sabato 28 gennaio 2012
Il Paradiso Terrestre scoperto da Cristoforo Colombo - 2° parte di 3
Fonte: Pino Cimò,
tratto da: IL NUOVO MONDO: La scoperta dell'America nel racconto dei grandi navigatori italiani del Cinquecento
Editoriali GIORGIO MONDADORI 1991 - MILANO
Dopo la prima parte sul racconto di Cristoforo Colombo...ecco la 2° parte. Buona Lettura.
L'indomani feci scandagliare il mare dalle barche e scoprii che nel punto meno profondo dell'entrata dello stretto vi erano sei o sette braccia d'acqua e che le correnti continuavano a muoversi entrando e uscendo dallo stretto. Il Signore si compiacque di darmi un vento favorevole e riuscii così a entrare nello stretto dove trovammo mare calmo e prelevando per caso acqua, mentre eravamo in navigazione, ci accorgemmo, con sorpresa, che si trattava di acqua dolce. Procedetti in direzione nord fino a raggiungere una montagna molto alta che distava 104 miglia dall'Arenile. In quel punto vi erano due promontori, uno a est che faceva parte della stessa isola di Trinità e l'altro a ovest che faceva parte della terra da me denominata, come ho detto, di Grazia. Tra i due promontori c'era un canale più stretto di quello della punta dell'Arenile ma anche in esso si notavano correnti e lo stesso tipo di ruggito di acque. Anche l'acqua del mare era dolce. Fino a quel momento io non avevo avuto modo di parlare con gli abitanti di quella terra e avevo un gran desiderio di farlo. Per questa ragione seguii la costa in direzione ovest e più avanzavo più l'acqua che prelevavamo si faceva dolce e piacevole al palato. Dopo aver navigato per un bel po' arrivai in una località in cui la terra sembrava coltivata. Gettai le ancore e mandai a terra le barche. Gli uomini notarono che gli abitanti erano andati via poco tempo prima e che la montagna era piena di scimmie. Tornarono subito indietro. Dato che eravamo davanti a una zona montagnosa immaginai che più ad ovest le terre dovessero essere pianeggianti e quindi popolate. Feci levare le ancore e seguii la costa fino alla punta della montagna. Qui mi fermai alle foci di un fiume. Venne subito molta gente. Mi dissero che essi chiamavano quella terra Paria e che se fossi andato più ad ovest l'avrei trovata più popolata. Presi dunque quattro indigeni con me e navigai in direzione di ponente. Dopo 24 miglia, superata una punta che denominai del Ciottolino, trovai le terre più belle del mondo, e molto popolate. Giunsi in quel posto di mattina, all'ora di terza, e per aver modo di ammirare quel magnifico verde decisi di calare le ancore e d'incontrarmi con quella gente. Alcuni di loro vennero subito con le canoe per invitarmi, in nome del loro re, a scendere a terra. Ma vedendo che non gli davo retta giunsero in moltissimi sulle loro canoe. Molti portavano al collo pezzi di oro e alcuni avevano le braccia adornate con bracciali di perle. Mi rallegrai molto quando vidi le perle e feci di tutto per sapere dove le trovavano. Mi dissero che le trovavano lì stesso e a nord della loro terra. Avrei voluto trattenermi ma i viveri- frumento, vino e carne, ottenuti con tanto stento in Castiglia- che portavo alla gente di qua si stavano deteriorando del tutto e per questo volevo fare più in fretta che potevo per porli in salvo e non trattenermi per nessuna ragione. Cercai di avere di quelle perle e per questo mandai alcune barche a terra.
Gli indigeni di questa terra sono numerosissimi e tutti di aspetto bello, molto alla mano e con lo stesso tipo di carnagione di quelli visti prima. Gli uomini nostri che scesero a terra li trovarono molto accondiscendenti e tutti li accolsero con rispetto. Essi raccontarono che non appena le barche giunsero a riva si fecero loro incontro due capi con tutta la gente del posto. I due capi, a quanto pare, erano padre e figlio; li portarono in una grandissima casa, costruita a due spioventi e non rotonda come le tende da campo che si usano qui. Nella casa c'erano molti sgabelli, dove li fecero accomodare e dove si sedettero anche loro. E fecero portare pane, frutti di vario tipo, vino rosso e bianco ma non di uva. Probabilmente era vino di frutta, il bianco di un tipo e il rosso di un altro tipo, e ce ne doveva essere anche di mais, che è un seme racchiuso in una spiga a forma di fuso che io ho già portato in Castiglia e che è già molto conosciuto. Sembra che chi ne possedesse la qualità migliore lo portasse per mettersi in mostra e lo distribuisse in segno di grande stima. Gli uomini stavano tutti in un lato della casa e le donne nell'altro lato. Sia gli indigeni sia i nostri soffrirono molto per il fatto di non capirsi: essi chiedevano ai nostri della nostra patria e i nostri ad essi della loro. Terminato il banchetto in casa del vecchio, il capo giovane li condusse nella sua casa e li trattò allo stesso modo. Dopo di che, risaliti sulle barche, tornarono alla nave. E io feci subito levare le ancore perché avevo premura di salvare i viveri che stavano andando a male e che ero riuscito a procurarmi con tanta difficoltà, ma anche per prendermi cura di me: avevo, infatti, gli occhi malati a causa delle lunghe veglie. Sebbene nel viaggio che avevo fatto alla scoperta della terra ferma fossi rimasto per 33 giorni senza chiudere occhio e, successivamente, parecchio tempo privo della vista, mai i miei occhi si erano ammalati e riempiti di sangue e mai mi avevano provocato tanto dolore come ora.
Questa gente, come ho già detto, è tutta di ottima costituzione, di statura alta e di bei lineamenti. Hanno i capelli lisci e li portano molto lunghi. Si coprono la testa con fazzoletti ricamati, così belli che da lontano sembrano di seta, come gli almayzares (cfr. sopra). Legato ai fianchi portano - sia gli uomini che le donne - un fazzoletto più ampio con il quale si coprono. La carnagione di questa gente è la più chiara di tutte quelle che ho visto finora nelle Indie. Tutti portano al collo e alle braccia un qualche tipo di ornamento, secondo l'usanza del paese, e molti portano al collo pezzi d'oro grezzo. Le loro canoe sono più grandi e costruite meglio di quelle in uso qui a Hispaniola, e sono anche più leggere: al centro di ognuna è situato un abitacolo chiuso dove viaggiano i capi e le loro donne. Questa terra la denominai Giardini, perché è un nome appropriato. Feci molti sforzi per sapere dove si procuravano l'oro e tutti mi mostravano una terra a ponente situata di fronte a loro, molto alta ma non distante. Mi raccomandavano, però, di non andare laggiù perché lì mangiavano gli uomini. Mi parve dunque di capire che gli abitanti di quella terra erano Cannibali, come quegli altri. Poi, però, ho pensato che me lo dicessero perché lì c'erano animali feroci. Chiesi pure ad essi dove trovassero le perle e mi fecero segno di nuovo verso il ponente e il nord della terra da loro abitata. Non mi fermai sul posto per appurare la verità su quanto dicevano a causa dei viveri e delle cattive condizioni dei miei occhi, e per il fatto che la nave a bordo della quale mi trovavo non era adatta a tale tipo di manovre d'esplorazione.
Siccome il tempo che ebbero a disposizione fu poco lo trascorsero tutto facendo domande agli indigeni. Tornarono alle navi all'ora del vespro - come ho detto - e immediatamente io levai le ancore e ripresi la navigazione in direzione di ponente. L'indomani continuai per la stessa rotta fino a quando non mi resi conto di avere solo tre braccia di profondità. Pensai, allora, che anche questa fosse un'isola e che avrei potuto uscire dallo stretto puntando verso nord. Stando così le cose mandai avanti in perlustrazione una caravella leggera per verificare se c’era una via d’uscita o se invece la strada era chiusa. L’imbarcazione fece un lungo tragitto e giunse in un grande golfo dentro cui sembrava ce ne fossero altri quattro di grandezza media e che in uno di questi