mercoledì 3 giugno 2020
Linguistica. L’articolo Latino che ufficialmente non esiste, ma che c’è ed è quello sardo. Riflessioni di Bartolomeo Porcheddu
Linguistica. L’articolo
Latino che ufficialmente non esiste, ma che c’è ed è quello sardo.
Riflessioni
di Bartolomeo Porcheddu
Se
dovessimo consultare un qualsiasi manuale di grammatica latina e andassimo a
cercare il capitolo dedicato all’articolo latino, rimarremmo delusi, poiché
nell’indice dei libri adottati dalle scuole italiane, nella parte che riguarda
la morfologia, non c’è l’articolo e si passa direttamente al nome. Quindi ci
viene spontaneo chiedere: che fine ha fatto l’articolo latino?
Nel mio
libro “Il latino è lingua dei Sardi” dedico all’articolo latino ben sette
pagine, poiché l’articolo in latino esiste, eccome, ma è stato occultato. Come?
Lo vedremo tra poco.
I
grammatici latini moderni hanno sempre negato l’esistenza dell’articolo latino.
Questa loro posizione è dovuta principalmente al fatto che nella lingua latina,
strutturata nei morfemi nominali con i “casi”, l’articolo molto spesso non è
essenziale al fine della costruzione e comprensione della
frase.
Anche in
sardo nelle frasi idiomatiche, quelle per intenderci utilizzate nei proverbi
che riassumono in senso logico una frase più ampia, l’articolo può essere
eluso, come ad esempio nel proverbio: “fizu de ‘atu sòrighe tenet”; tradotto
letteralmente in italiano: “figlio di gatto topo cattura”. In questa frase ho fatto
fuori tre articoli. Per esteso, infatti, la frase sarebbe stata: “il figlio del
gatto il topo cattura”.
I casi
latini funzionano più o meno allo stesso modo, in quanto nel morfema nominale,
ovverosia la parte terminale della parola che in sardo e in italiano riporta il
genere e il numero, vale a dire il maschile e il femminile nonché il singolare
e il plurale, il latino contiene anche il “caso”, vale a dire la funzione
sintattica che l’articolo, il nome, l’aggettivo o il pronome contengono
all’interno della frase. Questo dato ci indica se queste parti del discorso
svolgono il ruolo di soggetto, complemento oggetto, di termine o altro
complemento.
In
questo testo mi limiterò ad analizzare il caso nominativo singolare femminile
della prima declinazione latina e prenderò ad esempio la parola latina “ipsa”.
Occorre
premettere che prima che venissero inventate le consonanti doppie, un suono
forte veniva rappresentato graficamente con un’altra
consonante e non con la stessa. Quindi ad esempio l’aggettivo latino “magna”,
che vuol dire “grande”, come l’Aula Magna delle università, contiene la
consonante “g” che raddoppia la successiva “n” e per questo dovrebbe leggersi
“manna”, come in sardo.
Siamo
certi che la consonante “g” funge da supporto alla “n” perché nell’alfabeto
latino questa lettera non esisteva ed è stata introdotta solo nel 230 a.C. dal
console Spurio Carvilio Massimo Ruga per sopperire alla mancanza del “gamma” soprattutto
nelle traduzioni dal greco al latino. Quindi la parola non poteva essere in
origine pronunciata “macna” se ipoteticamente al posto del grafema “g” ci fosse
stata la consonante “c”.
Facendo
il dovuto parallelo, nella voce latina “ipsa” la lettera /p/ è il raddoppiamento della successiva /s/. Per cui il termine si legge “issa”, come il pronome di terza
persona singolare femminile della lingua sarda, che in italiano traduce l’equivalente
pronome “lei” o “ella”. Il raddoppiamento della consonante con un’altra diversa
si può trovare ad esempio nel numerale latino “septe”, italiano “sette”, riportato quasi come l’omologo greco “epta”.
Nella
lingua parlata, in tutta la Sardegna, quello che sembra un pronome di terza
persona singolare di genere femminile, sardo “issa”, quando accompagna un nome
ed è preceduto dalle congiunzioni “e”
e “che”, si trasforma in un articolo
con forma più ampia e diventa “e-i-sa” o “che-i-sa”, in cui all’articolo sardo
“sa”, italiano “la”, è unita la “i”
cosiddetta “eufonica” per dare continuità lineare all’unione tra congiunzione e
articolo.
