martedì 11 febbraio 2020
Archeologia della Sardegna. Il Guerriero di Noeddale Articolo di Gustavo Bernardino
Archeologia della Sardegna. Il Guerriero di Noeddale
Articolo di Gustavo Bernardino
E' sorprendente come, tornando con lo sguardo su testi
oramai abbandonati per averne assimilato i contenuti, ti appaiono
improvvisamente delle immagini che non avresti mai immaginato di vedere.
Spero di riuscire anche a suscitare l'interesse del lettore
col presente lavoro che propone una tesi probabilmente già sostenuta da altri.
In questo caso chiedo scusa per la ripetizione. Si tratta di capire se è
possibile interpretare la volontà dei nostri antenati circa il metodo di seppellimento
dei defunti secondo una logica di appartenenza alle diverse classi sociali.
Questo criterio l'ho accennato in un precedente articolo in cui appunto
ritenevo che le immagini di due diverse “Domus de janas” che si
trovano a
Cheremule in località Museddu, costruite con effetti scenici differenti,
consentono di interpretare la volontà dei committenti di tali manufatti.
Insistendo su questa tesi, ritengo che l'immagine che si ricava dalla
osservazione della pianta planimetrica della necropoli di Noeddale lascia
basiti in quanto ti appare inequivocabilmente la figura netta di un guerriero
con il suo scudo tenuto con la mano destra. Per di più, lo scudo non è rotondo
ma esattamente della stessa forma geometrica di quelli conosciuti con i
“Giganti” di “Mont'e Prama”. Inoltre il personaggio che appare, osservando la
pianta della tomba, ha in testa un copricapo che sembrerebbe dello stesso tipo
di quello del bronzetto la cui immagine
si trova alla fine dell'articolo.
E' verosimile
pertanto che nella tomba dimorasse un notabile appartenente ad una famiglia di
alto lignaggio con la disponibilità di grandi risorse economiche (tali da
giustificare la costruzione di un gigantesco edificio funerario) che abbia
rivestito in vita una funzione militare di grado molto elevato. Suggestiva
anche la rappresentazione della parte del corpo che costituisce la faccia,
infatti è riprodotto il sole (disco con i raggi) elemento che rafforza
l'importanza del defunto.
Anche guardando la figura che segue, si ha le netta percezione
di vedere lo stesso corpo del guerriero coricato, visto di fianco.
Le immagini che propongo
appartengono all'autore Gavino Mascia che ha redatto la parte grafica del
volume n.36 della Collana “Guide e Itinerari” di “CarloDelfino editore”, dal titolo
“Necropoli ipogeiche di S'Adde' e Asile e Noeddale” 2004.
In tale
opera curata da Pina Maria Derudas, si afferma che le necropoli di cui si
tratta nel volume, siano state realizzate nell' Eneolitico e utilizzate da quel
periodo sino all'età del Bronzo Antico (pag. 7). Cercando di individuare i
possibili frequentatori di tali aree per capire chi abbia potuto commissionare
una opera di tale importanza, viene da pensare ai costruttori di Monte Baranta
e di Monte d'Accoddi, queste due località sono legate da un filo che le unisce
per diverse ragioni: una è quella che ci viene spiegata dall'autrice Derudas
che, riferendosi alla tipologia costruttiva degli ipogei in esame, sostiene la
tesi secondo la quale “..la presenza di ipogei con ambienti di pianta rettangolare
e semicircolare appare tanto più rilevante se si tiene conto che questa
tipologia di capanne, a differenza di quelle circolari, è meno conosciuta: fra
gli esempi noti si ricordano Biriai, Oliena, Monte Baranta, Olmedo, Monte
d'Accoddi, Sassari che peraltro si ascrivono a culture dell'Eneolitico...”
un'altra ragione è quella che entrambi i luoghi sono contraddistinti da un
comune denominatore che conduce ad Oriente. Del Monte Baranta ho ampiamente
trattato in un articolo precedente in cui ho spiegato che l'origine del nome
proviene dalla cultura sumera e specificatamente dalla sfera religiosa,
quaranta (baranta) era il numero attribuito al dio Enki/Ea. Anche il Monte
d'Accoddi è caratterizzato da un monumento cultuale appartenente alla sfera
religiosa sumera con la bellissima Ziqqurat. Due elementi importanti per
ritenere sostenibile la tesi e quindi pensare con ragionevolezza che il
personaggio ospitato nella dimora funeraria appartenesse ad una famiglia di
rango molto elevato e di alto grado nella gerarchia militare e di una etnia
proveniente probabilmente da Oriente. Per di più, considerata l'immagine del
sole che copre la faccia del defunto si potrebbe desumere che si trattasse di
un “Illuminato” componente quindi, come detto, di una sfera sociale di
altissimo livello e membro di quella comunità chiamata “Popolo del sole” come
spiegato più vanti.
La
rappresentazione del sole attraverso l'immagine di un disco con i raggi la
troviamo riprodotta nelle volte di alcune celle appartenenti proprio alle Domus
de Janas di S'Adde e' Asile e Noeddale. Questa iconografia è tipica degli Henmemet
come spiegato da un egittologo di rango come Stephen Quirke nel suo lavoro “Exploring
Religion in Ancient Egypt” pag. 43 che spiega inoltre come questi Henmemet
chiamati anche “Popolo del sole” “appartengano ad una cerchia di persone le più
vicine al faraone e sue guardie del corpo e cortigiani più fidati”, così come
lo diventeranno in seguito gli Shardana col faraone Ramses II.
N.B.
Immagine
3
C'è da
precisare che essendo il bronzetto di epoca molto successiva al periodo di
origine della necropoli, (una differenza di circa 300/400 anni) resta difficile
ritenere che il modello di copricapo sia sopravvissuto per così tanto tempo.
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