di Pierluigi Montalbano
Al Museo Sanna di Sassari è esposto uno dei numerosi crani che mostrano fori nella calotta e che sono riferiti a migliaia di anni fa. In Sardegna il ricorso a trapanazioni craniche effettuate su persone vive risale a studi su resti umani della tomba di Scaba ‘e Sarriu di Siddi, datata a cavallo fra Neolitico ed Età del Rame. Precedentemente quest'operazione si riferiva alla cultura Bonnannaro e poteva essere semplice o multipla con l'asportazione di rondelle ossee. In un caso un cranio mostra che l'individuo ha subìto in vita quattro interventi con la sopravvivenza dopo i primi tre. La formazione del relativo callo osseo dimostra che questa operazione di chirurgia era svolta con particolare perizia e gli individui sopravvivevano alla fuoriuscita del materiale cerebrale.
In qualche caso si nota anche che li reinnesto riuscito della rondella precedentemente asportata. Non si conoscono le motivazioni di questa pratica, ma si suppone che sia legata a rituali magico religiosi giustificati da manifestazione patologiche. È possibile che l'individuazione di malati di epilessia portasse la comunità a ritenere l'individuo posseduto dagli spiriti maligni con la conseguente necessità di liberarlo. È dunque possibile testimoniare l'esistenza di medici stregoni in possesso di notevoli conoscenze di anatomia. La pratica mostra continuità di vita fino alle soglie della civiltà nuragica, ossia intorno al 1800 a.C. come dimostra la donna sepolta nella grotta di Dorgali denominata di Sisàia, dove l'esame osseo ha dimostrato una trapanazione cranica in vita con il reimpianto della rondella ossea.
Turchia
Sebbene le conoscenze e gli strumenti a disposizione dei nostri antenati fossero alquanto limitati, la recente scoperta effettuata a Ikiztepe, insediamento turco sul Mar Nero, testimonia che l’uomo iniziò a curare e praticare la chirurgia sul cervello già da epoca antichissima.
Gli scavi, diretti da Onder Bilgi, hanno restituito bisturi in ossidiana e numerosi teschi con cicatrici e segni. Le lame in ossidiana sono talmente affilate che potrebbero tagliare tutt’oggi, mentre quattordici crani dei 700 scoperti nel cimitero recano i segni delle aperture eseguite con queste lame. Per la precisione, il bisturi in ossidiana venne usato per creare un’apertura rettangolare su tutto il cranio con buoni risultati. Infatti, sembra che i pazienti abbiano vissuto altri due o tre anni dopo l’operazione perché le ossa del teschio hanno tentato di richiudere la ferita.
Gli archeologi pensano che i bisturi siano stati usati per diminuire la pressione di un’emorragia celebrale, per curare persone con ferite alla testa e tumore al cervello e che gli abitanti di Ikiztepe debbano aver sviluppato l’arte del bisturi in maniera professionale. Infatti, rispetto al cranio del Neolitico con un foro praticato dentro trovato in Anatolia centrale, quelli di Ikiztepe presentano aperture rettangolari, una tecnica certamente più sofisticata.
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