venerdì 1 dicembre 2017
Archeologia. L’alimentazione nella preistoria. Cibi, cottura e pentole dal Neolitico alle prime età dei metalli. Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Archeologia. L’alimentazione nella preistoria. Cibi, cottura e pentole dal Neolitico alle prime età dei metalli.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Nella ricerca archeologica, l’indagine sull’alimentazione antica impone un’attenta analisi di tutti i resti di cultura materiale. Percorrendo un viaggio attraverso gli antichi sapori si può ricostruire anche l’evoluzione delle tecnologie impiegate nella realizzazione dei manufatti. L’uomo preistorico si nutriva di alimenti crudi che si procurava con la caccia, la pesca e con la raccolta di frutta e verdura che cresceva allo stato selvatico.
Con la cottura dei cibi i popoli hanno diversificato le abitudini alimentari attuando la prima rivoluzione alimentare. Nel Neolitico, l’uomo da cacciatore e raccoglitore nomade, impara a
riconoscere, a selezionare e a coltivare le graminacee. Ciò lo lega a una dimora permanente per attuare attività agricole e a cercare metodi di conservazione della produzione. Plasmò l’argilla realizzando ceramiche funzionali alla lunga conservazione delle derrate e ai diversi sistemi di cottura. Sviluppò anche il gusto estetico fin dal 6000 a.C. con la decorazione cardiale, realizzata con una conchiglia, e intorno al 3000 a.C. è documentata una esplosione delle decorazioni nella produzione di stoviglie di uso quotidiano, presenti anche nei corredi funerari.
La ricerca di nuovi sapori affinò la capacità dell’uomo di allevare animali come la capra e il cinghiale. A questi si aggiungeva la caccia di cervi, mufloni, prolagus, volatili e la raccolta di molluschi. L’allevamento del bestiame introdusse il latte e i suoi derivati, con la necessità di contenitori adatti ai liquidi e alla manipolazione industriale dei cibi. All’inizio dell’età del rame, intorno al 3000 a.C. nell’ambito della Cultura di Ozieri è documentata la produzione di ceramica caratterizzata da un raffinato gusto estetico, con motivi geometrici e naturalistici impressi a graffito e arricchiti con paste bianche e pigmenti colorati. I contenitori adatti alla cottura sul fuoco sono soprattutto i vasi tripodi. Aperti o chiusi, rimanevano in equilibrio grazie a piedi triangolare inseriti nello spessore delle pareti. Queste ceramiche erano funzionali alla cottura di zuppe, farinate e alla bollitura della carne e del latte. La lavorazione delle superfici con l’uso di stecche rendeva le superfici lisce, lucide e impermeabili. E’ documentata la presenza di ciottoli senza segni di usura come i pestelli e i macinelli. Verosimilmente i ciottoli surriscaldati nei focolari si utilizzavano per intiepidire i liquidi, soprattutto in ambienti pastorali, per accelerare i tempi della cagliata.
Nella prima età dei metalli nell’ambito delle culture del vaso campaniforme, da alcuni studiosi indicate con le denominazioni Abealzu e Filigosa, cambiano i criteri di scelta dei luoghi d’insediamento, diminuisce sensibilmente la decorazione dei contenitori e si prediligono le forme chiuse più funzionali a un’economia pastorale. La caduta del decorativismo e l’assenza di anse o prese, possono essere spiegate con la necessità dei continui spostamenti per le transumanze che richiedevano la produzione di vasi più semplici e di facile manutenzione. D’altro canto è in questo periodo che le genti del campaniforme si spostano di continuo per la ricerca di metalli, dalla penisola scandinava fino alle culture dolmeniche britanniche e francesi, fin nella penisola iberica, soprattutto in Portogallo.
Dalle tombe ipogeiche sarde di Osilo, nei pressi di Sassari, provengono dei mestoli d’impasto con lunga impugnatura forata che potevano essere utilizzati come frangicagliata nella lavorazione dei latticini. A Filigosa (Macomer) e Biriai (Oliena), gli archeologi hanno portato alla luce vasi di piccole dimensioni chiusi con un coperchio mentre nei periodi precedenti i vasi venivano coperti con un altro vaso rovesciato che non aderiva perfettamente alla circonferenza dei contenitori. Anche nella necropoli ipogeica di Santu Pedru provengono manufatti che si inquadrano nella cultura del vaso campaniforme, perciò la consideriamo la prima grande cultura europea per la sua diffusione documentata fino ai paesi mediterranei. Ai vasi campaniformi caratterizzati dalla decorazione a bande con motivi geometrici erano associati vasi da fuoco con quattro piedi (tetrapodi) cilindrici che sostengono una vasca aperta, con le superfici esterne ornate dai motivi decorativi “internazionali”, così chiamati perché si presentano ovunque con le stesse sintassi decorative. Gli archeologi inglesi ritengono che il bicchiere (beaker) venisse usato per la birra, prodotta in tutti i paesi in grado di produrre orzo. E’ inoltre ipotizzabile che nei continui spostamenti imparassero e divulgassero l’uso e la cottura di cibi di zone con economia e abitudini alimentari diverse.
