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sabato 20 dicembre 2014

Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare

Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare
di Mauro Peppino Zedda


Pochi anni fa è stato presentato in Sardegna il libro di Arnold Lebeuf, “Il pozzo di Santa Cristina, osservatorio lunare”.
Un’opera che, tra le altre cose, cerca di dimostrare come il Santa Cristina fosse un osservatorio astronomico a carattere lunare, uno strumento attraverso il quale i suoi costruttori osservavano e registravano i moti della luna al fine di prevedere le eclissi.
Fino ad oggi era noto che il rapporto base altezza della cupola del pozzo, è caratterizzato da una geometria architettonica che coincide con buona approssimazione con una geometria astronomica. In altre parole, la linea passante tra il punto nord della base della cupola e il foro apicale forma un angolo (rispetto alla verticale) coincidente con l’angolo che caratterizza punto in cui la luna attraversa il meridiano nel giorno del lunistizio maggiore settentrionale.
Lebeuf nella sua opera si è preso la briga di capire la precisione dell’orientamento astronomico in questione, concludendo che se il pozzo fosse stato costruito attorno al mille a.C. (cioè riferendosi ai dati astronomici che caratterizzano la luna in quell’epoca) la precisione dell’orientamento sarebbe pari a più o meno 3 primi (un ventesimo di grado).
Considerando che siamo in una fase (di un ciclo millenario) dove l’altezza della Luna al lunistizio maggiore settentrionale si abbassa di 2 primi ogni 300 anni, è facile dedurre che l’orientamento mostra una precisione sbalorditiva. I costruttori sono stati capaci di una precisione assoluta, sbalorditiva! 

Un’approssimazione di 1 grado attesterebbe comunque un significato astronomico del pozzo!
Lebeuf oltre a rilevare la precisione con cui il rapporto base altezza della cupola si rapporta all’altezza della Luna al momento del suo passaggio in meridiano nel lunistizio maggiore settentrionale, ha messo in luce che un filare dei cerchi di pietre isodome (dei 22 che compongono la cupola), spesso una volta e mezzo quelli che lo precedono, marca con estrema precisione il lunistizio medio!
La marcatura estremamente precisa del lunistizio medio, unitamente al maggiore e la presenza di una scala graduata (i filari di pietra presenti tra i due identici l’uno all’altro), induce Lebeuf a ritenere che il pozzo fosse uno strumento astronomico, uno strumento tecnologico in grado di fare osservazioni accurate dei moti lunari, tali da permettere a chi lo utilizzava di poter prevedere le eclissi.
Dunque attraverso l’accurato lavoro di Lebeuf il pozzo di Santa Cristina entra a far parte del patrimonio mondiale della storia della scienza, che si aggiunge all’essere un patrimonio mondiale dell’architettura e dell’astronomia.
Durante le presentazioni del libro di Lebeuf, archeologi e appassionati hanno riproposto alcuni dei luoghi comuni che circolano negli ottusi ambienti degli archeologi sardi a proposito degli argomenti che ostano ad una interpretazione astronomica del monumento.
Eccoli :
1) nel pozzo non poteva entrare la luce lunare perché, sopra il foro della cupola vi era un’altra struttura;
2) il pozzo si riempiva d’acqua e, dunque, non permetteva di fare le osservazioni;
3) la datazione del pozzo (per alcuni il pozzo risalirebbe al 1300 a.C. , invece che al 1000.);
4) il pozzo sarebbe stato ricostruito da Enrico Atzeni;
5) il pozzo sarebbe stato ricostruito dai romani in epoca più tarda.

Qualcuno ha definito queste obiezioni come delle spade di Damocle che inficiano la proposta di Lebeuf, sarebbe meglio definirle come le sciocchezze degli archeologi sardi, che invece di guardare la Luna continuano a guardare il dito.
L’archeologo che sostiene che i romani si sarebbero presi la briga di restaurare il pozzo adeguandosi stilisticamente allo stile dei costruttori, dovrebbe riprendere gli studi, dalle elementari ovviamente!
Poi vi è la schiera di coloro che mettono in dubbio la parola di Enrico Atzeni, che afferma che sulla cupola si è limitato a rimettere in opera uno (comunque sia originale) dei due conci che formano l’occulus. Su questi sarebbe meglio stendere un velo pietoso. Enrico Atzeni sarà pure un pessimo archeologo , ma non penso che sia bugiardo. Il restauro ha interessato la rampa e non la cupola.
Che sopra la cupola vi fosse un’altra struttura è possibile, ma non è certo, e sicuramente non avrebbe impedito alla luce della luna di penetrare l’occulus della cupola.
La datazione del pozzo al 1300 a.C. invece che al 1000, renderebbe ancor più preciso l’orientamento del pozzo con le fasi lunari.
A questo proposito si specifica che anche una approssimazione di 10 primi invece dei 3 riscontrati non invaliderebbe la proposta che il pozzo fosse un osservatorio, un’approssimazione maggiore (sino ad 1 grado) non inficerebbe il significato astronomico, ma in tal caso dovrebbe essere inteso come simbolico.
Altri sostengono che il pozzo si riempiva d’acqua e dunque era impossibile fare osservazioni astronomiche. Nella conferenza di Cagliari l’ing. Ambrogio Atzeni, che con l’archeologo Enrico Atzeni, diresse gli scavi e il restauro, ha detto che nella parte basale del pozzo vi erano delle aperture che facevano pensare che vi fosse già in origine una conduttura per tenere basso il livello dell’acqua. Anche senza la testimonianza dell’ing. Ambrogio Atzeni, conoscendo i condotti idraulici presenti in alcuni nuraghi (Arrubiu di Orroli, Santu Antine di Torralba) e in altri pozzi sacri, ci vuole poca immaginazione e solo buon senso per ipotizzare che nel Santa Cristina vi fosse un sistema di drenaggio.
Ma anche supponendo che non vi fosse il pozzo poteva essere svuotato anche manualmente, con dei secchi, quando si dovevano fare le osservazioni.
Quello che è certo e che nel secondo millennio a.C. la luce della Luna passante per l’occulus, quando ricorreva il lunistizio maggiore settentrionale, nel momento del suo passaggio in meridiano, sarebbe andata a cadere in fondo al pozzo, perfettamente, sottolineo perfettamente, tangente alla parete nord. Quattro anni e mezzo prima e quattro anni e mezzo dopo , cioè nel lunistizio medio la luce della luna si sarebbe fermata in uno speciale filare, prettamente riconoscibile tra i 22 che caratterizzano la cupola, un filare spesso una volta e mezzo gli altri.
Secondo Lebeuf il pozzo di Santa Cristina permetteva di conoscere con estrema precisione i tempi dei lunistizi medi e del lunistizio maggiore, una conoscenza che permetteva agli astronomi o astronome (che praticavano anche l’astrologia, beninteso) che operavano nel Santa Cristina di poter prevedere le eclissi.
Di fronte ad un manufatto perfettamente concepito in sintonia con i cicli lunari, è curioso notare l’atteggiamento di coloro che pur di negare l’evidenza ed affrontare la vergogna di essere responsabili di quarant’anni di ritardi nella acquisizione del significato astronomico del pozzo di Santa Cristina, propongono delle sciocche obiezioni, ad una tesi che pone il pozzo di Santa Cristina come un’opera di cui stanno discutendo gli storici della scienza.
Se prima dello studio di Lebeuf sapevamo che il pozzo di Santa Cristina era patrimonio mondiale dell’architettura e dell’astronomia, ora lo è anche della storia della scienza.

Fonte: www.archeologianuragica.blogspot.it


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