sfociasse un fiume grandissimo. Gli uomini della caravella constatarono di navigare sempre con cinque braccia di fondo e con acqua dolce in enorme quantità e di qualità eccellente: di acqua così io non ne ho mai bevuta. Quando mi accorsi che non potevo uscire a nord, né andare avanti verso sud o verso ovest, ci rimasi molto male essendo ormai evidente che ero circondato da ogni parte dalla terra. Levai le ancore e tornai indietro per uscire a nord dalla bocca di cui ho parlato e non potei passare dalle popolazioni che avevo visitato perché le correnti mi avevano portato lontano. Dappertutto l'acqua era dolce e limpida e mi portava verso est, spingendomi con forza verso i due stretti di cui ho parlato in precedenza. Ipotizzai, allora, che i filoni di corrente e le masse d'acqua che penetravano ed uscivano da quegli stretti con fragori così forti avevano all'origine lo scontro dell'acqua dolce con quella, salata: la dolce che spingeva l'altra perché non entrasse; e la salata che impediva alla dolce di uscire. E ne trassi la conclusione che là dove oggi ci sono le due bocche una volta, nel remoto passato, ci fosse continuità di terra tra l'isola di Trinità e la terra di Grazia, come le Maestà Vostre potranno osservare nel disegno che allego a questa lettera. Uscii così dallo stretto settentrionale in cui l'acqua dolce era più abbondante di quella salata e quando lo attraversai, portato dalla forza del vento, stando su una delle grandi montagne d'acqua potei appurare che dalla parte interna dell'alveo della corrente l'acqua era dolce; dalla parte esterna, invece, l'acqua era salata. Quando io - venendo dalla Spagna alle Indie - giunsi a 400 miglia a ovest delle Azzorre avvertii un gran mutamento sia nel cielo sia nelle stelle, come pure nella temperatura dell'aria e nelle acque del mare. E a questo fenomeno feci molta attenzione. Osservai che da nord a sud, oltrepassata la distanza di 400 miglia dalle suddette isole, l'ago della bussola che fino a quel punto tende a nord-est, si orienta d'improvviso a nord-ovest una quarta di vento tutta intera. E ciò si verifica mentre ci si avvicina a tale linea, come chi stesse superando un pendio. Trovai pure il mare (il Mare dei Sargassi) completamente pieno di un'erba fatta di rametti di pino e carica di frutti simili a quelli del lentisco. L'erba era così densa che nel mio primo viaggio temetti che si trattasse di una secca e che le navi vi si sarebbero arenate. E il fatto sorprendente è che fino al momento di arrivare a quella linea della stessa erba non se ne trova affatto. Arrivando in quel punto trovai il mare calmo e liscio e benché soffiasse il vento esso non si alzava mai. Inoltre all'interno di questa linea, dal lato di ponente, la temperatura era mite e senza grandi sbalzi sia d'inverno sia d'estate. Stando lì mi accorsi che la stella polare forma un cerchio con un diametro di cinque gradi e quando le Guardie (le due stelle posteriori del quadrilatero dell'Orsa Minore) sono nel braccio destro la stella sta nel suo punto più basso e si va alzando fino a raggiungere il braccio sinistro. È allora a cinque gradi e da questa posizione si abbassa progressivamente fino a tornare al braccio destro. Io dalla Spagna arrivai all'isola di Madera e da lì alle isole Canarie e quindi alle isole di Capo Verde. Da lì proseguii la navigazione in direzione sud fino ad oltrepassare - come ho detto - la linea equinoziale (Equatore). Una volta giunto all'altezza del parallelo della Sierra Leone, in Guinea (cfr. prima), mi imbattei in una temperatura così torrida e in raggi del sole così caldi che temevo di bruciare. E benché fosse venuta la pioggia e il cielo fosse annuvolato restai gravemente preoccupato finché Nostro Signore non si compiacque di mandarmi un buon vento spingendomi a prendere la rotta di ponente, nella convinzione che avvicinandomi alla linea di cui ho parlato sopra, avrei riscontrato il cambiamento di temperatura. E in effetti una volta postomi in corrispondenza di quella linea la temperatura del cielo diventò mite e quanto più io andavo avanti tanto più la temperatura si addolciva. Ma non c'era corrispondenza tra questo fenomeno e la posizione delle stelle. All'imbrunire notai che la stella del Nord era a un'altezza di cinque gradi e le Guardie (cfr. sopra) stavano sopra la mia testa; a mezzanotte, poi, la stella polare era alta dieci gradi e all'alba - quando le Guardie (c.ft. prima) erano ai piedi - a quindici gradi.
