venerdì 15 marzo 2019
Archeologia della Sardegna. Benatzu: mezzo secolo per capire? Articolo di Gustavo Bernardino
Archeologia della Sardegna.
Benatzu: mezzo secolo per capire?
Articolo di Gustavo
Bernardino
La ricorrenza del ritrovamento del “Tesoro” nella
grotta di Benatzu (Santadi) avvenuto il 24 giugno 1968 per opera di un gruppo
di speleologi appartenenti alla Associazione Speleologica Iglesiente (ASI),
ripropone in termini indifferibili, considerato il tempo trascorso, la
necessità di dare un significato plausibile al così detto “Tesoro” e sopratutto
proporre una soluzione credibile in merito alla titolarità del destinatario di
tale ricchezza.
La scoperta, è straordinariamente importante perché
consente, al pari della “Stele di Rosetta”, di interpretare con più facilità,
altri reperti rinvenuti nell'area e riscrivere con maggiore chiarezza i reali
rapporti esistenti tra
la Sardegna e l'Egitto fin dall'eneolitico. E' necessario, innanzitutto,
porsi le seguenti domande:
Quale culto esistente in quell'epoca poteva richiedere
l'uso dei 1498 reperti rinvenuti (tra lucerne, ciotole e altri contenitori di
terracotta) utilizzabili come lumi?
A quale divinità era rivolto il culto?
Esistono tracce di tale divinità?
Esistono collegamenti tra la divinità individuata con
altre esistenti in Sardegna?
Si può ragionevolmente costruire un quadro unitario
che riconduca a un preciso codice religioso?
Prima di entrare nel campo delle possibili risposte,
bisogna identificare il contesto temporale che può aver interessato il bene
archeologico in esame.
E' plausibile supporre che il tempio abbia avuto
origine dal tardo eneolitico con il probabile arrivo dei primi esponenti di
quelle etnie provenienti da oriente che avevano conoscenza e praticavano riti
appartenenti alla dottrina nilotica. Ne sono esempi significativi le tombe
sparse sul territorio isolano che contengono evidenti simboli riconducibili a
ideogrammi egizi come ad esempio (Putifigari, Anghelo Ruju, Benetutti, Bonorva,
Olmedo, Oschiri, Montessu) è logico pensare che in queste tombe venissero
deposti i corpi di persone che in vita praticavano un culto religioso che aveva
i fondamenti nella dottrina egizia. Benatzu quindi nasce nel tardo eneolitico e
la sua vita attraversa i secoli fino ad arrivare al periodo del ferro. Il
probabile punto di arrivo di queste etnie provenienti da Oriente, come ho avuto
modo di scrivere in un precedente articolo, sarebbe potuto essere il porto di
Mazzacara, le cui tracce sono state individuate durante una esplorazione
avvenuta nel 1965 come afferma lo studioso Sabatino Moscati nel suo
lavoro”Fenici e Cartaginesi in Sardegna” a cura di Piero Bertoloni edito da
ILISSO. Lo stesso toponimo d'altronde è formato da una triade di rango elevato
dell'olimpo egizio “Maat- Ka- Ra”. Ma veniamo alle domande.
Andando a cercare nei testi giusti, si trovano le
risposte che si cercano. In questo caso i testi sono stati scritti da due
autori che di storia e di religione egizia ne sapevano assai. Si tratta di
Sergio Donadoni e Mario Tosi. Del primo ho consultato “Testi religiosi egizi”,
edito da Garzanti su licenza UTET nel 1997 mentre per il secondo ho utilizzato
il “Dizionario delle divinità dell'antico Egitto” edito da KEMET nel 2017.
Nel tomo di Donadoni a pag. 341/2, viene descritto un
rito in onore di una divinità femminile che arriva nella città di Sais (antica
città sul delta del Nilo) il giorno13 del mese di Epiphi (Luglio). Per
festeggiare questo evento gli dei organizzarono una bella e grande festa che
doveva durare fino all'alba e tutti i partecipanti dovevano portare un lume
acceso per scortare la dea durante la processione. Quindi, una ricorrenza che
richiedeva una necessaria organizzazione da parte del clero responsabile del
tempio. E' importante tenere a mente le condizioni economiche generali di
riferimento a quel periodo storico. Stiamo parlando di un'epoca in cui la gente
aveva a disposizione pochissime risorse, lo stretto necessario per sopravvivere
e quindi è possibile immaginare che, se si dovevano affrontare spese per
l'organizzazione di una festa religiosa, queste verosimilmente dovevano essere
affrontate dai sacerdoti preposti alle funzioni del culto. Pertanto diventa più
comprensibile il ritrovamento dentro il tempio di un numero elevato di strumenti
funzionali al rito. Elemento questo, che consente di capire quanto potesse
essere diffusa e potente l'immagine della divinità e il potere della medesima
di soddisfare le richieste dei credenti.
Prima di passare alla seconda domanda, è opportuno
soffermarsi su un particolare e cioè il nome dell'abitato in cui arriva la
divinità. Sais è un’antica città costruita nel delta del Nilo che viene
citata molte volte nei testi religiosi ed è nota fin dalle prime
dinastie. Di lei parla anche Erodoto che ne esalta le meravigliose costruzioni.
Era certamente importante per i traffici commerciali che intercorrevano con i
paesi mesopotamici soprattutto per per quanto riguarda il lapislazzuli. Nel
paese di Santadi che si trova nell'area d’influenza del tempio di Benatzu,
esiste un antroponimo Sais assai diffuso.
Passando alla seconda domanda, la divinità in
questione è Neith.
Questa figura divina, viene descritta e raffigurata
con molteplici immagini che ne rendono affascinante e misteriosa la storia.
Mario Tosi nel suo “Dizionario” tra le diverse notizie sulla dea, ci dice anche
che veniva considerata la madre che aveva donato la vita al sole, ovvero a Ra
ed era altresì considerata la “Signora del mare” che proteggeva chi affrontava
le intemperie delle onde marine.
Tra gli studiosi che hanno trattato la variegata
figura di Neith, qualcuno suggerisce l'ipotesi che la dea sia stata introdotta
in Egitto dai trafficanti mesopotamici che, come detto, intrattenevano rapporti
commerciali con il paese dei faraoni. In effetti, l'origine della dea sarebbe
la sumerica Inanna/ Ishtar che in Egitto diventa sincretisticamente Neith.
Il fenomeno di trasformazione religiosa coinvolge la
divinità anche in Sardegna perché nell'isola Neith assume la veste della punica
Tanit.
Questo fenomeno di sincretismo religioso costituisce
una prova della presenza della dea egizia che viene avvalorato, a parer mio, da
una ulteriore testimonianza data dal ritrovamento delle così dette ” Stele di
Sulcis” conservate nel Museo di Cagliari su una parte delle quali è
rappresentata una figura femminile che tiene con la mano destra l'ankh egiziano.
Sembrerebbe questa figura femminile con caratteristiche iconografiche tipiche
dell'Egitto, essere molto rara in Sardegna tanto che le stele sono state
oggetto di studio da parte di personaggi di altissimo prestigio come Giovanni
Lilliu e Sabatino Moscati. C'è però un aspetto molto importante da evidenziare
circa l'ankh ovvero l'oggetto tenuto con la mano destra
dalla figura indicata dalla lettera a) Tav.1 allegata alla relazione
presentata al Consiglio dell' Accademia dei Lincei dal Prof. Sabatino Moscati
col titolo “DALL'EGITTO ALLA SARDEGNA:
IL PERSONAGGIO CON ANKH. Dal mio punto di vista, quest’
oggetto comunemente definito “Chiave della Vita” aveva un valore simbolico
molto elevato derivante proprio da una interpretazione differente e conseguente
ad un più dettagliato e approfondito esame dell'oggetto in questione.
Analizzando attentamente la figura può essere divisa in due parti. La parte
superiore composta da un corpo ovalizzante e la parte inferiore composta da un
corpo riconducibile ad una “bipenne”. Il significato della figura inerente la
parte superiore è attribuibile al “sacco amniotico” cioè al contenitore della
vita mentre la parte inferiore cioè la “bipenne” può essere a sua volta
scomposta in due parti, la prima “la testa della bipenne” potrebbe
rappresentare l'unione dei simboli del sesso maschile e femminile, entrambi
generano la vita attraverso un liquido (acqua sacra) il seme e il liquido
amniotico. La seconda parte potrebbe rappresentare il deflusso, lo
scorrimento dell'acqua sacra, il liquido amniotico appunto.
L'arrivo dell'ankh egizio, nel territorio
dei discendenti del grande Šulgi (Shulghi) oggi noto come Sulcis (vedi
articolo dell’8 gennaio 2019) ha comportato un cambiamento radicale ed epocale
nel tessuto sociale dell'epoca. Mi riferisco all’evoluzione costruttiva di una
delle tipologie più significative dell'arte cultuale allora esistente e cioè i
“pozzi sacri”. La mia considerazione parte dall’osservazione delle
caratteristiche edificatorie di tali manufatti e partendo da quello noto col
nome di “Tattinu”che si trova a Nuxis (Carbonia-Iglesias)che attribuisco alla
tipologia precedente l'arrivo dell'ankh, si arriva alla tipologia
più evoluta e, sotto l'aspetto del disegno architettonico, influenzata dal
simbolo egizio i cui esemplari più significativi sono il pozzo sacro di S.
Vittoria di Serri e quello di S. Cristina di Paulilatino. Ritengo che la radicale
trasformazione architettonica del manufatto corrisponda ad una parallela
trasformazione cultuale, nel senso che il culto dell'acqua che veniva
professato nei pozzi sacri sopra citati, nulla aveva a che fare con l'acqua da
bere, ma verosimilmente in questi pozzi si svolgeva un rito legato alla
nascita, alla nuova vita. Questa tesi la ho esposta in un articolo dal titolo
“Una possibile interpretazione del culto dell'acqua in Sardegna ed il ruolo dei
santuari di Romanzesu e Santa Vittoria di Serri”. C'è anche da osservare che
questa immagine simbolica, di grande impatto sociale, ha inciso profondamente
anche nelle successive fasi evolutive della religione in quanto, come già
accennato, la divinità Neith in epoca punico/fenicia si trasforma in Tanit il
cui simbolo ricorda in modo eloquente la figura dell'ankh. Inoltre, un
altro grande cambiamento, conseguente all'arrivo di simbolismi religiosi egizi,
lo si può osservare in altri manufatti di natura cultuale, le ”tombe dei
giganti”. Se prendiamo come riferimento la tomba di “Is Concias” di Quartucciu,
osserviamo che manca una pietra centrale all'esedra come invece avviene per
altri manufatti come per esempio quello di “Coddu vecchiu” di Arzachena. Ciò è
dovuto alla evoluzione costruttiva derivante da un progressivo aggiornamento
del disegno architettonico modificato a seguito della introduzione nella sfera
religiosa di un nuovo concetto filosofico, conseguente all'ingresso nella
liturgia del concetto di trasporto dei defunti all'aldilà per mezzo di una
barca sacra. Tale concetto lo si può desumere dalla osservazione del simbolo
della barca contenuto nelle tombe dei defunti come ad esempio in quella
presente nella necropoli di Montessu. In funzione di questo ragionamento è
possibile condividere il significato della differente tipologia dei manufatti
di “Is Concias” con quello di “Coddu vecchiu”.
Per trovare risposta adeguata al terzo quesito, è
necessario addentrarsi nell'intricatissimo olimpo egizio. Qui troviamo
personaggi oramai noti avendone fatto oggetto di studio e divulgazione
attraverso precedenti articoli specifici. Cercando di costruire la genealogia
di Neith, ci imbattiamo in Knum di cui la dea era figlia. Di questo dio
creatore ho ampiamente trattato nell'articolo pubblicato in data 8 ottobre 2018
ed in quello del 19 novembre 2018, secondo la mia opinione, i nostri antenati
ci hanno voluto tramandare delle immagini la migliore delle quali forse è
quella del bronzetto di Tetti, meglio noto come il guerriero a quattro occhi e
quattro braccia. Uno dei massimi studiosi delle religioni, l'italiano Raffaele
Pettazzoni nel suo libro “La religione primitiva in Sardegna” edito da Carlo
Delfino editore 1980, analizza con profondo criterio scientifico i vari
bronzetti rinvenuti in Sardegna con la caratteristica della duplicazioni degli
occhi e delle braccia, ipotizzando tra le altre cose che tale stranezza
figurativa sia attribuibile al culto dell'acqua, adducendo a supporto della
tesi l'usanza del rito del “Giudizio ordalico” pagg.37/62. L'illustre studioso
sostiene che le figure dei bronzetti rappresentino in modo perfetto le persone
(committenti) che avevano commissionato all'artigiano della fusione la
realizzazione del manufatto che risulta essere un dono votivo alla divinità.
Condivido in pieno questa interpretazione e aggiungo che il committente dava
precise indicazioni all'esecutore dell'opera che doveva essere come la
“fotografia” dell'oggetto da lui immaginato. E' ipotizzabile quindi che le
indicazioni riguardassero le caratteristiche proprie del committente e della
divinità cui il dono era offerto. Cioè io che sono un guerriero, offro a Knum
(dio creatore che dava la vita in duplice coppia) questo dono in cambio
di una grazia ( per esempio che mio figlio nasca sano e bello).
Questo dio, d'altronde, risulta essere l'unica divinità allora esistente che
aveva la peculiarità di dare la vita al doppio. Tornando a Neith, in questa
sede è importante sottolineare la connessione tra la divinità di Sais con altre
figure appartenenti al vastissimo olimpo egizio individuabili in Sardegna.
Altra figlia di Knum è Anuqet, rappresentata in due manufatti (“Su monte” di
Sorradile e “Su Mulinu” di Villanovafranca). Essendo Neith la madre di Ra non
si può escludere un collegamento con un ulteriore manufatto presente a
Sorradile che rappresenta la barca solare con la quale il dio Ra attraversava
le ore notturne, conseguentemente può esserci ancora un legame tra
la divinità che stava a bordo della barca che si chiamava Sia e i vari toponimi
della zona vicina a Sorradile che rispondono ai nomi di SIAmaggiore,
SIApiccia, SIAmanna. L'insieme delle considerazioni fin qui esposte può essere
sufficiente a dimostrare che il culto nato a Eliopoli del dio Ra, può essere
stato o esportato (difficile dimostrarlo) oppure come più facile desumerlo
importato, rispondendo così all'ultimo quesito.
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