in qualche modo nelle mani delle genti nuragiche, ed è anche difficile immaginare delle raffinate tecniche di fusione che presuppongano una completa ignoranza dei procedimenti di estrazione. Si è proposto anche una sequenza evolutiva delle innovazioni tecniche introdotte per mano cipriota in Sardegna (Giardino C., Lo Schiavo F. 2007, pp. 10-11): a una prima fase del bronzo finale risalirebbero esempi di bronzetti come quelli di Galtellì, Paulilatino, Flumenelongu, che sono vere e proprie importazioni che denunciano chiaramente l'origine cipro-levantina; ad un secondo momento dell'evolversi di questo influsso sarebbe da ascriversi il ripostiglio di Santa Maria di Paulis, che comprende tra i suoi materiali vari oggetti realizzati con la tecnica della cera persa e un tripode lavorato "a giorno" (Giardino 1995): non va dimenticata anche la presenza in questo ripostiglio della famosa brocchetta askoide bronzea oggi conservata al British Museum. L'associazione dei manufatti ceramici di tipologia analoga a questa brocchetta, rinvenuti in particolar modo a Vetulonia, con materiali di età villanoviana e ancor più di età orientalizzante pone un grave problema di interpretazione dei contesti in questione, vale a dire i ripostigli sardi e le sepolture etrusche. Si è già accennato alle interpretazioni date degli oggetti sardi rinvenuti in queste ultime da parte dei sostenitori della cronologia alta. Una forte testimonianza archeologica che rinforza l'idea di una trasmissione di tecniche e conoscenze viene proprio dagli "attrezzi del mestiere" rinvenuti, che mostrano particolare vicinanza con i prototipi ciprioti: si tratta di molle da fonditore, martelli e cunei-incudini. Anche molti di questi sono stati oggetti di tesaurizzazione, e rinvenuti quindi all'interno di ripostigli. Di grande interesse è l'interpretazione che viene proposta per due ripostigli di manufatti metallici rinvenuti nel sito algherese di Sant'Imbenia da parte di Claudio Giardino (Giardino, Lo Schiavo 2007). Viene confermata l'idea di uno scambio di consegne sulle stesse rotte tra ciprioti e genti levantine: si ammette senza dubbio che le fasi di attività documentate siano da attribuire alla piena età del ferro per spingersi fino all'epoca orientalizzante, ma ritenendo che il contenuto delle due anfore ripostiglio debba essere frutto di una tesaurizzazione. Questo sembra però in contraddizione col tipo di attività documentate per la stessa età del ferro, come testimoniato dal rinvenimento di tuyères. Inserendo però questo discorso nel contesto più ampio della diffusione di manufatti bronzei nel Mediterraneo tra gli ultimi secoli dell'età del bronzo e l'età del ferro, il quadro si complica e si articola, ma tendenzialmente conferma la vitalità delle popolazioni nuragiche e più in generale del Mediterraneo occidentale nella creazione e nella rielaborazione di fogge e stili, e forse anche nella loro circolazione. Una classe di manufatti molto importante per abbozzare un quadro di contatti e scambi è quella delle fibule bronzee (Lo Schiavo 1992, MacNamara 2002): queste sono presenti nella penisola italiana e in Sicilia già dal XIII a.C., e sembrano conoscere una diffusione, nel tipo "ad arco", verso Creta e Cipro, quindi secondo una direzione opposta a quella tratteggiata per la diffusione del rame cipriota in occidente. Una considerazione simile si può fare per il tipo delle fibule a gomito, che fu probabilmente elaborato per la prima volta in Sicilia (MacNamara 2002) per poi conoscere una larga diffusione in oriente e in particolar modo a Cipro. La diffusione di oggetti in ambra quali elementi di collana e piccoli pettini dà probabilmente un'indicazione sulla biderezionalità di questi scambi. Ma le fibule a gomito non raggiunsero solamente il Mediterraneo orientale, sono anzi abbondantemente attestate nell'Europa atlantica: qui, come succede anche a Cipro, la foggia assume peculiarità del tutto particolari, probabilmente frutto di una rielaborazione del modello da parte di genti autoctone, per dar vita al cosiddetto tipo "Huelva". Questo tipo di rielaborazione, o meglio la presenza di varianti "regionali" nel tipo della fibula a gomito, è di interpretazione controversa (MacNamara 2002): si è incerti se attribuire le varianti ad una rielaborazione locale delle fogge o a cause di natura cronologica, e il problema è acuito dalla mancanza di datazioni sicure per molti di questi reperti. Anche in questo caso, un semplice parallelo cronologico potrebbe essere fuorviante nell'interpretazione dei dati. Le fibule a gomito non sembrano inoltre essere semplicemente distribuite attorno a un centro di irradiazione come la Sicilia, ma alcuni tipi, come quello cipriota e quello "Huelva", li ritroviamo in Sardegna, e quello cipriota in particolare proviene da un contesto (anche se di dubbia interpretazione), ascrivibile all'età del ferro (Lo Schiavo 1992). Tra i manufatti bronzei più significativi rinvenuti in Sardegna vanno annoverati i tripodi e i loro supporti. I fautori della cronologia alta fanno corrispondere l'arrivo di questi manufatti, e in una fase di poco successiva, le loro imitazioni, al Tardo Cipriota III; alcuni frammenti di calderone provengono dal ripostiglio umbro di Piediluco-Contigliano, associati a una ruota in miniatura e ad un'ansa di calderone. MacNamara ritiene che si tratti di oggetti di importazione cipriota, che però giunsero nella penisola dopo essere stati in Sardegna. La datazione del ripostiglio proposta è intorno al 900 a.C.: ci troveremmo di fronte ad un altro falso contesto, la cui datazione "bassa" sarebbe giustificabile per via dei vari