Trovai una spiegazione soddisfacente per la quiete del mare ma non per l'erba. E il fenomeno della stella polare mi meravigliò molto. Per varie notti, con molta attenzione, l'osservai con il quadrante ma notavo sempre che il filo e il piombo cadevano nello stesso punto. A mio parere questo è un fenomeno nuovo, e forse altri saranno della mia stessa opinione, perché è strano che in un'area così ristretta ci possa essere tanta differenza nel cielo. Io ho sempre letto che il mondo, terra ed acqua, è di forma sferica. Le autorevoli teorie e le sperimentazioni di Tolomeo e di tutti coloro che scrissero sull'argomento, lo confermano e lo dimostrano sia con le eclissi di luna e le altre verifiche compiute da est a ovest, sia con l'elevazione polare a nord e a sud. Ma dopo aver osservato una irregolarità così grande come quella di cui ho parlato mi sono fatta una mia idea del mondo in base alla quale esso non è rotondo come viene descritto ma ha una forma a pera molto rotonda, tranne che nel punto dove si trova il gambo che costituisce il suo punto più alto. O, detto altrimenti, esso ha la forma di una sfera molto rotonda che, però, su un suo punto ha una specie di capezzolo di donna. Questa parte della sfera è la sua parte più alta e la più vicina al cielo e va collocata sotto la linea equinoziale e, in questo oceano all’estremità dell’oriente ( e per oriente io intendo il punto dove finiscono la terra e le isole). E’ per questa ragione che io ho riferito le motivazioni suddette in merito alla linea che passa, da nord a sud, a 400 miglia a occidente delle isole Azzorre: a cominciare da tale punto, infatti le navi si alzano dolcemente verso il cielo - spostandosi da lì verso ponente - ed è allora che si gode d'una temperatura più mite e la bussola muta direzione d'un quarto di vento per via di questa dolcezza di clima; più si sposta e più si eleva, più si accentua la declinazione verso nord-ovest. Questa elevazione provoca la variazione del circolo che la stella polare descrive con le Guardie (cfr. prima): quanto più quest'ultime sono vicino alla linea equinoziale (cfr. prima) tanto più si alzano nel cielo e maggiore è la differenza fra le stelle e le orbite da esse tracciate. Tolomeo e gli altri dotti che scrissero su questo mondo pensarono che l'emisfero occidentale fosse sferico come quello in cui essi abitavano. Questo ha il suo centro nell'isola di Arin posta sotto la linea equinoziale (cfr. prima) tra il Golfo d'Arabia e il Golfo di Persia; il circolo passa per il capo San Vincenzo, in Portogallo, dal lato di ponente, e per Cangara (Catigara, nel Cabai) e Seri (il nome dato alla Cina da Tolomeo) dal lato orientale. Per quanto riguarda quest'emisfero non c'è nessuna difficoltà, da parte mia, a ritenere che esso sia rotondo come essi affermano. Ma quest'altro, a mio parere, è come la metà d'una pera ben tonda che abbia il picciolo alto - come ho detto - o come una palla rotonda con sopra un capezzolo di donna. Tolomeo e gli altri che hanno scritto su questo mondo opinarono che era rotondo non sapendo nulla di questa sua parte che era sconosciuta e basandosi solo sull'emisfero in cui essi vivevano e che è certamente - come ho detto e ripeto - sferico. Ma ora che le Maestà Vostre hanno ordinato di navigarlo, di esplorarlo e di scoprirlo, la mia affermazione si dimostra evidentissima. Quando, infatti, durante questo viaggio, io mi trovavo a 20 gradi a nord della linea equinoziale (cfr. prima) ero all'altezza di Hargin e di quelle terre dove la popolazione è nera e il suolo è riarso dal sole. Dopo io passai per le isole di Capo Verde dove la gente è ancora più nera. Quanto più abitano al sud tanto più quelle genti sono di carnagione scura. Cosicché all'altezza in cui io stavo, quella cioè della Sierra Leone, dove la stella polare all'imbrunire si alza di cinque gradi, la popolazione è nera al massimo E quando da lì navigai a occidente il calore era estremo. Ma, oltrepassata la linea di cui ho parlato, la temperatura cominciò ad addolcirsi progressivamente, tanto che quando arrivai all'isola di Trinità, dove la stella polare si alza di nuovo, sul far della sera, di cinque gradi, e anche nella terra di Grazia, trovai un clima mitissimo e la terra e gli alberi verdissimi e belli come in aprile gli orti e i frutteti di Valenza. La popolazione