venerdì 13 luglio 2012
Convegno. Porti, approdi e navigazione antica.
Sardegna nuragica: Porti, approdi e navigazione antica.
di Pierluigi Montalbano
In occasione dell'incontro di questa sera alle ore 20.00 a Costa degli Angeli (nel litorale di Quartu, cliccare sull'immagine), sul tema "Porti e Approdi della Sardegna Nuragica", ho pensato di inserire un articolo che racconta le vicende che interessarono le coste sarde circa 3000 anni fa.
L’isola, fino a una decina di anni fa, era vista come una terra di conquista e colonizzazione da parte di genti straniere che arrivavano, invadevano le coste e occupavano il territorio portando la loro cultura. Oggi esiste una tendenza marcata a studiare la Sardegna come interessata da una rete di traffici lungo tutto il Mediterraneo, e come incontro di culture con scambi reciproci, senza prevaricazioni. Due culture che vengono a contatto danno vita a una terza, frutto delle contaminazioni fra le precedenti. Ogni cultura si presenta con novità che vengono recepite, elaborate e assorbite con un processo di adattamento. I porti e gli approdi costituiscono l’interfaccia che divide e, allo stesso tempo, unisce genti diverse che vengono a contatto. Il concetto chiave sul quale dobbiamo basare le nostre ricerche sui porti e gli approdi della Sardegna antica è la dinamica del paesaggio costiero. Sono quasi assenti i paesaggi costieri naturali, nei quali l’uomo, col suo passaggio, non ha avuto alcun ruolo. I paesaggi sono stati sempre frequentati e antropizzati, soprattutto in funzione della portualità. La dinamica del paesaggio scaturisce da un’interazione fra i fattori naturali e quelli antropici. La sciagura che nel Marzo 2011 ha colpito il Giappone è un esempio dell’attività che le forze endogene della natura possono manifestare, dando luogo a mutamenti profondi e immediati del paesaggio. Dobbiamo avere piena coscienza che in un terra a bassa sismicità come la Sardegna, si possono comunque verificare dei fenomeni che portano al profondo mutamento del paesaggio.
Quando parliamo di golfi con storia millenaria, dobbiamo tenere presente la percezione antica, ben diversa da quella moderna per vari motivi: abbiamo un occhio diverso, la linea di costa ha avuto delle modifiche e la navigazione antica ha avuto cambiamenti rilevanti rispetto a oggi. Ragionare con le tecniche di navigazione attuali ci porterebbe a fare degli errori di valutazione. Il livello del mare è andato sollevandosi nel corso degli ultimi millenni. Nel Mediterraneo questo sollevamento non avviene allo stesso modo nelle varie località, e ci sono profonde differenze di risalita del mare nei vari settori. C’è anche un fenomeno opposto, la subsidenza, ossia un lento e progressivo abbassamento verticale del fondo di un bacino marino. I due fenomeni sono entrambi alla base delle differenze fra il paesaggio dell’antichità e il paesaggio odierno. Dal Neolitico, la Sardegna, ha subito profonde modificazioni della linea di costa. Le popolazioni nuragiche erano in contatto con genti d’oltremare, prevalentemente con le sponde orientali del Mediterraneo. I lingotti di rame ox-hide, a forma di pelle di bue, prodotti a Cipro, testimoniano che i contatti fra popoli distanti erano praticati.
Per i naviganti che si spingono dall’oriente verso l’occidente, per commercio o per stabilire insediamenti propri, i partners indispensabili per avviare questi contatti sono i locali. Non c’è mai un danno per gli indigeni, anche perché le antiche città stato non sono popolate come le città odierne, pertanto i navigatori sono sempre costituiti da qualche decina di persone. Per il prosperare economico e demografico di questi insediamenti, è vitale un rapporto buono con le popolazioni locali. Abbiamo indicatori archeologici che testimoniano matrimoni misti di forestieri e locali. L’ideologia che vede la Sardegna colonizzata da “rapaci” conquistatori che la sottomettono è superata.
I mercanti navali avevano bisogno di porti, ossia luoghi dove sostare con le navi e che offrivano anche la possibilità di penetrare verso l’interno. Qualunque approdo, per quanto grande e attrezzato possa essere, se ha alte montagne alle spalle perde quasi completamente il suo valore strategico.
