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mercoledì 22 giugno 2011

Navigazione antica 1° parte di 2


Annone e la beffa dello stretto
di Antonio Usai

Succede, a volte, che, dopo essere arrivato alla meta, ti guardi intorno e hai la sensazione che, per arrivare lì, ci sia un altro percorso più agevole, ma che qualcuno, nascondendo o coprendo l'indicazione, te ne abbia fatto percorrere un altro più tortuoso e, se raccontato, al limite dell'incredibile. Ed e' quello che è capitato a me mentre rileggevo il paragrafo 43 del IV libro delle “Storie” di Erodoto.
Ma prima di cominciare con quel paragrafo, parlerò di un' evidenza di cui non ho discusso nel mio resoconto del viaggio di Annone, poiché sarà inevitabile, in quanto necessario, parlarne più avanti e dire, inoltre, il motivo per cui non ne ho parlato allora. Tale evidenza si riscontra leggendo quel fatidico 8° passo.
Quel fatidico passo, se da un lato fa capire chiaramente e perfettamente, dove è ambientata la prima parte del viaggio, e cioè innegabilmente in quei posti che io ho indicato nel mio scritto, dall'altro fa capire che, con la frase: «E abbiamo fatto la supposizione che essa (Cerne) si trovasse, rispetto al periplo, alla stessa altezza di Cartagine: infatti ci sembrò uguale la navigazione da Cartagine alle Colonne e da lì a Cerne», anche i cartaginesi avrebbero capito, sicuramente, di quali posti Annone stesse parlando. Il motivo per cui non ne avevo parlato è perché non c'era, secondo il mio punto di vista, il motivo per cui parlarne. Mi spiego; ero partito dal fatto che i casi potevano essere solo due:
Annone non era esistito e quindi quel viaggio era solo un racconto creato dalla fantasia di un favoleggiatore (ma anche in quel caso la prima parte del viaggio sarebbe ambientata, innegabilmente, in quei posti che io ho indicato).
Oppure, Annone era esistito ed aveva compiuto quel viaggio oltre le colonne d'Ercole (e dunque, se compiuto, quella prima parte del viaggio sarebbe ambientata, appunto come precedentemente detto, innegabilmente in quei posti che io ho indicato nel mio scritto).
Io avevo optato, come è palese nel mio scritto, per il secondo caso, ma perché Erodoto, nel paragrafo 43 suddetto, riportava un nome che il primo ad averlo citato è stato Annone: Solòeis, che provava l'avvenuto viaggio. E dato che il viaggio era avvenuto, questo voleva dire che, senza ombra di dubbio, Annone non era stato scoperto; e dato che senza ombra di dubbio Annone non era stato scoperto, questo voleva dire che, sempre senza ombra di dubbio, Annone aveva trovato il modo per riuscirci. Ma dato, anche, che all'epoca del mio scritto non avevo ancora capito in che modo il navigatore ci fosse riuscito, non c'era, ripeto, il motivo per cui parlare di quella evidenza. Non so se ho sbagliato o meno nel non averne parlato, ma questo è il motivo.
Detto ciò, cominciamo la ricerca col raccontare di cosa parla Erodoto nel paragrafo 43 del IV libro delle sue “Storie”.
In quel paragrafo, lo storico riporta una storia che raccontavano i cartaginesi in cui si parla di un persiano di nome Sataspe che, per non essere impalato poiché aveva fatto violenza ad una vergine, doveva fare il giro completo della Libia (così veniva chiamata, allora, l'Africa), che, però, non facendolo per intero, venne impalato. Ma c'è un punto in cui il paragrafo recita: «...Sataspe fece vela verso le colonne d'Ercole. Oltrepassatele e doppiato il promontorio di Libia che si chiama Solunte (ma nella versione in greco è scritto Solòeis ), puntò verso mezzogiorno (meridione)». Ebbene, questo passo in grassetto, da un lato fa capire che un promontorio col nome Solòeis, oltre che essere sconosciuto ai cartaginesi, come si capisce da Annone quando, nel 3° passo dice: «...raggiungemmo Solòeis, un promontorio libico folto di alberi» e non: «...raggiungemmo il promontorio Solòeis» (se conosciuto, era scontato che i cartaginesi sapessero che Solòeis fosse un promontorio e anche libico), il promontorio suddetto, non è mai esistito (come ho già detto nel mio scritto), è stato inventato dal navigatore cartaginese. E ciò che mi ha indotto ad affermarlo è il fatto che, varcato lo stretto di Gibilterra (se il viaggio si fosse svolto nell'Atlantico), e dato per buono che Annone costeggi l'Africa verso meridione benché non lo scriva, quando, nel 2° passo, dice: « navigammo nel mare esterno per due giorni», e anche a prescindere dal fatto che il promontorio Solòeis si trovi o meno all'altro capo di un golfo abbastanza profondo, il promontorio suddetto sarebbe posizionato a occidente di una città (Timiaterio) che è stata fondata dopo aver navigato verso meridione più o meno per due giorni; mentre i cartaginesi, nel passo di Erodoto (precedentemente riportato in grassetto), fanno capire, chiaramente, che si va verso meridione solamente dopo Solòeis. Se, invece, non sorvoliamo su quel “verso meridione” non scritto, Solòeis non si saprebbe dove cercarlo. Infatti Annone, varcato lo stretto di Gibilterra, avrebbe navigato nel mare esterno per due giorni, fondato Timiaterio e raggiunto Solòeis, procedendo da oriente verso occidente. Ma Annone, avrebbe navigato procedendo da oriente verso occidente, solo se non avesse detto , nel 3° passo,: «Salpati poi verso occidente ». Infatti Annone, dal momento che, come recita sempre il 3° passo, raggiunge Solòeis salpando verso occidente , con quella frase, fa capire che, prima di salpare verso quel promontorio, non navigava da oriente verso occidente , ma da una direzione diversa, da nord a sud o viceversa. E lo si capisce, anche, nella versione in toscano di G. B. Ramusio:« Dipoi, volgendoci verso ponente, giungemmo ad un promontorio dell'Africa detto Soloente...». Quindi, non navigando, Annone, da oriente verso occidente , non si saprebbe dove egli abbia fondato Timiaterio e di conseguenza non si saprebbe neanche dove si trovi Solòeis, dato che è dopo aver fondato quella città che il navigatore è salpato verso quel promontorio. Dunque, un promontorio col nome Solòeis si troverebbe, solamente, nella mente del navigatore cartaginese. Dall'altro, il passo di Erodoto pone un interrogativo importante: anche lasciando da parte il fatto che un promontorio col nome Solòeis sia esistito o meno, perché i cartaginesi collocano quel promontorio oltre lo stretto di Gibilterra? Se Annone doveva andare oltre le colonne d'Ercole, i cartaginesi avrebbero dovuto posizionare quel promontorio in qualche punto dell'Africa bagnata dal mare interno greco. Se, invece, avessero scoperto dove in realtà Annone è andato, Solòeis sarebbe stato, ovviamente, il promontorio di Sidi Ali El Mekki (Capo Farina). Come è possibile, allora? Le persone contrarie alla mia teoria diranno che la risposta è evidente: le colonne d'Ercole erano, anche al tempo di Annone, nello stretto di Gibilterra. Ma, come vedremo, le colonne d'Ercole sono lì a Gibilterra a causa di una convinzione diffusa tra i greci e persone di cultura greca, nata dalla credenza, sempre da parte dei greci, di ritenere che oltre le colonne d'Ercole ci fosse il mare esterno: se oltre uno stretto c'è il mare esterno, quello è lo stretto delle colonne d'Ercole. E questa convinzione ce la suggerisce proprio il viaggio di Annone. Cosa c'era scritto nel testo originale, in punico, di quel viaggio (di cui ci è pervenuta solo la traduzione in greco), “colonne d'Ercole” o qualcos'altro? Se, infatti, ipotizziamo che, come credo, ci fosse scritto “stretto ”anziché “colonne d'Ercole”, tutto è più chiaro. Il traduttore in greco del testo di Annone, quando si imbatte, più volte, in quel termine “stretto”, forte di quella convinzione suddetta, lo traduce “colonne d'Ercole ”. Lo traduce, però, scrivendo, tutte le volte, solamente “colonne d'Ercole” o “colonne”. Lo fa per sintetizzare una frase e cioè per non dover scrivere, per esempio, ogni qualvolta gli si presenti davanti quel termine,: «tizio è andato oltre lo stretto delle colonne d'Ercole», e arrivando, in questo modo, a trasformare, per comodità, il termine “stretto” come sinonimo di “colonne d'Ercole”. E con quella traduzione suddetta si scopre, così, che ad Annone non è stato ordinato di andare oltre le colonne d'Ercole, dove, per secoli, il testo in greco ci ha sempre indirizzato, bensì oltre uno “stretto”, quello di Gibilterra. Il primo passo del viaggio è un'introduzione, non di Annone, ma, sicuramente, del traduttore stesso e, quindi, quel primo:« navigò fuori le Colonne d'Eracle», è una conseguenza delle due traduzioni del termine “stretto ” in “colonne d'Ercole” e “colonne”, che si trovano, rispettivamente, nel 2°e in quel fatidico 8°passo (ma se anche fosse un'introduzione di Annone, il risultato sarebbe sempre lo stesso: “stretto” tradotto “Colonne d'Eracle”). Se, come credo, nel 2° passo del testo originale c'era scritto:« Così salpati, superammo lo stretto e navigammo nel mare esterno per due giorni...» anziché: «Così salpati, superammo le colonne d'Ercole e navigammo nel mare esterno...» non è più così strano che i cartaginesi, nel passo di Erodoto su citato, abbiano posizionato Solòeis oltre lo stretto di Gibilterra. Passiamo, ora, a quel fatidico 8° passo in cui si trova quella evidenza di cui ho parlato all'inizio dello scritto, e, sempre di essa, non avevo discusso a suo tempo, ma che, adesso, sia che abbia sbagliato o meno, in ogni caso bisogna parlarne. Perché è proprio in quella evidenza che si trova la prova della traduzione suddetta. Infatti, Annone, è solo se avesse scritto “colonne ” che avrebbe fatto sicuramente capire ai senatori cartaginesi, come ho scritto più su, di quali posti stesse parlando; avrebbe fatto sicuramente capire loro, quindi, che, oltre a non essere andato dove gli hanno ordinato, cioè oltre lo stretto di Gibilterra, lui, Annone, è andato addirittura in luoghi in cui essi, i cartaginesi, sono di casa. Per questo motivo, Annone, in quell'8° passo non avrebbe mai potuto scrivere “colonne”. Scrisse, invece, astutamente e solamente, “stretto”. Scrisse astutamente e solamente “stretto ”, perché, in questo modo, i cartaginesi avrebbero capito lo “stretto” che li metteva in comunicazione con il mare esterno, cioè quello di Gibilterra, e, di conseguenza, non avrebbero capito che si riferiva, invece, ad un altro “stretto”, quello delle “colonne d'Ercole ” (le colonne d'Ercole, infatti, si trovano in uno stretto). Allo stesso tempo, in questo modo, viene anche alla luce che è sempre per il fatto che scrisse astutamente e solamente “stretto ” che Annone è riuscito a non farsi scoprire. E così il traduttore, imbattendosi una seconda volta nel termine “stretto”, lo traduce “colonne”, ignorando, tuttavia, che Annone si riferiva proprio a quello delle “colonne d'Ercole”, trasformando, in questo modo, un capolavoro della messa in scena in un resoconto ingenuo e autolesionista. Il testo originale, sicuramente, recitava così: «Presi degli interpreti dai lissiti, costeggiammo il deserto per due giorni verso meridione; e, da quel punto, di nuovo verso oriente per un giorno. Lì trovammo, in fondo a un golfo, una piccola isola, del perimetro di cinque stadi, che abbiamo colonizzato dandole il nome di Cerne. E abbiamo fatto la supposizione che essa si trovasse, rispetto al periplo (qui, come già detto, si guarda bene dal dire di quale periplo si tratti), alla stessa altezza di Cartagine: infatti ci sembrò uguale la navigazione da Cartagine allo stretto e da lì a Cerne».
E così tutto quadra, anche per i cartaginesi, convinti che Solòeis, Cerne e tutti gli altri posti si trovino oltre lo stretto di Gibilterra.

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La seconda parte sarà pubblicata domani.
Immagine di webalice.it

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