Se
andiamo a fondo sul problema e analizziamo il plurale dell’articolo
determinativo sardo, constatiamo che questo esce in logudorese con “sos”,
maschile, e “sas” femminile. In campidanese, invece, in entrambi i generi,
l’articolo plurale esce con “is”. L’articolo plurale campidanese altro non è
che la evoluzione dell’articolo ampio Issas
o Issos che nel corso suo processo storico ha subito la sincope della sillaba
mediana “sa” o “so”, divenendo “is”.
Quindi,
spesso, per esprimere l’articolo singolare femminile sardo “sa”, italiano “la”,
troviamo anche nella nostra Carta de Logu medievale il lessema “issa” che
contiene quella “i” eufonica che abbiamo appena visto (i-ssa). Ma allora come
fare a distinguere l’articolo “issa” dall’omonimo pronome “issa”? Facile e
logico! Quando “issa” non accompagna un nome è per forza un pronome.
I
grammatici latini moderni non hanno fanno questa distinzione lineare e per
classificare l’articolo “ipsa” quando accompagna il nome lo hanno chiamato
“pronome determinativo”.
Che cosa
vuol dire “pronome determinativo” nella grammatica italiana"? Niente!
Questo termine nella grammatica italiana non esiste, perché un articolo è tale
quando accompagna un nome e lo determina, altrimenti quando lo sostituisce e
prende il suo posto è un pronome. Nel caso in cui, invece, rafforza un nome,
diventa un aggettivo identificativo.
Per
capire meglio aiutiamoci con qualche esempio. Nella frase riportata da Tito
Livio nella sua opera “Ab Urbe Condita Libri, Liber V, 54, è scritto: argumento est ipsa magnitudo, che
traduce l’italiano “[…] argomento è la grandezza […]”. In questo caso “ipsa”
accompagna ed è riferito al sostantivo “magnitudo” (grandezza) e non può essere
un pronome perché accompagna un nome. Ipsa
è quindi solo un articolo e traduce quello sardo “sa”, in italiano “la”, che
determina la grandezza.
I
grammatici latini moderni traducono questa frase con “la stessa grandezza”,
dando a “issa” la denominazione di “pronome determinativo” perché rafforzativo
di grandezza. A questo punto mi chiedo, che senso ha chiamare l’articolo in
questione pronome determinativo quando il nome c’è già e viene già determinato proprio
dall’articolo Ipsa?
Molto
probabilmente i grammatici latini moderni hanno utilizzato l’epiteto “pronome
determinativo” e non aggettivo identificativo perché “Ipsa” è declinato come un
pronome e non come un aggettivo.
In ogni
caso e in qualunque modo venga chiamato, Ipsa latino, pronunciato Issa,
rappresenta l’articolo sardo “sa”, e di questo ce ne dà dimostrazione Quinto
Ennio, scrittore latino vissuto a cavallo tra il Terzo e il Secondo secolo
avanti Cristo, quando nella sua opera Annales, nel libro I, al paragrafo 15, utilizza
l’articolo latino come quello sardo odierno nell’esempio che segue: […] propter sos
dia dearum; in sardo: probe a sos
deos de Dia; in italiano: vicino agli
dei di Dia.
L’articolo
latino “Ipsa” mostra la sua sardità evidente soprattutto quando è preceduto
dalla preposizione semplice e forma quella che viene definita nella grammatica italiana
la “preposizione articolata”. Nell’esempio seguente riportiamo la frase
utilizzata da Seneca nelle sue Epistolae Morales – Ad Lucilium, Liber XI, 86,
che dice: in ipsa Scipionis
Africani villa; in sardo: in sa
bidda de Iscipione Africanu; in italiano: nella
villa di Scipione l’Africano.
I motivi
per cui l’articolo sardo latino sia stato occultato non sono del tutto chiari, ma
per il momento noi Sardi dobbiamo incassare una manipolazione grammaticale
della lingua sardo latina ai nostri danni.
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