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mercoledì 23 ottobre 2019

Archeologia in Sardegna. Le sculture di Mont’e Prama: Contesto, scavi e materiali. Alle origini del fenomeno Mont'e Prama. La Civiltà Nuragica nel Sinis. Riflessioni di Alessandro Usai


Archeologia in Sardegna. Le sculture di Mont’e Prama: Contesto, scavi e materiali.
Alle origini del fenomeno Mont'e Prama. La Civiltà Nuragica nel Sinis.
Riflessioni di Alessandro  Usai

Il complesso di Mont’e Prama è un fenomeno archeologico senza confronti nell’Oristanese e nell’intera Sardegna. La sua unicità potrebbe essere il sintomo di una reazione o risposta locale delle comunità tardo-nuragiche del Sinis a condizioni particolari dovute a fattori interni o esterni, nell’ambito del processo di generale trasformazione culturale che investe l’intera Sardegna tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro. Pertanto la presentazione del quadro complessivo del Sinis nuragico costituisce un tentativo rivolto non solo a ricomporre lo scenario su cui si staglia il fenomeno di Mont’e Prama, ma anche a individuare le peculiarità di uno specifico contesto culturale, peculiarità che potrebbero avere un rapporto con la singolarità della risposta ipotizzata. Il Sinis sembra aver interpretato a proprio modo la parabola della civiltà nuragica; anzi, sembra aver espresso le stesse tendenze generali che appaiono nel resto dell’Isola,ma con manifestazioni distinte per quantità o qualità, che richiedono  un’interpretazione adeguata. Nel Sinis si esprimono in modo ancora più marcato che nel resto della Sardegna quegli aspetti contraddittori che generalmente distinguono le
civiltà insulari da quelle continentali: da un lato si nota l’assenza o scarsità di aspetti altrove ben diffusi, come i nuraghi arcaici, gli antemurali, i grandi insediamenti strutturati, le muraglie recintorie e le tombe dei giganti; dall’altro si osserva un’esaltazione quasi ossessiva di altri aspetti, come i nuraghi complessi a addizione frontale, i “piccoli nuraghi”, i piccoli nuclei insediativi dispersi e le connesse attività di trasformazione agricola e colonizzazione del territorio; si nota anche lo sviluppo singolare della scultura su pietra con contenuti figurativi. Queste contraddizioni potrebbero essere dovute a un’amplificazione delle conseguenze del fattore insularità, intendendo con questo non tanto un ostacolo al contatto esterno quanto piuttosto  l’effetto moltiplicato dell’incessante ripetizione di relazioni, stimoli e sfide entro un ambito in tutto o in parte circoscritto da confini naturali. La caratterizzazione peculiare della civiltà nuragica del Sinis è data anche dagli stimoli derivanti dai contatti esterni fin dal Bronzo Medio 3 e soprattutto nel Bronzo Finale e Primo Ferro, e da una marcata fragilità ambientale, quindi anche economica e sociale. Le singolarità riscontrate denotano un contesto caratterizzato da un complesso gioco di fattori e attitudini ambientali e culturali, ora concordanti e ora contrastanti. Fragilità, instabilità, dinamismo, competizione, capacità di adattamento e reazione, creatività: queste sono a mio avviso le condizioni in cui maturò il fenomeno di Mont’e Prama.  

La posizione del complesso di Mont’e Prama ai margini del sistema territoriale nuragico del Sinis centro-meridionale,di fronte a una fascia forse più instabile, lungo una possibile via di attraversamento, è l’indizio più evidente della sua sostanziale ambiguità. Il sito, pur appartenendo a una distinta entità umana e territoriale, si rivolge verso un ambito più indefinito. Il costume funerario, pur richiamando coi betili la tradizione eroica delle tombe collettive dei giganti, adotta esclusivamente la deposizione individuale che consente la conservazione e fors’anche la riconoscibilità delle singole identità personali. Le sculture, pur appartenendo al mondo iconografico e simbolico dei bronzetti nuragici, lasciano l’ambito votivo ed entrano prepotentemente in quello funerario. Le stesse sculture, pur esprimendo la visione del mondo dei nuragici del Primo Ferro, sembrano manifestare l’intervento di artigiani stranieri e l’introduzione di ideologie e costumi orientali. Solo che nel resto del mondo mediterraneo quelle ideologie e costumi danno impulso a un salto di qualità irreversibile nello sviluppo dei ceti aristocratici, mentre a Mont’e Prama accompagnano un processo già minato da ragioni interne di disgregazione e quindi destinato a interrompersi prematuramente. Le statue e i modelli dei nuraghi sembrano il prodotto di un estremo ingigantimento dei bronzetti votivi, attuatosi in un contesto culturale attraversato da forti tensioni in un momento di trapasso epocale vivamente percepito e sofferto.
1. PREMESSA
Il sito di Mont’e Prama, che con la sua necropoli e il complesso scultoreo associato costituisce l’oggetto del presente volume, è veramente un fenomeno archeologico senza confronti, almeno fino a questo momento, nell’Oristanese e nell’intera Sardegna1. Pur senza escludere che l’apparente singolarità venga in futuro smentita, è tuttavia lecito ritenere che essa possa essere il sintomo di una reazione o risposta locale delle comunità tardo-nuragiche del Sinis a condizioni particolari dovute a fattori interni o esterni, nell’ambito del processo di generale trasformazione culturale che investe l’intera Sardegna tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro. In questo senso, la presentazione del quadro complessivo del Sinis nuragico costituisce un tentativo rivolto non solo a ricomporre lo scenario su cui si staglia il fenomeno di Mont’e Prama, ma anche a individuare le peculiarità di uno specifico contesto culturale, peculiarità che potrebbero avere un rapporto con la singolarità della risposta ipotizzata. In effetti, nell’ambito del grande ciclo culturale che è la civiltà nuragica vista come processo organico, gli studi territoriali mettono sempre più in evidenza i caratteri propri di ciascun bacino geografico, cioè di ciascun cantone e di ciascuna comunità umana corrispondente, così che sull’ampia estensione e nelle diversificate condizioni ambientali dell’Isola emerge una notevole varietà nelle modalità del popolamento, dell’insediamento e dell’organizzazione territoriale e comunitaria. Il Sinis non fa eccezione. Questa piccola regione geografica sporgente dalla costa centro-occidentale della Sardegna, estesa circa 120 kmq e in buona parte separata dal resto dell’Isola dallo stagno di Cabras, oggi priva di centri abitati autonomi e costituente un’appendice dei tre Comuni di San Vero Milis, Riola Sardo e Cabras, sembra aver interpretato a proprio modo la parabola della civiltà nuragica, nelle successive fasi di formazione (Bronzo Medio 2), maturità (Bronzo Medio 3 e Bronzo Recente), trasformazione (Bronzo Finale), crisi e degenerazione- dissoluzione (Primo Ferro); anzi, sembra aver espresso le stesse tendenze generali che appaiono nel resto dell’Isola, ma con manifestazioni distinte per quantità o qualità, che richiedono un’interpretazione adeguata, proprio come il fenomeno di Mont’e Prama.

