giovedì 28 marzo 2019
Archeologia. Cosa significa il simbolo del Capovolto rappresentato dei menhir della Sardegna?
Archeologia. Cosa significa il simbolo del Capovolto rappresentato dei menhir della Sardegna?
I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.
Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi, anche per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.
A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.
Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in
I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.
Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi, anche per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.
A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.
Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in
lunedì 18 marzo 2019
Cartografia Nautica. Le carte di Marino di Tiro, dovremo riabilitare Toscanelli. Articolo di Rolando Berretta
Cartografia Nautica. Le carte di Marino di Tiro, dovremo riabilitare Toscanelli.
Articolo di Rolando Berretta
Nel
mappamondo di Hereford… Paolo Orosio ci
ricorda una storia poco nota.
I Romani
avevano sentito la necessità di sapere come era fatto il Mondo che
venerdì 15 marzo 2019
Archeologia della Sardegna. Benatzu: mezzo secolo per capire? Articolo di Gustavo Bernardino
Archeologia della Sardegna.
Benatzu: mezzo secolo per capire?
Articolo di Gustavo
Bernardino
La ricorrenza del ritrovamento del “Tesoro” nella
grotta di Benatzu (Santadi) avvenuto il 24 giugno 1968 per opera di un gruppo
di speleologi appartenenti alla Associazione Speleologica Iglesiente (ASI),
ripropone in termini indifferibili, considerato il tempo trascorso, la
necessità di dare un significato plausibile al così detto “Tesoro” e sopratutto
proporre una soluzione credibile in merito alla titolarità del destinatario di
tale ricchezza.
La scoperta, è straordinariamente importante perché
consente, al pari della “Stele di Rosetta”, di interpretare con più facilità,
altri reperti rinvenuti nell'area e riscrivere con maggiore chiarezza i reali
rapporti esistenti tra
lunedì 4 marzo 2019
Archeologia. Attività e risorse nella Sardegna nuragica all'epoca dei Giganti di Mont'e Prama. Articolo di Pierluigi Montalbano
Archeologia. Attività e risorse nella Sardegna nuragica all'epoca dei Giganti di Mont'e Prama.
Articolo di Pierluigi Montalbano
Nella lettura del contributo di Giovanni Ugas intitolato "la stagione delle artistocrazie", all'interno del libro "I giganti di pietra", ho rilevato una minuziosa descrizione del modo di vivere dei sardi del Primo Ferro e ho deciso di pubblicare un articolo che riassume le tante notizie fornite dall'archeologo su vari aspetti della vita quotidiana dei nuragici.
Articolo di Pierluigi Montalbano
Nella lettura del contributo di Giovanni Ugas intitolato "la stagione delle artistocrazie", all'interno del libro "I giganti di pietra", ho rilevato una minuziosa descrizione del modo di vivere dei sardi del Primo Ferro e ho deciso di pubblicare un articolo che riassume le tante notizie fornite dall'archeologo su vari aspetti della vita quotidiana dei nuragici.
Intorno al X a.C., abbandonati i nuraghi, gli abitati si ridussero di numero ma aumentarono in dimensioni, alcuni a spese di altri che rimasero piccoli villaggi rurali. Le case furono realizzate direttamente a ridosso delle torri, trasformate in luoghi di culto, e sopra le rovine della precedente cinta muraria. Le capanne erano a isolati circolari, con più ambienti disposti intorno a una piazzetta centrale. Erano case dotate di laboratori, magazzini e altre infrastrutture. Il sistema urbanistico vede un miglioramento delle architetture dei pozzi, con canali di
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