di qui è di statura molto buona e ha la carnagione più bianca di tutte le altre che io ho visto nelle Indie; gli uomini hanno i capelli lunghi e lisci, sono più astuti e più intelligenti, e non sono codardi. In quel momento il sole stava sulla Vergine sia sulle nostre sia sulle loro teste. Tutto ciò ha come spiegazione la mitezza del clima, il quale, a sua volta, è conseguenza del fatto che queste terre sono le più alte del mondo e le più vicine al cielo, come ho detto. E così io mi confermo nella mia idea che il mondo non è perfettamente sferico ma ha l'elemento di diversità di cui ho detto in questo emisfero e precisamente nel punto in cui le Indie s'incontrano con l'oceano e l'estremità di quest'ultimo è situata sotto la linea dell'equinozio (Equatore). Dà una forte consistenza a questa teoria il fatto che il sole, quando fu creato da Dio, comparve nel punto più lontano dell'Oriente (o, almeno, la sua prima luce risplendette qui in Oriente) dove si trova la punta più alta di quest'emisfero. È vero che Aristotele suppose che fosse il polo antartico o la terra ad esso sottostante la parte più alta del mondo e quella più vicina al cielo. Ma altri scienziati espressero opinione contraria e sostennero che, invece, fosse più elevata la terra che sta sotto il polo artico. Da ciò risulta evidente che sia l'uno sia gli altri immaginarono una parte del mondo più alta e più vicina al cielo dell'altra. Nessuno, però, suppose che essa si potesse trovare sotto la linea equinoziale (cfr. prima) e questo per i motivi che ho analizzato sopra. Di ciò non bisogna meravigliarsi perché in questo emisfero non si erano ancora avute notizie certe ma solo vaghe e ipotetiche, giacché nessuno vi si era mai recato né vi era stato inviato a cercarlo fino ad ora, cioè fino a quando le Vostre Maestà ordinarono che esso venisse esploralo e che si scoprissero il mare e la terra. Stabilii che i due stretti, come ho già detto diametralmente opposti da nord a sud, distano l'uno dall'altro 104 miglia e il dato è certo perché ho eseguito la misurazione con il quadrante. Da questi due stretti, a occidente, al golfo di cui ho parlato prima e che io denominai delle Perle c'è una distanza di 68 leghe di quattro miglia, come le calcoliamo in mare. L'acqua esce da questo golfo e si precipita in continuazione e con molta forza verso oriente: lo scontro tra acqua dolce e acqua salata avviene, dunque, in questi due stretti. Nello stretto meridionale, che io denominai della Serpe, osservai che la stella polare all'imbrunire era alta quasi cinque gradi; in quello settentrionale, da me chiamato del Drago, saliva su fino a quasi sette gradi. Osservai pure che il golfo delle Perle è situato a poco meno di 3900 miglia a ovest di quello di Tolomeo: c'è, cioè, una differenza di 70 gradi equinoziali, calcolando per ciascun grado 56 miglia e due terzi. La Sacra Scrittura afferma che Nostro Signore fece il Paradiso Terrestre e vi collocò l'albero della vita da cui scaturisce una sorgente che dà vita ai quattro fiumi principali del mondo: il Gange, in India, il Tigri e l'Eufrate che dividono la catena di montagne, formano la Mesopotamia e scorrono quindi nella Persia e il Nilo che nasce in Etiopia e sbocca in mare ad Alessandria. Io non trovo né ho mai trovato un documento scritto di autore latino o greco in cui venga indicata con certezza la posizione geografica del Paradiso terrestre nel mondo; né l'ho mai visto situato in un mappamondo tranne che sulla base di criteri teorici. C'era chi lo collocava nel luogo in cui nascono le sorgenti del Nilo in Etiopia: ma chi ha percorso tutte quelle terre non vi ha riscontrato né il clima né l'altezza delle terre da cui si potesse dedurre che esso si trovasse in quel punto, né ha trovato indizi del fatto che le acque del diluvio vi fossero arrivate, dato che esse si alzarono al di sopra e così via. Alcuni pagani tentarono di dimostrare con varie argomentazioni che esso si trovava nelle isole Fortunate, che corrispondono alle Canarie ecc.; Sant'Isidoro, Beda, Strabone, il maestro della Storia Scolastica, Sant'Ambrogio e Scoto e tutti i sapienti teologi affermano che il Paradiso Terrestre si trova in Oriente...
Domani la 3° e ultima parte
Immagine di www.kjanicki-sotd.blogspot.com
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento