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martedì 18 settembre 2012

La culla della civiltà: Göbekli Tepe

Göbekli Tepe: nuove teorie sulla neolitizzazione del vicino Oriente


Con il trascorrere degli anni l’archeologia preistorica risulta essere sempre più affascinante ed intrigante sia per gli studiosi che per gli appassionati del settore.
Dalle scoperte riguardanti le origini dell’uomo, alla sua evoluzione ed al suo successo “tecnologico” su tutti gli altri animali, la preistoria offre scenari sempre più ampi all’osservazione delle fenomenologie che hanno condotto la nostra specie – nel corso di milioni di anni – ad essere egemone.
Tante sono state le scoperte di grande interesse, come quella della più importante rappresentante del genere Australopithecusafarensis rinvenuta nel 1973 da Donald Johanson nella regione dell’Afar in Etiopia e meglio nota come “Lucy”.
La genetica poi, così come la geologia, l’archeozoologia, l’antropologia e tante altre discipline scientifiche hanno ulteriormente aiutato le ricerche sul campo facilitando il lavoro dei ricercatori, e chiarendo – seppur per linee generali – il quadro dello sviluppo evolutivo dell’uomo.
Gli studiosi però, ancora oggi si domandano quando e come si sia potuta verificare quella “innovazione culturale” che ha cambiato lo stile di vita dei nostri antenati cacciatori – raccoglitori, trasformandoli in pastori e coltivatori sedentari.
Vere Gordon Childe (Archeologo Australiano, che lavorò principalmente in Inghilterra) coniò il termine di “rivoluzione neolitica” negli anni venti del secolo scorso, descrivendo questo periodo come la prima grande rivoluzione agricola della storia.
Altri illustri studiosi come Andrew Colin Renfrew poi, supportarono questa tesi e suggerirono una origine Anatolica delle genti Indoeuropee, che una volta adottata l’agricoltura l’avrebbero – in seguito – “diffusa” irradiando più aree geografiche.
Certamente si deve volgere lo sguardo alla Mezzaluna fertile quando si vogliono trovare risposte soddisfacenti a simili quesiti, e gli scavi svolti nel sud della regione Anatolica sembrano proprio avvalorare le ipotesi formulate all’inizio del XX secolo.


Ricordiamo, ad esempio, lo scavo della città neolitica di Çatal Hüyük o ancora quello più recente – svolto e diretto dall’archeologo Klaus Schmidt nel 1994 – nel celebre sito di Göbekli Tepe. L’importanza di quest’ultima area posta al confine con la Siria nell’odierna Turchia sud – orientale, deriva dalla sua “anzianità” (ben oltre gli 11.000 anni) e dalla sua presunta importanza cultuale.
Il sito si presenta ricco di monoliti ben lisciati e scolpiti con bassorilievi, rappresentanti – soprattutto – figure animali.
Questo complesso fu edificato in un epoca in cui il “pacchetto Neolitico” non era ancora stato del tutto adottato dalle popolazioni locali di cacciatori – raccoglitori, e dunque non era possibile servirsi di strumenti in metallo, o di bestie da soma per il trasporto di blocchi di pietra estremamente pesanti (e qui è doveroso ricordare che il lavoro veniva svolto ancora in assenza della ruota) eppure – da come si osserva – le operazioni eseguite sembrerebbero frutto di attività ben definite e specializzate.
A questo punto è doveroso dissolvere qualsiasi nebbia che oscura la giusta via da seguire nella risoluzione di questo quesito.
Sembra assolutamente ovvio – date le testimonianze materiali – che i costruttori di Göbekli Tepe abbiano sfruttato al massimo le loro potenzialità umane e di gruppo, le domande più ovvie da porsi alla luce di questi fatti sono: in che modo, e quando queste popolazioni abbandonano la caccia – raccolta per adottare uno stile di vita sedentario e votato all’agricoltura ed all’allevamento?
Le teorie ad oggi sono ancora tante, alcuni studiosi suggeriscono che al termine dell’ultima glaciazione (quella di Würm terminata 12.000 anni or sono) le popolazioni del vicino Oriente abbiano sfruttato la fertilità del terreno ed i miglioramenti climatici iniziando la semina di cereali e legumi, altri esperti invece, tendono a non sbilanciarsi tanto ed asseriscono che il passaggio da una cultura nomade ad una sedentaria sia stato lento e graduale.
Certo è che l’edificazione di simili strutture ha richiesto la presenza stabile sul posto di personale addetto alla costruzione, che certamente doveva sfamarsi e sfruttare al meglio le risorse del territorio.


Altra cosa importante poi, è che quasi sicuramente l’estrazione, il trasporto, la levigatura, l’incisione ecc, sono più fasi di un lavoro che fanno pensare ad una prima differenziazione dei ruoli.
Questa idea dunque, contrasterebbe – e non poco – con quella che vede le genti di Göbekli Tepe ancora come rozzi cacciatori – raccoglitori incapaci di concepire un primo – e più complesso – assetto sociale.
Inoltre il sito doveva presentarsi come centro di raccolta di “pellegrini” venuti da altre località, e questo ne spiegherebbe la monumentalità e coinciderebbe con la nascita di una prima comunità “complessa”.
L’archeologo Klaus Schmidt nelle ultime pagine del suo libro “Costruirono i primi templi” ipotizza perGöbekli Tepe una funzione simile a quella delle anfizionìe greche, asserendo che il principio di base per una anfizionìa è sempre la condivisione di un tempio comune.
In effetti nelle zone limitrofe sono stati rinvenuti parecchi siti simili a Göbekli Tepe – seppure con dimensioni ridotte – che fanno pensare da una sorta di prima condivisione di attività cultuali.
La collina su cui sorge il sito fu abbandonata nei primi secoli dell’ VIII millennio a.C., quando più a valle la comunità iniziava ad organizzarsi per le attività di coltivazione, che per Klaus Schmidt segnarono la nascita di una élite posta al controllo ed alla gestione del centro di culto.
Certamente questa ipotesi è coraggiosa e necessita di ulteriori riscontri, ma se dovesse essere confermata riaprirà senz’altro il dibattito sul neolitico e le sue origini.

Fonte: Archeorivista

2 commenti:

  1. Quanto segue è una piccola parte, di un lungo articolo, trovato su Internet

    GENETICA PREISTORICA DIECIMILA ANNI FA
    Piante e animali geneticamente modificati in modo deliberato
    di Joseph Robert Jochmans

    Nelle origini di diverse piante attuali si può ipotizzare una ricerca genetica, svolta in periodi molto antichi. Il frumento, per esempio, apparve misteriosamente nello stesso periodo dell’esplosione agricola in Armenia e in Anatolia (moderna Turchia) verso l'8000 a.C. Prima, il frumento era soltanto un’erba selvatica, ma come risultato non di uno, ma tre “accidenti genetici” – come li definiscono gli storici tradizionalisti – la pianta fu improvvisamente trasformata in una ricca e nutriente fonte di cibo.
    Innanzitutto, il frumento selvatico fu incrociato con un’erba da pascolo naturale, e i quattordici cromosomi dell’uno si combinarono con i quattordici dell’altra a produrre una nuova pianta, più robusta, chiamata emmer, con ventotto cromosomi. Poi, in breve tempo, l’ibrido emmer fu nuovamente incrociato con un’altra “erba da pascolo” per creare una pianta con spighe molto più grandi, con quarantatue cromosomi.
    Infine, si ebbe una terza mutazione. Uno dei quarantadue cromosomi subì una mutazione. Se ciò non fosse accaduto, il frumento che oggi conosciamo, che nutrì i primi contadini armeni e tutti i loro successori, non sarebbbe mai esistito. Il fatto che queste combinazioni e alterazioni genetiche siano avvenute tutte casualmente, in un periodo piuttosto breve, è in contrasto con tutte le leggi della probabilità.
    Se poi ciò non bastasse, entra nel quadro un altro elemento favorevole. A differenza delle altre erbe selvatiche che l’avevano preceduto, il singolo grano di frumento è troppo pesante per essere trasportato dal vento e provvedere così alla riproduzione spontanea. La riproduzione della pianta deve essere praticata artificialmente, altrimenti la pianta non sopravvivrebbe e si estinguerebbe in breve tempo.

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