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venerdì 13 aprile 2018

Archeologia. Sardegna, l’Alba di una Civiltà: l’ultimo libro di Pierluigi Montalbano alla “Sebastiano Satta” di Verona. Articolo di Annalisa Atzori e Francesca Sanna per la rivista “Tottus in Pari”


Archeologia. Sardegna, l’Alba di una Civiltà: l’ultimo libro di Pierluigi Montalbano alla “Sebastiano Satta” di Verona.
Articolo di Annalisa Atzori e Francesca Sanna per la rivista “Tottus in Pari”.

All’Associazione “Sebastiano Satta” di Verona è arrivato Pierluigi Montalbano, scrittore cagliaritano, grandissimo appassionato di archeologia sarda, a presentare il suo libro che racconta, con un linguaggio divulgativo accessibile a tutti, l’archeologia della Sardegna, dal Neolitico alla Civiltà Nuragica.
Montalbano ringrazia il presidente Salvatore Pau per l’opportunità offerta e subito si addentra nell’illustrare le testimonianze arrivate fino ai nostri giorni, a partire dall’ Età della Pietra (Paleolitico e Neolitico), a quella del Rame  e a quella del Bronzo (durante la quale possiamo collocare l’inizio della Civiltà Nuragica).
Partendo dal Neolitico Antico, cita i ritrovamenti fatti a Capo Caccia: punte di freccia in ossidiana, “l’oro nero dell’antichità”, utilizzata nelle varie operazioni di caccia, come per la scuoiatura degli animali.  L’ossidiana sarda (vetro vulcanico) veniva esportata in tutto il Mediterraneo e proveniva dai
vulcani spenti (Monte Arci, Oristano). Ritrovata in questi siti la “Conchiglia Cardium” (6000 a.C.), utilizzata per realizzare delle incisioni seghettate nelle ceramiche”cardiali”, esportate anch’esse in tutto il Mediterraneo. Sono state rinvenute anche alcune anfore, decorate nelle anse con immagini della Dea Madre, simbolo dal forte richiamo religioso.
Al Neolitico Medio appartengono invece le “Domus de Janas”, le famose tombe a pozzetto, costruite scalpellando le rocce per poi depositarvi i defunti con tutto il corredo funerario. Si credeva nel ciclo della vita e della rinascita, e anche qui compaiono le statuette della Dea Madre (rappresentata come una fanciulla in avanzato stato di gravidanza).
Le Domus de Janas a camera sono invece databili al Neolitico Finale, all’inizio della cultura Ozieri.
Intorno al 3000 a.C. (età del Rame) in Sardegna, a Monte d’Accoddi, compare una “ziqqurat”, un’arcaica piramide a gradoni di matrice orientale che, infatti, si trova in buon numero soprattutto in Mesopotamia nella città di Ur. Un guscio in pietra realizzato intorno al 2000 a.C. avvolge l’edificio del 3000 a.C., e l’altare rosso interno, oggi celato dal guscio, è una chiara testimonianza di appartenenza a una sfera religiosa dedicata alle divinità del cielo. La struttura ospitava nella parte più alta un altare considerato il punto di incontro tra umano e divino.

Particolari i ritrovamenti di resti umani fatti presso i “Dolmen” sardi, sparsi in tutta la Sardegna (Mores, Benetutti, Buddusò, Berchidda, Luras, Arzachena): attribuiti alle ricche genti della cultura del Vaso Campaniforme, genti che si spostano dall’Europa continentale verso le zone iberiche alla ricerca di metalli, e che durante i trasferimenti avrebbero costruito anche Stonehenge.  I Dolmen erano sepolture di tipo gentilizio, riservate a persone di elevato rango sociale. A questo periodo sono attribuiti i vasi campaniformi, la specializzazione delle tecniche di tiro con l’arco, testimoniata anche dalle protezioni agli avambracci denominate  “brassard” (ritrovati, ad esempio, nella tomba di Marinaru di Sassari), e ricchi corredi di collane e bracciali realizzati con denti animali e conchiglie. Queste genti sono caratterizzate da corpi possenti e cranio di tipologia brachimorfa, differente dalla conformazione scheletrica dei sardi che vedeva crani allungati (dolicomorfi).
Alla fine dell’Età del Rame, in Sardegna erano presenti tre popoli principali: i Corsi (a nord-est) di ceppo ligure e toscano, i Balari (nell’attuale Nurra e Logodoro, provenienti dalla Francia meridionale e dalla Penisola Iberica e portatori della cultura del Vaso Campaniforme) e al centro-sud gli Iliensi (o Iolei), provenienti dall’Africa e dalle isole Egee.
All’Età del Bronzo Antico (2000 a.C.) vengono fatte risalire le “Tombe dei Giganti”, che si possono trovare realizzate capillarmente in tutta la Sardegna a segnare il territorio delle varie tribù. Si tratta di particolari strutture funerarie collettive, con facciata a semicerchio, al centro della quale, proprio nell’ingresso, si trova una stele monumentale.  I culti legati alle tombe dei giganti sono da collegarsi al dio Toro e alla Dea Madre (la morte era vista come una fase di passaggio ciclica verso una nuova vita).
Arrivando all’Età del Bronzo Medio (1800-1500 a.C.) troviamo i primi Nuraghi, quelli denominati a corridoio o bastione, privi di torri e posizionati in punti strategici in tutta la Sardegna. Successivamente, a partire dal 1500 a.C., abbiamo i primi nuraghi di forma tronco conica muniti di torri, e altri, più complessi, che risalgono all’Età del Bronzo Recente (1300 a.C.) come il Nuraghe Losa di Abbasanta che mostra una torre centrale (mastio) circondato da altre tre (triilobato). Alla struttura principale erano addossate altre stanze, probabilmente funzionali alla conservazione delle derrate alimentari per la comunità. Fra i più maestosi abbiamo il Nuraghe Arrubiu di Orroli, un complesso nuragico costituito da torri sovrapposte fino a tre piani. E’ un edificio pentalobato, con una torre centrale che sfiorava i 27 metri e altre cinque torri a due piani attorno alle quali si trova una cinta muraria esterna con altre torri unite da bastioni. Seguono altre cinte murarie e altre torri, per un totale di ventuno torri! Il Nuraghe Santu Antine (Sa domu de su re, la casa del re) a Torralba è trilobato e ha un orientamento astronomico verso l’alba del solstizio d‘inverno e il tramonto del lunistizio maggiore meridionale, due eventi astronomici importanti per il mondo nuragico. L’orientamento rivolto verso il punto da cui sorge il sole il 21 dicembre, il solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno,corrisponde alla linea tangente alle torri est e nord. Quello, invece, del tramonto della Luna corrisponde alla linea tangente che lambisce la torre sud e il paramento murario che contiene l’ingresso principale.
Passando all’Età del Bronzo finale, in Sardegna, come avviene anche in Egitto, non si utilizza più l’architrave, ma si adottano sistemi costruttivi che vedono nella forma ogivale il completamento dell’evoluzione delle strutture monumentali nuragiche.
Qualche secolo prima dell’inizio dell’età del ferro iniziano a comparire raffinati templi dove l’acqua costituisce l’elemento principale. Sono chiamati pozzi sacri (es. Santa Cristina a Paulilatino, Santa Vittoria a Serri, Sa Testa a Olbia e tanti altri). In essi, sono sempre presenti tre caratteristiche legate alla religiosità: l’acqua, l’eleganza strutturale (la bellezza architettonica) e le offerte votive.
La cittadella nuragica che circonda il Nuraghe di Barumini (detto Su Nuraxi) è un insediamento cresciuto intorno alla possente struttura muraria del quadrilobato che fu edificato intorno al XV secolo a.C. In questa fase gli edifici sono funzionali alla gestione di mercati che vanno formandosi nel Primo Ferro, luoghi idonei a commercializzare in sicurezza merci pregiate e a garantire scambi a lungo raggio, con la possibilità di mettere in relazione i locali con i mercanti provenienti anche da luoghi lontani. Sono edifici realizzati con geometrie particolari, ben sorvegliabili, dotati di stanze per assemblee, piccoli templi con vasche e stanze che contenevano i tesoretti delle comunità locali, quello che oggi avviene con le banche. Erano, praticamente, dei bunker, realizzati per custodire i preziosi derivati degli scambi di merci in età fenicia. Sono delle piccole “città mercato”, ne abbiamo un esempio a Sant’Imbenia di Alghero e nel complesso nuragico di Sa Sedda ‘e sor Carros di Oliena, una città del commercio dei metalli.
Montalbano termina il suo viaggio nella storia della Sardegna con un approfondimento sui bronzetti, utilizzati come oggetti votivi e, forse, per comunicare per immagini: queste piccole sculture in bronzo sono raffinate opere artistiche che raccontano una storia fatta di tanti personaggi. Ed ecco le regine sedute sul trono, i maschi che andavano a fare la guerra, offerenti che portano cibo e bevande alle divinità, sacerdoti, anfore, ceste, edifici, barche di varia tipologia, ricche di elementi simbolici come volatili e altri animali.
Un viaggio nella magia, nell’alba della civiltà.
Fonte: http://www.tottusinpari.it/2018/04/11/sardegna-lalba-di-una-civilta-lultimo-libro-di-pierluigi-montalbano-alla-sebastiano-satta-di-verona/

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