Sardegna, Baini (Villa Verde), 17 Ottobre 1744, una data importante che segna la fine di un’epoca e l’inizio dell’era moderna, recando la speranza di una vita migliore.
Articolo di Vitale Scanu
Questa data segna la fine di un’epoca e l’inizio dell’era moderna, recando la speranza di una vita migliore.
Diversi
nobili spagnoli che possedevano feudi in Sardegna, sul finire del XVIII secolo,
si trovarono ad essere vincolati da un rapporto di fedeltà alla monarchia
iberica e titolari, allo stesso tempo, di concessioni feudali ma
ubicate, ora, nel territorio di uno Stato diventato nemico.
Il 30 luglio del 1744, il re di Sardegna,
Carlo Emanuele III, dispone il sequestro dei beni posseduti nell’isola dai
feudatari iberici, tra i quali Gioacchino Català, marchese di Quirra. L’atto di
confisca viene notificato a Bannari (che appartiene al marchesato di Quirra) al
maggiore di giustizia Leonardo Mely, a cui è affidato il compito di mantenere
l’ordine pubblico nella “villa” e di esigere i tributi feudali. Il sindaco si
chiama Juan Sanna, momentaneamente assente (forse un’assenza strategica…).
Siamo a ottobre. Alle otto del mattino del
giorno 17, i vassalli bainesi ascoltano l’atto che dispone la confisca della
villa, radunati nella “plaza de Mayor”, nel “lugar acostumbrado”, cioè il luogo
dove solitamente si tengono le assemblee della comunità, nel quale sono stati
convocati sotto la penale di un’ammenda di 25 soldi. Alla fine della lettura,
eseguita in lingua sarda, tutti si dichiarano pronti ad osservare quanto
disposto dall’ordinanza regia, riconoscendosi ora vassalli del re, e prestano
il relativo giuramento. Di tutti i presenti, solo due, Domingo Esquirru e
mestre Joseph Cadau - forse gli unici in grado di leggere e scrivere –
appongono la propria firma in calce al documento. A questo punto la commissione
si reca a Cùccur’e Funtãa, per avere la possibilità di abbracciare con lo
sguardo dall’alto “saltos (su sattu), montes, prados, fuentes y rios” di
pertinenza della villa, e dichiarare di prenderne possesso in nome del re.
Rientrati nella villa i commissari si recano presso la casa del maggiore di
giustizia dove prendono in consegna la chiave del “sipo que sirve de càrcel”,
ossia il ceppo a cui, in mancanza di un vero e proprio carcere, vengono
incatenati i soggetti in detenzione. La commissione, dopo aver ricevuto dai
presenti il giuramento di fedeltà al re, conferma nelle loro cariche il
maggiore di giustizia, il suo vice Pedro Escano ed i giurati: Felice Acey,
Antioco Melony, Antonio Aquas, Dionisio Escano, Moncerrat Esquirru e Diego
Salis.
Quella mattina del 17 ottobre 1744 finiva
così, a mio modesto parere, il lunghissimo medioevo e il periodo feudale di
Baini, aprendo l’età moderna. Un periodo di immobilismo civico e di fiscalismo
esasperato che lasciò le nostre popolazioni incollate alla terra, devastate
dalle carestie e giugulate dalle tasse feudali e dalla fame. Dopo i
rastrellamenti di tanto grano da parte degli ispettori del feudatario chi
giranta pe is axròbas, restavano ancora da pagare le “tasse generiche sul
feudo, sul vino, il deghino per le pecore, lo sbarbagio dei maiali, il diritto
sulle stoppie, sul mezzo portatico, il diritto di presenti o di regalo, il
donativo, il diritto di carcelleria (per le carceri) e di messarìa, il diritto
sul miele e sulla cera”, ecc. (G.Sotgiu, "Storia della
Sardegna"). Il grano requisito doveva inoltre essere trasportato a spese
del contadino fino ai piedi del marchese, che risiedeva a Cagliari. Era la
famigerata “roadìa”, che deprivava i contadini anche di parecchi preziosi
giorni lavorativi. Ulteriore fonte di feroci contrasti col feudatario. Baini,
con gli altri villaggi di Parte Usellus, protestarono violentemente (1760) per
questo strozzinaggio che aveva maggiorato la tassa di radìa di 40 starelli di
grano in più (“Acudieron los sindicos […] querandose a que los havia cargado
demàs al solito, quarenta estareles de trigo”). Aggiungete al tutto la micidiale
malaria, le cavallette, le malattie varie e fate il conto. Da una
crisi all’altra, “si raggiunse il culmine della desolazione con la carestia del
1540, che squassò tutta la Sardegna. Gli abitanti dei villaggi non ebbero
scampo. L’episodio più tragico di quella carestia si verificò ad Ales: una
madre, impazzita per la fame, dopo aver invano invocato con due figli
l’elemosina, girando per i villaggi altrettanto affamati, uccise il figlio
minore e si cibò della sua carne” (B. Anatra, "La Sardegna dall’unificazione
aragonese ai Savoia", p 253). E’ in seguito a questo sfacelo che i
vescovi di Ales – in durissima opposizione al marchese e agli usurai che
arrivavano a far prestiti al 200 per cento - fecero costruire nei
villaggi i monti granatici, per dare ai contadini anticipi e prestiti di grano
molto agevolati. Il monte granatico di Bannari, del 1770, era proprio davanti
alla chiesa. Altro pezzo perduto della nostra identità, che s’è portato via con
sé tante memorie collettive, pagine e pagine della storia dei nostri padri. In
particolare figurano i vescovi Beltran (che iniziò a far costruire i “monti”),
Pilo ecc., che arrivarono a vendere l’argenteria e tanti mobili della Chiesa
per aiutare i poveri a vivere. Vescovi doc, grandiosi.
Su Cùccur’e Funtãa (c. foto antica. Ora
non esiste più nel suo aspetto originale), detto anche Mont’e Aba, Monte della
nonna, è un sito importante di storia per Baini, perché rappresenta - con la
sua millenaria fonte perenne (non più perenne, purtroppo) di acqua che le
sgorgava ai piedi - il primo agglomerato dei nostri avi bainesi “emigrati” dal
Brunk’e s’Omu, calamitati a valle da questa preziosa sorgente. A lato (vedi la
foto in b/n) della fonte correva un sentiero, altrettanto millenario, il quale,
secondo me, era il percorso che portava verso la preziosa ossidiana dei monti
di Pau. Ai nostri tempi antichi, in tempus de mèssi, le nostre nonne e mamme
andavano a Cùccur’e Funtãa a bentuai sa spiga raccolta dietro i messadòris,
perché l’aria che lì correva era più ventilata.
Rispettiamo e comprendiamo meglio il
nostro passato! Come diceva Cicerone: "Non conoscere il
proprio passato e le vicende della propria terra è come non conoscere se
stessi".
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