Nel VII a.C., l’impero assiro preme ai fianchi di Tiro e Sidone, madrepatria dei fenici. Questa pressione determina un indebolimento degli insediamenti fenici in oriente, ma gli stessi assiri si spingono anche negli insediamenti greci della Turchia, e uno di questi, Focea, decide di inviare parte degli abitanti in cerca di fortuna a Occidente, dove già da oltre un secolo i greci frequentavano gli approdi commerciali. L’unica area che trovano parzialmente libera dall’influenza degli etruschi, dei greci dell’Italia meridionale e dei fenici, ormai integrati fra i sardi, è la costa nord-orientale della Sardegna, dove Olbia era isolata e, quindi, in condizioni di debolezza. I focei si sostituiscono ai locali e Olbia diviene la chiave di volta per l’accesso a quel settore del Mediterraneo occidentale, poco urbanizzato, fra le attuali Genova e Barcellona, dove non c’è l’influenza etrusca, né quella cartaginese. Nel 600 a.C. i focei fondano Massalia, l’attuale Marsiglia, e nel 575 a.C. edificano Alalia, in Corsica. Questi insediamenti portuali sconvolgono l’assetto delle rotte navali praticate, infatti l’irrompere degli intraprendenti focei nel Golfo del Leone determina un’alleanza fra sardi, etruschi e cartaginesi mirata a cacciare i focei stessi da quelle zone.
Il porto di Nora è stato individuato da indagini archeologiche subacquee di Ignazio Sanna, un tecnico della soprintendenza. Si nota un canale ben tagliato, scavato sott’acqua, che si dirige verso l’attuale peschiera, e ai lati si notano accumuli di cocci. Le strutture del porto sono di età punica e romana, ma l’insenatura mostra evidenti tracce d’interventi di epoca nuragica.
Fra gli indicatori a nostra disposizione per ricostruire la storia dei porti e degli approdi abbiamo: i toponimi, l’importazione (perché da ovunque arrivino, le merci sbarcano in un approdo), e i santuari costieri. Nell’antichità, infatti, la navigazione era sempre legata a una divinità e, ancora oggi in ambito cristiano, la Madonna è considerata la protettrice dei marinai. I santuari sono anche luogo di commercio, con la divinità che fa da garante alla correttezza degli scambi. Vicino alle spiagge e agli approdi si nota spesso la presenza di santuari nuragici, con fonti, pozzi sacri e altre tipologie di templi.
I commercianti del vicino oriente avevano una divinità principale per la navigazione, il dio Melkart (Eracle, Ercole), colui che insegnò la navigazione e li guidò in tutte le esplorazioni. Vari templi di Melkart caratterizzano le tappe degli approdi levantini, e molti centri mercantili mediterranei pagheranno per vari secoli una decima al tempio di Melkart di Tiro. Da Cadice al Marocco e alle altre colonie, i templi presentano sempre due colonne negli ingressi, denominate Colonne d’Eracle. Anche a Cagliari, nell’area del porto, c’era un tempio di Melkart.
Fra il 545 e il 510 a.C. si consuma la conquista della Sardegna da parte di Cartagine. Questa città è divenuta nel tempo la più potente colonia di Tiro in Occidente, e intraprende una serie di campagne militari per l’acquisizione territoriale della cuspide occidentale della Sicilia e dell’intera Sardegna, a danno dei cugini fenici che da oltre due secoli vivevano in Sardegna ed erano diventati sardi a tutti gli effetti. Cartagine deve affrontare anche gli etruschi e i greci focei di Alalia e Olbia per strappare le rotte navali tirreniche, e tutto ciò si concretizza nella battaglia del Mare Sardo del 535 a.C., a seguito della quale i greci sono costretti ad abbandonare Alalia. Non è un caso che negli anni successivi a questa battaglia navale spariscono i materiali greci da Olbia e dalle zone limitrofe. I greci finiscono in Campania, ospitati a Sibari e a Posidonia.
Cartagine si limita a controllare economicamente i centri nevralgici sardi, e i dati archeologici forniscono dati che suggeriscono un blocco delle importazioni dall’esterno, ma nel IV a.C. si affaccia sul Tirreno una nuova forza: Roma, che nel 368 a.C. fonda Feronia, un insediamento nell’area di Posada. In quel periodo Cartagine non ha in quelle zone un insediamento poderoso, e quel tratto di costa si trova proprio di fronte al litorale di Roma. Cartagine reagisce inviando delle truppe e mettendo fuori gioco l’insediamento romano nella costa. Nel 348 a.C. stipula un accordo con i romani con cui pattuisce che questi non possono approdare in Sardegna, e quindi non possono commerciare, senza il controllo di Cartagine. Per assicurarsi che l’accordo sia rispettato, Cartagine deve rinforzare la difesa dei punti strategici della costa orientale.
La Nurra meridionale è una zona difficile per attracchi e ormeggi, ma esiste un ampio golfo protetto dai venti dominanti da settentrione, soprattutto il maestrale, che offre ricovero a imbarcazioni grandi e piccole. Ancora fino a pochi secoli fa, il porto di Alghero era situato nella rada di Porto Conte. Gli altri approdi della zona sono piccoli e non sufficienti ad accogliere navi di una certa stazza. L’approdo naturale del golfo di Porto Conte si trova nella parte più interna ed è un punto privilegiato, a contatto con un entroterra ricco e fertile, dove la tradizione vitivinicola e olearia, insieme alla produzione cerealicola, garantiscono un buon livello di vita. Per circa 5 secoli, un piccolo nuraghe, con l’abitato intorno formato da capanne circolari, vive con tranquillità ai margini del ricco territorio circostante. La posizione era favorevole per avere riserve di pesce e sviluppare un commercio del pescato con i villaggi che sorgevano nelle zone più arretrate.
Nei nuovi insediamenti urbanistici nuragici, la capanna con bacile è uno degli edifici più importanti. L’ipotesi più accreditata la propone come struttura sacra destinata alla celebrazione di riti cerimoniali legati all’acqua. Queste capanne possono avere più vani, dedicati a riti che uniscono l’acqua con il fuoco. Visto che vicino a queste capanne si trovano sempre risorse idriche, focolari e forni, si è pensato a una sorta di sauna, o a delle terme dove poter acquisire calore molto umido per sudare. Spesso si individuano delle canalette, servite da bacini che avevano la presa d’acqua in pozzi di acqua dolce posti nelle vicinanze.
Frequentemente, nelle paludi c’è l’incontro fra le acque salate del mare e le acque dolci che arrivano dai corsi, quindi mediamente l’acqua era salmastra, ma nei pozzi le analisi mostrano generalmente un’acqua dolce e bevibile.
Dall’analisi delle ceramiche si è scoperto che fra i manufatti del X e quelli del IX a.C. c’è un evidente miglioramento della tecnologia di produzione, con argille superiori, digrassanti, inclusi silicei (anziché calciti), le temperature di cottura passano da 750° a 1000°, e si riducono gli spessori. Compaiono superfici levigate e di colore rosso brillante. Probabilmente nel sito sono ospitati degli artigiani orientali che acquisiscono le tecnologie locali e, allo stesso tempo, insegnano nuovi modi per produrre la ceramica.
L’aspetto dei siti cambia: gli archeologi portano alla luce ampi spazi lastricati che catalizzavano tutta una serie di ambienti aperti o chiusi, affacciati sulla piazza, recintata da un muro che mostra un ingresso principale, un andito e una serie di altri piccoli ingressi verso vani aperti e chiusi.
Questo modello progettuale è sardo, poiché non abbiamo tipologie simili in altri siti mediterranei di quel periodo. Architettura e modelli edilizi domestici simili, a cavallo fra Bronzo e Ferro, si trovano a Gonnesa-Seruci, a Serra Orrios, a Barumini, Santa Vittoria di Serri. Sono gruppi di abitazioni con uno spazio aperto, un corridoio e vani chiusi disposti intorno. Finisce il tempo delle grandi capanne circolari monovano, e queste capanne sono rimodulate. Vanno a far parte di complessi più articolati che racchiudono più capanne circolari e rendono l’unità abitativa più ampia, consentendo di praticare tutte le fasi della vita giornaliera in questi spazi aperti interni.
Un altro caso è a Oliena (Sa Sedda ‘e Sos Carros), dove all’interno di un abitato si costruisce un settore conformato in questa maniera che diventa la zona santuariale del villaggio: un ingresso, uno spazio aperto su cui si affacciano vani chiusi, una capanna particolare con bacile e protomi d’ariete poste in alto che fanno da sbocco per l’acqua che finisce all’interno del bacile. Nel sito ci sono anche dei bacini lustrali all’aperto situati nella zona più alta del sito.
Assistiamo dunque a un nuovo modello edilizio, privato o sacro, che diventa spazio comunitario. Ogni struttura appartiene a un nucleo familiare, ma l’ampio spazio di Sant’Imbenia ci suggerisce che non si tratta di spazi destinati a famiglie ma di una zona comunitaria destinata allo scambio, forse una piazza del mercato su cui si affacciano botteghe, zone produttive e case di rappresentanza dei gruppi che dal territorio circostante convergono per gli scambi. I villaggi sono modificati togliendo ai privati il possesso di alcune capanne e risistemando tutta la parte centrale dell’insediamento per destinarla a una grande piazza del mercato. Evidentemente i mercanti dei vari gruppi del territorio e quelli provenienti dall’esterno, sentono l’esigenza di ampliare i commerci e le comunità adeguano i villaggi a questa richiesta. I villaggi contengono dunque nuovi edifici, ma mantengono il nuraghe come simbolo che funge da ombrello protettivo delle attività, pubbliche o private. Tutti i rappresentanti del territorio e i mercanti provenienti dal mare si riunivano nelle grandi capanne per sancire dei patti e per scambiarsi dei doni.
I mercanti navali avevano bisogno di porti, ossia luoghi dove sostare con le navi e che offrivano anche la possibilità di penetrare verso l’interno. Qualunque approdo, per quanto grande e attrezzato possa essere, se ha alte montagne alle spalle perde quasi completamente il suo valore strategico.
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