Archeologia della Sardegna. La fine di un Dio e il crollo di una Civiltà
Articolo di Gustavo Bernardino
Nello scenario
storico-archeologico che interessa la fase antica di questa amatissima terra sarda,
ci sono numerose domande che a tutt’oggi non trovano risposte.
In particolare, non è stata individuata con chiarezza la causa che portò al tracollo della civiltà nuragica né si è capito in quale ambito andare a cercare le ragioni di tale fenomeno. Non si sa quindi se indagare in campo militare, in quello economico oppure in quello religioso. Definendomi un archeo-investigatore, ed avendo una sola grande passione che mi obbliga a cercare, studiare, riflettere su ogni possibile strada percorribile nel campo interpretativo, perché di questo si tratta, non esistendo per
nessuno la certezza di prove indiscutibili, ritengo di aver individuato delle ipotesi sostenibili, quali risposte ai quesiti in esame.Prima di entrare
nel merito delle stesse, ritengo necessaria una premessa. Ho sempre pensato che
l’essere umano da quando ha raggiunto lo stato di Homo Sapiens, sia stato
accompagnato, nel processo evolutivo, dalla consapevolezza di una entità
superiore a lui sconosciuta ma ben visibile nella grandezza della natura intesa
nella sua declinazione più ampia ovvero l’intero sistema conosciuto allora in
termini di cielo, mare e terra con tutto ciò che questi elementi contengono ovvero
il mondo animale, vegetale e minerale. I nostri antenati del periodo neolitico
ed eneolitico, ad esempio, ci hanno lasciato in eredità le loro opere
bellissime attraverso le quali abbiamo potuto capire la loro grande conoscenza
nel lavorare la pietra che presupponeva una altrettanto grande conoscenza della
composizione mineralogica e chimica del materiale lapideo. Ne sono prova le
stupende e numerose domus de Jana presenti nel territorio isolano. D’altro
canto, è proprio questo elemento presente in natura che i nostri avi usavano
come risorsa da utilizzare per gli scambi commerciali, utensili da lavoro, da
caccia e fors’anche da guerra. Mi riferisco per esempio alla Ossidiana che i
nostri hanno portato in giro per il Mediterraneo scambiandola con altri
prodotti. Sono ormai archeologicamente provate le tracce della presenza di ossidiana
sarda in diverse località di questo grande mare. Sono giunti a noi attraverso i
secoli, stupendi manufatti lapidei che attestano il livello di conoscenza e di
abilità conseguito dai nostri predecessori. Così, tra punte di frecce,
raschiatoi, ami per pescare ecc. troviamo anche la rappresentazione di una
figura femminile definita Dea Madre.
Tralasciando gli
aspetti ed i valori estetici di tali oggetti rinvenuti, è importante cogliere
il significato religioso e di sacralità attribuita ad una figura non umana ma
umanizzante che consente di dedurne che esisteva una forte necessità di
individuare delle entità di livello superiore all’umano a cui chiedere
protezione e soluzione dei problemi più difficili. Nascono quindi le figure
sociali (sacerdoti) a cui si attribuiscono i poteri di intermediazione tra il fedele
e la divinità, figure che col tempo assumono un ruolo sempre più importante e decisivo
per le sorti delle comunità controllando e condizionando il potere costituito;
capi tribù, faraoni, re e imperatori nel passato e i loro omologhi del presente.
Sono queste figure che stabiliscono le
regole, i riti e amministrano i doni dei fedeli e sono sempre loro che danno
potere alle cose stabilendone la sacralità.
L’aspetto cultuale-religioso
pertanto è presente nel tessuto sociale fin di tempi più remoti.
Ed infatti lo troviamo ben presente anche in
tutto l’arco che ha visto prima nascere e poi morire la civiltà nuragica. Che,
potremmo pensare, sia stata il risultato della sinergia di diverse etnie e
culture che si sono incontrate ed hanno unito le loro conoscenze nell’isola.