passaggi di mano subiti da questi oggetti, che finalmente furono posti in questo ripostiglio all'alba dell'età del ferro. Similmente, alcuni tripodi rinvenuti sulla Pnice ad Atene (in una tomba di epoca geometrica) e nel levante, sarebbero ugualmente sei casi di riutilizzo o se non altro la testimonianza di un gusto protrattosi nei secoli nell'imitazione delle forme cipriote. Questo tipo di spiegazione è simile a quella, come si vedrà, proposta per i contesti funerari etruschi di età orientalizzante con bronzi sardi: a giustificarne la presenza basta l'ipotesi di un apprezzamento ancora vivo dopo secoli. Vi è l'impressione infatti che si affermi una cessazione delle relazioni (o quantomeno una loro forte limitazione) nel corso dell'età del ferro, laddove non viene a cessare una tradizione di "gusto" ormai acquisita e fatta propria dalle popolazioni del Mediterraneo occidentale. Per gli oggetti fabbricati con la tecnica della martellatura come un tripode proveniente Falerii, e indubbiamente frutto di una produzione caratteristica del Villanoviano II, si pensa invece ad un modello sempre cipriota, forse da ricercarsi nella ceramica, lasciando intravedere la possibilità di un proseguire dell'influenza (almeno da un punto di vista tipologico) nell'età del ferro, ma sotto altre forme. Riepilogando, tra XII e XI a.C. è collocabile un'influenza cipriota "primaria", che si mantiene viva nel gusto delle popolazioni con le quali Cipro venne a contatto per i secoli successivi; a questa fase dovettero succedere due secoli circa di stasi nelle relazioni tra oriente e occidente; infine, grazie all'intermediazione dei naviganti greci e fenici, i manufatti ciprioti poterono ispirare nuovamente alcune produzioni del Mediterraneo occidentale. Non vi è accordo nemmeno sul come inquadrare le caratteristiche formali dei supporti di calderone su quattro ruote (noti ad esempio negli esemplari provenienti da Bisenzio e forse da Roma): la fattura del contenitori è decisamente ispirata a modelli ciprioti, ma questa volta sembra del tutto fuori luogo parlare di una decontestualizzazione di questi oggetti. Si potrebbe dunque pensare che la "moda" cipriota sia durata per secoli presso diverse civiltà, spingendosi fino all'epoca orientalizzante, e questa osservazione sembra porsi in contrasto con quanto affermato dalla MacNamara a livello conclusivo: si parla di continuità in qualche modo formale, e si esclude categoricamente (salvo naturalmente l'acquisizione di nuovi dati archeologici) il perdurare dei contatti tra oriente e occidente mediterranei tra 1000 e 850 a.C. circa. Questo buco nelle relazioni con Cipro è motivato con la quasi totale assenza di ceramica protogeometrica nella penisola italiana, laddove quella micenea sembra godere di una più larga diffusione. Volendo procedere con questo metodo, si può ricordare che anche la ceramica cipriota gode di attestazioni pressoché inesistenti in Sardegna. L'ultima classe di materiali passata in rassegna dalla MacNamara è quella delle c.d. fiasche del pellegrino: l'origine levantina di questi contenitori (siano essi d'importazione o d'imitazione) è ampiamente dimostrata, e molti concordano sulla data da dare all'inizio della lro produzione, da collocarsi attorno al 900 a.C. Si tratta di un momento che si trova nel bel mezzo di quei secoli "oscuri" di interruzione dei rapporti tra oriente e occidente. L'Autrice propone invece, in via preliminare, una datazione di uno o due secoli più bassa, per poi proporne un parallelo le fiaschette miniaturistiche bronzee nuragiche: nel fare questo, viene data per scontata la cronologia alta proposta dalla Lo Schiavo per i contesti di rinvenimento delle fiaschette stesse, e ciò comporterebbe un'incoerenza con quelle che sono le testimonianze di questa classe ceramica in oriente. Non risulta infatti che ne venissero prodotte fin dall'età del bronzo finale, e in tempi così antichi da poter giustificare l'ipotesi di un'imitazione di questi oggetti in tempi precedenti il IX secolo. Le fiaschette hanno d'altra parte una grande longevità di produzione, che si estende, anche se con differenti tipologie, fino in età punica (Bartoloni 2005). Se dunque accettassimo di estendere questa continuità (come si è voluto fare per i materiali ciprioti, a livello stilistico) fino agli ultimi secoli dell'età del bronzo, ne dovremmo dedurre che queste furono prodotte nel corso di un arco cronologico minimo di almeno 5-6 secoli. L'impressione di inconciliabilità tra le due opposte tendenze di datazione, si fa ancora più grande se si considerano siti come Sant'Imbenia e Huelva: pur ammettendo le difficoltà interpretative che questi pongono e la decontestualizzazione dei reperti del secondo, si può parlare certo di una diversità di protagonisti (qui levantini e forse euboici), ma sembra sia meno probabile l'esistenza di uno hiatus di quasi due secoli come quello proposto.
Nell'immagine: un lingotto ox-hide con un evidente simbolo inciso. (Museo Archeologico Cagliari)
Antonino Sanacori scrive:
RispondiEliminaRicercando in rete immagini di fibule a gomito ho trovato un poster riproducente alcune immagini di fibule a gomito di tipo elimo pubblicate nel volume di F. Lo Schiavo "Le Fibule dell'Italia meridionale e della Sicilia dall'età del bronzo recente al VI secolo a.C."
Le fibule, provenienti da due centri tipicamente Elimi quali Erice e Segesta,
sono essenzialmente suddivise in due varianti.
Un'immagine finale riprende un'altra variante, vedendola ho notato la rassomiglianza con la forma di una nave nuragica trasportante un animale. Un indizio di un possibile commercio tra le due isole?