Pur essendomi posto l’obiettivo di esaminare di persona e senza condizionamenti tutte le testimonianze nuragiche del Sinis, sono naturalmente debitore di coloro che in precedenza hanno contribuito alla ricerca con indagini territoriali e con scavi. Ma il mio debito si estende a tutti gli altri studiosi e ai diversi collaboratori e accompagnatori che negli anni mi hanno trasmesso le loro preziose conoscenze sui diversi aspetti della natura e della storia del Sinis. Come e ancor più che in altre regioni della Sardegna, nel Sinis l’osservazione e l’interpretazione dei resti archeologici sono condizionate dal loro grado di visibilità, che dipende dalla combinazione tra stato di conservazione, presenza di accumuli di crollo e depositi eolici e presenza di vegetazione arborea, arbustiva ed erbosa, permanente o stagionale. Nel complesso, il grado di visibilità è notevolmente peggiorato negli ultimi 40 anni, anche a causa dell’inesorabile depauperamento prodotto dai lavori agricoli, e comunque varia di anno in anno in rapporto con lo sviluppo della vegetazione. Nello stesso tempo sono emerse e continuano ad emergere nuove inattese testimonianze archeologiche, mentre si sono notevolmente affinati i criteri di individuazione e lettura dei documenti materiali. Tutto ciò rende conto di interpretazioni anche molto diverse date dagli Autori citati e da me. Infine, anche se restano incerti la grafia e il significato di alcuni toponimi, ho cercato di risolvere alcune discrepanze utilizzando quanto più possibile i toponimi risultanti dalle carte topografiche e catastali o ricercando la versione linguistica più corretta. Nonostante tutto ciò, anche questo lavoro non è che l’ennesimo tentativo di raccogliere e riordinare le conoscenze sul patrimonio nuragico del Sinis, preliminare ad auspicate campagne di rilevamento e studio sistematico.
2. IL SINIS AI TEMPI DELLE ORIGINI DELLA CIVILTÀ NURAGICA
Il Sinis ha restituito scarse ma significative testimonianze delle fasi precedenti l’inizio del ciclo culturale nuragico. Il Bronzo Antico è documentato nelle tombe ipogeiche di Serra ‘e is Araus-San Vero Milis con materiali di facies Campaniforme-Bonnanaro (Bronzo Antico 1) e in quelle di S’Arrocca Tunda-San Vero Milis con materiali di facies Sant’Iroxi (Bronzo Antico 2). Si hanno invece solo vaghe notizie di elementi della facies Sa Turricula (Bronzo Medio 1) nelle domus de janas di Serra ‘e is Araus e nell’abitato (o forse abitazione isolata) di Sa Pesada Manna – Cabras. All’evanescente fase iniziale del Bronzo Medio segue un’ancor più seria lacuna: l’apparente mancanza dei nuraghi arcaici e dei contemporanei documenti di natura insediativa e funeraria, che nel resto della Sardegna vengono oggi ragionevolmente riportati al Bronzo Medio 2. Elementi ceramici riferibili a questa fase, consistenti in frammenti di grosse olle a orlo appiattito, anche con nervatura plastica sotto l’orlo, sono stati individuati solo nel sito costiero di Su Pallosu di San Vero Milis. Sembra difficile che in futuro qualcuno dei ruderi meno conservati o maggiormente occultati dalla vegetazione possa rivelarsi il residuo di un nuraghe arcaico; ma ciò non cambierebbe di molto le cose. Quest’assenza è certo difficile da spiegare, sia in rapporto alle testimonianze delle fasi precedenti, sia in rapporto alla densità dei nuraghi classici e dei connessi insediamenti. 

L’assenza dei nuraghi arcaici e il carattere opportunistico delle sepolture in grotticella del Bronzo Antico, che hanno semplicemente sfruttato gli ipogei preesistenti, pongono seri ostacoli all’interpretazione della tomba megalitica di Matta Tramontis come allée couverte prenuragica o della fase nuragica di formazione. Del resto la tomba, segnalata nei primi anni ’80 e successivamente distrutta, non ha restituito alcun reperto; pertanto nulla impedisce di ritenere che essa fosse in realtà una tomba di gigante di tipo ortostatico del Bronzo Medio avanzato, eventualmente anche senza esedra come alcune tombe collettive della Sardegna meridionale. L’assenza dei nuraghi arcaici e delle tombe megalitiche ad essi correlate distingue il Sinis dai cantoni nuragici del Montiferru occidentale e sud-orientale, del Campidano Maggiore e del Campidano di Milis, dove quei monumenti sono ben rappresentati, anche se rari. Inoltre il Campidano Maggiore ha restituito importanti testimonianze degli insediamenti del Bronzo Medio 1-2, che dovevano essere costituiti prevalentemente da abitazioni infossate nel terreno senza strutture murarie. Pertanto sembra che il Sinis non abbia partecipato attivamente all’elaborazione dei primi monumenti nuragici, e che per buona parte del Bronzo Medio sia stato popolato solo da piccoli nuclei sparsi con bassa incidenza demografica e limitata pressione complessiva sulle risorse ambientali.
3. I NURAGHI
Considerate le premesse, l’introduzione e diffusione massiccia del modello del nuraghe classico, cioè della torre troncoconica con una o più camere coperte a falsa cupola o tholos, deve essere stata accompagnata da un notevole incremento demografico e da un radicale mutamento nella distribuzione del popolamento e nelle attività di produzione alimentare. Anche se non si trattò di un cambiamento repentino ma piuttosto di un processo articolato che deve aver avuto una durata di circa tre secoli tra il Bronzo Medio 3 e il Bronzo Recente (circa 1500-1200 a. C.), dobbiamo immaginare una trasformazione del paesaggio ben più pervasiva e profonda della pur significativa attività edilizia, che ancor oggi così chiaramente si percepisce in ogni angolo del Sinis. A partire dal primo, ogni nuraghe fu voluto e costruito nella posizione prescelta così da costituire il centro funzionale di un connesso progetto di colonizzazione e trasformazione produttiva, che era parte del processo di radicamento, espansione e intensificazione dell’intera comunità tribale insediata sul territorio. È l’epopea dei nuraghi, ma è anche l’epopea della bonifica del suolo, che veniva per la prima volta estensivamente liberato dalla foresta mediterranea dominante e reso produttivo nelle forme consentite da un’organizzazione economica mista in cui si integravano l’agricoltura, l’allevamento stanziale e itinerante, la caccia, la pesca e la raccolta di vegetali commestibili spontanei. Il risultato più appariscente di questo processo è la formazione dei sistemi insediativi policentrici, strumenti e motori del controllo collettivo su ampi bacini territoriali, dei quali i singoli nuraghi erano le cellule funzionali, interdipendenti e organizzate gerarchicamente. 

Osservando la carta distributiva dei nuraghi e delle altre presenze nuragiche nel Sinis (Tav. I), si percepisce la presenza di due aree di addensamento separate da una fascia intermedia di rarefazione, ancor oggi caratterizzata da gravi limiti di produttività agricola. Si individuano quindi due distinti sistemi insediativi: uno nel Sinis centro-settentrionale, corrispondente alle porzioni territoriali di San Vero Milis e Riola, l’altro nel Sinis centro-meridionale, corrispondente al territorio di Cabras. Il primo sistema si distende sulla piana arenacea e calcarea leggermente ondulata e interrotta da stagni e paludi come Sa Salina Manna, Is Benas, Sa ‘e Procus, Pauli Naxi, Pauli Crechi, Pauli Murtas. Il secondo sistema ha al centro il pianoro basaltico frammentato di Su Pranu che si prolunga a Sud fino al promontorio di Capo San Marco, e che sovrasta le pendici calcaree e arenacee fino al mare ad Ovest e allo stagno di Cabras ad Est. Inoltre ciascuno dei due sistemi insediativi si articola in diversi agglomerati minori, costituiti da un numero variabile di nuraghi, insediamenti e strutture complementari. Fin dalle iniziali ricerche e soprattutto dopo le prime accurate ricognizioni archeologiche degli anni ’70-’80 del XX secolo, il Sinis si è sempre distinto come un’area geografica caratterizzata da una elevata densità di nuraghi. Secondo i miei conti, nel Sinis si conservano i resti di 93 nuraghi, con una densità complessiva di circa 0,77 nuraghi per chilometro quadrato, ai quali si aggiunge quello dell’isola di Mal di Ventre. Tuttavia, se consideriamo nella sua concretezza l’insieme dei nuraghi del Sinis, ancor più che in altri territori emerge la necessità di riequilibrare il puro dato quantitativo con riflessioni più approfondite. Questo significa affinare i tradizionali criteri della classificazione strutturale, intesa come primo passo di un tentativo di analisi funzionale a livello di sistema insediativo. In altri termini, considerando il carattere polimorfico della grande categoria dei nuraghi, si pone la necessità di distinguere gruppi di edifici che, pur essendo quasi sempre ben riconoscibili come tali per il confronto con le più modeste strutture abitative e per la generale e definitiva consacrazione toponomastica, presentano una mole minore del solito e necessitano di una specifica interpretazione. Questi “piccoli nuraghi”, individuati per la prima volta dalla ricerca archeologica nel Montiferru e poi dimenticati, sono stati più di recente riconosciuti in gran numero anche nel Marghine, nel Guilcier, ai margini nord-orientali del Campidano Maggiore e in molte altre regioni della Sardegna. Nel Montiferru e nel Marghine sono frequentemente denominati nuratolos, mentre nel Sinis sono riconosciuti dalla tradizione popolare col termine nuracheddus (anche nella pronuncia uracheddus a San Vero Milis e a Riola, bracheddus o archeddus a Cabras). Ora, il Sinis è caratterizzato da una presenza mediocre di nuraghi semplici di modulo normale, da un numero importante di nuraghi complessi e da una serie abbondantissima di “piccoli nuraghi” o nuracheddus. Questo ci costringe a ridimensionare l’immagine di un territorio brulicante di torri ciclopiche e di popolazione, perché i numerosi nuraghi individuati non possono essere considerati immediatamente come altrettante torri né come altrettanti insediamenti permanenti. I nuraghi del Sinis sono costruiti con la pietra affiorante nel punto prescelto o nelle vicinanze. 

Quindi il calcare è utilizzato nella parte settentrionale della regione, tranne il nuraghe Costa Atzori che è in andesite; l’arenaria è impiegata sistematicamente nelle fasce costiere occidentale e meridionale; il basalto è esclusivo sull’altopiano vulcanico di Cabras e sulle sue pendici, dove in caso di necessità fu appositamente trasportato fino a circa un chilometro di distanza dai margini del pianoro (p. es. Tziricottu, S’Ollastu, Caombus, Conch’e Illonis, Santu Sadurru, S’Arruda, Leporada e Sa Perdera sulle pendici orientali). Materiale vulcanico è talvolta impiegato nei nuraghi costruiti in pietra sedimentaria, per la rinzeppatura dei paramenti (p. es. nel nuraghe Zerrei) o per elementi strutturali rilevanti (p. es. architrave in basalto nel nuraghe Maimoni e forse stipiti in andesite nel nuraghe Gutturu Diegu). D’altro canto, conci isodomi in arenaria si notano in tanti nuraghi di basalto, apparentemente con funzione ornamentale o di contrasto cromatico. Nel nuraghe Tziricottu i blocchi di arenaria si alternano a quelli di basalto; a Mont’e Chibuddas strutture di basalto sembrano addossarsi a strutture in arenaria; nel nuraghe Molas, costruito in basalto, il paramento interno della camera della torre principale è composto da lastre di arenaria. Infine il nuraghe di Mal di Ventre è in granito, la roccia affiorante sull’isola. I nuraghi sono naturalmente in rapporto primario con la terraferma e con le sue risorse, comprendendo in questo concetto anche stagni, lagune e saline. A questo proposito è opportuno ricordare che un livello marino leggermente più basso rispetto ad oggi, da un minimo di 1,5 a un massimo di 3 metri, era sufficiente a determinare una minore estensione degli stagni e degli acquitrini, a favore dei terreni utili per le colture e le altre attività economiche. Nello stesso tempo, la prossimità della costa sui tre lati della penisola comporta anche un rapporto col mare. Misurare oggi la distanza esatta tra i nuraghi e la costa si presta a valutazioni problematiche, dal momento che la variazione del livello marino cui si è fatto cenno ci impone di considerare un ampliamento delle fasce costiere, non facile da determinare soprattutto nelle aree pianeggianti. Ragionando in termini pratici più che analitici, solo il nuraghe di Su Murru Mannu appare connesso con un approdo protetto aperto sul Golfo di Oristano. L’area dell’attuale laguna di Mistras doveva essere in gran parte emersa; pertanto i nuraghi Crichidoris, Crichidoreddu e Paegrevas dovevano essere ben più distanti dalla linea di riva rispetto ad oggi. Sulla costa occidentale i nuraghi Maimoni, Nuracheddu ‘e sa Canna, Mont’e Corrigas e Muras si affacciano su insenature esposte al maestrale, mentre più a Nord si alzano le falesie di Su Tingiosu e in mancanza di approdi i nuraghi si allontanano dalla costa. Nel Sinis settentrionale solo i nuraghi Abilis di San Vero Milis e Nuracheddu Piudu di Riola distano meno di un chilometro dal mare, e nessuno si dispone in prossimità delle ampie insenature sabbiose di Putzu Idu, Su Pallosu-S’Arrocca Tunda e Is Arenas. Infine il nuraghe di Mal di Ventre è connesso con le cale della costa orientale dell’isola, riparate dal maestrale ma esposte allo scirocco. L’assenza di nuraghi in prossimità delle coste di Capo Mannu induce a ritenere che il nucleo umano residente sulla piccola isola fosse piuttosto in rapporto con le comunità cui appartenevano i citati nuraghi della costa occidentale cabrarese. A tal proposito ricordo le pietre d’ormeggio forate rinvenute sui fondali di Mal di Ventre, Portu Suedda e Su Pallosu.
4. TIPI DI NURAGHI
Come ho accennato in precedenza, l’interpretazione dei resti delle strutture nuragiche lascia spazio a divergenze dovute al grado di visibilità e ai diversi criteri di lettura adoperati. I nuraghi, già spesso demoliti e depredati, specialmente quelli in calcare e in arenaria, si presentano in massima parte avvolti da impenetrabili macchioni o occultati da accumuli di detriti e di limi eolici in forma di calotta sferica. Restano quindi indispensabili, e nello stesso tempo da verificare, le informazioni fornite dagli Studiosi che in precedenza hanno effettuato osservazioni e rilevamenti sistematici. In primo luogo appaiono meno numerosi del solito i veri e propri nuraghi semplici o monotorri, o almeno quelli le cui condizioni di conservazione o la presenza di cumuli consistenti di materiale di crollo permettono di ipotizzare un modulo strutturale adeguato al concetto tradizionale di nuraghe monotorre (Tav. II). Sono più frequenti nel Sinis centro-settentrionale (S’Omu, Abilis, Melas, Priogu, Bidda Maiori A, Zerrei – San Vero Milis; Francisca Perra, Istani – Riola); sono invece più scarsi nel Sinis centro-meridionale (Tziricottu, Sa Tiria A27, Barrisi B, Conch’e Illonis, Maimoni, Paegrevas, Su Murru Mannu – Cabras). Naturalmente è possibile che alcuni dei nuracheddus e dei nuraghi indeterminati elencati di seguito fossero in realtà normali nuraghi monotorri, mutilati o occultati dagli agenti naturali e da sistematiche demolizioni. 

Per esempio, il nuraghe di Su Murru Mannu si presenta come molti “piccoli nuraghi” del Sinis di Cabras, ma è stato evidentemente smantellato e sezionato in epoca punica e romana per la costruzione del tofet e delle mura di Tharros. Inoltre è probabile che almeno una parte dei nuraghi complessi si sia sviluppata da originarie torri isolate con l’aggiunta di cortili e torri secondarie; ciò consentirebbe di riequilibrare il rapporto nelle fasi iniziali di costruzione dei nuraghi, prima dell’ampliamento di quelli destinati a divenire complessi. Tuttavia è anche possibile che altri nuraghi complessi siano stati progettati e realizzati come tali, saltando il passo preliminare del nuraghe semplice. In ogni caso il grado di visibilità dei resti è talmente basso da impedire ogni tentativo di delineare una sequenza ipotetica basata su particolari strutturali come le sezioni delle camere o le forme di ingressi, anditi, nicchie e scale; pertanto risulta impossibile abbozzare uno schema di sviluppo territoriale dei diversi agglomerati costituenti i due sistemi insediativi. Nel Sinis, soprattutto nel territorio di Cabras, abbondano invece i nuraghi complessi, che tipo logicamente si possono dividere in tre gruppi principali (Tav. III). Il primo gruppo è quello dei nuraghi a addizione frontale: con solo cortile (Barrisi A, forse Sianeddu- Cabras), con cortile e una torre secondaria (Civas – Riola; Serra ‘e Cresia, Su Nuraxi, Zianeddu A, Zianeddu B – Cabras), con cortile e due torri secondarie (Sa ‘e Procus-San Vero Milis; Mont’e Prama, Sianu Mannu, Piscina Arrubia, Cadalanu A, S’Arruda – Cabras). A questo gruppo, e forse in maggioranza al terzo sottogruppo, certo preponderante, sono probabilmente da aggiungere diversi altri nuraghi in peggiori condizioni di visibilità (Su Cunventu, Spinarba, Nurachi ‘e Mesu – San Vero Milis; Oru Simbula-Riola; Molas, Barrisi C, Marghini Grutzu, Mont’e Corrigas, Santu Sadurru, Crichidoris – Cabras). Il secondo gruppo comprende pochi nuraghi composti da una torre principale e da un bastione con cortile e tre torri secondarie, in cui è difficile distinguere quelli propriamente definibili come nuraghi a addizione frontale e laterale e quelli a addizione concentrica di tipo trilobato. Infatti le cattive condizioni di visibilità impediscono di accertare se il bastione avvolga interamente o meno la torre principale anche sul retro. Il nuraghe Caombus-Cabras sembra del primo tipo (però una delle torri laterali è solo supposta), mentre Giuanni Nieddu e Cannevadosu – Cabras sembrano propriamente trilobati. Tuttavia la struttura di questi due nuraghi è invertita rispetto a quella dei trilobati canonici, avendo una sola torre secondaria davanti al piccolo cortile e alla torre principale e due torri sul retro, anziché il contrario come è usuale; ciò suggerisce che essi potrebbero essersi sviluppati da nuraghi originariamente a addizione frontale con una sola torre secondaria in asse con la principale e col cortile (come Civas e Serra ‘e Cresia), con l’aggiunta successiva di due torri posteriori. Infine il nuraghe Figu de Cara-Cabras (anche detto Figu de Cara Mannu per distinguerlo dal vicino Figu de Cara Pittiu) ha certamente un bastione con ampio cortile e due torrette frontali, che però sembra avvolgere la torre principale anche sul retro e forse conserva qualche tenue indizio della presenza di una terza torretta posteriore: se questa fosse confermata il nuraghe sarebbe un trilobato canonico, mentre in caso contrario si accosterebbe al gruppo precedente.

Il terzo gruppo è quello dei nuraghi a addizione sicuramente concentrica, esclusivamente o quasi di tipo quadrilobato (Sàrgara, Leporada, Matta Tramontis – Cabras) o di tipo asimmetrico irregolare (Angius de Corruda – Cabras). A parte sta il nuraghe dell’isola di Mal di Ventre- Cabras. Sembra costituito da due strutture circolari e da resti di brevi muri rettilinei senza cortile interposto; la struttura orientale, fondata in parte su un’eminenza rocciosa, è verosimilmente la torre principale, mentre quella occidentale sembra una torretta o un piccolo cortile con ingresso diretto dall’esterno. Restano indeterminati alcuni nuraghi in pessime condizioni di visibilità, probabilmente per lo più complessi (Gutturu Diegu, Sorighis, Bidda Maiori B, Nuracheddu Biancu - San Vero Milis; Nuracheddu Piudu – Riola; Mont’e Chibuddas, Nuracheddu ‘e sa Canna – Cabras). Infine altri, citati o descritti in passato, sono del tutto scomparsi, se mai sono esistiti, né si può escludere qualche caso di doppioni toponomastici (Benas, Pauli Naxi, Bidda Maiori C – San Vero Milis; Arcibiscu-Riola; Grisanti, Matta ‘e Canna, Serra ‘e su Tzippiri, Sa Tzinnibiri, Paegrevas B, Predi Sinnis, Torre di San Giovanni, S’Arenedda – Cabras). Infine è importante per la descrizione dei nuraghi complessi del Sinis l’apparente inesistenza degli antemurali turriti, presenti nelle vicinanze sia ad Est (S’Urachi di San Vero Milis e Nuracraba o Madonna del Rimedio di Oristano) che a Sud (Domu Beccia di Uras). I nuraghi complessi si trovano in diverse zone del Sinis, con una netta preferenza per due schemi di collocazione. Da un lato essi sottolineano i margini del pianoro basaltico di Cabras, tanto sul lato occidentale che è poco o per nulla marcato (Cannevadosu, Molas, Barrisi A e C, Piscina Arrubia, Cadalanu), quanto su quello orientale che è più rilevato e dominante (Sianeddu, Serra ‘e Cresia, Marghini Grutzu, Su Nuraxi, Sàrgara, Figu de Cara); dall’altro punteggiano le aree ondulate o pianeggianti, su terreni a costituzione in prevalenza arenacea (Su Cunventu, Spinarba, Sa ‘e Procus, Nurachi ‘e Mesu, Gutturu Diegu, Nuracheddu Biancu, Sorighis-San Vero Milis; Civas, Oru Simbula – Riola; Mont’e Prama, Zianeddu A e B, Mont’e Corrigas, Nuracheddu ‘e sa Canna, Caombus, Leporada, Crichidoris – Cabras). Solo pochi nuraghi complessi si dispongono sui primi gradoni delle pendici orientali dell’altopiano (Sianu Mannu e Santu Sadurru- Cabras) e sui dossi basaltici isolati della parte meridionale del Sinis (Matta Tramontis, Giuanni Nieddu – Cabras). 

Nessuno sorge all’interno dei tavolati. Infine è interessante notare alcuni casi di nuraghi complessi dello stesso tipo accoppiati a brevissima distanza l’uno dall’altro: Su Cunventu e Spinarba di San Vero Milis, Zianeddu A e B di Cabras. Come dappertutto in Sardegna, anche nel Sinis i nuraghi complessi richiamano l’attenzione dei ricercatori soprattutto per l’espressione di una gerarchia non solo strutturale ma anche funzionale in rapporto alle esigenze di controllo e gestione delle risorse territoriali e della rete viaria. La presenza di numerosi e imponenti nuraghi complessi presuppone un notevole surplus di risorse umane ed economiche in condizioni di elevata densità abitativa, di efficienza produttiva e di sviluppo dell’organizzazione gerarchica, anche per effetto dell’interazione e della competizione tra le comunità di diversi ambiti territoriali. Tra i tanti nuraghi di media mole e di tipologia ripetitiva, nel sistema insediativo centro-meridionaleemergono i nuraghi ad addizione concentrica, soprattutto i quadrilobati Sàrgara, Leporada e Matta Tramontis, che nel Bronzo Medio e Recente dovevano costituire i centri principali dell’organizzazione tribale. In questi periodi possiamo quindi immaginare un’esuberante formazione di diversi centri di coordinamento politico-economico, probabilmente rivolti a ospitare, su diversi livelli gerarchici, attività di accumulazione e redistribuzione dei prodotti del sistema agricolo e industriale, in connessione con le sorti mutevoli di clan, famiglie e anche individui di volta in volta emergenti sul persistente fondo comunitario tribale. Volendo azzardare, si potrebbero indicare come vertici dell’organizzazione territoriale il nuraghe Sàrgara nel sistema centro-meridionale e la coppia dei nuraghi Su Cunventu e Spinarba in quello settentrionale.
5. I NURACHEDDUS
All’estremo opposto della scala monumentale e gerarchica si pongono numerosissimi edifici interpretabili come nuraghi semplici, tuttavia caratterizzati dalla presenza di appena uno, due o tre filari di blocchi di dimensioni medie o grandi e dalla scarsità o inesistenza degli accumuli di crollo: Serra ‘e is Araus, Costa Atzori-San Vero Milis; Priogu, Porcu Silva, S’Imbucada – Riola; Tostoinus, Nuracheddu ‘e Cani Malu, Muras, Sa Piscina A e B, Nuracheddu ‘e su Procu, Sa Tiria B, S’Ollastu, Roia de Pusedda, Nuracheddus A-B-C-D, Cadalanu B, Sa Gora ‘e sa Scafa A-B, Maistu Andria, Sa Bingia A, Costa Arrandada, Figu de Cara Pittiu, Sa Carroccia, S’Aqua Mala, Abba chene Sole, Suergiu, Sa Perdera, Antiogu Crobis A-B, Roia Traversa A-B-C, Boboi Cabitza – Cabras (Tav. IV). Come si è accennato, nuraghi di questo tipo si trovano in diverse regioni della Sardegna; tuttavia essi sono veramente una particolarità distintiva del Sinis, soprattutto nei territori di Cabras e Riola dove essi rappresentano oltre il 40 % del totale dei nuraghi oggi esistenti. Si tratta di strutture circolari di dimensioni variabili, con diametri compresi tra m 8,50 e m 13 circa, ma ricadenti per lo più nell’intervallo tra 9 e 10 metri; i diametri delle camere sono difficilmente rilevabili a causa del pietrame e della vegetazione. Per lo stesso motivo è quasi impossibile osservare altri particolari strutturali, che appaiono solo di tanto in tanto; per esempio, a Costa Atzori e a Maistu Andria si nota la mancanza del pietrame di riempimento tra i due paramenti murari, mentre la camera è vuota. L’identificazione di questi “piccoli nuraghi”, cioè l’effettiva distinzione dai normali nuraghi semplici, è spesso difficile a causa della vegetazione avvolgente e del loro stato di conservazione, che naturalmente dipende in parte dall’originaria mole, in parte dal successivo degrado, soprattutto a causa del prelievo dei blocchi lapidei. Il problema si pone specialmente per le strutture in arenaria e calcare; invece i nuracheddus dell’altopiano basaltico sono più evidenti per la dislocazione su roccia affiorante, senza tracce di cava e senza muri di recinzione moderni che abbiano comportato l’asportazione di blocchi. Comunque la situazione non cambierebbe di molto anche se alcuni di questi si rivelassero nuraghi normali molto demoliti, oppure capanne abitative. La casistica dei diametri dei “piccoli nuraghi” consente di distinguere due gruppi di strutture. 

Quelle con diametro uguale o superiore a 10 metri erano state chiaramente concepite come nuraghi normali, e in mancanza di evidenti segni di demolizione possono essere interpretate con buona probabilità come nuraghi incompiuti o appenaabbozzati. Invece gli esemplari con diametro intorno a 9 metri sembrano non solo incompiuti ma anche caratterizzati da un modulo architettonico effettivamente più ridotto del solito, forse accompagnato da una maggiore semplicità strutturale (senza per questo cadere nell’abusato e fuorviante concetto di “protonuraghe”). Come si è già accennato, la tradizione locale indica come nuracheddus anche alcuni monumenti che potrebbero  essere complessi (Nuracheddu Biancu – San Vero Milis; Nuracheddu Piudu – Riola; Nuracheddu ‘e sa Canna – Cabras). Senza trascurare l’evidenza dei segni di demolizione, si può ritenere che anch’essi si presentassero effettivamente come “piccoli nuraghi”, per un modulo architettonico visibilmente minore del solito oppure perché rimasti incompiuti. Anche il nuraghe complesso di Mont’e Prama, con appena uno o due filari affioranti e con un interro da valutare, si presenta in condizioni non dissimili da quelle di molti nuracheddus semplici. Alcuni “piccoli nuraghi” si trovano accanto ai nuraghi normali, per lo più complessi: così il Nuracheddu ‘e su Procu è vicino ai nuraghi Mont’e Prama e Cannevadosu, Cadalanu B è prossimo a Cadalanu A e S’Ollastu al nuraghe Caombus. Tuttavia in massima parte essi occupano, isolati o raggruppati, zone distinte da quelle presidiate dagli altri nuraghi, di cui infittiscono o estendono la trama: si notano numerose coppie, talvolta anche aggregate in nuvole (Priogu e Porcu Silva, Tostoinus e Nuracheddu ‘e Cani Malu, Sa Piscina A e B, Sa Gora ‘e sa Scafa A e B, Sa Bingia A, Costa Arrandada e Figu de Cara Pittiu, Sa Carroccia e S’Aqua Mala, Abba chene Sole e Suergiu, Antiogu Crobis A e B), una terna (Roia Traversa A, B e C) e uno spettacolare allineamento di cinque (Nuracheddus A-B-C-D e Roia de Pusedda) che sorgono a distanze abbastanza regolari di circa 150-200-400-400 metri lungo l’asse di quella parte dell’altopiano basaltico che appunto prende il nome di Pranu ‘e nuracheddus. Questi ultimi cinque, così come alcuni altri più o meno distanti dai margini del tavolato basaltico (Costa Arrandada, Maistu Andria, Suergiu e Boboi Cabitza) si distinguono anche perché vedono solo terreni rocciosi, senza alcun controllo su terreni più fertili.Sembra inoltre importante rilevare che la fascia di rarefazione intermedia tra i due sistemi territoriali del Sinis centro-settentrionale e di quello centro-meridionale è caratterizzata in massima parte proprio dai “piccoli nuraghi” (Serra ‘e is Araus, Costa Atzori, Priogu, Porcu Silva, S’Imbucada, Tostoinus, Nuracheddu ‘e Cani Malu, più l’ipoteticamente complesso Nuracheddu Piudu). Inoltre i “piccoli nuraghi” sembrano generalmente privi di insediamenti, tranne le capanne isolate o in piccolissimi gruppi di Sa Gora ‘e sa Scafa A e B e di Costa Atzori. In altri casi, come Serra ‘e is Araus, Muras e Nuracheddu ‘e su Procu, gli abitati sono più o meno nettamente separati nello spazio e soprattutto nel tempo. Da ciò deduco che generalmente questi “piccoli nuraghi” non vissero abbastanza a lungo da attrarre la formazione degli insediamenti. I “piccoli nuraghi” de su Procu, Cadalanu B e S’Ollastu sono troppo vicini ai nuraghi complessi Mont’e Prama, Cannevadosu, Cadalanu A e Caombus perché si possano interpretare come tentativi di gemmazione dei relativi nuclei insediativi; pertanto si potrebbe ritenere che essi siano un po’ più antichi dei nuraghi maggiori adiacenti, dai quali potrebbero essere stati sostituiti. A parte questi casi, ritengo che i “piccoli nuraghi” possano essere interpretati in maggioranza come edifici standardizzati e piuttosto tardivi, che in attesa di verifica potremmo collocare verso la fine del periodo di costruzione dei nuraghi, cioè verso la fine del Bronzo Recente. 

La ripetitività dei caratteri strutturali, la sistematicità  della distribuzione territoriale e soprattutto l’apparente intenzionalità dei rapporti reciproci suggeriscono l’interpretazione di questo gruppo di edifici come testimonianza di un’attività costruttiva non casuale ma pianificata, svoltasi in un arco di tempo limitato. Come e ancor più che in altre situazioni che ho già avuto modo di esaminare, ritengo che quest’attività fosse rivolta ad occupare e mettere in produzione aree economicamente rilevanti, che venivano progressivamente sottratte alla foresta mediterranea, quindi ad espandere e intensificare il popolamento e lo sfruttamento delle risorse attraverso la moltiplicazione delle cellule insediative, secondo il classico schema di sviluppo territoriale policentrico della civiltà nuragica. Con grande probabilità, il supposto programma di colonizzazione, edificazione e sfruttamento, condotto fino a manifestare una vera e propria frenesia, doveva in breve rivelarsi insostenibile. I “piccoli nuraghi” costruiti nel cuore dell’altopiano, soprattutto i cinque allineati di Su Pranu ‘e nuracheddus, testimonierebbero la saturazione delle aree più produttive e l’occupazione di quelle più povere di risorse, oggi caratterizzate da suolo e vegetazione estrema mente degradati e destinate ad attività collettive residuali come la raccolta della legna, il piccolo pascolo estensivo e la caccia. Pertanto, come il sistematico programma di costruzione, anche la sistematica interruzione di questi nuraghi abbozzati costituisce un sintomo di tendenze storicamente significative. Poiché ogni insediamento presuppone un progetto di gemmazione, che comporta il trasferimento di un gruppo umano da un luogo già abitato ad uno ancora disabitato che deve anche essere contemporaneamente bonificato e colonizzato, non è strano che una certa percentuale di progetti insediativi potesse fallire per motivi contingenti. Tuttavia il gran numero dei “piccoli nuraghi” osservati in diverse regioni della Sardegna, e in modo macroscopico nel Sinis, sembra piuttosto documentare un cambio di rotta generale connesso alle trasformazioni strutturali della società nuragica. Sulla base dei dati disponibili nell’intera Sardegna, è facile immaginare che verso la fine del Bronzo Recente le comunità nuragiche abbiano cominciato a considerare insostenibili i costi economici e umani dell’espansione e intensificazione illimitata e della costruzione dei nuraghi. Ancor oggi, i “piccoli nuraghi” del Sinis, spesso mascherati da macchioni di lentisco o olivastro, segnano il paesaggio in modo più sommesso ma non meno efficace dei grandi nuraghi ancora svettanti. Nel complesso, essi rivelano tanto la grandiosità del progetto di trasformazione agricola del territorio quanto il suo fallimento. Al di là dell’immagine superficiale di un Sinis gremito di nuraghi, emerge un’altra ipotesi: una crisi più profonda che altrove, una riorganizzazione più radicale e sofferta che altrove. 

Che cosa accadde allora? L’interruzione della costruzione dei “piccoli nuraghi” comportò anche il loro abbandono nelle prime fasi del Bronzo Finale? Vennero forse abbandonati insieme ad essi anche alcuni “grandi nuraghi” e gli insediamenti ad essi pertinenti? E le terre conquistate alla natura vennero anch’esse abbandonate? Nella grande carenza di scavi nuragici nel Sinis, un indizio in tal senso viene dal nuraghe Nuracraba o Madonna del Rimedio di Oristano, sulla sponda destra del Tirso, dove uno strato di sabbia fluviale sterile separa gli strati del Bronzo Recente da quelli del Bronzo Finale terminale-Primo Ferro. Per quanto in questo caso le ragioni dell’abbandono possano essere legate anche al rapporto col grande fiume e con le sue cicliche esondazioni, la prolungata interruzione di vita nell’importante monumento posto a controllo del guado potrebbe essere in relazione anche con una crisi strutturale delle società nuragiche del Campidano Maggiore e del Sinis. Stando ai dati oggi disponibili, la prima grande crisi nuragica segnò la fine del periodo di costruzione dei nuraghi, ma non la fine dei nuraghi. Come mostra anche il nuraghe Nuracraba, essi vennero rioccupati e riutilizzati, forse anche in parte smantellati, e comunque continuarono a lungo ad attrarre la formazione e lo sviluppo degli insediamenti. Possiamo ritenere che ciò sia accaduto anche ai nuraghi del Sinis, anche se la mancanza di scavi archeologici mirati non permette di entrare nei dettagli.


Fonte: Le sculture di Mont’e Prama: Contesto, scavi e materiali.


Alle origini del fenomeno Mont'e Prama. La Civiltà Nuragica nel Sinis, di Alessandro Usai.

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