Tra gli elementi caratterizzanti l’arco temporale compreso tra il XXII ed il IX
secolo a.C. troviamo in prima posizione l’uso del bronzo. Con l’apparizione di
questo metallo, che soppianta il rame, vengono meno tutti i valori religiosi
che avevano contraddistinto quel periodo. Riporto per esteso quanto affermato
da Caterina Bittichesu in “Culto degli antenati nell’età del bronzo della Sardegna”
Edizioni Nuove Grafiche Puddu 2017 presentato da Ercole Contu “Ripudio della
religione rappresentata dalle statue-menhir, distruzione dello stesso e loro
riutilizzo, come materiale da costruzione in tombe megalitiche (Murisiddi-Isili,
Aiodda-Nurallao). Questo avveniva appunto nel I Bronzo 2200 a.C. Inizia così a
delinearsi la struttura portante del mio ragionamento. Perché l’avvento del bronzo
fa crollare la precedente civiltà del rame? Anche il rame era un metallo con il
quale si realizzavano oggetti di varia natura e destinati ad usi diversi del
vivere quotidiano e soprattutto, si costruivano
le armi con le quali si vincevano le guerre contro coloro che tale materiale
ancora non conoscevano o non usavano. È credibile che, proprio in relazione a
questo importante potere, il metallo venisse considerato sacro e quindi
divinizzato. Torniamo al bronzo. La potenza di tale metallo rispetto al rame è
nota, la spada di bronzo spezzava quella realizzata col rame. Il dio bronzo era
superiore al dio rame. Sembra una battuta ma credo che si possa concretamente
dimostrare il contrario.
C’è un elemento attraverso
la cui interpretazione si può accertare se quanto sopra enunciato sia sostenibile
o meno. Si tratta di esaminare con attenzione il processo produttivo del bronzo
e interpretarne le singole fasi. Tale metallo, è noto, si ottiene mediante la
fusione di due elementi: il rame e lo stagno. Già in questo primo passaggio
abbiamo da analizzare tre importanti fattori: la presenza di due componenti (la
dualità), la fusione e il prodotto finito. Non vi viene in mente niente? Questo
processo non ricorda qualcosa? Andiamo avanti, nella vita umana quali sono gli
eventi più importanti? Non sono forse la vita e la morte? Ebbene la vita come
si realizza? Attraverso l’unione di un uomo ed una donna si crea la vita che
avviene mediante l’uscita del feto, immerso nel liquido amniotico, dall’utero
materno. Benissimo, allora anche il bronzo nasce dall’unione di due metalli
attraverso la fusione che si presenta come un liquido dal quale si ottiene la
nuova creatura e cioè il bronzo. Trattandosi di elementi prodotti dalla natura
che era considerata divina, a sua volta la fusione, con molta probabilità (anzi
ne sono certo, e cercherò di dimostrarlo) anch’essa e quindi il bronzo erano
considerati sacri e protetti da divinità. Ricordo che è esistito Vulcano come
dio del fuoco. Non so quanti di voi, cari lettori, siete mai stati nel bellissimo
sito archeologico chiamato “S’Arcu e is Forros” di Villagrande Strisaili in
provincia di Nuoro, se non lo avete mai visto, vi suggerisco di andarci, non si
può perdere l’emozione di trovarsi al cospetto di un’opera così intensa di
significati. Uno dei quali appunto è dato dalla presenza di un altare policromo
(bellissimo) e qui consentitemi di aprire una brevissima parentesi per denunciare
l’assurdo comportamento di coloro che sono investiti dell’autorità di
salvaguardia e controllo dei beni storici, che hanno consentito la demolizione
e la rimozione dell’altare nuragico e la sistemazione di una copia in resina.
Un vero delitto.
Cosa può
significare, dunque, la presenza di un altare, un elemento cultuale, in un
luogo dedicato alla fusione dei metalli e quindi alla produzione del bronzo se
non quello di ritenere tale processo fisico ed il prodotto che si ottiene, di
natura sacra?
Se questa è,
come sembra, la corretta interpretazione, ne consegue che è più facile capire perché,
per esempio, i nuragici venivano considerati invincibili dai loro avversari (famosa
l’affermazione del faraone Ramses II, riferita ai valorosi guerrieri Shardana “gli
Shardana dal cuore impavido da sempre non si sapeva come combatterli; essi
arrivavano col cuore fiducioso su vascelli da guerra dal mezzo del grande verde
e non si poteva resistere davanti ad essi). Le spade di bronzo che loro portavano erano
superiori alle armi dei loro avversari e quindi il loro “dio” era superiore al
dio del nemico. Per questo si sentivano protetti ed erano quindi fiduciosi.
Un altro importante elemento che
consente di decifrare meglio la sacralità del bronzo, può essere una rilettura
in chiave religiosa dell’oggettistica iconografica recuperata dagli archeologi
per lo più in luoghi dedicati al culto. Mi riferisco al grande numero di
bronzetti rinvenuti nei nuraghi, pozzi sacri, tombe dei giganti e via dicendo.
In questo senso va interpretata anche la presenza di spade infisse nella
pietra, rinvenute sempre in luoghi di culto (altare lacustre di “Su monte” di
Sorradile, santuario di Abini-Teti ecc.). All’interno di questo scenario
iconografico è anche possibile intravedere una figura importante dell’organizzazione
strutturale religiosa dell’epoca nuragica e quindi del Bronzo. Trovo verosimile
che i bronzetti raffiguranti personaggi che hanno la caratteristica di indossare
a tracolla il classico pugnale definito “ad elsa gammata”, siano tutti appartenuti
ad una classe sacerdotale che aveva un preciso ruolo e svolgevano una
importante funzione rituale. Secondo la mia interpretazione questi personaggi avevano
il compito di preparare la vittima sacrificale, uccidendo l’animale
individuato, infilando la lama nella giugulare e facendo defluire il sangue.
Operazione che ancora è in uso nelle nostre campagne. Questa riflessione deriva
dalla osservazione dell’oggetto e quindi dalle sue caratteristiche. Un esame
attento evidenzia il fatto che la lama rispetto all’impugnatura,
appare sproporzionata. È logico pensare che venisse utilizzata per funzioni
particolari come quella prima descritta. Il bronzo quindi, divinizzato e
adorato perché ritenuto capace di proteggere e rendere invincibili i suoi fedeli,
accompagna per oltre un millennio la vita dei sardi che in tale arco di tempo
hanno avuto la possibilità di far conoscere la grandezza della loro società
costruendo migliaia di Nuraghi, centinaia tra pozzi sacri, tombe di giganti,
santuari e villaggi che ancora oggi caratterizzano il panorama sardo.
Ma così come la
civiltà Nuragica prende il sopravvento rispetto all’Eneolitico in cui il rame
ha giocato un ruolo fondamentale anche in termini di sacralità rispetto alla
pietra del Neolitico, sul nascere del IX/X secolo a.C. appare all’orizzonte un
nuovo dio e una nuova civiltà.
Con la scoperta
del ferro, inizia il declino del bronzo. Un nuovo dio dotato di un potere
maggiore fa venir meno la fede nel bronzo che non protegge più i suoi fedeli, che
delusi iniziano ad allontanarsi da tale religione per abbracciarne una nuova
molto più rispondente alle preghiere e alle invocazioni dei nuovi adepti. Tale
fenomeno lo si rileva archeologicamente a partire dal 1200 a. C. con la fine
della costruzione di nuraghi e l’inizio della loro demolizione nella parte sommitale.
Ciò significa a mio avviso che la parte più alta di questi monumenti era quella
che conteneva la simbologia del culto che si celebrava dentro il nuraghe. Così
come scientificamente dimostrato da Giuseppe Mura in un lavoro in corso di
pubblicazione, che ho avuto il piacere e l’onore di leggere in anteprima. Come peraltro
avviene ancora oggi per le nostre chiese. Il simbolo della croce sopra le chiese
cristiane, quello della mezzaluna per quelle islamiche, la croce di Davide per
le sinagoghe. Tale caratteristica, infatti, è riscontrabile nei così detti “modellini
di nuraghe” che consentono appunto di verificare l’esattezza della tesi.
Osservando la parte terminale di tali manufatti, definita in linguaggio
archeologico “corona” la stessa contiene dei simboli non sempre e non tutti della
stessa natura ideografica. In alcuni è ben visibile il segno detto a zig-zag
che dovrebbe riprodurre il significato di acqua, mentre in altri si può leggere
un segno lineare verticale che verrebbe tradotto come “corona piumata,” come
quella indossata dal “Sardus Pater” il santo protettore per eccellenza. Ciò
porterebbe a concludere che i nuraghi fossero centri di culto e non fortezze
come purtroppo viene fatto credere da una certa parte accademica. In buona sostanza, per completare la
narrazione, ogni civiltà è nata accogliendo al suo interno nuove divinità che
ne hanno consentito lo sviluppo e la crescita e poi sono morte a causa del
venir meno del potere di tali divinità di assecondare e soddisfare le preghiere
e le invocazioni dei fedeli, i quali ripudiando i vecchi idoli, hanno dato il
benvenuto ai nuovi credi.
Pierluigi, credo che questo tuo bellissimo articolo sull'Antica Civiltà dei Sardi e sul loro "Credo", possa ampliare l'insieme delle spiegazioni con la lettura de "Is contus de Nuraxìa", sette racconti eliminati senza alcuna ragione dalla Bibliografia sul "Mondo Antico dei sardi".
RispondiEliminaBuongiorno Paolo, l'articolo che ha letto lo ha ospitato Pierluigi in questa rivista ma l'autore, come ben indicato è il sottoscritto. Comunque grazie per averlo letto.
EliminaMolto verosimile.
RispondiEliminaGrazie Bertulu.
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