lunedì 15 aprile 2019
Archeologia. La brocca piriforme di Sedilo? Uno strumento liturgico del IX secolo avanti Cristo. Articolo di Gustavo Bernardino
Archeologia.
La brocca piriforme di Sedilo? Uno strumento liturgico del IX secolo avanti Cristo.
Articolo di Gustavo Bernardino
Un post di Pierluigi
Montalbano del 9 aprile su Facebook mi permette di proporre una tesi
interpretativa di un simbolo che caratterizza un reperto archeologico rinvenuto
a Sedilo riprodotto nella immagine. Come avviene sovente sui social, in cui si
propongono argomenti interessanti, anche in questo caso il post di Pierluigi ha
avuto un certo numero di interventi di persone che hanno esposto le proprie
tesi. La più “gettonata” (stando ad una personale statistica fatta sulla base
degli interventi) mi è sembrata quella proposta da Andrea Loddo che ritiene il
simbolo in questione ” Y” uno strumento da rabdomante. Io non condivido
questa tesi e mi permetto suggerire una lettura diversa cercando di spiegare i
motivi del mio dissenso.
Prima di tutto è necessario
fare una considerazione di carattere generale e ricordare che esiste un
principio metodologico enunciato da un monaco inglese Guglielmo di Occam
(Rasoio di Occam) secondo il quale “a parità di elementi la soluzione di un
problema è quella più semplice e ragionevole”. In funzione di tale principio mi
sembrerebbe logico ritenere che tale manufatto (di splendida fattezza),
considerando che è stato
rinvenuto in un luogo sacro, rientri in un ambito
cultuale. Partendo da questo presupposto bisogna stabilire una serie di caselle
all'interno delle quali indicare le aree di indagine per cercare di pervenire
alla soluzione più logica del problema.
La prima casella è da
destinare all'ambito temporale, ovvero bisogna cercare di stabilire quali culti
religiosi potevano essere presenti in Sardegna all'epoca in cui il manufatto è
stato realizzato. A questo proposito torna utile la datazione fatta nel post
dal direttore di questa rivista Pierluigi Montalbano che attribuisce il vaso al
IX secolo a.C.. Si parla quindi dell'Età del Ferro epoca che vede presenti
nell'isola diversi culti che per ragioni sincretistiche sono da considerare
frutti di alberi piantati secoli prima. Baal è uno degli esempi. Questo dio
importato dai soldati Shardana che operavano come mercenari, al soldo dei
faraoni, nei territori ugaritici nonché da commercianti fenici è conosciuto
anche come Melqart il dio di Tiro, anch'esso molto amato nell'isola. I seguaci
di tale culto, conosciuti in Sardegna come Balari, risiedevano nella parte
centro-settentrionale dell'isola.
Per gli ugaritici, Baal era
assimilato al dio Hadad che nel panteon dei Cananei era figlio di El nome che
veniva utilizzato per indicare Yahweh. Prima di trattare del dio ebraico, si
deve aprire un'altra casella per introdurre un nuovo tema che riguarda il
collegamento tra Ugarit e la Sardegna. Questo argomento è ampiamente trattato
da Giovanni Ugas nel suo impareggiabile lavoro “Shardana e Sardegna” Edizioni Della
Torre, 2016, lavoro per il quale l'autore meriterebbe il titolo di “Sardus
Pater” avendo scritto la vera storia della Sardegna nuragica. Nei capitoli 6, 7
e 25 di questo capolavoro, l'autore narra dei rapporti tra i nostri antenati e
la città di Ugarit nonché i rapporti tra gli stessi e Ramesse II.
Nel paragrafo 6.2 di pag.150
apprendiamo che i Sardi risultano attestati ad Ugarit tra il XIV e il XIII
secolo a.C., un periodo abbastanza lungo
da consentire una perfetta conoscenza delle usanze , delle tradizioni e aspetti
religiosi in uso nel periodo. Inoltre in un secolo i nostri avi avranno intrattenuto relazioni non solo con i
residenti ma certamente avranno avuto la possibilità di frequentare anche
esponenti di tribù provenienti dall'interno della regione per commerciare i
loro prodotti. Seguendo questo ragionamento avanzo una ipotesi che non posso
documentare ma che appartiene alla sfera delle intuizioni. Secondo me le tracce
di culto “Eliopolitano” riscontrabili in Sardegna (Sorradile), nascono dall'incontro
degli Shardana con gli Henmemet un popolo poco conosciuto ma che veniva
definito “Popolo della luce” adoratori del sole. Le poche notizie che si
possono trovare ci dicono che probabilmente era un popolo nomade proveniente
dalle regioni medio-asiatiche. Penso che il culto del sole, che poi ha trovato
il suo massimo splendore ad Heliopoli grazie al fatto che divenne sommo
esponente il re Akhenaton durante il periodo di Amarna (1350-133 a.C.), lo
abbiano introdotto in Egitto gli Shardana
e che quindi la presenza in Sardegna possa risultare contemporanea a
quella egizia se non antecedente. Varrebbe la pena approfondire questo aspetto.
Tornando a Yahweh il suo
culto da parte degli ebrei è attestato a partire dall'Età del Ferro in Israele
e Giuda insieme con altre divinità
siro-palestinesi. Dopo aver soppiantato El, Yahweh diventa l'unico dio supremo
degli ebrei. Tutta questa cervellotica premessa per arrivare alla conclusione
del ragionamento e quindi alla soluzione del problema dal mio punto di vista. Il
vaso era probabilmente uno strumento liturgico che aveva la funzione di mettere
in comunicazione il credente con il dio. Così come avviene da oltre 2000 anni
per i cristiani che, attraverso la somministrazione dell'ostia impartita dal
celebrante, entrano in comunicazione con dio, alla stessa stregua il celebrante
del IX secolo a.C. porgeva la brocca,
con dentro l'acqua benedetta, al credente che, mentre ne assumeva un sorso, si
trovava a contatto col simbolo ” Y” ovvero la prima lettera del nome del
suo dio.
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Troppo complicato. Prescindendo che un tale vaso pieno di acqua, peserebbe almeno 7 kg. Povero officiante.
RispondiEliminaBuon giorno Fioraldo, grazie per aver letto l'articolo. Il peso e la dimensione del vaso, giustificano la mia ipotesi
EliminaAttaccarsi al chiodo è tropo poco mi perdonerete ma non sono d'accordo con le proposte ipotetiche fermo restando che certamente il vaso pa parte dell'area del sacro e per arrivare a quello non serve ingegneria dialettica. Ebbene se Il vaso è completamente scritto e Io ne ho già fatto i rilevamenti per sezione su lucido. diciamo che il vaso ha da dire la sua senza intermediari. bisogna solo tradurre....saluti Carla Pinna.
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