Nelle immagini:
Sopra, ceramiche della cultura campaniforme (beaker)
Al centro, movimenti europei delle genti del Vaso Campaniforme
Sotto, una sepoltura del campaniforme con corredo tipico
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Nella ricerca archeologica, l’indagine sull’alimentazione antica impone un’attenta analisi di tutti i resti di cultura materiale. Percorrendo un viaggio attraverso gli antichi sapori si può ricostruire anche l’evoluzione delle tecnologie impiegate nella realizzazione dei manufatti. L’uomo preistorico si nutriva di alimenti crudi che si procurava con la caccia, la pesca e con la raccolta di frutta e verdura che cresceva allo stato selvatico.
Con la cottura dei cibi i popoli hanno diversificato le abitudini alimentari attuando la prima rivoluzione alimentare. Nel Neolitico, l’uomo da cacciatore e raccoglitore nomade, impara a
riconoscere, a selezionare e a coltivare le graminacee. Ciò lo lega a una dimora permanente per attuare attività agricole e a cercare metodi di conservazione della produzione. Plasmò l’argilla realizzando ceramiche funzionali alla lunga conservazione delle derrate e ai diversi sistemi di cottura. Sviluppò anche il gusto estetico fin dal 6000 a.C. con la decorazione cardiale, realizzata con una conchiglia, e intorno al 3000 a.C. è documentata una esplosione delle decorazioni nella produzione di stoviglie di uso quotidiano, presenti anche nei corredi funerari.
La ricerca di nuovi sapori affinò la capacità dell’uomo di allevare animali come la capra e il cinghiale. A questi si aggiungeva la caccia di cervi, mufloni, prolagus, volatili e la raccolta di molluschi. L’allevamento del bestiame introdusse il latte e i suoi derivati, con la necessità di contenitori adatti ai liquidi e alla manipolazione industriale dei cibi. All’inizio dell’età del rame, intorno al 3000 a.C. nell’ambito della Cultura di Ozieri è documentata la produzione di ceramica caratterizzata da un raffinato gusto estetico, con motivi geometrici e naturalistici impressi a graffito e arricchiti con paste bianche e pigmenti colorati. I contenitori adatti alla cottura sul fuoco sono soprattutto i vasi tripodi. Aperti o chiusi, rimanevano in equilibrio grazie a piedi triangolare inseriti nello spessore delle pareti. Queste ceramiche erano funzionali alla cottura di zuppe, farinate e alla bollitura della carne e del latte. La lavorazione delle superfici con l’uso di stecche rendeva le superfici lisce, lucide e impermeabili. E’ documentata la presenza di ciottoli senza segni di usura come i pestelli e i macinelli. Verosimilmente i ciottoli surriscaldati nei focolari si utilizzavano per intiepidire i liquidi, soprattutto in ambienti pastorali, per accelerare i tempi della cagliata.
Nella prima età dei metalli nell’ambito delle culture del vaso campaniforme, da alcuni studiosi indicate con le denominazioni Abealzu e Filigosa, cambiano i criteri di scelta dei luoghi d’insediamento, diminuisce sensibilmente la decorazione dei contenitori e si prediligono le forme chiuse più funzionali a un’economia pastorale. La caduta del decorativismo e l’assenza di anse o prese, possono essere spiegate con la necessità dei continui spostamenti per le transumanze che richiedevano la produzione di vasi più semplici e di facile manutenzione. D’altro canto è in questo periodo che le genti del campaniforme si spostano di continuo per la ricerca di metalli, dalla penisola scandinava fino alle culture dolmeniche britanniche e francesi, fin nella penisola iberica, soprattutto in Portogallo.
Dalle tombe ipogeiche sarde di Osilo, nei pressi di Sassari, provengono dei mestoli d’impasto con lunga impugnatura forata che potevano essere utilizzati come frangicagliata nella lavorazione dei latticini. A Filigosa (Macomer) e Biriai (Oliena), gli archeologi hanno portato alla luce vasi di piccole dimensioni chiusi con un coperchio mentre nei periodi precedenti i vasi venivano coperti con un altro vaso rovesciato che non aderiva perfettamente alla circonferenza dei contenitori. Anche nella necropoli ipogeica di Santu Pedru provengono manufatti che si inquadrano nella cultura del vaso campaniforme, perciò la consideriamo la prima grande cultura europea per la sua diffusione documentata fino ai paesi mediterranei. Ai vasi campaniformi caratterizzati dalla decorazione a bande con motivi geometrici erano associati vasi da fuoco con quattro piedi (tetrapodi) cilindrici che sostengono una vasca aperta, con le superfici esterne ornate dai motivi decorativi “internazionali”, così chiamati perché si presentano ovunque con le stesse sintassi decorative. Gli archeologi inglesi ritengono che il bicchiere (beaker) venisse usato per la birra, prodotta in tutti i paesi in grado di produrre orzo. E’ inoltre ipotizzabile che nei continui spostamenti imparassero e divulgassero l’uso e la cottura di cibi di zone con economia e abitudini alimentari diverse.
Nelle immagini:
Sopra, ceramiche della cultura campaniforme (beaker)
Al centro, movimenti europei delle genti del Vaso Campaniforme
Sotto, una sepoltura del campaniforme con corredo tipico
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento