venerdì 14 marzo 2014
Gli antichi padri nuragici.
Gli antichi padri nuragici
di Pierluigi Montalbano
Eccoli i nostri avi.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione. Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate dall'archeologo Bernardini negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata lasciata integra nella stessa tomba, poi sigillata per evitare che le tracce di colore svanissero a contatto con gli agenti atmosferici.
Guardate i copricapo, gli occhi e la morfologia dei visi, sono quelli di individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi e forse assorbiti pacificamente da essi, tutti devoti nell’atto di offrire e, ancora, impavidi guerrieri rappresentati nel momento della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi nell'animo. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani…
Il collage di immagini è tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica
di Pierluigi Montalbano
Eccoli i nostri avi.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione. Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate dall'archeologo Bernardini negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata lasciata integra nella stessa tomba, poi sigillata per evitare che le tracce di colore svanissero a contatto con gli agenti atmosferici.
Guardate i copricapo, gli occhi e la morfologia dei visi, sono quelli di individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi e forse assorbiti pacificamente da essi, tutti devoti nell’atto di offrire e, ancora, impavidi guerrieri rappresentati nel momento della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi nell'animo. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani…
Il collage di immagini è tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica
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